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09 Maggio 2022


Dubbi sull’obbligo di dare esecuzione a un mandato d’arresto europeo emesso nei confronti di madre con figlio minore convivente: la questione alla Corte di giustizia dell’Unione europea

Cass., Sez. VI, ord. 14 gennaio 2022 (dep. 19 marzo 2022), n. 15143, Pres. Fidelbo, rel. D'Arcangelo



1. Si segnala ai lettori l’ordinanza del 14 gennaio 2022, con cui la sesta sezione della Cassazione ha proposto, ai sensi dell’art. 267 TFUE, un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea allo scopo di chiarire se il nostro Stato sia obbligato a dare esecuzione a un mandato d’arresto europeo emesso dall’autorità giudiziaria belga nei confronti di una madre di prole minore di tre anni. Più specificamente, il giudice di legittimità chiede a quello sovranazionale di stabilire se: l’art. 1 § 2 e 3, e gli art. 3 e 4 decisione-quadro 2002/584/GAI «debbano essere interpretati nel senso che non consentono all’autorità giudiziaria dell’esecuzione di rifiutare o comunque di differire la consegna della madre con figli minorenni conviventi»; in caso di risposta positiva a tale prima questione, l’art. 1 § 2 e 3, e gli art. 3 e 4 decisione-quadro 2002/584/GAI siano compatibili con gli art. 7 e 24 § 3 CDFUE, «anche alla luce della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo in materia di art. 8 CEDU e delle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, nella misura in cui impongono la consegna della madre recidendo i legami con i figli minori conviventi senza considerare il best interest of the child».

 

2. In estrema sintesi la vicenda. La persona richiesta in consegna dall’autorità belga è una ragazza di origini nigeriane, condannata in via definitiva alla pena di cinque anni dal Tribunale di Anversa per i reati di tratta di esseri umani e di agevolazione dell’immigrazione clandestina. Al momento dell’arresto, la donna si trovava in compagnia del figlio di quasi tre anni, con lei sola convivente. Disposta la custodia cautelare prima, e gli arresti domiciliari poi, i giudici italiani chiedevano agli omologhi belgi informazioni sulle modalità di esecuzione della pena nel loro Paese per le madri con figli minorenni, sul relativo trattamento carcerario e sulle misure che sarebbero state adottate nei confronti del bambino. Non avendo ricevuto le rassicurazioni richieste, la corte d’appello competente negava la consegna.

Da qui, il ricorso per cassazione all’origine del provvedimento in epigrafe, dove il pubblico ministero chiedeva l’annullamento della sentenza impugnata per violazione degli art. 16 e 18 l. 22 aprile 2005 n. 69, mentre la difesa sosteneva la necessità di rifiutare la consegna in forza della clausola generale contenuta nell’art. 2 l. n. 69 del 2005, per non incorrere in una palese violazione dei diritti fondamentali posti dall’ordinamento a tutela della maternità e dell’infanzia[1]; in subordine, invitava il giudice di legittimità a sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 18 l. n. 69 del 2005, laddove non prescrive, fra i motivi obbligatori di rifiuto della consegna, l’essere donna incinta o madre di prole di età inferiore ai tre anni, per contrasto con gli art. 2, 3, 31 e 111 Cost. e 10 Cost. in relazione agli art. 8 Cedu e 17 Carta sociale europea.

 

3. Benché la clausola generale di cui all’art. 2 l. n. 69 del 2005 fosse già stata impiegata per negare la consegna di madri di prole minore, rispettivamente, di sei anni[2] (vigente la precedente disciplina) e di tre anni (dopo l’entrata in vigore della l. n. 10 del 2021)[3], questa volta la Cassazione ha deciso di discostarsi da tali interpretazioni, facendo propria l’impostazione seguita dal giudice delle leggi nell’ord. cost. n. 216 del 2021[4]. Chiamati a dichiarare l’illegittimità costituzionale della l. n. 69 del 2005, nella parte in cui non prevede il divieto di consegna di una persona affetta da gravi e insuperabili disturbi di salute, i giudici di Palazzo della Consulta hanno stabilito che spetta in primis alla Corte di giustizia dell’Unione europea il compito d’individuare i casi in cui l’autorità giudiziaria italiana può rifiutare la consegna, oltre a quelli già contemplati in maniera tassativa dalla normativa nazionale e dalla decisione-quadro 2002/584/GAI[5].

Forte di tale precedente, e trovandosi di fronte a un ipotesi di doppia pregiudizialità[6], la Corte di cassazione ha così deciso di rivolgersi alla Corte di giustizia, nel presupposto che a quest’ultima spetti il compito di chiarire gli standard minimi di tutela in materia di maternità e d’infanzia quando si tratta di eseguire un mandato d’arresto, e che le conseguenti determinazioni saranno di per sé in grado di evitare una futura questione di legittimità costituzionale della l. n. 69 del 2005.

