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28 Dicembre 2020


La Cassazione applica il 'criterio strutturale' e ribadisce: nessuna abolitio criminis del peculato commesso dall'albergatore prima del 'decreto-rilancio'

Cass. Sez. VI, 28.10.2020 (dep. 17.12.2020), n. 36317, Pres. Bricchetti, Rel. Calvanese, ric. Brugnoli



1. Con la sentenza che può leggersi in allegato, la Cassazione ribadisce la soluzione che esclude l’abolitio criminis del peculato, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2, co. 2 c.p., in rapporto ai fatti di appropriazione delle somme di denaro riscosse dai gestori delle strutture ricettive a titolo di imposta di soggiorno non versate agli enti pubblici impositori dell’obbligo tributario. Trova così conferma quanto affermato, con analoghe motivazioni, da una precedente sentenza della stessa Sesta Sezione della Cassazione (Sez. VI, n. 30227/2020), già segnalata su questa Rivista. Si va così formando presso la Suprema Corte un orientamento contrario a quello seguito da una parte della giurisprudenza di merito, che – come la nostra Rivista ha dato conto – si è invece espressa nel senso dell’abolitio criminis, facendone conseguire ora il dissequestro delle somme di denaro (G.i.p. di Rimini), ora il proscioglimento degli imputati (G.u.p. di Roma e Tribunale di Perugia), ora la revoca del giudicato (G.u.p. di Roma).

 

2. Il quadro normativo di riferimento è stato già ricostruito – assieme alla questione di diritto intertemporale – in un contributo a nostra firma pubblicato su questa Rivista, al quale si rinvia. In sintesi, nel quadro della disciplina adottata a seguito dell’emergenza epidemiologica da Covid-19, il decreto-rilancio (art. 180, co. 3 d.l. 19 maggio 2020, n. 34) ha configurato in capo all’albergatore un obbligo tributario, il cui mancato assolvimento è sanzionato amministrativamente. Con questa riforma è pertanto mutata la qualificazione giuridica del ruolo dell’albergatore in rapporto all’imposta di soggiorno: da agente contabile, che riscuote denaro pubblico dai clienti, con l’obbligo di trasferirlo al comune, a responsabile di un obbligo tributario che lo interessa direttamente, salvo il diritto di rivalsa sui clienti, pure soggetti a quell’obbligo.

 E’ pacifico che, oggi, il mancato versamento della tassa di soggiorno integra il nuovo illecito amministrativo tributario. E’ altresì pacifico che, giusto il principio di irretroattività dell’illecito sanzionatorio amministrativo – espresso dall’art. 1 l. n. 689/1981 e, secondo la giurisprudenza costituzionale dall’art. 25, co. 2 Cost. – il nuovo illecito amministrativo-tributario non possa applicarsi ai fatti antecedentemente commessi. Ci si domanda invece se quei fatti - commessi allorché il quadro normativo extrapenale era diverso, l’albergatore era un incaricato di un pubblico servizio, e il denaro da lui riscosso era pure pubblico - siano ancora punibili come peculato.

Si tratta di una classica questione di successione di norme extrapenali (apparentemente) integratrici della legge penale[1], resa più complessa dalla contestuale introduzione di un illecito amministrativo.

 

3. Con una motivazione lineare e caratterizzata da un particolare sforzo argomentativo, la sentenza annotata ricostruisce anzitutto il quadro normativo e giurisprudenziale precedente alla riforma del 2020, dal quale risulta che: a) l’unico soggetto obbligato al pagamento dell’imposta era l’ospite della struttura ricettiva, intercorrendo il rapporto tributario esclusivamente tra il comune (come soggetto attivo) e colui che alloggia presso la struttura stessa (come soggetto passivo); b) l’albergatore non era un sostituto d’imposta (dal quale il comune poteva recuperare le somme in caso di mancato pagamento dell’imposta da parte del cliente); era invece legato al comune da “un rapporto di pubblico servizio con compiti eminentemente contabili, che implicano il maneggio di denaro pubblico” e che prevedevano in particolare la riscossione e il versamento delle somme di denaro pagate dai clienti a titolo di imposta di soggiorno.

