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28 Febbraio 2024


Pene sostitutive e discrezionalità del giudice al banco di prova della prassi: una prima pronuncia della Cassazione

Cass. Sez. V, 11 luglio 2023 (dep. 27 ottobre 2023), n. 43622, Pres. Sabeone, rel. Sessa



1. La sentenza in commento si segnala per alcuni interessanti profili relativi alla disciplina delle nuove pene sostitutive delle pene detentive brevi, originariamente introdotte nel nostro ordinamento con legge 689/1981, nonché recentemente novellate ad opera del d.lgs. n. 150/2022 (c.d. riforma Cartabia). In particolare, la pronuncia offre l’occasione per sviluppare qualche breve riflessione sul tema della discrezionalità riconosciuta al giudice della cognizione circa l’an della sostituzione[1].

Nel caso di specie, i giudici di legittimità venivano chiamati a pronunciarsi su un ricorso presentato contro la decisione della Corte di Appello di Bologna in materia di furto aggravato. Condensando le proprie doglianze in un unico motivo, il ricorrente allegava l’inosservanza e l’erronea applicazione degli artt. 53 e 58 della depenalizzazione in relazione all’art. 133 c.p., unitamente alla manifesta contraddittorietà ed illogicità dell’iter argomentativo seguito dai giudici di appello.

La Corte territoriale, infatti, in parziale riforma della pronuncia emessa in primo grado, accoglieva il motivo di appello concernente l'omessa applicazione della riduzione della pena conseguente alla trattazione del processo con rito abbreviato; quindi, pur confermando la statuizione sulla colpevolezza circa il fatto contestato, procedeva alla rideterminazione della pena in mesi quattro di reclusione ed euro 120,00 di multa.

E, tuttavia, nonostante la pena così ri-quantificata rispettasse i presupposti edittali richiesti dalla normativa per l’accesso alla sostituzione della pena, i giudici di appello decidevano di non procedere in tal senso. Essi argomentavano che, nel caso di specie, proprio in considerazione della «presenza di numerosi precedenti penali, molti dei quali per delitti contro il patrimonio», sussistessero fondati motivi per non sostituire la pena detentiva con il lavoro di pubblica utilità. Tale dato, unitamente all’avvenuta applicazione di una misura cautelare per il procedimento allora in corso, sarebbe stato sintomatico dell’inaffidabilità del condannato e sufficientemente ostativo alla possibilità di vedere sostituita la pena comminata.

La Cassazione veniva, pertanto, chiamata a stabilire «se la rinnovata prospettiva della rieducazione e del reinserimento sociale» permeasse la novellata disciplina «al punto da lasciare in secondo piano l'esigenza special preventiva – sempre presente nell'ambito del processo sanzionatorio – e da incidere – e in che termini – anche sull'impronta di tipo discrezionale del potere sanzionatorio del giudice».

 

2. La questione è stata oggetto di approfondimento da parte dei giudici di legittimità che, nel dichiarare infondato il ricorso, hanno fornito autorevole interpretazione del dettato normativo delle disposizioni interessate. Muovendo dall’angolo visuale della ratio riformatrice, con uno sguardo sul presente ed uno sul passato, il Supremo Collegio ha saputo cogliere lo spirito di contemperamento di interessi che contraddistingue la novella legislativa, e lo ha opportunamente declinato nel caso concreto.

 

2.1. Preliminarmente, la Corte ha condotto un excursus sulla normativa delle sanzioni sostitutive ante riforma, precisando che, già nella loro originaria fisionomia, esse risultavano idealmente concepite come strumento di lotta agli effetti desocializzanti e criminogeni insiti nella carcerazione di breve durata[2]. In ossequio al dettato dell'art. 27 terzo comma della Costituzione, pertanto, la precedente disciplina consentiva di sostituire le pene detentive brevi – allora identificate nella reclusione fino a due anni – con una risposta sanzionatoria capace di coniugare istanze special-preventive e di rieducazione del condannato[3].

Del resto, è opinione largamente diffusa in dottrina che l’esecuzione carceraria delle pene detentive brevi possa risolversi in una parentesi «disfunzionale e controproducente» rispetto al raggiungimento dell’obiettivo, costituzionalmente previsto, della rieducazione del condannato[4]. Tale fenomeno affonderebbe le proprie radici in un duplice ordine di ragioni: da un lato, alla totale privazione della libertà personale non potrebbe che conseguire la recisione di ogni contatto affettivo e di qualsivoglia opportunità relazionale del detenuto, ivi compresa la possibilità di interazione con il mondo esterno; dall’altro, la brevità dell’esperienza in istituto non consentirebbe al soggetto ristretto di usufruire dell’offerta trattamentale in modo pieno ed effettivo, e, viceversa, rappresenterebbe un’utile occasione per apprendere abitudini criminali[5].

