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29 Settembre 2021


Sexting minorile: le Sezioni unite chiamate ad esprimersi sul materiale pedopornografico prodotto col consenso del minore (600-ter c.p.)

Cass., Sez. III, ord. 22 aprile 2021 (dep. 1° luglio 2021), n. 25334, pres. Marini, rel. Rosi



1. La creazione volontaria di immagini pedopornografiche da parte dei minori continua a venire in rilievo nella giurisprudenza. In un’ordinanza depositata a luglio, la terza sezione della Corte di cassazione ha rimesso alle Sezioni unite la questione se il consenso del minore alla creazione di fotografie o video intimi che lo ritraggano (c.d. sexting), ad esclusivo uso delle persone coinvolte e nel contesto di una relazione affettiva, escluda il reato di produzione di materiale pedopornografico (art. 600 ter, comma 1, n. 1). La trattazione da parte delle Sezioni unite è attesa per fine ottobre.

 

2. Tra il 2011 e il 2012, un trentenne e una minore ultraquattordicenne, uniti in una relazione sentimentale, creano consensualmente immagini e video dei propri rapporti sessuali. A seguire, lui li fa avere a un’altra persona, con cui la giovane sta intrattenendo una nuova relazione. Lei presenta denuncia. In fase di udienza preliminare, oltre tre anni dopo, la ragazza rappresenta tuttavia in maniera parzialmente diversa l’accaduto, sostenendo che non solo la produzione ma pure la diffusione del materiale pedopornografico sarebbero avvenute con il suo consenso. La ritrattazione della giovane viene tuttavia considerata inattendibile, e comunque il suo consenso non presenterebbe alcuna validità in quanto minorenne. L'imputato, con cui nel frattempo la ragazza intrattiene nuovamente una relazione sentimentale, viene condannato per i reati di produzione e divulgazione di materiali pedopornografici (art. 600 ter, comma 1, n. 1, e comma 3).

 

3. La terza sezione della Cassazione condivide sostanzialmente la valutazione effettuata dai giudici di merito, che si discosta tuttavia dagli orientamenti espressi dalla stessa Cassazione tra il 2018 e il 2020 riguardo al sexting minorile. Sia pertanto permesso un breve riepilogo di questi.

Una prima, importante, decisione sul punto si è avuta con la sentenza delle Sezioni unite n. 51815/2018 (pres. Carcano, rel. Andronio). In un obiter dictum, queste hanno sostanzialmente avallato la liceità del sexting primario, ovvero della creazione di materiali pedopornografici col consenso del (della) minore: non sussisterebbe infatti “utilizzazione” di questi (richiesta dal primo comma dell'art. 600 ter c.p.) qualora i materiali raffigurino un minore che abbia raggiunto l'età del consenso sessuale (14 o 16 anni), siano destinati ad un uso strettamente privato e non conseguano ad alcun condizionamento, essendo bensì, al contrario, frutto di una libera scelta del minore. Al centro della questione si pone pertanto il concetto di “non utilizzazione” del minore, più che il suo mero consenso; la presenza di tale ultimo elemento è tuttavia, a tal fine, essenziale[1].

Alla luce di tale orientamento, ci si chiese come fossero da interpretarsi i richiami interni all'art. 600 ter c.p. I capoversi di quest’ultimo (che puniscono il commercio del materiale pedopornografico, la sua divulgazione, cessione etc.) fanno infatti riferimento al “materiale pornografico di cui al primo comma”, con ciò intendendo le immagini o video prodotti “utilizzando minori di anni diciotto”. Qualora si escluda che l’autoproduzione consensuale di materiali pedopornografici integri la fattispecie di cui al primo comma, bisognerebbe di conseguenza rilevare l’irrilevanza penale (perlomeno nell’ambito di tale disposizione) del commercio, divulgazione, etc., di detti materiali. In un caso di sexting, pertanto, l’originaria liceità della produzione del materiale presenterebbe effetti a cascata su tutte le fattispecie susseguenti, rendendole inapplicabili.