Questo inquadramento giuridico, sottolinea la sentenza annotata, trova conferma nella giurisprudenza contabile, amministrativa e civile. Sulla base di esso, la giurisprudenza penale di legittimità “era ferma nel ritenere che veniva ad integrare il reato di peculato la condotta posta in essere dal gestore di una struttura ricettiva che si appropriava delle somme riscosse a titolo di imposta di soggiorno, omettendo di riversarle al comune, in quanto lo svolgimento di attività ausiliaria del responsabile del versamento, strumentale all’esecuzione dell’obbligazione tributaria intercorrente tra l’ente impositore e il cliente della struttura, determinava la qualifica di incaricato di pubblico servizio in capo al privato cui era demandata la materiale riscossione dell’imposta” (la sentenza annotata cita, per tutte, Cass. Sez. VI, 26.3.2019, n. 27707, Norsa, CED 276220 e Cass. Sez. VI, 17.5.2018, n. 32058, Locane, CED 273446).

 

4. La Cassazione prende dunque in esame la riforma del 2020 (art. 180, co. 3 d.l. n. 34/2020, conv. in l. n. 77/2020), che ha espressamente qualificato il gestore della struttura ricettiva come “responsabile del pagamento dell’imposta di soggiorno…con diritto di rivalsa sui soggetti passivi”, prevedendo, una sanzione amministrativa per l’omesso, ritardato o parziale versamento dell’imposta.

Il decreto-rilancio, secondo la S.C., “ha modificato sostanzialmente il rapporto intercorrente tra il gestore della struttura ricettiva e l’ente impositore, che da rapporto di ‘servizio’ per la riscossione dell’imposta è divenuto un rapporto di natura tributaria in cui il gestore ha assunto il ruolo di responsabile d’imposta…”. Questa figura, sottolinea la S.C., si rinviene nell’art. 64 d.P.R. n. 600/1973, che disciplina il diritto di rivalsa di chi è obbligato al pagamento d’imposte “in luogo d’altri” (il sostituto) o “insieme con altri” (il responsabile) per fatti o situazioni a questi riferibili. Stabilendo in modo innovativo la “solidarietà tributaria”, e ampliando il novero dei “debitori d’imposta”, il decreto-rilancio, per la S.C., ha rafforzato la “garanzia del raggiungimento dell’obiettivo di preservare l’integrità dei flussi tributari scaturenti dall’esercizio della struttura ricettiva e dell’introito del tributo…”; garanzia rafforzata dalla comminatoria di una sanzione amministrativa, da calcolarsi in proporzione all’importo non versato.

 

5. Dopo avere ricostruito la disciplina extrapenale di riferimento, la sentenza annotata affronta dunque il problema di diritto intertemporale che si pone in relazione ai fatti di mancato versamento dell’imposta di soggiorno commessi dall’albergatore prima del decreto-rilancio.  La conclusione, come si è anticipato, è che quei fatti – commessi allorché il soggetto agente rivestiva la qualifica di incaricato di un pubblico servizio, e il denaro riscosso era denaro pubblico – mantengono la loro rilevanza penale e sono tuttora punibili ai sensi dell’art. 314 c.p. In particolare, all’esito di una motivazione che ribadisce e applica a mio avviso correttamente i criteri di accertamento dell’abolitio criminis accolti dalla dottrina e dalla giurisprudenza prevalente, la S.C. afferma che la fattispecie di peculato opera “in rapporto al vecchio regime dell’imposta di soggiorno – e alla qualifica pubblicistica dell’albergatore (e del denaro incassato)”; il nuovo illecito amministrativo è destinato invece ad operare “in relazione al nuovo regime dell’imposta – e alla qualifica privatistica dell’albergatore (e del denaro incassato). Le due fattispecie – quella penale e quella amministrativa – sono “eterogenee”, ed inalterato è il disvalore penale del fatto – abbracciato ieri come oggi dall’art. 314 c.p. – di colui che, essendo incaricato di un pubblico servizio, si appropria di denaro che, al momento dell’incasso, è della pubblica amministrazione”.