 

4. A questo punto, la Corte di cassazione è entrata in medias res, ribadendo che l’obbligo di consegna di una madre che convive con un bambino di età inferiore ai tre anni implica una violazione dei loro diritti fondamentali, il cui rispetto invece è imposto, fra l’altro, dall’art. 1 § 3 decisione-quadro 2002/584/GAI, nonché dalla giurisprudenza della Corte di giustizia e della Corte europea dei diritti dell’uomo in tema di mandato d’arresto europeo[7]. Nella specie, ciò che viene in rilievo è il diritto al rispetto della vita privata e familiare, ex art. 7 CDFUE, oltre che il best interest of the child, ai sensi dell’art. 24 CDFUE e dell’art. 3 CRC, che, da una lato, assicurano al bambino il diritto d’intrattenere regolarmente relazioni personali e contatti diretti con i genitori; dall’altro, sanciscono il dovere in capo alle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, ai tribunali, alle autorità amministrative e agli organi legislativi, di tenere sempre conto, in tutte le decisioni che lo riguardino, del suo interesse superiore[8]. Né – prosegue ancora la Cassazione – si può dimenticare come la stessa Corte europea dei diritti dell’uomo abbia più volte ribadito quanto sia problematico stabilire se i neonati e i bambini piccoli possano rimanere in carcere con le loro madri[9]. Secondo le regole penitenziarie europee (reg. 36.1) e le regole delle Nazioni Unite per il trattamento delle donne detenute – o regole di Bangkok – (reg. 49), la scelta di consentire che i figli possano stare in carcere con le loro madri si fondano sull’interesse superiore dei bambini; ma, al contempo, le prigioni non offrono un ambiente adeguato per i neonati e per i bambini più piccoli[10].

 

5. In conclusione, la Corte di cassazione ritiene che separare la madre dai propri figli in esecuzione di un mandato d’arresto europeo sia un’operazione estremamente delicata, per la vulnerabilità del bambino in tenera età, ma che una soluzione valida potrebbe essere quella di differire la consegna in un momento in cui le condizioni individuali e le circostanze del caso la rendono possibile; oppure permettere il trasferimento della madre e del bambino, solo dopo che lo Stato richiedente abbia fornito adeguate rassicurazioni sulle modalità di svolgimento della detenzione, con particolare riguardo alla salute e al benessere del bambino. Ma la parola passa ora alla Corte di giustizia dell’Unione europea.

 

6. Inutile sottolineare l’importanza del provvedimento qui segnalato, meritevole di riflessioni e di approfondimenti futuri almeno sotto due profili: quello del dialogo fra le Corti sovranazionali e nazionali, che si arricchisce di una nuova tessera, e quello del grado di tutela che la Corte di giustizia dell’Unione sarà disposta a riconoscere alle persone attinte dal primo e più importante strumento di mutuo riconoscimento in ambito penale. Allo stato dell’arte, appare difficile che i giudici di Lussemburgo ignorino le richieste italiane, (con l’effetto di rimettere in gioco le prerogative della Corte costituzionale); ma è altrettanto improbabile che percorrano la via dell’invalidità della decisione-quadro 2002/584/GAI rispetto alla Carta di Nizza. Più plausibile, invece, che la Corte di giustizia si muova nel solco della propria giurisprudenza sugli obblighi informativi a carico degli Stati membri in fase di decisione sulla consegna[11], ossia (come auspicato nell’ord. cost. n. 216 del 2021) sulla falsariga e con gli opportuni adattamenti rispetto a quanto statuito nei casi Aranyosi e Căldăru. Sotto le luci della ribalta, a ogni modo, rimane il tema del best interest of the child. In una legislazione all’avanguardia nel rispetto dei diritti fondamentali, non sono andrebbe garantito al figlio il diritto di mantenere il primario legame con sua madre detenuta, ma gli andrebbe assicurato pure il diritto a non crescere fra le sbarre, prigioniero senza colpe: questo, e non altro, è il suo miglior interesse.

 

 

[1] Come noto, prima della sua abrogazione a opera della l. 2 febbraio 2021 n. 10 (che ha provveduto a riallineare i motivi di non esecuzione del mandato d’arresto europeo interni a quelli contemplati dalla decisione-quadro 2002/584/GAI) l’art. 18 lett. s l. n. 69 del 2005 (poi, lett. p, per effetto dell’art. 6 comma 5 lett. a l. 4 ottobre 2019 n. 117) stabiliva, fra i motivi ostativi alla consegna, l’essere «la persona richiesta in consegna … una donna incinta o madre di prole di età inferiore a tre anni con lei convivente, salvo che, trattandosi di mandato d’arresto europeo emesso nel corso del procedimento, le esigenze cautelari poste a base del provvedimento restrittivo dell’autorità giudiziaria emittente risult[assero] di eccezionale gravità».

