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28 Novembre 2023


Le nuove pene sostitutive e il contrasto alla violenza di genere


1. Come è noto, il d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 (c.d. riforma Cartabia), intervenendo sulla l. 24 novembre 1981 n. 689, ha introdotto nell’ordinamento le nuove pene sostitutive della semilibertà sostitutiva, della detenzione domiciliare sostitutiva e del lavoro di pubblica utilità sostitutivo e ha modificato la disciplina della pena pecuniaria sostitutiva, consentendo così una anticipazione dell’adozione di misure in vario modo ‘alternative’ al carcere, in presenza di una condanna non superiore a quattro anni, attraverso l’attribuzione al giudice di cognizione di un potere in precedenza riservato al giudice della sorveglianza ai sensi dell’art. 656 c.p.p.[1].

 

2. Le nuove pene sostitutive possono trovare uno spazio di operatività – e già l’hanno trovato[2] – anche con riferimento a reati che sono manifestazione della violenza di genere[3]: il nuovo art. 59, 1° co., lett. d) della l. 689/1981 indica, infatti, come preclusive le (sole) fattispecie menzionate dall’art. 4 bis o.p., tra le quali figura la violenza sessuale, anche aggravata e di gruppo, di cui agli artt. 609 bis, 609 ter e 609 octies c.p., ma non anche quelle forme di violenza sulle donne più rilevanti nella prassi, rappresentate dai maltrattamenti contro familiari e conviventi (art. 572 c.p.) e dagli atti persecutori (art. 612 bis c.p.).

 

3. Rispetto a questi reati la riforma non prevede alcun esplicito coordinamento con le misure intraprese in precedenza per combattere la violenza di genere e, in particolare, con l’attribuzione di benefici agli autori dei reati che ne sono espressione, in cambio della partecipazione a un programma di assistenza psicologica e recupero. In questo senso si era infatti orientata la legge 69/2019 (cd. Codice rosso), nell’incentivare il ricorso a quei programmi sia dalla libertà (in vista del conseguimento della sospensione condizionale e dei suoi effetti) che dallo stato detentivo. Nel nuovo art. 13 bis o.p. si prevede che la positiva partecipazione a un “trattamento psicologico con finalità di recupero e di sostegno” sia vantaggiosa per coloro che hanno commesso, tra l’altro, i reati di cui agli artt. 572 e 612 bis c.p. e che si trovino a dover scontare in carcere la pena, non potendo l’ordine di esecuzione essere sospeso se si tratta delle (più ricorrenti) ipotesi aggravate (artt. 572, comma 2, e 612 bis, comma 3, c.p.) oppure per essere il condannato «in stato di custodia cautelare in carcere nel momento in cui la sentenza diviene definitiva» (art. 656, comma 9, lett. a) e b) c.p.p.). Similmente, un riconoscimento importante è stato assegnato alla frequenza di quei programmi ai fini della concessione della sospensione condizionale, nelle ipotesi in cui la minor gravità del reato commesso consenta di infliggere una pena detentiva non superiore a due anni. L’art. 165, comma 5, c.p. dispone che nei confronti degli autori di reati espressamente richiamati e che sono espressione della violenza di genere l’applicazione della sospensione condizionale è «subordinata alla partecipazione a specifici percorsi di recupero presso enti o associazioni che si occupano di prevenzione, assistenza psicologica e recupero di soggetti condannati per i medesimi reati».