Proseguendo nell’esegesi, la Corte di Cassazione ha correttamente rilevato che, con la previsione di cui all’art. 71 del d.lgs. n. 150 del 2021, il legislatore ha inteso dar vita ad una riforma organica della l. n. 689 del 1981, ridisegnando anche il quadro generale delle sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi[6]. In particolare, la norma di raccordo tra legge di depenalizzazione e codice penale viene identificata nel nuovo art. 20-bis c.p., disposizione che sancisce il formale ingresso delle pene detentive brevi nell’impianto normativo codicistico[7].

La Corte si è poi soffermata sulla nozione di pena detentiva breve, comparandola con quella prevista dalla normativa precedente ed evidenziando come, per opera della Riforma, si sia proceduto ad una significativa dilatazione della categoria in esame[8].

Invero, prima dell’intervento riformatore, la definizione suddetta si limitava a ricomprendere l’applicazione di pene detentive di durata non superiore ai due anni. Oggi, invece, il limite edittale originariamente previsto ha subìto un significativo innalzamento: potrà, infatti, avere luogo la sostituzione ogniqualvolta sia stata irrogata la pena della reclusione fino a quattro anni[9].

La digressione della Suprema Corte ha tratto origine dall’analisi della norma di apertura della nuova disciplina: è lo stesso articolo 53 a prevedere che il giudice possa applicare le pene sostitutive della semilibertà e della detenzione domiciliare laddove ritenga di determinare la durata della pena detentiva entro il limite dei quattro anni; di sostituire la detenzione con il lavoro di pubblica utilità quando reputi di dover quantificare la pena entro i tre anni; di optare per la pena pecuniaria sostitutiva qualora intenda comminare la reclusione entro un anno.

A partire dall’interpretazione della norma esaminata, i giudici di legittimità hanno correttamente ritenuto sussistente, nel caso di specie, il «presupposto quantitativo» richiesto per sostituire la pena detentiva irrogata con quella sostitutiva del lavoro di pubblica utilità.

In tale sede, la Corte non ha perso occasione per sottolineare un ulteriore profilo.

Sulla scia di quanto evidenziato da autorevole dottrina, alla Riforma Cartabia delle pene sostitutive va – tra l’altro – riconosciuto il merito di aver ridimensionato il problema della sovrapposizione applicativa tra sospensione condizionale e sostituibilità della pena, additato dai più come principale responsabile dell’esito fallimentare registrato dal precedente sistema delle sanzioni sostitutive[10].

Alla precedente cumulabilità dei benefici derivanti dalla sospensione condizionale della pena e dalla possibilità di accesso alle sanzioni sostitutive si contrappone oggi l’attuale divieto, imposto al giudice, di disporre l’applicazione congiunta degli istituti in questione[11].

La Cassazione, in particolare, utilizza tale argomento per sviluppare il successivo passaggio logico, ove si sottolinea che «anche da tale divieto di cumulo si evince che la riforma mira ad arginare il pericolo di recidiva soprattutto attraverso la finalità rieducativa e risocializzante cui devono tendere le pene sostitutive, corredate dal programma stilato dall'U.E.P.E. sulla base della situazione specifica del condannato e dalle prescrizioni imposte dal giudice […]». Trattasi di una «finalità che il beneficio della sospensione condizionale della pena non consente […] di realizzare nella sua pregnanza, fondandosi esso sul mero obbligo di astensione incentivato dalla perdita del beneficio in caso di commissione di un nuovo reato» e non essendo necessariamente corredato da prestazioni accessorie funzionali a realizzare un percorso rieducativo funzionale ed effettivo.

La Corte evidenzia, dunque, la valenza prescrittiva delle nuove pene sostitutive[12]: infatti, oltre all’imposizione di divieti e di obblighi di astensione, la nuova disciplina prevede la loro modulazione anche sulla base di un programma specificamente elaborato dall’U.E.P.E., mediante per l’appunto vere e proprie «prescrizioni positive», individuate di volta in volta dal giudice in relazione alle specifiche esigenze del caso concreto[13].

