Cass., Sez. II, sent. 4 settembre 2020 (dep. 19 ottobre 2020), n. 28936, Pres. Cammino, Est. Pazienza
1. A distanza di alcuni mesi dall’introduzione della normativa straordinaria ed urgente che ha determinato la sospensione ex lege di tutti i termini procedimentali, in conseguenza dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, è possibile osservare (alcuni fra) i primi risultati interpretativi raggiunti dalla giurisprudenza di legittimità in merito alle questioni interpretative controverse. Fra queste ultime, è stata oggetto di recente dibattito la possibilità di ricomprendere l’interrogatorio di garanzia fra le attività procedimentali che si sottraggono “automaticamente” agli effetti sospensivi derivanti dall’art. 83, co. 2, D.L. 17 marzo 2020, n. 18[1], convertito con modificazioni dalla L. 24 aprile 2020, n. 27[2]. La questione è stata risolta “negativamente” dai Giudici della seconda sezione penale che, in linea con le cadenze argomentative di un orientamento dottrinale già emerso sulle pagine di questa Rivista[3], hanno affermato il principio di diritto secondo cui i termini dell’interrogatorio di garanzia rientrano fra quelli che l’art. 83, co. 2, D.L. 18/2020 sottopone al regime della sospensione, non essendo possibile accostare la ratio dell’interrogatorio di garanzia a quella del procedimento di convalida di una misura pre-cautelare. Più specificamente, l’interrogatorio di garanzia è un atto qualificabile “ad urgenza relativa”, suscettibile pertanto di derogare al regime sospensivo generale nella sola ipotesi in cui l’imputato/indagato e il difensore ne abbiano fatto un’espressa richiesta.
2. Nel caso in esame, il ricorrente, attinto da misura cautelare degli arresti domiciliari in data 15 maggio 2020, lamentava violazione degli artt. 302 e 294 c.p.p., sul rilievo che l’interrogatorio di garanzia fosse stato espletato oltre il termine legale dei 10 giorni. I giudici del merito cautelare avevano infatti ritenuto che il decorso del predetto termine fosse stato sospeso dalle disposizioni emergenziali dettate dall’art. 83, co. 2, D.L. 18/2020, convertito, con modificazioni, dalla L. 27/2020.
Pertanto, nel ricorrere per cassazione, il difensore avanzava le seguenti censure:
a) quanto al regime giuridico, l’interrogatorio di garanzia meriterebbe un trattamento omologo a quello che la normativa emergenziale riserva ai procedimenti di convalida di arresto e fermo, qualificati come atti “ad urgenza assoluta”. Conseguentemente, laddove non si operasse per via interpretativa una simile equiparazione, si recherebbe un irragionevole detrimento alla posizione dell’indagato, e conseguente lesione degli artt. 24 e 13 Cost. Oltretutto, l’attività processuale de qua non potrebbe essere sussunta nella categoria degli atti cd. “ad urgenza relativa”, giacché l’“indagato” non rientra – ad avviso del ricorrente – tra i soggetti legittimati ad azionare il meccanismo di cui all’art. 83, co. 3, D.L. 18/2020 il cui tenore letterale sembra riservare la facoltà di pretendere il tempestivo espletamento dell’atto in capo ai soggetti che rivestano la qualifica di “imputati”;
b) assenza totale di motivazione del provvedimento sottoposto a ricorso in merito ad una questione di legittimità costituzionale sollevata con riferimento alla normativa emergenziale;
c)questione di legittimità costituzionale dell’art. 83, co. 3, D.L. 18/2020 poiché l’interpretazione allo stesso attribuita dal G.i.p. (prima) e dal Tribunale del riesame (dopo) comporterebbe, sotto diversi parametri, una violazione degli artt. 3, 10, 13, 24 e 111 Cost.
3. L’orientamento interpretativo seguito dal ricorrente aveva già trovato un riscontro favorevole nella prassi operativa di alcuni Tribunali, dove gli interrogatori di garanzia continuavano ad essere espletati in videoconferenza[4]. Tale dato trova altresì conferma in una pronuncia di merito con la quale il Giudice per le indagini preliminari rilevava come l’interrogatorio di garanzia, nonostante non rientrasse formalmente fra quelli espressamente citati dalla prima parte dell’art. 83, co. 3, lett. b), D.L. 18/2020, era comunque accomunato dalla medesima ratio del procedimento di convalida dell’arresto o fermo (per i quali è invece espressamente previsto che si proceda in deroga al regime della sospensione dei termini), «in quanto non può ritenersi lecito rinviare a tempo indeterminato il primo atto da compiersi a garanzia dell’interesse dell’indagato a difendersi da limitazioni della propria libertà personale realizzate con misura cautelare personale coercitiva»[5].