 

6. Determinante, per l’esclusione dell’abolitio criminis, è il criterio di accertamento del fenomeno, adottato dalla S.C. Come è noto, sono stati prospettati in dottrina e in giurisprudenza criteri diversi, facenti leva ora sulla fisionomia delle fattispecie legali in successione (criterio del c.d. confronto strutturale), ora sulla perdurante rilevanza penale del fatto concreto oggetto del giudizio (criterio c.d. del fatto concreto), ora sul perdurante giudizio di disvalore per l’offesa allo stesso bene giuridico (criterio valutativo, c.d. della continuità del tipo di illecito)[2]. Orbene, la S.C., in linea con l’orientamento prevalente nella giurisprudenza degli ultimi vent’anni, adotta il ‘criterio strutturale’, che riconosce nella fattispecie legale il criterio di selezione e di de-selezione dei fatti penalmente rilevanti. Per stabilire se, a seguito di una modifica normativa, si è verificata una abolitio criminis, bisogna insomma guardare alla fattispecie legale, confrontandone la fisionomia con le fattispecie risultanti dalla successione di leggi nel tempo.

Venendo al più generale profilo teorico di maggiore interesse, sotteso alla sentenza annotata, ciò è vero tanto in caso di modifiche ‘immediate’, che hanno cioè ad oggetto direttamente la fattispecie penale, quanto in ipotesi di modifiche ‘mediate’, cioè di successione di norme extrapenali in vario modo richiamate dalla legge penale. La sentenza annotata riconosce correttamente nel caso in esame una ipotesi di successione di norme extrapenali (apparentemente) integratrici della legge penale, e altrettanto correttamente sottolinea come il criterio strutturale – affermatosi in tema di modifiche ‘immediate’ con le S.U. Giordano nel 2003[3] (che definirono una complessa vicenda intertemporale relativa al falso in bilancio) – deve coerentemente essere impiegato anche per accertare l’abolitio criminis in ipotesi di modifiche ‘mediate’. L’importanza della sentenza annotata, al di là del contingente problema, sta a mio avviso anche e proprio in ciò: nell’aver ribadito il coerente impiego del criterio strutturale anche rispetto al complesso tema della successione di norme ‘integratrici’. Nella sentenza qui commentata trovo piena consonanza con quanto mi era parso utile sottolineare in un lavoro pubblicato nel 2010, su Diritto penale contemporaneo, e che costituiva il testo di una relazione a un corso di formazione per i magistrati organizzato dal C.S.M.: “Importanti indicazioni per la soluzione dell’annoso e controverso problema dell’abolitio criminis come conseguenza della successione di norme “integratrici” (c.d. modifiche mediate) provengono da tre sentenze delle Sezioni Unite della Cassazione, pronunciate tra il 2007 e il 2009 (sentenze Magera, Niccoli e Rizzoli). Uno sguardo congiunto alle tre sentenze consente di individuare un filo comune, rappresentato dall’adozione del medesimo criterio di accertamento dell’abolitio criminis: il ‘criterio strutturale’, già accolto dalle S.U. sul terreno delle c.d. modifiche immediate (sentenza Giordano del 2003). Decisivo è dunque distinguere tra norme integratrici, in grado modificandosi di incidere sulla fattispecie legale astratta, e norme non integratrici, che tale capacità non hanno. Orbene, la sentenza annotata individua quel filo comune, che lega le sentenze Giordano, Magera[4], Niccoli[5] e Rizzoli[6], e ne trae una soluzione coerente rispetto alla questione sottoposta al suo giudizio.