 

4. La partecipazione a quei programmi, da parte di chi si sia reso responsabile di fatti di violenza nei confronti delle donne, viene valorizzata – sul piano del trattamento sanzionatorio – per la loro valenza culturale e rieducativa[4], sulla quale è parso al legislatore opportuno scommettere, tanto nei casi in cui la pena possa essere sospesa, quanto nell’eventualità che il condannato debba invece entrare in carcere (ipotesi che per questi reati, come si è detto, finiva col costituire pressoché la regola). Sembrerebbe dunque da escludere che nella partecipazione a quei programmi possa ravvisarsi una risposta alla ritenuta pericolosità del soggetto, che dovrebbe in realtà essere esclusa, qualora si conceda la sospensione condizionale, o essere già contenuta dallo stato detentivo del soggetto, negli altri casi. Ugualmente fuorviante sembra l’idea che la sottoposizione a quei percorsi di recupero sia stata prevista per rendere in qualche modo afflittiva la risposta al reato nei casi di concessione della sospensione condizionale della pena: una lettura che non può conciliarsi con quanto previsto anche per le pene espiate all’interno del carcere – e quindi già fortemente afflittive – e che finisce anche col travisare il tipo di intervento specifico che si mira a realizzare sugli autori di reati che sono fortemente connotati sul piano culturale.

 

5. I percorsi di assistenza e recupero ai quali il legislatore del 2019 ha fatto riferimento hanno conosciuto un importante sviluppo sia normativo che nella prassi. A norma dell’art. 165, comma 5, c.p., essi possono essere «proposti sia da soggetti istituzionali che da rappresentanti del terzo settore»[5], i quali dispongono di una molteplicità di linee guida relative al trattamento da attuare[6]. D’altra parte, la necessità di dare attuazione alle novità introdotte con il Codice Rosso ha comportato la stipula di Convenzioni tra l’Autorità Giudiziaria e le organizzazioni che operano nel settore, al fine di determinare le modalità operative, i requisiti e gli standard per garantirne una applicazione uniforme[7]. In questa stessa direzione si è poi inserita l’Intesa, raggiunta in sede di Conferenza Permanente Stato-Regioni il 14 settembre 2022, che ha regolato a livello nazionale i requisiti minimi dei Centri per uomini autori di violenza di genere (C.U.A.V.)[8], stabilendo i loro obiettivi e requisiti organizzativi, anche in ordine alla formazione del personale e alle prestazioni minime, con riferimento sia all’accesso ai programmi di recupero che alla valutazione del rischio rappresentato dal soggetto maltrattante, ai fini di tutelare la sicurezza delle vittime, a favore delle quali è disciplinata anche la procedura c.d. di “contatto-partner”[9]. Vale la pena sottolineare, a questo proposito, che l’art. 1, comma 6, dell’Intesa, nell’individuare le finalità dei percorsi di recupero in esame, specifica che essi non sono volti solo all’assunzione di responsabilità e di consapevolezza della violenza commessa, ma anche a «promuovere una riflessione critica sulla identità maschile e sull’idea di virilità e le sue interconnessioni con la violenza di genere, anche destrutturando gli stereotipi e gli atteggiamenti ostili verso le donne».

 

6. Di recente, la strada imboccata dal legislatore nel 2019 è stata confermata dalla legge 24 novembre 2023, n. 168, recante “Disposizioni per il contrasto della violenza sulle donne e della violenza domestica”, che è intervenuta, tra le altre cose, anche sull’art. 165, comma 5, c.p. stabilendo – come suggerito dalla dottrina[10] – che la partecipazione ai programmi di recupero possa considerarsi realizzata soltanto quando abbiano dato esito positivo, con la conseguenza che, in caso contrario, il beneficio della sospensione condizionale dovrà essere revocato, ai sensi dell’art. 168, comma 1 n. 1, c.p. In aggiunta, si prevede che l’Ufficio di esecuzione penale esterna (UEPE) debba svolgere un’attività di controllo e verifica della partecipazione del condannato a pena sospesa ai percorsi di recupero, comunicandone al Pubblico ministero l’esito. Infine, la nuova normativa ha parzialmente rimediato alla criticata genericità del disposto dell’art. 165, comma 5, c.p.[11], stabilendo che i programmi di recupero debbano essere frequentati con una «cadenza almeno bisettimanale» da parte degli autori di reato.

 

7. Di fronte a questo scenario, occorre chiedersi se, nonostante il silenzio del legislatore sul punto, anche in occasione della applicazione di una pena sostitutiva il giudice possa richiederne al condannato la partecipazione, analogamente a quanto disposto dall’art. 165, comma 5, c.p. 