Una soluzione interpretativa del tutto analoga era stata poi seguita dal C.S.M., attraverso un parere di taglio critico sul tenore delle disposizioni contenute nella decretazione d’urgenza. Analizzata in senso letterale, la normativa esprimeva infatti la necessità di ricondurre l’interrogatorio di garanzia, insieme ad più ampio elenco di atti parimenti funzionali alla salvaguardia della posizione dell’indagato, all’interno del periodo di sospensione operante ex lege[6]. Muovendo da tali rilievi, si avvalorava dunque la possibilità di mitigare la portata estensiva del regime sospensivo anzidetto – ritenuto fin troppo elastico – propugnando un’interpretazione costituzionalmente orientata della decretazione emergenziale. Un’operazione ermeneutica che dovrebbe valorizzare la ratio, sottesa ai singoli atti procedimentali, perseguendo l’obiettivo di delineare un migliore bilanciamento fra i valori costituzionali coinvolti: la tutela della salute collettiva, da una parte, e le garanzie fondamentali dell’accusato, dall’altra. In questo modo, le norme eccezionali ed urgenti sulla sospensione dei termini, dettate per ridurre gli effetti negativi dell’emergenza epidemiologica sull’attività giudiziaria, non potrebbero recare vulnus alle garanzie fondamentali della persona sottoposta a processo, dovendosi pertanto considerare recessive rispetto all’esigenza di garantire il tempestivo espletamento di atti funzionali alla tutela di diritti costituzionalmente garantiti[7].
4. In un quadro così incerto, la Corte di cassazione ha respinto le istanze difensive.
Nel rigettare il primo motivo di ricorso, la Corte ha tentato inizialmente di ricostruire la voluntas legis analizzando l’evoluzione della normativa emergenziale per mezzo dell’“argomento storico”. Invero, rispetto al primo periodo di sospensione (riferibile al D.L. 8 marzo 2020, n. 11 con riguardo all’arco temporale ricompreso tra il 9 e il 22 marzo 2020), la normativa introdotta successivamente dal D.L. 18/2020 si connotava per intenti più spiccatamente “onnicomprensivi”. Tali aspetti sono desumibili dalla disposizione di cui all’art. 83, co. 2, D.L. 18/2020 secondo cui «si intendono […] sospesi […] i termini stabiliti per la fase delle indagini preliminari, per l’adozione di provvedimenti giudiziari e per il deposito della loro motivazione, per la proposizione degli atti introduttivi del giudizio e dei procedimenti esecutivi, per le impugnazioni e, in genere, tutti i termini procedurali».
Alla portata estensiva di una disposizione improntata a realizzare un più massiccio contenimento dell’attività giudiziale, nell’ottica di limitare la diffusione del COVID - 19, si contrapponeva poi l’introduzione di una serie di ipotesi finalizzate a rendere defettibile la menzionata “regola generale”. Si tratta, in particolare, di alcune tipologie di procedimenti che, per l’intrinseco carattere di urgenza, rendevano indispensabile garantire una trattazione tempestiva e non dilazionabile dell’atto, seppur con le distinzioni che si diranno.
Il legislatore, infatti, ha distinto fra due differenti categorie di atti: quelli qualificabili come “ad urgenza assoluta” e quelli cd. “ad urgenza relativa”.
I primi determinano un’automatica deroga al regime della sospensione dei termini. Essi sono indicati nella prima parte dell’art. 83, co. 3, lett. b), D.L. 18/2020: vale a dire, i procedimenti di convalida dell’arresto o del fermo e dell’ordine di allontanamento dalla casa familiare, quelli nei quali nel periodo di sospensione (o nei sei mesi successivi) scadono i termini di cui all’art. 304, co. 6 c.p.p., quelli afferenti la consegna di un imputato o di un condannato all’estero ai sensi della legge 22 aprile 2005, n. 69, quelli di estradizione per l’estero di cui al capo I del titolo II del libro XI del codice di procedura penale, nonché quelli in cui sono applicate (o è pendente la richiesta di) misure di sicurezza detentive.