 

2.2. Passando ad esaminare i poteri discrezionali attribuiti al giudice dalla novellata disciplina, essi sono ritenuti dalla Corte «significativi» e «pienamente coerenti con la ratio generale di questa parte della riforma» nella duplice prospettiva della lotta alla detenzione di breve durata e di quella dell’effettività del finalismo rieducativo della pena[14]. Riportandosi alla lettera dell’art. 58 della legge di depenalizzazione, la Cassazione osserva che, secondo l’attuale disciplina, «il giudice, tenuto conto dei criteri indicati nell'art. 133 c.p., se non ordina la sospensione condizionale della pena, può applicare le pene sostitutive della pena detentiva quando risultano più idonee alla rieducazione del condannato e quando, anche attraverso opportune prescrizioni, assicurano la prevenzione del pericolo di commissione di altri reati[15]. La pena detentiva non può essere sostituita quando sussistono fondati motivi per ritenere che le prescrizioni non saranno adempiute dal condannato».

La Corte procede, dunque, a fornire un’autorevole interpretazione del dettato normativo, individuando nella novellata disposizione l’espressione di una duplice esigenza: da un lato, quella della rieducazione del condannato, fortemente promossa dalla nostra Carta fondamentale e dalla legge sull’ordinamento penitenziario del 1975; dall’altra, quella di tutela della collettività[16].

Tuttavia, nella visione del Supremo Collegio queste due esigenze – come noto, di difficile composizione – non sembrano affatto porsi in termini antitetici e contrastanti: alla luce della ricostruzione interpretativa fornita dalla Cassazione, infatti, i due momenti distinti della rieducazione e della difesa sociale trovano un’occasione di sintesi e di compromesso[17].

Sotto un primo profilo, l’esigenza di tutela della collettività, non dovendo automaticamente tradursi nella detenzione in carcere del soggetto condannato, non si pone in termini ostativi rispetto alla possibilità di un’effettiva rieducazione del reo; viceversa, è lo stesso progetto di rieducazione ad assumere funzione servente in relazione all’obiettivo di tutela della collettività.

Invero, nella prospettazione della Corte, l’esigenza di difesa sociale «si realizza essenzialmente anche tramite il processo di rieducazione»: la sostituzione della pena detentiva con un trattamento punitivo individualizzato – pur sempre di “pene” si tratta, ancorché “sostitutive” – a parere dei supremi giudici, consentirebbe di neutralizzare tanto gli effetti desocializzanti insiti nella reclusione carceraria, quanto il pericolo di commissione di ulteriori delitti da parte del reo[18].

Osserva, infatti, la Corte, che «L'applicazione delle pene sostitutive non solo non è incompatibile con il pericolo di recidiva, ma costituisce la specifica modalità prescelta dal legislatore per arginarlo ai meglio […]; essa è quindi, in definitiva, incompatibile solo con quel tasso di recidiva che il giudice non reputa di poter azzerare o ridurre attraverso l'adozione di quelle particolari prescrizioni che accompagnano la pena sostitutiva nella fase di esecuzione della stessa»[19].

 

2.3. Tuttavia, dopo aver fornito un’interpretazione della novellata disciplina alla luce della ricostruita ratio ispiratrice, la Cassazione giunge a una battuta d’arresto. I giudici di legittimità, infatti, sottolineano che «sebbene la decisione di applicare la pena sostitutiva si muova nell’ottica di individuare una pena che sia – la – più idonea alla rieducazione del condannato, nell'ambito di tale valutazione trova posto – e non potrebbe essere altrimenti, trattandosi di contemperare interessi di pari rango – in una posizione di uguale grado, anche la necessità che essa scongiuri, medio tempore, la commissione di altri reati».

La Corte pone così in risalto la necessità che istanze rieducative e di difesa della collettività siano soddisfatte in egual misura, non potendosi – in un’operazione di bilanciamento di interessi di pari rango – privilegiare le prime a discapito delle seconde. Per questo motivo, la Cassazione ritiene che il giudice, nell’ambito dell’iter decisionale relativo all’an della sostituzione della pena, debba accordare priorità logica all’ultimo periodo dell’art. 58 comma 1. Queste le parole della Corte: «Risulta evidente allora che il presupposto da cui deve muovere il giudice al fine di verificare dell'applicazione della pena sostitutiva breve è quello della valutazione della sussistenza o meno di fondati motivi che inducano a ritenere che le prescrizioni non saranno adempiute perché la prospettiva della rieducazione non può prevalere sull'esigenza di neutralizzazione del pericolo di recidiva che necessita di essere soddisfatta anche durante l'esecuzione della pena»[20].

