Cass., Sez. V, sent. 18 dicembre 2020 (dep. 4 marzo 2021), n. 8891, Pres. Miccoli, Est. Brancaccio, L.N.
1. La conferma della condanna a cinque anni di reclusione di un cittadino congolese per partecipazione all’associazione terroristica internazionale nota come “ISIS” offre l’occasione alla Suprema Corte – con la sentenza qui pubblicata – per tornare sul tema, al tempo stesso delicato e cruciale, della prova della fattispecie partecipativa di cui al comma 2 dell’art. 270 bis c.p. calata all’interno di un’organizzazione criminale che presenta caratteristiche strutturali del tutto peculiari.
L’imputato, L.N., era stato trovato ad Ancona, sprovvisto di permesso di soggiorno, in compagnia di un uomo segnalato dall’Autorità giudiziaria tedesca come sospetto foreign fighter. I due erano partiti dalla Germania, diretti verso la Turchia attraverso l’Italia e la Grecia, ed erano in attesa di imbarcarsi per Patrasso.
Le decisioni conformi – salvo un ritocco al ribasso della pena detentiva all’esito del giudizio di secondo grado – del GUP e della Corte d’Assise d’Appello di Lecce nei confronti di L.N. – il compagno di viaggio essendo stato consegnato alle Autorità tedesche – ravvisano la prova della partecipazione dell’uomo alla nota organizzazione terroristica nei numerosi elementi raccolti nel corso delle indagini, fra i quali spiccano: un messaggio inviato a una persona appartenente alla “galassia centrale del gruppo di comando dell’ISIS in territori mediorientali occupati”, per informarla che il traghetto per Patrasso sarebbe partito in ritardo a causa di uno sciopero, oltre a costanti contatti fra i partecipanti al viaggio e soggetti rimasti ignoti, ma intranei all’organizzazione terroristica, per aggiornarli sullo svolgimento del viaggio; il collegamento del compagno di viaggio di L.N. con l’autore dell’attentato ai mercatini di Natale di Berlino del dicembre 2016, nonché gli intensi contatti telefonici fra L.N. stesso e un altro soggetto collegato all’attentatore di Berlino; il rinvenimento, nei cellulari dell’imputato, di documenti e video a contenuto propagandistico jihadista in buona parte provenienti dall’agenzia Amaq News, organo informativo delle principali operazioni dello Stato islamico; messaggi elettronici aventi a oggetto l’organizzazione del proprio viaggio e di quello di un altro gruppo di persone verso la Turchia e poi verso i territori dello Stato islamico; l’attivazione di L.N. per consentire a un altro partecipante al viaggio – che risulta essere poi riuscito a raggiungere i territori dell’IS e prendere parte ai combattimenti – di procurarsi un documento di identità falso.
Questi elementi dimostrano, secondo i Giudici di merito, che L.N. si era messo a disposizione dell’ISIS per i) compiere attentati in Turchia; ii) organizzare una rete segreta di comunicazioni per consentire a due diversi gruppi di persone tra loro collegati di raggiungere la Turchia per la commissione degli attentati; iii) predisporre una rete di comunicazioni per consentire ai sodali, dopo la commissione degli attentati, di raggiungere i territori occupati dall’ISIS e contribuire alla difesa degli stessi.
La difesa ha impugnato davanti alla Suprema Corte la sentenza d’appello, lamentando, da un lato, l’assenza di giurisdizione del giudice italiano, dal momento che nessuna frazione del reato sarebbe stata realizzata sul territorio dello Stato; dall’altro lato, la violazione di legge per non avere i giudici del merito accertato l’esistenza di un legame biunivoco fra l’imputato e l’associazione, requisito necessario – secondo la giurisprudenza di legittimità – per il riconoscimento di quell’inserimento organico del sodale nella compagine associativa in cui si concretizza la condotta di partecipazione.
Con la sentenza qui annotata, la Corte ha rigettato il ricorso dell’imputato ritenendo infondati tutti i motivi.
2. Quanto alla asserita carenza di giurisdizione, la Cassazione riconosce che la Corte leccese ha fatto buon governo della regola per cui il reato si considera commesso in Italia – così radicandosi la giurisdizione del giudice nazionale – se anche una “minima frazione (o un frammento) della condotta pur priva dei requisiti di idoneità ed inequivocità richiesti per il tentativo” si verifica sul territorio dello Stato.