I secondi, invece, derogano all’applicazione del generale regime sospensione solo nell’ipotesi in cui i detenuti, gli imputati, i proposti o i loro difensori espressamente richiedano che si proceda. In tale categoria, denominata ad “urgenza relativa”, rientrano i «procedimenti a carico di persone detenute […]; procedimenti in cui sono applicate misure cautelari o di sicurezza; […] procedimenti per l’applicazione di misure di prevenzione o nei quali sono disposte misure di prevenzione; […] procedimenti che presentano carattere di urgenza, per la necessità di assumere prove indifferibili, nei casi di cui all’articolo 392 del codice di procedura penale» (art. 83, co. 3, lett. b, D.L. 18/2020).
L’assetto normativo appena illustrato si pone, a ben vedere, in rapporto di eccezione rispetto alla generale regola della sospensione dei termini procedimentali. Applicando dunque il canone interpretativo di cui all’art. 14 disp. prel. c.c., si esclude la possibilità di utilizzare l’interpretazione analogica per ampliare il novero degli atti suscettibili di derogare automaticamente al regime generale della sospensione dei termini. Pertanto, disattendendo l’orientamento interpretativo prospettato dal ricorrente, viene ritenuto dai Giudici che la regola eccezionale secondo cui il procedimento di convalida delle misure pre-cautelari rientri nella categoria dell’“urgenza assoluta” non possa trovare applicazione oltre i casi in essa specificamente considerati, venendo meno la possibilità di assimilare quest’atto all’interrogatorio di garanzia dell’indagato in vinculis.
Oltretutto, anche alla luce della stratificazione normativa che ha investito la normativa emergenziale, e al conseguente graduale ampliamento delle ipotesi di “urgenza assoluta”, il mancato inserimento dell’interrogatorio di garanzia fra gli atti in relazione ai quali opera l’ordinario scorrimento dei termini non può che palesare una scelta dallo stesso legislatore: ubi voluit dixit, ubi noluit tacuit.
Al di là degli spunti interpretativi che emergono da un inquadramento sistematico della normativa emergenziale, i Giudici della Suprema Corte ritengono utile corroborare la motivazione smentendo altresì un altro presupposto della tesi difensiva: vale a dire, l’assimilazione tra l’interrogatorio di garanzia e la convalida dell’arresto. In questa prospettiva, l’accento viene posto sulle differenze strutturali e funzionali che intercorrono tra i due atti, anche attraverso il richiamo della più recente giurisprudenza di legittimità in materia. In particolare, la caratteristica peculiare del procedimento di convalida dell’arresto consiste nella necessità di garantire il pieno rispetto del principio di “stretta giurisdizionalità”: dinanzi ad una restrizione della libertà personale, avvenuta senza un preventivo vaglio giurisdizionale che ne garantisse la legalità, l’ordinamento non può tollerare alcun tipo di dilazione dei termini per l’espletamento dell’udienza di convalida, in linea con le previsioni di cui all’art. 13 Cost.[8]
A ben vedere, questo elevato grado di urgenza non appartiene anche all’interrogatorio di garanzia che «si differenzia nettamente dal procedimento di convalida perché […] presuppone un provvedimento coercitivo del giudice che, nell’altro caso, non è ancora intervenuto»[9].
5. Forte delle argomentazioni poc’anzi tratteggiate, la Corte di cassazione ha proceduto poi al rigetto degli altri motivi di ricorso (sopra indicati con le lettere b) e c)), afferenti ai dubbi di legittimità costituzionale avanzati con riferimento all’art. 83, D.L. 18/2020.
Sul presupposto che il G.i.p. si fosse già pronunciato – seppur con motivazione sintetica – sulla questione di legittimità costituzionale sollevata dal ricorrente (motivo per cui doveva ritenersi infondato il vizio di “difetto assoluto di motivazione”), la Corte ha giustificato meglio i “perché” sottesi alla declaratoria di “manifesta infondatezza”.