Per evitare tale gravissimo vuoto di tutela, ora in parte riparato dall’introduzione dell’art. 612 ter c.p.[2], nel 2020 intervenne la terza sezione della Cassazione. La sent. 5522/2020 (pres. Izzo, rel. Macrì) sostanzialmente recedette il legame tra la fattispecie del primo comma e quelle disciplinate ai capoversi. L’illecita divulgazione di immagini e video di carattere sessuale che il minore si sia autoprodotto continuerebbe pertanto a integrare la fattispecie ex art. 600 ter comma 3 c.p., senza che sia necessaria la sussistenza del reato presupposto di produzione ex comma 1[3]. Detto in altri termini, la divulgazione illecita di immagini autoprodotte dal minore sarebbe da sanzionarsi tramite la normativa sulla pedopornografia.

Due sono le questioni al centro dell'ordinanza ora in commento. Da un lato, l’identificazione del bene giuridico protetto dalla normativa sulla pornografia minorile. Dall’altro, la validità del consenso del minore alla realizzazione di materiali pedopornografici.

Con riguardo alla prima questione, la terza sezione ritiene che il bene protetto non sia soltanto l'autonomia sessuale dei minori, individuata nell’obiter dictum delle Sezioni unite, bensì l'interesse del minore alla tutela della propria intimità e, più in generale, il contrasto alla diffusione dell'interesse sessuale verso i minori. Posto in altri termini, ci si chiede se vada data prevalenza alla libertà di un dato minore di poter realizzare immagini dell'attività sessuale in cui si trova legittimamente coinvolto, oppure alla tutela dello stesso minore da future, eventuali diffusioni illecite di tali materiali, oppure all'interesse pubblico a contrastare la realizzazione e diffusione di materiali pedopornografici, qualunque ne sia la fonte (si v. il pt. 4.1 dell’ordinanza).

In riferimento alla seconda questione, l'ordinanza della Cassazione dubita della validità del consenso del minore di anni 18 alla realizzazione di materiali pedopornografici. Le Sezioni unite nel 2018 non approfondirono il tema, pur implicitamente accettando che il minore ultraquattordicenne potesse validamente acconsentire alla produzione di immagini o video, qualora essa si inserisca in una relazione affettiva, non sia condizionata e il minore non venga pertanto “utilizzato”. Un tale accertamento sarà da svolgersi dal giudice di merito. La terza sezione osserva ora criticamente che una relazione affettiva tra un minore e un adulto possa comunque difficilmente definirsi paritaria[4]. Ancora prima, la terza sezione ritiene dubbio che il minore possa prestare un valido consenso alla documentazione della propria vita sessuale. In subordine, l’ordinanza ritiene di escludere che il minore possa validamente acconsentire alla cessione, diffusione e divulgazione del materiale così realizzato (pt. 4.3 e 5.1).

In definitiva, l'ordinanza chiede alle Sezioni unite di confermare, o smentire, il proprio obiter dictum del 2018 che ha implicitamente legittimato il sexting primario qualora il minore non sia stato a tal fine utilizzato (essendo per questo necessario che il minore abbia raggiunto l’età del consenso sessuale, la produzione dei materiali si inserisca in una relazione paritaria, questi siano destinati ad uso privato e la libera scelta del minore non sia impropriamente condizionata).