La Corte constata come, nel caso di specie, il giudice di appello avesse ritenuto «a monte» non sostituibile la pena detentiva inflitta, indicando, seppur sommariamente, i fondati motivi in base ai quali ha ritenuto che le prescrizioni non sarebbero state adempiute dal reo.

I giudici di legittimità passano, così, ad esaminare la motivazione fornita dalla Corte territoriale, basata – tra l’altro – sulla ricostruzione del passato del ricorrente.  

La Cassazione limita il suo vaglio ai profili di adeguatezza delle argomentazioni sviluppate dal giudice di merito. Da qui, l’esito di considerare «sufficientemente congrua la motivazione resa dalla corte territoriale nel caso di specie, per avere essa espresso, sia pure in maniera sintetica, quelle ragioni ostative alla prognosi favorevole circa l'adempimento delle prescrizioni – e quindi la commissione di ulteriori reati – che l'art. 58 impone di formulare in via preliminare sulla base di elementi concreti».

La rieducazione, motiva la Corte, costituisce l’obiettivo fondamentale cui deve tendere l'applicazione della pena sostitutiva, ma tale applicazione non può in ogni caso prescindere dalla formulazione un preliminare giudizio di idoneità della pena sostitutiva a scongiurare il pericolo di recidiva nel caso concreto.

 

3. Il percorso argomentativo seguito dalla Cassazione ci pare condivisibile. Come si è già avuto modo di precisare in una precedente pronuncia, «la sostituzione della pena con altra misura più favorevole non costituisce un diritto dell’imputato ma rientra nell’ambito della valutazione discrezionale del giudice»[21].

Invero, ai sensi del riformato art. 58 della legge 689 del 1981: «Il giudice può applicare le pene sostitutive della pena detentiva» ma «non può» procedere in questo senso laddove sussistano «fondati motivi per ritenere che le prescrizioni non saranno adempiute dal condannato». Trattasi, pertanto, di una valutazione prettamente discrezionale, sebbene ancorata ad alcuni indici specificamente indicati dalla disposizione stessa.

L’articolo non chiarisce in cosa tali fondati motivi debbano consistere, né indicazioni in tal senso sono rinvenibili altrove, nell’ambito della disciplina in esame. Appare, tuttavia, ragionevole ritenere che la tendenza a delinquere del reo possa assumere un rilievo decisivo nell’ambito della valutazione prognostica circa il futuro comportamento del condannato; apprezzamento, questo, che indubbiamente non può prescindere dall’analisi del suo “vissuto”.

 

4. La pronuncia offre poi l’occasione per svolgere alcune riflessioni sui possibili profili problematici emergenti dalla novellata disciplina.

La Cassazione, infatti, ha sviluppato un’analitica motivazione sul tema della discrezionalità del giudice in sede di sostituzione della pena, soffermandosi, in particolare, sulla modalità di contemperamento degli interessi in gioco: segnatamente, pur attribuendo alla finalità rieducativa un ruolo portante nell’economia del sistema, in questo caso ha correttamente ritenuto di non accordarle valore preminente rispetto alla necessità di prevenire il pericolo di recidiva.

Ciò non toglie che rimaniamo al cospetto di una normativa a maglie larghe, che, da un lato, attribuisce al giudice della cognizione una discrezionalità considerevole, imponendogli un vero e proprio “cambio di passo” rispetto agli standard valutativi cui è tradizionalmente abituato[22]; sotto questo profilo ci sembra permanere il rischio che in sede applicativa si possa eludere la logica posta alla base della riforma – chiaramente ispirata al favor sostitutionis – tenuto conto degli ampi margini valutativi riservati al giudice[23]. In questo caso la Cassazione ha dato buona prova di sé: dovremo tuttavia attendere la formazione di un più robusto filone applicativo per comprendere se la prassi riuscirà a far emergere criteri in grado di orientare il giudice, assicurando, così, un’omogenea applicazione delle disposizioni in esame. Solo in questo modo potremo sperare che le ‘nuove’ pene sostitutive vivano una stagione diversa dalle precedenti misure.