In tale prospettiva, il motivo principale per cui si ritiene che la scelta del legislatore non sia in contrasto con il diritto di difesa consiste nel fatto che «il procedimento penale in cui è necessario procedere all’interrogatorio di garanzia rientra indiscutibilmente tra quelli “ad urgenza relativa”, essendo stata applicata una misura cautelare in corso di esecuzione (cfr. art. 83, comma 3, lett. b, n. 2, d.l. n. 18). Conseguentemente, la decisione di sottoporsi all’interrogatorio, anche nel periodo di sospensione generalizzata dell’attività giudiziaria (e dei relativi termini), è stata demandata dal legislatore alla valutazione della persona sottoposta a misura e del suo difensore: ed è una valutazione non soggetta a delibazione alcuna da parte dell’autorità procedente, senz’altro tenuta all’espletamento dell’atto nei termini di legge, che riprendono a decorrere per effetto della richiesta»[10].
In questo modo, si realizza un equilibrato bilanciamento tra gli interessi “in gioco”. Da una parte, il soggetto attinto da misura cautelare gode della piena facoltà di richiedere il tempestivo svolgimento del suo interrogatorio nel rispetto del diritto al contraddittorio (art. 111 Cost.) e del diritto alla difesa (art. 24 Cost.). Dall’altra, la scelta di non sospendere automaticamente i termini dell’interrogatorio di garanzia permette altresì di ottimizzare la già menzionata valenza “onnicomprensiva” della sospensione, in linea con la finalità di contrastare il diffondersi dell’epidemia da COVID - 19. Non varrebbe, oltretutto, ad “eludere” tale asserto la debole argomentazione che muove da un’interpretazione letterale del testo dell’art. 83, co. 2, D.L. 18/2020 nella parte in cui limita – apparentemente – al solo imputato il diritto di pretendere il tempestivo compimento dell’atto: è evidente, infatti, che una simile interpretazione risulterebbe del tutto priva di fondamento logico (e paradossale negli effetti), oltre che in contrasto con il tenore dell’art. 61 c.p.p. secondo cui all’indagato si estendono, salvo che la legge stabilisca diversamente, le stesse garanzie di cui gode l’imputato.
Infine, la Corte di cassazione osserva che, nella vicenda in esame, l’imputato non ha concretamente sofferto alcun dimostrabile pregiudizio. A tal proposito, si evidenzia come il G.i.p. avesse esplicitato la sua interpretazione dell’art. 83, D.L. 18/2020, rendendo edotto l’indagato del suo diritto di pretendere il tempestivo svolgimento dell’interrogatorio di garanzia, nonostante la normativa emergenziale ne avesse sospeso i termini. Tale comportamento, non imposto in alcun modo dalla legge e desumibile – semmai – dal più ampio criterio di lealtà e correttezza dei soggetti processuali, ha fatto sì che l’imputato potesse prevedere le conseguenze processuali della propria “inerzia” in modo da poter scegliere in autonomia se sottoporsi – o meno – all’interrogatorio di garanzia nei termini di legge.
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6. Risulta a questo punto possibile rassegnare qualche considerazione critica sulla pronuncia. In quest’ottica, si procederà prima a “classificare” gli argomenti contenuti nella motivazione per nuclei concettuali; successivamente, si cercherà di verificare se essi, complessivamente considerati, giustifichino appieno la declaratoria di “manifesta infondatezza” della questione di legittimità costituzionale sollevata con riferimento alla “(ir)ragionevolezza” della scelta del legislatore di operare un diversificato trattamento tra l’interrogatorio di garanzia e il procedimento di convalida di una misura pre-cautelare (sotto il profilo della sospensione emergenziale dei termini).
6.1. Anzitutto, fra i motivi della decisione sembra di poter individuare i seguenti: a) l’argomento “storico”; b) l’argomento “logico-sistematico”; b.bis) il divieto di interpretazione analogica di una norma eccezionale (ex art. 14 delle cd. “preleggi”); b.ter) le differenze strutturali tra interrogatorio di garanzia e procedimento di convalida di una misura cautelare; c) l’assenza di pregiudizi per il diritto di difesa; d) il bilanciamento tra interessi costituzionali potenzialmente confliggenti.
I primi tre argomenti (comprensivi dei “sottoinsiemi” dell’argomento più genericamente indicato con la lettera b)), atomisticamente considerati, sembrano sfuggire a obiezioni critiche, essendo finalizzati a ricostruire la ratio della normativa emergenziale. E infatti, non sembra potersi mettere in discussione il fatto che il legislatore abbia voluto escludere l’interrogatorio di garanzia dal novero degli atti definiti come “ad urgenza assoluta”, deponendo in tal senso una pluralità di fattori.