Nel caso di specie – rileva la Corte – correttamente il Giudice del merito ha ravvisato frazioni della condotta “utili” a radicare la giurisdizione dell’Autorità italiana nel transito dell’imputato sul territorio italiano quale parte di un viaggio finalizzato ad attività funzionali alla causa dell’ISIS (il raggiungimento della Turchia per la commissione degli attentati e poi, da lì, i territori occupati dallo Stato islamico); nella detenzione – all’interno dei cellulari di cui L.N. era stato trovato in possesso – di materiale utile alla conduzione di una campagna di proselitismo in favore dell’organizzazione criminale; nei contatti dallo stesso intrattenuti, anche durante la presenza in Italia, con altri aderenti all’ISIS: tutte frazioni di quel “mettersi a disposizione” dell’organizzazione terroristica in cui i Giudici del merito hanno riconosciuto l’integrazione della fattispecie di partecipazione da parte dell’imputato.
3. Centrali, nel percorso argomentativo della sentenza, sono la lettura della fattispecie di partecipazione all’associazione terroristica e l’individuazione del relativo thema probandum posti dalla Corte d’Assise d’Appello alla base della propria decisione, e che il Supremo Collegio, nel rigettare anche sotto tale profilo tutti i motivi di ricorso, giudica prive di censure.
3.1. Sul punto, la Cassazione muove da una limpida ricostruzione della giurisprudenza in materia di associazione con finalità di terrorismo, sottolineando da subito come tale delitto, in assenza di caratteri normativi definiti specificamente dal legislatore, sia “suscettibile di svariate declinazioni pratiche, influenzate dalla tipologia di manifestazione dell’attività terroristica di volta in volta in esame e dalla natura della fattispecie” (che configura un reato di pericolo presunto o astratto). Ed è proprio valorizzando le peculiarità del fenomeno terroristico di matrice islamico-jihadista che la giurisprudenza è ormai costante – ricorda il Collegio – nel ritenere sufficiente, ai fini dell’integrazione del delitto associativo in discorso, l’esistenza di una struttura “rudimentale”, “fluida” e “a rete”, caratterizzata da “cellule territoriali” che operano talvolta in totale autonomia le une dalle altre, mantenendo contatti discontinui e sporadici, e che perseguono gli obiettivi di natura terroristica definiti come tali dal legislatore all’art. 270 sexies c.p.
Elemento caratterizzante l’associazione come “terroristica” – precisa ancora la Corte – non è, però, a dispetto della formulazione della norma, la finalità perseguita, ma sono le modalità e la natura terroristica della violenza che il sodalizio intende esercitare e deve essere capace di attuare, per converso essendo pacificamente insufficiente la mera adesione ideologica del gruppo al progetto jihadista, o la realizzazione di attività di proselitismo e indottrinamento[1].
Le peculiarità strutturali, “a rete”, proprie dell’associazione terroristica transnazionale di matrice islamica radicale si riflettono anche sulle modalità in cui si estrinseca la condotta partecipativa dell’individuo o delle singole “cellule”. Al riguardo, la Corte evidenzia come la giurisprudenza richieda che la “messa a disposizione” del partecipe si attui attraverso la realizzazione di condotte da cui risulti la certa adesione al programma e la valenza materiale e funzionale del contributo prestato, perché finalizzato ad assicurare la realizzazione delle finalità del sodalizio, nonché l’instaurazione di un collegamento (anche mediato e flebile) col gruppo criminale, da cui desumere “la reciproca consapevolezza del legame”.
3.2. Ad ulteriore conferma della solidità degli approdi raggiunti dalla giurisprudenza in materia, nella sentenza in commento la Corte richiama la recente decisione con cui la Corte costituzionale, nel dichiarare non fondate le q.l.c. sulla presunzione assoluta di adeguatezza della custodia cautelare in carcere per il delitto di associazione terroristica (art. 275, c. 3, c.p.p.), ha riconosciuto lo sforzo del diritto vivente nel plasmare la fattispecie in esame in base alle caratteristiche “fluide” del fenomeno criminale del terrorismo internazionale, pur nel rispetto delle garanzie costituzionali[2]. Precipitato di tale sforzo è stato il consolidarsi di un’interpretazione – registrata dal Giudice delle Leggi nella sentenza qui ricordata dalla Cassazione – che esclude, innanzitutto, dall’area applicativa della norma incriminatrice la “mera comune adesione a un’astratta ideologia, per quanto caratterizzata dal progetto di abbattere le strutture democratiche”; richiede, al contrario, che “risulti provata la costituzione di una struttura organizzativa con un livello di effettività che renda possibile la realizzazione del progetto criminoso”; subordina, infine, il riconoscimento della condotta partecipativa alla “prova di effettivi contatti operativi tra l’associazione e il singolo partecipe”.