* * *

4. La rimessione alle Sezioni unite in commento è indicativa della grave incertezza che la questione del sexting minorile da anni conosce in Italia. Il fenomeno si è notevolmente propagato negli ultimi anni in ragione della diffusione degli smartphones e di altri strumenti tecnologici che permettono a qualsiasi soggetto di realizzare ogni genere di immagine. Non è tuttavia uno sviluppo improvviso. La Convenzione del Consiglio d’Europa sulla protezione dei minori contro lo sfruttamento e gli abusi sessuali (c.d. di Lanzarote) del 2007, la direttiva 2011/93/UE e già prima la decisione quadro 2004/68/GAI avevano infatti tutte espressamente permesso ai legislatori nazionali di disciplinare diversamente la volontaria autoproduzione di immagini e video sessuali da parte del minore, rispetto alle fattispecie “classiche” di pedopornografia. A differenza di vari altri Paesi europei, il legislatore italiano non ha tuttavia mai voluto fare uso di tali clausole di non punibilità[5].

 

4.1. Il caso del sexting bene esemplifica come l’uso delle nuove tecnologie da parte dei minori sia, al tempo stesso, latore di gravi rischi e importante dimensione per realizzare i propri diritti. Da una parte, si può infatti sostenere che la documentazione della propria vita sessuale, qualora desiderata, rientri nella libertà di un qualsiasi soggetto. Con specifico riguardo ai minori di età, si noti come tale comportamento venga sempre più trattato in termini di normalità dalla letteratura scientifica, quale una componente della vita e crescita sessuale dei minori di oggi, pur non tacendo il pericolo di una non consensuale diffusione delle immagini e conseguenti, eventuali, tentativi di estorsione[6]. Necessario è, tuttavia, pure proteggere il minore dalla vulnerabilità propria dell’età evolutiva, che potrebbe portarlo a non considerare appieno i rischi o a non tutelarsi efficacemente da questi. In aggiunta, è innegabile sia presente anche un interesse pubblico a contrastare la diffusione di materiali pedopornografici: molte delle immagini che trovano (consensualmente o meno) diffusione andranno infatti ad alimentare tale malefico circuito.

Chi scrive ritiene che tali tre esigenze, e i relativi beni giuridici, debbano trovare adeguato bilanciamento. Il riconoscimento di diritti e libertà individuali non può imporsi senz’altro su qualsiasi altra considerazione, sia che concerna la tutela dell’interesse del minore a vedersi tutelato dalla propria vulnerabilità, sia che riguardi questioni di interesse pubblico. Allo stesso tempo, tuttavia, tali due ultime considerazioni non possono neanche andare ad obliterare i diritti fondamentali e le libertà del minore, come se quest’ultimo fosse soltanto un oggetto da tutelare, e non pure – e soprattutto – un individuo con una propria autonomia e soggettività giuridica[7].

A ciò è collegata la questione della validità del consenso espresso dal minorenne alla produzione delle foto e video intimi, nonché del consenso che il minore abbia eventualmente espresso pure nei confronti della diffusione dei materiali così prodotti (dovendosi trattare tale aspetto in maniera separata rispetto all’originario consenso alla produzione). Tale questione non può venire risolta con un mero riferimento di stampo quasi giusprivatistico alla minore età, essendo infatti nel frattempo assestato che pure alla volontà del minore ben possa riconoscersi rilevanza giuridica. Il minore va chiaramente tutelato da scelte non ponderate e da situazioni abusive, in cui la sua volontà venga estorta con abili espedienti o aperte minacce. Al contempo, tuttavia, la tutela del c.d. superiore interesse del minore deve fondarsi sul rispetto e la promozione dei suoi diritti e libertà. Chi conosce l’evoluzione storica di tale concetto in ambiente anglo-americano ricorderà che in esso i best interests vennero ampiamente criticati proprio in ambito (processual-) penale: la tutela di ciò che veniva ritenuto il suo interesse aveva infatti portato a riconoscere al minore un novero estremamente limitato di garanzie procedurali, dando in definitiva spazio a un approccio fortemente paternalistico delle corti[8].