Del pari, non sembra che questi ultimi riescano a fugare i dubbi relativi alla questione di legittimità costituzionale sollevata dal ricorrente, essendo semmai strumentali a ricostruire quel “corretto” – nel senso di conforme alla mens legis – significato assunto dalla normativa d’urgenza. Senonché, è proprio questa chiave di lettura che, sconsigliando semmai il ricorso ad un’interpretazione costituzionalmente orientata, assurge a presupposto del successivo sindacato di “ragionevolezza” della scelta legislativa.
6.2. Un discorso analogo vale, mutatis mutandi, per l’argomento sopra indicato con la lettera c), specificamente rinvenibile nell’ultima parte del provvedimento (pag. 8). Qui, infatti, pare che i Giudici abbiano inteso corroborare l’esito decisorio descrivendo il comportamento processuale del difensore come una condotta integrante – latu sensu – una forma di “abuso processuale”[11]. Sebbene non ci sia stato, in questo caso, nessun tipo di sviamento funzionalistico della norma processuale (presupposto “tecnicamente” richiesto per sussumere la fattispecie all’interno della teorica menzionata), sembra che la Corte abbia voluto – con intenti che si potrebbero definire quasi “moralistici” – caricare di ulteriore significato sanzionatorio la decisione, focalizzando l’attenzione sul fatto che il difensore non avesse chiesto il tempestivo espletamento dell’interrogatorio di garanzia, nonostante fosse stato preventivamente sollecitato in tal senso dal G.i.p. Rispetto a questi profili, si potrebbe certo prendere atto dell’astratta eventualità che il difensore manifestasse espressamente la sua volontà di ottenere il tempestivo espletamento dell’atto (come imposto dalla normativa), salvo poi riservarsi la possibilità di sollevare una questione processuale in sede di riesame. Senonché, seguendo questa ipotetica via, ci si potrebbe ulteriormente chiedere quale sarebbe stato il “significato pratico” di una successiva doglianza “di mero principio”, giacché basata sulla corretta interpretazione di una norma che contempla un diritto già esercitato. In ogni caso, l’argomentazione che trae dall’inerzia del difensore e dell’indagato un argomento per asserire l’assenza di lesioni del diritto di difesa non intacca, concretamente, il diverso sindacato che – sul piano astratto – i Giudici avrebbero dovuto compiere con riguardo alla conformità della scelta legislativa all’art. 3 Cost.
6.3. Rispetto a quest’ultimo profilo, giova riflettere più a fondo sull’argomento sopra individuato con la lettera c), attraverso il quale i Giudici hanno affermato la “ragionevolezza” della scelta di trattare l’interrogatorio di garanzia in modo diverso rispetto al procedimento di convalida di una misura pre-cautelare. A ben vedere, proprio questa parte del giudizio sembra essere quella più complessa, poiché presuppone la necessità di effettuare un delicato bilanciamento tra garanzie difensive dell’imputato e diritto alla salute[12].
Viene in rilievo, in particolare, quella parte della motivazione in cui si afferma che l’assetto «ricavabile dalla normativa emergenziale – rimettendo la decisione di espletare l’interrogatorio, nonostante la generalizzata sospensione, alla insindacabile decisione della parte interessata – realizza un contemperamento del tutto ragionevole, che come tale si sottrae in radice ai dubbi di legittimità costituzionale prospettati, tra due esigenze concorrenti e potenzialmente in conflitto: da un lato, la necessità di assicurare comunque il pieno ed effettivo esercizio dei diritti di difesa della persona sottoposta a misura cautelare anche nei tempi rapidi di cui all’art. 294 cod. proc. pen., se ritenuto necessario dal soggetto sottoposto a misura; dall’altro, quella di contenere il più possibile la mobilità delle persone, per le note ragioni di tutela della salute pubblica che sono alla base di tutti gli interventi legislativi in precedenza richiamati».