Una risposta positiva potrebbe forse trovare fondamento nel disposto dell’art. 58 della legge 689/1981, che consente al giudice, in sede di applicazione delle pene sostitutive, di assicurare la prevenzione del pericolo di recidiva anche attraverso delle – non meglio specificate – «opportune prescrizioni». Benché la genericità di tale previsione abbia attirato le critiche della dottrina[12], essa potrebbe rivelarsi opportuna nei casi che ci interessano, consentendo di contemperare l’esigenza di fondo – propria di queste misure – di evitare gli effetti disumanizzanti della detenzione carceraria, con la necessità di contrastare la violenza domestica e di genere, attraverso la partecipazione ai percorsi di recupero e di non vanificare, senza una ragione evidente, il percorso intrapreso dal legislatore nel 2019 per rendere il più possibile effettivo il contributo che i programmi di recupero potrebbero offrire nella lotta contro la violenza di genere.

 

8. Non si può tuttavia sottacere che la conciliazione tra quelle due esigenze – e quindi il coordinamento della riforma Cartabia su questo punto, con le iniziative già intraprese per combattere contro la violenza sulle donne – necessiti di un intervento del legislatore per vincolare, con una norma ad hoc la discrezionalità giudiziale nel senso di subordinare alla frequenza e al positivo superamento di specifici programmi di recupero l’applicazione delle pene sostitutive nei confronti degli autori di quella tipologia di reati. Diverse ragioni fanno ritenere che la disciplina di cui all’art. 165, comma 5, c.p. potrebbe essere ‘esportata’ senza difficoltà dall’ambito della sospensione condizionale a quello delle pene sostitutive. In primo luogo, i percorsi di recupero si caratterizzano, come si è detto, per una spiccata finalità rieducativa, che contraddistingue anche le nuove pene sostitutive e che si può evincere sia dal loro contenuto particolarmente risocializzante che dai criteri posti dal legislatore all’art. 58 della legge 689/1981 per guidare la decisione del giudice sull’applicazione di tali sanzioni[13]. In secondo luogo, se è vero, da una parte, che la sospensione condizionale di cui all’art. 165, comma 5, c.p., prevedendo un obbligo di facere incoercibile, può essere applicata solo su richiesta, o comunque con l’assenso, dell’autore del reato di genere[14], dall’altra, anche le pene sostitutive, per diverse ragioni[15], possono essere applicate solo con l’assenso del reo, ai sensi dell’art. 545 bis c.p.p. Infine, pare opportuno sottolineare anche da un punto di vista pratico che, se la legge 168/2023 ha previsto l’intervento dell’Ufficio di esecuzione penale esterna (UEPE) nella verifica dell’effettiva partecipazione ai percorsi di recupero da parte del soggetto condannato a pena sospesa, anche il d.lgs. n. 150/2022 ha disposto, in varia misura, il coinvolgimento dell’UEPE nell’ambito della sostituzione della pena detentiva, attribuendogli anche compiti di vigilanza sulla corretta esecuzione delle pene sostitutive[16]. Un intervento legislativo di questo tipo sarebbe del resto fortemente auspicabile perché i programmi di recupero per gli autori di reati che sono manifestazione della violenza di genere, essendo volti a «potenziare la consapevolezza maschile in relazione ai temi della mascolinità nella sua impronta patriarcale e nel suo legame con la violenza»[17], sollecitano un cambiamento culturale dell’individuo e si muovono su una strada, orientata nella direzione tracciata dall’art. 27, comma 3, Cost., che vale la pena continuare a percorrere, almeno fino a quando non ne sia dimostrata l’inefficacia rispetto al raggiungimento dell’obiettivo primario, costituito, appunto, dalla rieducazione del condannato.

 

 

[1] Cfr. la Relazione illustrativa al decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, disponibile in questa Rivista, p. 186: «La riforma (…) realizza una anticipazione dell’alternativa al carcere all’esito del giudizio di cognizione».