Nel trattare della rilevanza giuridica della volontà minorile, cruciale rilievo va riconosciuto al principio dello sviluppo graduale delle competenze del minore, un caposaldo della Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. Questi impone di predisporre risposte diverse in maniera corrispondente alle capacità da esso possedute. Le misure dedicate a un adolescente, e gli spazi di libertà ad esso riconosciuti, non potranno ovvero essere le stesse predisposte per un infante. In tal contesto non pare fuori luogo ricordare che la c.d. Convenzione di New York non è “una dichiarazione d’amore”, o un orientamento di policy, bensì un trattato giuridicamente vincolante per tutti gli Stati parte, riconosciuto quale norma interposta ex art. 117 comma 1 Cost. e che va ricondotto tra i principi generali del diritto dell’Unione ex art. 6 comma 3 del Trattato sull’Unione europea.

Evitato andrà inoltre che pur condivisibili ragioni generalpreventive allentino la centralità del disvalore del fatto effettivamente realizzato dal soggetto imputato. Sanzionare, per ragioni di prevenzione generale della pornografia minorile, un comportamento con offensività in concreto molto limitata, se non del tutto privo di essa, risulterebbe infatti difficilmente compatibile con il divieto di responsabilità per fatto altrui, e il principio di colpevolezza, di cui all’art. 27 Cost. Si pensi a due fidanzatini che si scattano, e pure scambiano, immagini dei propri momenti intimi, e queste non conoscono ulteriore diffusione. Certamente, permane il rischio che tali materiali possano venire diffusi in futuro: perché la relazione termina e uno dei partner si vuole “vendicare”, oppure in quanto soggetti terzi (conoscenti o hackers) accedono al cellulare, diffondendo senza consenso le immagini. Pure all’interno di una relazione onesta il pericolo è infatti immanente alla creazione delle fotografie. Il proposito di soddisfare esigenze generalpreventive e di tutelare il minore da eventuali rischi futuri, tuttavia, non giustifica l’inflizione di pene che siano sproporzionate rispetto al disvalore del fatto effettivamente realizzato[9].

 

4.2. Dopodiché, pure l’ampia diffusione del sexting presenta un rilievo giuridico non indifferente. Sebbene le indagini empiriche a riguardo siano finora limitate, e la sensibilità del tema porti probabilmente a sottodimensionare statisticamente il fenomeno, pare di potersi affermare che il sexting sia alquanto diffuso tra i minorenni[10]. La persistente insicurezza giuridica sulla liceità di tali condotte non ha certamente contribuito a orientare i comportamenti della popolazione. Si pensi che recentemente persino il Corriere della Sera ha sostenuto che il sexting minorile sarebbe senz’altro lecito, qualora il minore vi abbia acconsentito[11].

Una decisione delle Sezioni unite che ritenga in ogni caso illecito il sexting ignorerebbe pertanto la realtà sociale presente in Italia. Con due, cruciali, conseguenze. Da un lato, si tratterebbe di una decisione ab origine destinata ad essere infranta da una parte consistente della popolazione minorile italiana. Dall’altro, e soprattutto, renderebbe criminale un numero amplissimo di minori, i cui comportamenti integrerebbero reato pure qualora la realizzazione delle immagini sia confinata all’intimità di una relazione tra pari e avvenga col libero consenso delle parti (e che reato! Produzione di materiale pedopornografico, punita con la reclusione da sei a dodici anni).

 

4.3. È per questi motivi – la tutela dei diritti e delle libertà del minore, ed evitare di far rientrare tali diffusi comportamenti dei minori nel circuito penale – che autorevoli organismi internazionali si sono a più riprese espressi contro una criminalizzazione del sexting minorile, qualora privo di abusività.

In tal senso ha preso posizione il Comitato di Lanzarote, l’organismo del Consiglio d’Europa a monitoraggio della Convenzione sulla protezione dei minori contro lo sfruttamento e gli abusi sessuali. In un parere adottato nel 2019, esso ha ritenuto che il sexting minorile non debba essere considerato produzione o diffusione di pedopornografia, qualora frutto di libera scelta e destinato esclusivamente all’uso privato dei minori. Qualora un minore illecitamente distribuisca materiali che sarebbero dovuti rimanere privati bisognerebbe inoltre dare priorità a risposte di carattere non penale, facendo sì che un’incriminazione costituisca davvero e soltanto un’ultima ratio[12].