Il presupposto logico di quest’ultima affermazione consiste nell’aver attribuito, sul piano valoriale, una diversa connotazione a due incombenti processuali in verità molto simili. Sebbene il procedimento di convalida di una misura pre-cautelare assolva (anche) alla necessità di ricondurre ad una fonte giurisdizionale la limitazione della libertà personale, l’interrogatorio di garanzia condivide con il primo un’importante nucleo funzionale: quello di garantire la più tempestiva presa di contatto con il Giudice della persona sottoposta ad un provvedimento restrittivo della libertà personale. Le basi normative di tali principi, invero, sono rinvenibili negli stessi articoli della Carta costituzionale: gli artt. 13, 24, 111 e 117 Cost. in relazione all’art. 5 CEDU. E nonostante l’art. 13 Cost. rilevi, in termini maggiormente perentori, la necessità di garantire – entro termini indicati “ad ore” – il principio di “stretta giurisdizionalità” (riferendosi a situazioni che il codice di rito qualifica come “misure pre-cautelari”), l’art. 5 CEDU afferma un principio di portata più ampia che involge entrambe le situazioni qui esaminate: «ogni persona arrestata o detenuta […] deve essere tradotta al più presto dinanzi a un giudice o a un altro magistrato autorizzato dalla legge a esercitare funzioni giudiziarie e ha diritto di essere giudicata entro un termine ragionevole o di essere messa in libertà durante la procedura».
A fronte di una analoga “ascendenza” normativa, la Cassazione dipana i dubbi di costituzionalità asserendo la ragionevolezza della disparità di trattamento, ponendo però in una sorta di rapporto gerarchico diritti fondamentali entrambi riconducibili all’habeas corpus. In altri termini, ci sembra di desumere che il diritto dell’accusato a vedersi “giustificata legalmente” la restrizione della propria libertà personale, per mezzo di un provvedimento del Giudice, abbia un “peso specifico” diverso e – probabilmente – maggiore rispetto al diritto dell’indagato in vinculis di ottenere un tempestivo contatto con il Giudice che ha disposto la misura cautelare.
E infatti, applicando il generale canone di cui all’art. 3 Cost., si ritiene che la sospensione dei termini dell’interrogatorio di garanzia sia “ragionevolmente compensata” dal fatto che la legge abbia attribuito al soggetto interessato la facoltà di pretendere – con dichiarazione espressa – il tempestivo espletamento dell’incombente processuale. Tale opzione ermeneutica, che sposta il baricentro della tutela di un diritto fondamentale su una manifestazione di volontà dell’interessato, presuppone però un giudizio di valore sganciato da parametri ben definiti e non esente, oltretutto, da spiacevoli ricadute di ordine sistematico.
In questa prospettiva, non sembra possibile trarre dall’interpretazione dell’art. 13 Cost., che afferma semplicemente in termini più ampi e perentori la necessità di “sanare” tempestivamente una situazione in cui la limitazione della libertà avviene senza il preventivo vaglio del Giudice, un argomento per far retrocedere la soglia di tutela allorché si tratti di garantire l’effettività di un diritto che – come confermato dalle più generali previsioni contenute nell’art. 5 CEDU – è accomunato dal medesimo substrato assiologico. Detto altrimenti, appare “irragionevole” riconoscere la legittimità costituzionale di una previsione normativa che tratti distintamente due situazioni simili, per il solo fatto che la Costituzione garantisce, in un caso anziché l’altro, “un qualcosa in più”. Non sembra, dunque, ammissibile un’interpretazione che muova dal valorizzare la maggiore “intensità” di un diritto al fine comprimere la portata estensiva di un’altra garanzia di identico nucleo semantico. Questo, almeno, si ritiene che non possa – rectius non debba – avvenire all’interno di un settore dell’ordinamento dove l’obiettivo prioritario è quello di ricondurre l’esercizio della potestà punitiva dello Stato all’interno di scansioni procedimentali certe e prevedibili (art. 111 Cost.). Potrebbe, semmai, apparire “ragionevole” l’interpretazione opposta: quella che traesse dalle “diversità”, insite nella maggiore tutela riconosciuta ad una situazione piuttosto che all’altra, degli argomenti per desumere l’irragionevolezza di un’ipotetica scelta legislativa che trattasse in termini meno garantistici una situazione sostanzialmente omologa.
Da questo punto di vista, l’interpretazione resa dalla Corte sembra oltretutto “sminuire” l’importanza che il diritto di difesa assume nell’ambito dei provvedimenti cautelari. L’esercizio di tale diritto, pur essendo posticipato rispetto al momento applicativo della misura cautelare, si realizza essenzialmente tramite due strumenti: l’interrogatorio di garanzia, che rappresenta una fase necessaria incombente sul Giudice, ed il riesame che rappresenta la fase eventuale del procedimento cautelare, rimessa cioè alla decisione della difesa. Di talché, la scelta di far ricadere sul destinatario del provvedimento restrittivo e sul suo difensore la decisione di procedere tempestivamente al compimento di un atto fondamentale per la difesa equivale, in un certo senso, a trasfigurare la fisiologica dimensione garantistica che connota la sequela procedimentale de libertate.