[3] Per una dettagliata elencazione dei reati afferenti alla violenza di genere v. F. Menditto e P. Di Nicola Travaglini, Codice rosso. Il contrasto alla violenza di genere: dalle fonti sovranazionali agli strumenti applicativi. Commento alla legge 19 luglio 2019 n.69, Milano: Giuffré, 2020, pp. 19-20.

[4] Cfr. le Guidelines to develop standards for programmes working with perpetrators of domestic violence - working document, terza versione, 2018, pubblicate dalla Rete europea WWP e rinvenibili su https://www.work-with-perpetrators.eu/resources/guidelines, che a p. 5 riportano: «Programmes should incorporate a gendered perspective, i.e. an understanding of the relationships of violence with structural inequalities and power relations between men and women and with the underlying historical and social constructions of masculinity and femininity. Further, they need a critical awareness of the intersections of gender with other social locations such as nationality, race, class, age, physical or mental ability, or others. Perpetrator work explicitly integrates both the cultural and clinical approach in achieving attitudinal and behavioural change in their target group. (…). Finally, perpetrator programmes’ theoretical background should be embedded within a wider process of cultural and political change towards abolishing gender-based violence, gender hierarchies, as well as other forms of personal and structural violence and discrimination».

[5] E. Biaggioni, La nuova disciplina della sospensione condizionale della pena ex art. 165 co. 5 c.p.: prime indicazioni operative, in Osservatorio contro la violenza sulle donne, n. 4/2021, in questa Rivista, 2 novembre 2021, § 4.

[6] Per quanto riguarda gli standard internazionali si fa riferimento a quelli della Rete europea WWP, citati sub nt. 6. A livello nazionale, cfr. le Linee guida nazionali dei programmi di trattamento per uomini autori di violenza contro le donne nelle relazioni affettive, redatte dall’associazione Relive e reperibili su http://www.associazionerelive.it/ e v. anche gli strumenti messi a disposizione dall’Associazione Senzaviolenza, disponibili su https://www.senzaviolenza.it/ e citati anche da E. Biaggioni, op. ult. cit., § 4, che, peraltro, al § 8 mette in guardia dal «rischio di un “ente/associazione shopping”, alla ricerca della proposta meno onerosa per il condannato». A questo proposito, l’art. 18 della recentissima l. n. 168/2023, di cui si dirà infra, prevede che «entro sei mesi dalla data di entrata in vigore» di tale «legge, il Ministro della giustizia e l’Autorità politica delegata per le pari opportunità» devono stabilire «con proprio decreto, i criteri e le modalità per il riconoscimento e l’accreditamento degli enti e delle associazioni abilitati a organizzare percorsi di recupero destinati agli autori dei reati di violenza contro le donne e di violenza domestica e adotta[re] linee guida per lo svolgimento dell’attività dei medesimi enti e associazioni».

[7] Cfr., ad esempio, le Modalità operative per l’applicazione del disposto di cui all’art. 165 co. 5 c.p. del Tribunale Ordinario di Bologna e della Procura della Repubblica presso il Tribunale Ordinario di Bologna, 3 marzo 2021, e le Nuove modalità operative per l’applicazione del disposto di cui all’art. 165 co. 5 c.p. del Tribunale Ordinario di Bologna e della Procura della Repubblica presso il Tribunale Ordinario di Bologna, 30 luglio 2021, entrambe commentate da E. Biaggioni, op. ult. cit., § 1 ss. V. anche il decreto n. 32/2021 del Tribunale di Nola e, in particolare, l’allegato 2) recante Proposta di progetto relativo allo svolgimento dei percorsi di recupero destinati ai condannati per reati di violenza domestica e di genere ai sensi dell'art. 6, co. l, della Legge 19 luglio 2019 n. 69 e dell'art. 165, co. 5, del Regio Decreto 19 ottobre 1930 n. 1398 (Codice Penale).