La modifica della disciplina extrapenale di riferimento non ha inciso sulla fattispecie del peculato perché le norme che disciplinano l’imposta di soggiorno e che regolano il rapporto tra il gestore della struttura ricettizia e il comune non sono norme integratrici della legge penale. Tali sono – come ha chiarito in giurisprudenza la sentenza Magera[7] – le norme richiamate da fattispecie penali in bianco (tale non è il certo il peculato) e le norme definitorie. A tale ultimo proposito, il decreto-rilancio non ha modificato la definizione di incaricato di un pubblico servizio, ma ha solo inciso su norme richiamate (attraverso elementi normativi) da quella definizione legale (art. 358 c.p.). La situazione, osserva la sentenza annotata, è analoga a quella oggetto della sentenza Magera, relativa alla perdurante rilevanza penale di reati propri degli extracomunitari, commessi da cittadini rumeni e giudicati dopo il venir meno della qualifica di extracomunitari (cioè di ‘stranieri’ ai sensi del t.u. immigrazione) in capo a quei soggetti. Le S.U. Magera esclusero l’abolitio criminis dopo avere escluso una modifica della norma definitoria integratrice della legge penale; analogamente a quanto, secondo la sentenza qui annotata, può dirsi nel caso di specie. La riforma dell’imposta di soggiorno “ha fatto venir meno ‘in concreto’ la qualifica soggettiva pubblicistica del gestore, ma non ha certo alterato la definizione stessa di incaricato di pubblico servizio”.

 

7. Consapevole di muoversi su un terreno scivoloso – quale è quello della successione di leggi penali, in generale, e ancor più quello della successione di norme ‘integratrici’ – la S.C. si confronta con due argomenti e possibili obiezioni.

In primo luogo, la Cassazione considera la peculiarità della vicenda portata alla sua attenzione, rispetto alla quale viene in rilievo non solo una (apparente) modifica mediata del peculato, ma anche l’introduzione di un nuovo illecito amministrativo. Orbene, al S.C. impiega a ben vedere il criterio strutturale in una duplice direzione: per escludere una reale modifica dell’art. 314 c.p., mediata da una modifica della definizione legale di cui all’art. 358 c.p., e per confrontare la fattispecie penale con quella amministrativa, concludendo a tal proposito, come si è detto, nel senso che si tratta di due fattispecie eterogenee, destinate a operare in presenza di qualifiche normative differenti del rapporto che intercorre tra l’albergatore e l’ente pubblico che impone il pagamento dell’imposta (incaricato di pubblico servizio vs. responsabile d’imposta, cioè destinatario di un obbligo tributario in quanto soggetto privato). Evocando l’eterogeneità strutturale tra le fattispecie, penale e amministrativa, la S.C. ha escluso una successione tra l’una e l’altra e, in particolare, una ‘continuità normativa’ che porti a ritenere applicabile la seconda al posto della prima. In tal senso la sentenza annotata ha ricordato, in proposito, che le S.U. Campagne (2012)[8] hanno escluso che, in assenza di una diversa indicazione legislativa, operi nella successione tra illecito amministrativo e illecito penale il principio di cui all’art. 2, co. 4 c.p., non recepito nell’art. 1 della l. n. 689/1981. Non solo, la sentenza annotata, sul rilievo della “mancanza del presupposto costituito dalla identità del fatto”, ha anche incidentalmente quanto coerentemente messo fuori gioco il principio di specialità ex art. 9 della l. n. 689/1981 (evocato talora dalla giurisprudenza di merito favorevole alla tesi dell’abolitio criminis, per quanto il citato art. 9 sia destinato a operare nei rapporti sincronici, e non già diacronici, tra gli illeciti).