Inoltre, spostando ancora l’attenzione sul rapporto con il procedimento di convalida, non sembra possibile prescindere dalle effettive conseguenze pratiche che derivano da un trattamento diversificato. Nel caso di misura pre-cautelare, il difensore di fiducia sarebbe senz’altro tenuto ad esercitare il proprio mandato difensivo in forza di un “automatismo” discendente da una previsione legale; nell’altro caso, il difensore e l’indagato sono messi dalla legge dinanzi alla “più complessa” decisione di scegliere tra la tutela del diritto alla salute, avvalendosi della sospensione generalizzata dei termini, e quella di pretendere il tempestivo espletamento dell’interrogatorio. Ma non si comprende allora la razionalità di una norma che investa il soggetto ristretto da un provvedimento limitativo della libertà personale della responsabilità di dare impulso ad un atto che, come detto poc’anzi, dovrebbe costituire una componente automatica e necessaria di un procedimento in cui la libertà personale viene limitata nonostante la “presunta non colpevolezza”. In questi ultimi casi, il Legislatore ha reso il difensore e l’indagato protagonisti di una scelta che, con riferimento all’analoga vicenda pre-cautelare, è la stessa Legge a compiere attraverso l’automatica defettibilità di una regola (la sospensione dei termini) che è frutto di una valutazione “politica”: il bilanciamento tra il diritto di difesa (art. 24 Cost.) e il diritto alla salute (art. 32 Cost.).
6.4. In definitiva, sembra potersi ritenere che il percorso argomentativo del provvedimento si inserisca in un terreno assai delicato e ancora pressoché inesplorato, dove un’emergenza epidemiologica ormai “senza confini” ha messo gli operatori del diritto dinanzi alla decisione di dover scegliere “quale diritto salvare”. Al netto di tutte le considerazioni sopra rassegnate, sembra legittimo chiedersi se la natura della questione avrebbe suggerito un rinvio alla Corte costituzionale, che nel nostro ordinamento è l’organo deputato a compiere il bilanciamento tra i principi costituzionali. Oltretutto, la sentenza ci conferma la necessità di compiere una più approfondita riflessione su un tema di estrema delicatezza e attualità, suggerendo l’opportunità di interpretare la normativa di emergenza in materia di processi penali con un piglio maggiormente garantistico.
In questo quadro, nella speranza che la crisi sanitaria rientri al più presto, e nella denegata ipotesi in cui possibili scenari futuri lo richiedano, il compito della giurisprudenza sarà certamente quello di tutelare con forza quel fascio insopprimibile di garanzie rientranti nella locuzione “giusto processo”, evitando che l’emergenza epidemiologica possa sgretolare principi che meriterebbero, indistintamente, una tutela piena e incondizionata.
[1] D.L. 17 marzo 2020, n. 18, recante Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 70 del 17 marzo 2020, entrato in vigore in pari data.
[2] L. 24 aprile 2020, n. 27, Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, recante misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19. Proroga dei termini per l'adozione di decreti legislativi, pubblicata in Gazzetta Ufficiale n.110 del 29 aprile 2020, entrata in vigore in data 30 aprile 2020.
[3] Cfr. G. Castiglia, Udienze e termini processuali penali in regime di pandemia da COVID-19, in questa Rivista, 5/2020, p. 362.
[4] Tale dato è stato rilevato dall’Avv. Mariano Rossetti e dalla Prof.ssa Elena Valentini in occasione dell’incontro dal titolo “I termini processuali penali al tempo del COVID-19” pubblicato sul canale YouTube della Fondazione Forense Bolognese. Il testo, contenente gli “appunti” di tale discussione, è reperibile in www.camerapenale-bologna.org.