Pure il Relatore speciale delle Nazioni Unite sul diritto alla privacy ha ricondotto il sexting all’ambito delle lecite attività sessuali, invitando gli Stati ad evitare che la legislazione sulla pedopornografia finisca per aggravare ulteriormente lo stigma sociale che già prova colui (colei) le cui immagini intime siano state illegittimamente diffuse[13].

Soprattutto, contro una criminalizzazione del sexting si è espresso nel marzo scorso il Comitato ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. Nel suo recentissimo commento generale n. 25 sui diritti dei minori nell’ambiente digitale, il Comitato ha richiesto che non si criminalizzi la produzione, il possesso e lo scambio di materiali sessuali autogenerati, qualora ciò avvenga col consenso dei minori e per loro esclusivo uso. Mentre il commento generale non costituisce interpretazione autentica della Convenzione di New York, esso rappresenta la più autorevole presa di posizione nella disponibilità del Comitato, e presenta pertanto centrale rilevanza nella lettura del trattato e nell’orientamento della comunità internazionale[14].

Alla luce delle nette prese di posizione di tali esperti organismi, pare arduo sostenere che una criminalizzazione del sexting primario (qualora privo di abusività) sia espressiva del superiore interesse del minore.

Va chiaramente trovato un punto di equilibrio, che coniughi le libertà dei minori con la loro tutela preventiva rispetto a eventuali, illecite diffusioni, e con le necessità della prevenzione generale della pedopornografia. A tal fine si potrebbe prendere ispirazione dalle disposizioni previste a tal fine in vari Stati europei. In Austria, ad esempio, è stata da anni introdotta un’apposita clausola di esenzione per il sexting nella disposizione penale sulla pedopornografia, che permette la produzione e diffusione consensuale di immagini intime (§ 207a comma 5 e 6 StGB). Più restrittivo – forse anche per una diversa identificazione dei beni giuridici tutelati dalla norma[15] – è l’ordinamento in Germania, che permette sì il sexting ma non la diffusione dei materiali così generati al di là dei soggetti coinvolti (§ 184c comma 4 StGB)[16].

 

4.4. Il quesito posto alle Sezioni unite riguarda la sola liceità della produzione consensuale di materiale pedopornografico. Per le ragioni esposte, pare opportuno che a riguardo la Cassazione confermi l’orientamento indicato nel 2018, statuendo la liceità del sexting minorile qualora ad uso esclusivo delle persone coinvolte e senza alcuna abusiva utilizzazione del minore.

Opportuno sarebbe tuttavia pure analizzare, separatamente, la questione della diffusione di tali materiali. In tal secondo contesto, si potrebbe far prevalere le esigenze di tutela preventiva del minore e di contrasto al circuito pedopornografico, vietando in ogni caso l’invio di immagini e video intimi a terzi non coinvolti nella loro produzione.

Aperta rimane la questione di quali sanzioni prevedere in tal caso nei confronti dei minori; del ruolo da riconoscersi al diritto penale rispetto a risposte di natura diversa; nonché, in generale, delle misure preventive, di carattere educativo e sociale, che possano efficacemente tutelare il minore dai rischi presenti nell’ambiente digitale. Al di là della decisione che le Sezioni unite prenderanno, appare pertanto fondamentale che di sexting minorile si occupi, a breve, pure il legislatore.