 

 

 

 

[1] V. al riguardo Abbagnano Trione, Il sistema delle pene sostitutive e il favor libertatis, in Proc. pen e giust. 2023, 3, 769. In questa sede, l’A. osserva come, nella riformata disciplina, il «maggiore spessore della “discrezionalità”» risulti evidenziato già nella rubrica dell’art. 58 della legge 689 del 1981. La disposizione menzionata, infatti, è preposta alla disciplina del «potere discrezionale del giudice nell’applicazione e nella scelta delle pene sostitutive».

[2] In argomento, Guidi, La riforma delle “pene” sostitutive, in Speciale Leg. Pen., 2023, 7. A tal proposito, l’A. definisce il sistema delle sanzioni sostitutive come primariamente proteso a contrastare gli effetti deleteri delle pene detentive brevi, evitando l’ingresso in carcere o limitandone la permanenza laddove la pena in concreto irrogata non ecceda determinati limiti edittali. Dello stesso avviso anche De Francesco, Brevi appunti sul disegno di riforma della giustizia, in Leg. Pen., 2021, 3, 243. Sul punto cfr., altresì, Madia, Note minime, con andamento rapsodico, sugli aspetti generali delle nuove pene sostitutive, in Riv. pen. dir. e proc., 2023, 2, 194 s. Sul punto v. anche Relazione al decreto 150 del 2022, 184.

[3] Sul tema, Alvino, Pene sostitutive delle pene detentive brevi, in Bassi, Parodi (a cura di), La Riforma del sistema penale. Commento al d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 (c.d. Riforma Cartabia), in attuazione della legge delega 27 settembre 2021, n. 134, Milano, 2022, 345 s.

[4] V. Diddi, Le disposizioni in materia di pene sostitutive delle pene detentive brevi, in Proc. pen. e giust., numero straordinario, 2023, 85. Cfr. anche Guidi, La riforma delle “pene” sostitutive, cit., 7. Per un’analisi approfondita della crisi dell’istituto v., inoltre, Palazzo, Le pene sostitutive: nuove sanzioni autonome o benefici con contenuto sanzionatorio?, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1983, 3, 819.

[5] In tal senso, Guidi, La riforma delle “pene” sostitutive, cit., 6 s. «In questi casi, infatti, la privazione della libertà, con le conseguenti ricadute sulla stabilità dei rapporti personali del condannato – come quelli familiari e lavorativi –, […] non consente, proprio in ragione del tempo di esecuzione della pena e delle offerte trattamentali che in questo momento storico il ‘carcere’ è in grado di offrire ai detenuti, di realizzare l’unica finalità che secondo la Costituzione può oggi legittimare la sanzione penale». Cfr. anche Abbagnano Trione, Il sistema delle pene sostitutive e il favor libertatis, cit. 758. Con riferimento all’esecuzione inframuraria delle pene detentive brevi, il carcere viene definito dall’A. come un «costo sociale, piuttosto che una risorsa».

[6] Cfr. la Relazione finale della Commissione Lattanzi sulla riforma della Giustizia penale, 64. A partire dalla presa d’atto della «crisi», oltre che del fallimento applicativo delle sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi, si evidenzia la necessità di procedere ad una «riforma organica» dell’istituto. Analoghe considerazioni sono sviluppate in Gargani, La riforma in materia di sanzioni sostitutive, in Leg. Pen., 2022, 1, 69, nonché nella Relazione Illustrativa al decreto Cartabia, 185.

[7] In argomento, Gullo, Profili di diritto penale sostanziale nel d.lgs. n. 150 del 2022, in Catalano, Kostoris, Orlandi (a cura di) Commenti alla Legge N.134 del 2021 e ai decreti legislativi delegati, Vol. II, Torino, 2023, 19 s.: «la scelta di collocare le nuove sanzioni sostitutive nel cuore del catalogo delle pene del codice Rocco, con l’inserimento dell’art. 20-bis c.psarebbe emblematica della volontà di caratterizzazione di tali sanzioni quali pene autonome; d’altro canto, l’A. si sofferma anche sul tema dell’attuale impossibilità di sciogliere «[…] il nodo di misure che non appaiono ancora vestire i panni delle vere pene e che presentano molti tratti delle alternative alla detenzione». Sulla scelta di introdurre nel codice una disposizione ricognitiva di un istituto tradizionalmente regolamentato dalla legislazione speciale v. Alvino, Pene sostitutive delle pene detentive brevi, in Bassi, Parodi (a cura di), La Riforma del sistema penale. Commento al d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 (c.d. Riforma Cartabia), in attuazione della legge delega 27 settembre 2021, n. 134, cit., 351.