Tale prassi è rilevata altresì da L. Fidelio – A. Natale, Emergenza COVID-19 e giudizio penale di merito: un catalogo (incompleto) dei problemi, in Questione Giustizia, 16 aprile 2020, secondo cui diversi uffici giudiziari hanno ritenuto «di dover procedere ugualmente alla celebrazione degli interrogatori di garanzia, anche a prescindere da una esplicita richiesta della difesa, al fine di prevenire questioni sulla perdita di efficacia della misura cautelare e onde favorire un immediato contatto con l’interessato e un pieno esercizio del diritto di difesa».
[5] Cfr. Tribunale di La Spezia, sez. uff. indagini prel., ordinanza del 6 aprile 2020, reperibile in De Jure.
[6] Si veda il testo del Parere del Consiglio Superiore della Magistratura, seduta straordinaria del 26 marzo 2020, reperibile in www.ordineavvocatiroma.it.
[7] Cfr. Parere del Consiglio superiore della magistratura, cit., p. 8, al cui interno è rintracciabile un elenco esemplificativo di quegli atti in relazione ai quali un’eccessiva dilatazione del regime emergenziale della sospensione comporterebbe, senz’altro, una intollerabile violazione dei diritti fondamentali della persona sottoposta a procedimento penale: «si pensi ai termini per le richieste di convalida e di proroga delle intercettazioni da parte del P.M. e ai termini per la conseguente decisione del giudice o al termine per espletare l’interrogatorio di garanzia di un indagato sottoposto a custodia cautelare, quando non sia pervenuta, nel termine previsto per il suo espletamento, la dichiarazione di rinuncia alla sospensione; si pensi altresì ai termini per i provvedimenti del Pubblico Ministero di convalida di perquisizioni e/o sequestri operati dalla polizia giudiziaria».
[8] Un’analoga giustificazione, sottesa alla qualificazione di tali atti come ad “urgenza assoluta”, è stata altresì fornita da G. Castiglia, Udienze e termini processuali penali in regime di pandemia da COVID-19, cit., p. 346, secondo cui «ratio della previsione, all’evidenza, è l’impellenza indifferibile, del resto imposta dal vincolo di cui all’art. 13 della Costituzione, della verifica della legittimità di una pesante limitazione della libertà personale eseguita senza previa adozione di un provvedimento del giudice in tal senso».
[9] Cfr. Cass. pen., II sezione, 19 ottobre 2020, n. 28936.
Nell’argomentare tale linea interpretativa, la Corte riprende esattamente le parole di G. Castiglia, Udienze e termini processuali penali in regime di pandemia da COVID-19, cit., p. 364, secondo cui «ciò che rende impellente e indifferibile la convalida non è l’esigenza di interrogare al più presto l’arrestato o il fermato bensì quella sottoporre a controllo l’azione degli organi inquirenti e, in particolare, della polizia giudiziaria, riconducendo la fonte dell’eventuale protrarsi della restrizione della libertà a un provvedimento del giudice».
[10] Cfr. Cass. pen., II sezione, 19 ottobre 2020, n. 28936, cit., al paragrafo 3.4.1.
[11] Sul tema, è appena il caso di rinviare ai fondamentali contributi di E. Amodio, Ragionevole durata del processo penale, abuse of process e nuove esigenze di tutela dell’imputato, in Id., Processo penale, diritto europeo e common law. Dal rito inquisitorio al giusto processo, Milano, 2003, p. 153 ss.; E.M. Catalano, L’abuso del processo, Milano, 2004; nonché, per una ricostruzione del tema in prospettiva giurisprudenziale, G. Leo, L’abuso del processo nella giurisprudenza di legittimità, in Dir. pen. proc., 2008, p. 628.
[12] In prospettiva più ampia, si potrebbe osservare come la sentenza in commento si collochi – mutatis mutandi – in un filone interpretativo in un certo senso analogo a quello che la giurisprudenza, sul piano del diritto penale “sostanziale”, ha recentemente elaborato con riferimento al giudizio di bilanciamento tra irretroattività della norma penale in malam partem (art. 25, co. 2, Cost.) e diritto alla salute (art. 32 Cost.). Cfr. Cass. pen., III sezione, 2 luglio 2020, n. 21367, in questa Rivista, 22 luglio 2020, con nota critica di G.L. Gatta, Tolleranza tra principi’ e ‘principi intolleranti’. L’emergenza sanitaria da Covid-19 non legittima deroghe al principio di irretroattività in malam partem: note critiche a una sentenza della Cassazione sulla sospensione della prescrizione del reato ex art. 83, co. 4 d.l. n. 18/2020.