Sulle ragioni delle modifiche dell’art. 18 l. n. 69 del 2005, cfr., fra gli altri, M. Bargis, Meglio tardi che mai. Il nuovo volto del recepimento della decisione quadro relativa al m.a.e. nel d.lgs. 2 febbraio 2021, n. 10: una prima lettura, in questa Rivista, 2021, n. 3, p. 77-78; G. Colaiacovo, La nuova disciplina del mandato d’arresto europeo tra esigenze di semplificazione della procedura e tutela del diritto di difesa, in Dir. pen. proc., 2021, p. 872-873; V. Picciotti, La riforma del mandato di arresto europeo. Note di sintesi a margine del d.lgs. 2 febbraio 2021, n. 10, in Leg. pen., 12 aprile 2021, p. 19 ss.

[2] Cass., sez. VI, 3 giugno 2021, Tonuzi Anxhela, in CED, n. 281349, per la quale «in tema di mandato di arresto europeo, ai fini della consegna di madre di prole di età non superiore a sei anni, è necessario che l'ordinamento dello Stato richiedente riconosca delle modalità di detenzione assimilabili a quelle interne, tali da escludere che l'interessata possa essere sottoposta a condizioni incompatibili con la tutela della condizione di madre, a salvaguardia degli interessi del minore. (In motivazione, la Corte ha precisato che, qualora l'ordinamento esterno non contempli forme di tutela del diritto dei figli a non essere privati del ruolo della madre, secondo modalità comparabili a quelle previste dall'ordinamento interno, si determinerebbe una lesione di diritti fondamentali, previsti sia dalla Costituzione che dalla CEDU, il che imporrebbe il rifiuto della consegna ai sensi dell'art. 2, legge n. 69 del 2005)».

[3] Cass., sez. VI, 25 giugno 2021, Eminovic Emiy, in CED, n. 281533.

[4] Per un commento alla pronuncia in questione, cfr. C. Amalfitano – M. Aranci, Mandato di arresto europeo e due nuove occasioni di dialogo tra Corte costituzionale e Corte di giustizia, in questa Rivista, 2002, n. 1, p. 11 ss.; S. Montaldo – S. Giudici, Nuove opportunità di tutela degli individui nel sistema del mandato d’arresto europeo: le ordinanze 216 e 217 del 2021 della Corte costituzionale, in Leg. pen., 27 marzo 2022, p. 1 ss.

[5] Cfr. C. cost., ord. 18 novembre 2021 n. 216, § 7.5 (motivazione in diritto), per la quale «sarebbe manifestamente in contrasto» con il primato, l’unità e l’effettività del diritto eurounitario «un’interpretazione del diritto nazionale che riconoscesse all’autorità giudiziaria di esecuzione il potere di rifiutare la consegna dell’interessato al di fuori dei casi tassativi previsti dalla legge in conformità alle previsioni della decisione quadro, sulla base di disposizioni di carattere generale come quelle contenute nel testo degli artt. 1 e 2 della legge n. 69 del 2005 anteriormente alle modifiche apportate dal d.lgs. n. 10 del 2021, o come l’art. 2 della medesima legge nella formulazione oggi vigente».

[7] Cfr., rispettivamente, C. giust. UE, grande sez., 5 aprile 2016, C-404/15 e C-659/15 PPU, Aranyosi e Căldăru, § 94 ss., con riguardo all’art. 4 CDFUE, e C. eur. dir. uomo, sez. II, 17 aprile 2018, Pirozzi c. Belgio, § 62, relativamente all’art. 6 comma 1 Cedu.

[8] A fortiori, la Cassazione cita C. giust. UE, 23 gennaio 2018, C-367/16, Piotrowski, § 37, dove è stato reputato compatibile con il diritto dell’Unione la consegna in esecuzione di un mandato d’arresto europeo di un minore che ha raggiunto la soglia di età per la responsabilità penale secondo il diritto nazionale, purché vi siano garanzie idonee ad assicurare che «l’interesse superiore dei minori … sia sempre considerato preminente». Come si legge nella sentenza qui segnalata, per la Cassazione, sarebbe insomma «singolare che il parametro del best interest of the child, che deve informare le scelte di esecuzione del mandato di arresto europeo nei confronti del minore accusato o condannato, non assuma rilievo per i minori, in età ampiamente inferiore, che convivono con la loro madre, destinataria di un mandato di arresto europeo, e che sono estranei a ogni contestazione penale».

[9] Cfr., ad esempio, C. eur. dir. uomo, sez. V, sent. 24 marzo 2016, Korneykova e Korneykov c. Ucraina, § 128 ss., in tema di condizioni della detenzione contrarie all’art. 3 Cedu per una madre detenuta e per il suo bambino.

[10] Come si legge nel § 28 del 10° Rapporto Generale del CPT pubblicato il 18 agosto 2000 sulle Donne private della libertà, consultabile all’indirizzo internet www.coe.int.

[11] A ben vedere, in alternativa, la Corte di giustizia potrebbe far leva sull’art. 23 § 4 decisione-quadro 2002/584/GAI, laddove si prevede, in via eccezionale, la possibilità di differire temporaneamente «per gravi motivi umanitari» la consegna già decisa in senso positivo. Tale disciplina, fra l’altro, è ripresa dall’art. 22 comma 3 l. n. 69 del 2005, che, nel caso di specie, né la corte d’appello né la Corte di cassazione hanno preso in considerazione.