 

 

[1] La sentenza è stata analizzata in Picotti, La pedopornografia nel Cyberspace: un opportuno adeguamento della giurisprudenza allo sviluppo tecnologico ed al suo impatto sociale riflessi nell’evoluzione normativa, in Diritto di Internet, 1/2019, pp. 187-192; Bianchi, Produzione di materiale pedo-pornografico: il nuovo principio di diritto delle Sezioni unite, in Archivio penale, 1/2019, pp. 1-25; Rosani, «Send nudes». Il trattamento penalistico del sexting in considerazione dei diritti fondamentali del minore d’età, in Riv. trim. – Dir. pen. cont., 2/2019, pp. 9-32. Per un’introduzione al tema e per una trattazione della giurisprudenza di merito e legittimità si v. Salvadori, Sexting, minori e diritto penale, in Cadoppi, Canestrari, Manna, Papa (a cura di), Cybercrime, Utet, Milano, 2019, pp. 567-598; Bianchi, I confini della repressione penale della pornografia minorile, Giappichelli, Torino, 2019.

[2] L’introduzione dell’art. 612-ter c.p. ha colmato la lacuna solo in parte, in quanto il reato di “diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti” è procedibile a querela e, soprattutto, non prevede un’apposita aggravante qualora la vittima sia minore di età, come osservato al pt. 2.4 dell’ordinanza qui in commento e già criticato da Caletti, Libertà e riservatezza sessuale all’epoca di internet. L’art. 612-ter c.p. e l’incriminazione della pornografia non consensuale, in Riv. it. dir. proc. pen., 4/2019, pp. 2045-2090.

[3] La sent. n. 5522/2020 è stata annotata su questa rivista: Rosani, Cessione di immagini pedopornografiche autoprodotte (‘selfie’): la Cassazione rivede la propria lettura dell’art. 600-ter c.p., in questa Rivista, 4 dicembre 2020; e da P. Guercia, La non (più) necessaria sussistenza del requisito dell’eteroproduzione, in Diritto di internet, 2/2020, pp. 300-312.

[4] Sulla non sempre agevole distinzione tra libera volontà e impropria induzione nel caso di autoscatti erotici si v. pure Cass., sez. III penale, 18 aprile 2019 (dep. 18 giugno 2019), n. 26862, pres. Di Nicola, rel. Corbetta; Cass., sez. III penale, sent. 10 settembre 2020 (dep. 9 novembre 2020), n. 31192, pres. Sarno, rel. Noviello.

[5] Sull’implementazione di tali disposizione in vari Paesi si v. Chatzinikolaou, Lievens, A legal perspective on trust, control and privacy in the context of sexting among children in Europe, in Journal of Children and Media, 2019, p. 13. Sul valore di tale non facere da parte del legislatore italiano la Cassazione è divisa: mentre le Sezioni unite nel 2018 l'avevano ritenuto irrilevante, la presente ordinanza (pt. 2.3, 4.1) vi attribuisce un chiaro valore interpretativo, nel senso di confermare l’illiceità di tali condotte.

[6] Si v., autorevolmente, Stoilova, Livingstone, Khazbak, Investigating Risks and Opportunities for Children in a Digital World, Unicef Office of Research – Innocenti, Firenze, 2021, 45 ss.; International Telecommunication Union, Guidelines for Policy-Makers on Child Online Protection, Geneva, 2020, p. 8 ss., 14 ss.; Radford, Allnock, Hynes, Preventing and Responding to Child Sexual Abuse and Exploitation: Evidence review, Unicef, Ginevra, 2015, p. 20, 28; Gillespie, Adolescent, Sexting and Human Rights, in Human Rights Law Review, 2013, p. 623 ss.; Unicef Innocenti Research Centre, Child Safety Online. Global challenges and strategies. Technical report, Unicef, Firenze, 2012, p. 30, 80. In tal senso, anche per un’ampia ed accorta trattazione del sexting che consideri pure la prospettiva dei minori stessi, si v. pure Calvert, Youth-Produced Sexual Images, “Sexting”, and the Cellphone, e Harris, Davidson, Teens, Sex, and Technology: Implications for Educational Systems and Practice, entrambi in Saleh, Grudzinskas, Judge (a cura di), Adolescent Sexual Behavior in the Digital Age, Oxford University Press, Oxford, 2014, p. 89 ss. e p. 262 ss.