In secondo luogo, infine, la S.C. si confronta con un convitato di pietra, rappresentato dalle Sezioni Unite Tuzet (1987)[9]. In quell’occasione le S.U. affermarono l’abolitio criminis in relazione al peculato degli operatori bancari, realizzato mediante concessione abusiva di fidi, dopo che fu esclusa per legge la qualifica di attività di pubblico servizio con riguardo alla raccolta del risparmio[10]. La sentenza annotata avrebbe avuto buon gioco a far leva, ancora una volta, sul criterio strutturale – confortata da successive sentenze delle Sezioni Unite dell’ultimo ventennio – e a bollare come ‘superata’ la sentenza Tuzet, pronunciata prima del consolidamento del criterio strutturale e fondata invece, almeno in parte, sul criterio del ‘fatto concreto’. Senonché, intelligentemente, la sentenza annotata si confronta con quel precedente in termini attraverso la tecnica del distinguishing. In Tuzet le S.U. affermarono l’intervenuta abolitio criminis del peculato degli operatori bancari dopo aver rilevato come la loro diversa qualificazione, “più che di una modificazione normativa, era stata il frutto di una diversa interpretazione, alla quale andava riconosciuto valore retroattivo, come avviene normalmente per le operazioni interpretative”. Nel caso di specie, osserva invece la S.C., “non può ritenersi che l’art. 180 cit. sia in realtà una norma interpretativa, che abbia inteso cioè vincolare il giudice nella qualificazione giuridica del rapporto tributario sottostante alla tassa di soggiorno, non risultante da una norma specifica e ricostruito sulla base di principi generali”.

 

 

[1] Sulla questione v. diffusamente, nella manualistica, G. Marinucci, E. Dolcini, G.L. Gatta, Manuale di diritto penale. Parte generale, IX ed., Milano, 2020, p. 140 s. V. anche, tra i lavori monografici, G.L. Gatta, Abolitio criminis e successione di norme “integratrici”: teoria e prassi, Milano, 2008; D. Micheletti, Legge penale e successione di norme integratrici, Torino, 2006; L. Risicato, Gli elementi normativi della fattispecie penale, Milano, 2004, p. 225 s. V. anche, tra i saggi più recenti, G. Puglisi, Modificazioni mediate della fattispecie e diritto penale intertemporale: ragioni teleologiche ed ermeneutiche "pro libertate", in Riv. it. dir. proc. pen., 2017, p. 789 s.

[2] Si consentito rinviare a G.L. Gatta, Abolitio criminis e successione di norme “integratrici”, cit., p. 175 s. V. anche, tra le opere monografiche, E. M. Ambrosetti, Abolitio criminis e modifica della fattispecie, Padova, 2004, nonché, tra i molti saggi, pionieristico e ancora fondamentale, T. Padovani, Tipicità e successione di leggi penali. La modificazione legislativa degli elementi della fattispecie incriminatrice o della sua sfera di applicazione, nell’ambito dell’art. 2, 2° e 3° comma, c.p., in Riv. it. dir. proc. pen., 1982, p. 1354 s.

[3] Cass. S. U., 26 marzo 2003, Giordano, in Riv. it. dir. proc. pen., 2003, p. 1503 s., con nota di C. Pecorella.

[4] Cass. Sez. Un., 27.9.2007, n. 2451, Magera, CED 238197-01

[5] Cass. S.U., 28 febbraio 2008, Niccoli, in Cass. pen., 2008, p. 3592 s., con nota di E.M. Ambrosetti.

[6] Cass. S.U., 26 febbraio 2009, Rizzoli, In Riv. it. dir. proc. pen., 2010, 887 s., con nota di G.L. Gatta.

[7] Sia consentito rinviare, per questa soluzione, a G.L. Gatta, Abolitio criminis e successione di norme “integratrici”, cit., p. 236 s.

[8] Cass. S.U. 29.3.2012, n. 25457, Campagne, CED 252694.

[9] Cass. Sez. Un., 23 maggio 1987, Tuzet, in Riv. it. dir. proc. pen., 1987, p. 695 s., con nota adesiva di C.E. Paliero e in Giur. Comm., 1988, II, p. 517 s., con nota critica di P. Veneziani, Le qualifiche soggettive degli operatori bancari secondo le Sezioni Unite penali della Corte di cassazione.

[10] Sulla vicenda v. G.L. Gatta, Abolitio criminis e successione di norme “integratrici”, cit., p. 545 s.