3.3. Nel richiamare la pronuncia della Corte costituzionale, il Supremo Collegio sottolinea, quale ulteriore elemento caratterizzante l’associazione terroristica rispetto ad altre tipologie di associazioni criminali, come sia l’adesione ideologica a contrassegnare l’appartenenza del singolo all’organizzazione: un collante talmente forte e perdurante – rileva la Cassazione – da convincere la Consulta della razionalità della presunzione assoluta di adeguatezza della misura custodiale inframuraria, in quanto unica in grado di impedire alla persona di riprendere i contatti con gli altri associati ancora in libertà e di attuare il programma criminoso dell’organizzazione.
Si tratta di un elemento decisivo, nel percorso argomentativo della sentenza in esame, per le ricadute che determina sul piano probatorio: è proprio in ragione della forza della componente ideologica che lega gli associati nelle organizzazioni terroristiche che il giudice può ritenere raggiunta la prova della consapevolezza, da parte dell’associazione, dell’adesione del nuovo adepto sulla base di contatti operativi anche flebili e indiretti.
Detto altrimenti, posto che è l’esistenza di uno straordinario collante ideologico a rendere possibile la vita e l’operare di un’organizzazione flessibile e aperta a nuove adesioni qual è lo Stato islamico, per la prova della partecipazione – statuisce la Corte – non si può richiedere il rinvenimento di (inesistenti) elementi “forti” di collegamento (quale l’inserimento formale del sodale all’interno dell’organizzazione, su modello della partecipazione alle associazioni mafiose), ma deve essere riconosciuta la sufficienza anche di contatti “deboli”, cui però dà forza la (dimostrata) adesione ideologica del singolo (o della cellula) al progetto criminale dell’organizzazione madre.
3.4. La considerazione delle ricadute, sul piano della prova della partecipazione, delle peculiarità strutturali dell’associazione terroristica è centrale nella logica argomentativa della Corte. Segnalano, al riguardo, i Giudici del Collegio che la difesa, nel caso di specie, è incappata in un equivoco generato dalla confusione fra il profilo della tipicità della fattispecie di partecipazione e il profilo della prova del reato – questione sulla quale, rimarca la Corte, “non vi è chiarezza talvolta tra gli stessi interpreti” –.
Statuiscono i Giudici, sotto il primo profilo, che, per quanto l’ISIS sia caratterizzata da una struttura flessibile e aperta all’adesione di chiunque voglia contribuire all’attuazione del programma jihadista, non è in ogni caso consentito – la sentenza non potrebbe essere più chiara sul punto – ammettere forme di partecipazione di tipo “unilaterale”, ossia non accompagnate dalla consapevolezza anche solo indiretta dell’associazione di “poter contare” sul nuovo adepto, in ciò l’interprete dovendo continuare a fare applicazione delle statuizioni delle Sezioni unite Mannino, seppur adattate a un contesto criminale profondamente diverso da quello mafioso[3].
È, invece, sul diverso profilo della prova del reato che “interviene quella necessità di dar vita ad una lettura conscia delle specificità della fattispecie, cui chiama anche la Corte costituzionale nel 2020”, ed è proprio nel rispondere a tale necessità che la giurisprudenza di legittimità offre – si legge, ancora, nella sentenza – un “panorama coeso” nel fornire “esemplificazioni concrete di come la consapevolezza dell’adesione possa e debba desumersi da dati indiziari di contatto anche solo virtuale con canali di riferimento dell’associazione terroristica, che denotino ‘intraneità’”, senza che il contatto sia “‘ufficializzato’ o ‘formalizzato’ da modalità di ‘investitura personale’”[4].
Nel caso di specie, conclude la Corte, i Giudici del merito hanno fatto esatta applicazione di tali principi, valorizzando, nella motivazione della condanna di L.N., tutti quegli elementi raccolti dalle indagini indicanti il “superamento della soglia meramente psicologica della condotta di radicalizzazione”; l’“oggettiva concretizzazione dei presupposti e della programmazione criminosa”; il “contatto tra il ricorrente […] ed i gangli centrali o comunque principali dell’associazione terroristica, sufficiente a fondare la sua partecipazione associativa”, per quanto indiretto, flebile e privo di formalità, in quanto “certamente idoneo, dal punto di vista della sussistenza della gravità indiziaria, a consentire di arguire l’affidamento, pur non diretto e immediato, della ‘casa madre’ circa l’inclusione nel gruppo terroristico dell’associato”.