[7] Ritengono che l’azione di prevenzione dell’abuso sessuale minorile debba informarsi ai principi della Convenzione sui diritti del bambino, riconoscendo così al minore un certo livello di autonomia e privacy, Tobin, Seow, Article 34, in Tobin (a cura di), The UN Convention on the Rights of the Child. A Commentary, Oxford University Press, Oxford, 2019, p. 1333.

[8] Per una prima introduzione alla questione si v. Trépanier, Children's Rights in Juvenile Justice: A Historical Glance, in Alen et al. (a cura di), The UN Children’s Rights Convention, Intersentia, Cambridge, 2007, p. 526; nonché le sentenze della Corte suprema degli Stati Uniti che riconobbero pure ai minori le garanzie costituzionali del giusto processo, in particolare In re Gault, 387 U.S. 1 (1967).

[9] Nel caso concretamente oggetto del procedimento andrà tuttavia valutata con attenzione la ritrattazione dei fatti compiuta dalla vittima in sede di udienza preliminare, e pertanto la presenza o meno del consenso della stessa alla diffusione dei materiali da parte dell’imputato.

[10] Una recensione di 21 studi si rinviene in Stoilova, Livingstone, Khazbak, Investigating Risks and Opportunities for Children in a Digital World, cit., 45 ss., e conferma la diffusione del sexting in Europa, in particolare tra i grandi minori, i maschi, i minori LGBT e quelli provenienti da contesti economicamente più umili. Ulteriori conferme in tal senso si rivengono in Unicef Innocenti Research Centre, Child Safety Online. Global challenges and strategies. Technical report, cit., p. 30, e negli studi citati in Calvert, Youth-Produced Sexual Images, “Sexting”, and the Cellphone, cit., p. 96 ss., e in Harris, Davidson, Teens, Sex, and Technology, cit., p. 265 ss. (sebbene questi siano più risalenti nel tempo e investighino soprattutto la realtà statunitense). Ritiene che sia oramai considerato “normale” realizzarsi e scambiarsi foto intime Shariff, Sexting and Cyberbullying, Cambridge University Press, Cambridge, 2015, 62. Pure un informale scambio di vedute con ufficiali della Polizia postale e delle comunicazioni ha confermato all’autore di queste righe la vasta diffusione del fenomeno.

[11] In tal senso Milena Gabanelli e Simona Ravizza, Pornografia e minori: i danni sulla vita reale, Corriere della sera, 19 luglio 2021, p. 21: “Questo tipo di giovanissimo consumatore fa più facilmente ‘sexting’, ovvero invia o chiede alla propria partner di inviare immagini di nudi o di parti intime […] Se c’è consenso non c’è reato”. Di seguito le autrici invitano a prestare attenzione ai rischi di illecita diffusione dei materiali così realizzati.

[14] Comitato ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, General comment No. 25 (2021) on children’s rights in relation to the digital environment, 2 marzo 2021, par. 118.

[15] Sul tema del bene giuridico di categoria in Germania, Austria e Italia si v. Helfer, Sulla repressione della prostituzione e pornografia minorile. Una ricerca comparatistica, Cedam, Padova, 2007, p. 55 ss. e p. 109 ss.

[16] Risultando allo scrivente l’unica opera che compari in riferimento al sexting le discipline germanica, austriaca e italiana, sia permesso fare riferimento a Rosani, The Increasing Recognition of Child Rights by European Constitutions and its Relevance for the Criminal Regulation of Sexting, in Czech, Heschl, Lukas, Nowak, Oberleitner (a cura di), European Yearbook on Human Rights 2020, Intersentia, Cambridge, 2020, p. 349 ss.