[8] In argomento, Bianchi, Le modifiche in materia di sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi, in Donini, Castronuovo (a cura di), Riforma Cartabia: la nuova giustizia penale, Milano, 2023, 85. Per un excursus sull’evoluzione normativa dell’istituto v. anche Gatta, Riforma Cartabia e sistema sanzionatorio: tra efficienza dell’esecuzione penale ed effettività della pena, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2023, 2, 565.

[9] Ancora, Bianchi, Le modifiche in materia di sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi, cit. 85, sostiene che tale innalzamento sia del tutto coerente alla luce dell’orizzonte teleologico della Riforma.

[10] Cfr. Dolcini, Dalla riforma Cartabia nuova linfa per le pene sostitutive. Note a margine dello schema di d.lgs. approvato dal Consiglio dei Ministri il 4 agosto 2022, in questa Rivista, 30 agosto 2022, 4. L’A. riconosce all’intervento riformatore il pregio di aver liberato l’istituto delle pene sostitutive dal «mortale abbraccio» della sospensione condizionale della pena. V. anche Id. Sanzioni sostitutive: la svolta impressa dalla riforma Cartabia, in sistemapenale.it, 2021. Sui problematici rapporti tra sanzioni sostitutive e sospensione condizionale della pena, cfr., ex multis, Palazzo, Le pene sostitutive: nuove sanzioni autonome o benefici con contenuto sanzionatorio?, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1983, 819 ss.; Dolcini, Paliero, Il carcere ha alternative? Le sanzioni sostitutive della detenzione breve nell’esperienza europea, Milano, 1989, 275 ss.

[11] In tal senso, Dolcini, Dalla riforma Cartabia nuova linfa per le pene sostitutive. Note a margine dello schema di d.lgs. approvato dal consiglio dei ministri il 4 agosto 2022, 30/08/2022, cit., 5. L’A. si serve dell’espressione «mai più pene sostituite e sospese» per fare riferimento all’avvenuta scissione del binomio consolidatosi nella prassi antecedente la riforma. In argomento cfr. anche Palazzo, Bartoli, Certezza o flessibilità della pena? Verso la riforma della sospensione condizionale, Torino, 2007, 56; 139.

[12] Con riferimento al significativo potere risocializzante delle pene sostitutive così concepite, v. Bianchi, Le modifiche in materia di sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi, cit., 91.

[13] Cfr. Relazione illustrativa al d.lgs. 150 del 2022, 210. A tal riguardo, Gullo, Profili di diritto penale sostanziale nel d.lgs. n. 150 del 2022, cit., 20. Sulla pena intesa come “progetto” v. anche Eusebi, Pena e perdono, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2019, 1137 ss.

[14] Sul tema del potere discrezionale del giudice in punto di applicazione e scelta delle pene sostitutive, v. Abbagnano Trione, Il sistema delle pene sostitutive e il favor libertatis, cit., 762. A parere dell’A. «La novella “investe” sul giudice e ne potenzia la discrezionalità, ingiungendogli di prestare maggiore attenzione al “vissuto” del reo, in una miscela verosimilmente feconda tra discrezionalità e prevenzione individuale positiva».

[15] Circa il ruolo fondamentale del finalismo rieducativo della pena nella scelta sulla sostituzione v. Relazione illustrativa al d.lgs. 150 del 2022, 209. Per un’efficace ricostruzione giurisprudenziale sul punto v. Dolcini, La commisurazione della pena tra teoria e prassi, in Riv. it. dir e proc. pen., 1991, 1, 60 ss. Quanto al riferimento all’art. 133 c.p., Bianchi, Le modifiche in materia di sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi, cit., 102, opta per una valorizzazione degli elementi attinenti alla personalità del reo e al contesto socio-familiare di origine.

[16] Circa il rapporto tra istanze rieducative e pericolo di recidiva cfr. Relazione Illustrativa al d.lgs. 150 del 2022, 210. Concepisce in chiave unitaria la ponderazione degli interessi in gioco Bianchi, Le modifiche in materia di sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi, cit., 100.

[17] Sulla possibile coesistenza tra i due aspetti v. Pisani, Le pene sostitutive, in Giur. It. 2023, 4, 944.