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4. In conclusione, la sentenza qui annotata consente di superare le preoccupazioni rispetto al rischio di uno scivolamento verso la punizione – a titolo di partecipazione all’associazione con finalità di terrrorismo – della mera adesione psicologica del singolo (o della cellula) al progetto criminale attuato dalle organizzazioni terroristiche internazionali[5]: un rischio che si è avvertito soprattutto dopo che, con la autoproclamazione della nascita dello Stato islamico, dal 2014 l’ISIS, ossia la principale fra le organizzazioni terroristiche operanti oggi a livello internazionale, ha fatto dell’apertura all’adesione universale e spontanea di nuovi adepti (la “chiamata”) uno strumento di attuazione della propria strategia criminale.
Sul punto, però, la giurisprudenza non pare davvero coesa, ravvisandosi una diversità di approcci, pur a fronte della costante, dichiarata condivisione del principio per cui non può esservi partecipazione se l’associazione “non sa” di poter contare sul nuovo adepto. Nelle motivazioni di talune decisioni, deve, infatti, registrarsi uno scarto fra il piano della astratta affermazione del principio e il piano della sua concreta applicazione laddove la partecipazione è di fatto riconosciuta, in assenza di elementi concreti che provino l’esistenza di un contatto anche solo indiretto con l’associazione, nella mera adesione ideologica e unilaterale all’organizzazione terroristica[6].
Una forzatura – estranea, si badi, alla pronuncia qui annotata – che non solo non è giustificabile alla luce delle irrinunciabili garanzie costituzionali, ma che, a ben vedere, nemmeno è necessaria nella prospettiva della tutela della collettività dalle nuove forme di terrorismo, per il contrasto delle quali il legislatore ha appositamente introdotto a più riprese fattispecie monosoggettive, di gravità pari alla partecipazione ad associazione con finalità di terrorismo, rimaste, però, ad oggi sostanzialmente inapplicate[7].
[1] Sul punto, il Collegio richiama Cass., Sez. V, 14.7.2016, n. 48001, H., in cui era stata esclusa l’integrazione della fattispecie associativa di cui all’art. 270 bis c.p. per la limitata operatività del gruppo criminale, i cui componenti avevano realizzato mera attività di proselitismo e indottrinamento, attività che non dava “la necessaria consistenza a quegli atti di violenza terroristica o eversiva il cui compimento […] deve costituire specifico oggetto dell’associazione in esame”.
[2] C. cost., 31.7.2020, n. 191, in questa Rivista, 23.11.2020, con nota di Cataneo. Sulla funzione di garanzia esercitata dal diritto vivente per assicurare la prevedibilità delle decisioni giudiziarie e l’applicazione uniforme delle norme, si veda Viganò, Il diritto giurisprudenziale nella prospettiva della Corte costituzionale, in questa Rivista, 19 gennaio 2021.
[3] Cass., Sez. un., 12.7.2005, n. 33748, M.
[4] Sul punto, la Corte richiama, nell’ordine (pp. 19, 20), Cass., Sez. V, 13.7.2017, n. 50189, B., Cass., Sez. V, 7.2.2019, n. 10380, K., Cass., Sez. V, 26.9.2018, n. 1970/19, H., e afferma che le stesse sono in linea col principio di diritto statuito da Cass., Sez. VI, 19.12.2017, n. 14503/18, M., richiamato anche dalla difesa nei motivi di ricorso.
[5] Bartoli, Legislazione e prassi in tema di contrasto al terrorismo internazionale: un nuovo paradigma emergenziale?, in Dir. pen. cont., f. 3/2017, p 248; Viganò, Terrorismo di matrice islamico-fondamentalista e art. 270 bis nella recente esperienza giurisprudenziale, in Cass. pen., 2007, 3971.
[6] Adotta un approccio che appare “sbilanciato” sul piano psicologico dell’adesione unilaterale al progetto criminale dello Stato islamico Cass., Sez. II, 21.2.2019, n. 22163, A.H. Così, nella giurisprudenza di merito, C. Ass. App. Milano, 21.2.2017, S., in Dir. pen. cont.; C. Ass. Milano, 25.5.2016, B., in Dir. pen. cont.; GUP Milano, 23.2.2016, S., Dir. pen. cont.
[7] Si pensi alle fattispecie di cui agli artt. 270 quater.1 e 270 quinquies c.p., finalizzate al contrasto dei fenomeni (in larga parte conseguenza proprio delle nuove strategie criminali attuate dall’ISIS) dei “foreign fighter” e dei “lupi solitari”, caratterizzati dal perseguimento, da parte dell’individuo, del progetto jihadista-fondamentalista in assenza di un collegamento con l’organizzazione terrorista.