[18] In argomento, Gullo, Profili di diritto penale sostanziale nel d.lgs. n. 150 del 2022, cit., 19. «A più riprese si parla nella Relazione di vere e proprie pene e si insiste parimenti sull’esigenza, in ossequio al principio di legalità, di precisione dei contenuti delle misure in questione». Cfr. anche Diddi, Le disposizioni in materia di pene sostitutive delle pene detentive brevi, cit., 85. «Attraverso le nuove pene sostitutive, dunque, si è nella sostanza creato un nuovo microsistema sanzionatorio».

[19] A tal proposito, la Relazione al decreto specifica che il riferimento non è tanto alle prescrizioni obbligatorie comuni previste dal primo comma dell’art. 56-ter, quanto a quelle ulteriori che possono essere adottate nel programma di trattamento ai fini dell’individualizzazione delle modalità esecutive della pena.

[20] Tale aspetto è segnalato nella Relazione al decreto legislativo (210), in cui si legge che «se il giudice ritiene che le prescrizioni non saranno adempiute – e che, pertanto, il programma di trattamento non sarà rispettato – la pena sostitutiva non può presentarsi come più idonea alla rieducazione del condannato, né può assicurare la prevenzione del pericolo di recidiva».

[21] Così, Cass. Pen., Sez. VI, 24 ottobre 2023, n. 47674, in DeJure.

[22] In argomento v. Bianchi, Il rilancio delle pene sostitutive nella legge-delega “Cartabia”: un’occasione non priva di rischi, in Dir. pen cont., 2021, 4, 39 s. Sulla tradizionale «disaffezione» del giudice della cognizione rispetto alla sostituzione della pena cfr. Alvino, Pene sostitutive delle pene detentive brevi, cit., 347, ricondotta dall’A. ad una «scarsa familiarità della macchina cognitiva del processo verso l’approfondimento dei temi inerenti la personalizzazione in chiave specialpreventiva del trattamento sanzionatorio». In merito ai possibili rischi connessi all’esercizio di una tale discrezionalità da parte del giudice di cognizione v., altresì, Palazzo, Commisurazione della pena e discrezionalità giudiziale: un terreno di tensioni ed incertezze, in Dir. Pen., 2022, 11, 1348, nonché, sulla necessità di una certa «legalità della discrezionalità» quale solida base per la complessa valutazione cui il giudice è chiamato dai c.d. “istituti discrezionali” cfr. ancora Id., Commisurazione della pena e discrezionalità giudiziale: un terreno di tensioni ed incertezze, cit., 1349. Affronta, ancora, il tema dei rischi connessi all’intervenuta amplificazione del potere discrezionale del giudice, Gaeta, Ragionando su alcuni ossimori della riforma delle pene sostitutive, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2023, 2, 582 ss. Sui rischi connessi all’esercizio di una discrezionalità così ampia in termini di possibili violazioni del principio di legalità delle pene v. anche Pisani, Le pene sostitutive, cit., 944.

[23] La nuova formulazione dell’ultimo periodo dell’art. 58 comma 1 risulta valorizzata nella stessa Relazione al decreto Cartabia (210): «Rispetto al previgente art. 58, co. 2, che fa riferimento a una presunzione del giudice (“quando presume che ...”), a garanzia dell’imputato si introduce tuttavia uno standard più rigoroso, con un corrispondente onere motivazionale: per escludere la sostituzione della pena detentiva breve devono infatti sussistere “fondati motivi” di ritenere che prescrizioni non saranno adempiute. Non vi è pertanto spazio per alcuna presunzione, su base soggettiva o oggettiva (relativa, ad esempio, al titolo di reato per il quale vi è condanna)». Per una prospettiva ottimistica v. Gullo, Profili di diritto penale sostanziale nel d.lgs. n. 150 del 2022, cit., 14.  Del resto, perplessità relative al giudizio prognostico del giudice in sede di sostituzione della pena erano già state sollevate ante riforma: al tal proposito cfr. Giunta, Pene sostitutive e sistema delle sanzioni: profili ricostruttivi ed interpretativi, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1985, 2, 493 ss. In tale sede, le principali preoccupazioni manifestate dall’A. riguardavano l’assenza di parametri idonei a guidare il giudicante nella valutazione prognostica, con il conseguente rischio che essa si risolvesse unicamente nella considerazione dell’illecito commesso.