[8] L’Intesa, ai sensi dell'articolo 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, tra il Governo, le regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, sui requisiti minimi dei centri per uomini autori di violenza domestica e di genere, del 14 settembre 2022, è stata pubblicata in G.U. Serie Generale n. 276 del 25 novembre 2022. All’art. 5 dell’Intesa si specifica che «si accede al C.U.A.V. anche attraverso programmi di reinserimento e recupero di soggetti condannati per reati sessuali o per maltrattamento contro familiare-convivente (partner), nelle modalità e per le finalità previste dall’art. 6, comma 1 e 2, e dell’art.17 della Legge 19 luglio 2019, n. 69, o nell’ambito di misure alternative previste dall’Ordinamento penitenziario».

[9] Ai sensi dell’art. 6 dell’Intesa, di cui alla nota precedente, si tratta di una comunicazione alla donna vittima di violenza relativamente alle «informazioni sull’accesso del suo partner o ex partner al C.U.A.V., sul contenuto e i limiti del programma da questi intrapreso, sui rischi di manipolazione che l’autore potrebbe agire nei suoi confronti e sull’eventuale interruzione anticipata del programma».

[10] Cfr. F. Menditto e P. Di Nicola Travaglini, op. ult. cit., pp. 86-87 e F. Fiorentin, Per la «condizionale» scatta il giro di vite diretto al recupero in Guida al diritto, 37, 2019, pp. 105 ss.

[11] Cfr. in proposito B. Romanelli, Reati violenti e tutela della persona offesa: una (parziale) estensione del cd. Codice rosso, in Diritto penale e processo, 11, 2021, p. 1466 e S. Mattio, Codice Rosso. Le modifiche al codice penale (Seconda parte) in Studium Iuris, 2, 2020, p. 151.

[12] Cfr. A. Abbagnano Trione, Le latitudini applicative della commisurazione e della discrezionalità nel sistema delle pene sostitutive in La Legislazione Penale, 27 dicembre 2022, p. 8. Con riferimento alla relativa norma di delega (art. 1, 17° co., lett. c), l. n. 134/2021) diversi Autori avevano suggerito – inascoltati – al legislatore delegato di specificare con maggiore chiarezza il contenuto di tali «opportune prescrizioni», tra questi v. F. Palazzo, I profili di diritto sostanziale della riforma penale in questa Rivista, 8 settembre 2021, pp. 11-12; A. Gargani, La riforma in materia di sanzioni sostitutive in La Legislazione Penale, 1, 2022, p. 77 e R. Palavera, Brevi scorci di orizzonte. Disseminazione dei contenuti di facere e occasioni di una loro sistematizzazione da parte del legislatore delegato, in attesa di pene prescrittive principali in Rivista Italiana di Diritto e Procedura Penale, 1, 2022, p. 340.

[13] Cfr. M. Donini, Efficienza e principi della legge Cartabia. Il legislatore a scuola di realismo e cultura della discrezionalità, in Politica del diritto, 4, 2021, p. 605, che afferma, in relazione alle riformate pene sostitutive, che «un concreto programma rieducativo-specialpreventivo sottrae la persona al carcere». Sul punto v. anche ex multis D. Bianchi, Il rilancio delle pene sostitutive nella legge-delega “Cartabia”: una grande occasione non priva di rischi, in questa Rivista, 21 febbraio 2022, pp. 4-6; L. Goisis, Rieducazione e sanzioni sostitutive nella recente riforma della giustizia penale in A. Menghini ed E. Mattevi (a cura di), La rieducazione oggi. Dal dettato costituzionale alla realtà del sistema penale. Atti del convegno, Trento, 21-22 gennaio 2022, Trento: Università degli Studi di Trento, 2022, p. 54 e T. Travaglia Cicirello, La riforma delle sanzioni sostitutive e le potenzialità attuabili del lavoro di pubblica utilità in La Legislazione Penale, 21 settembre 2022, pp. 5 ss.

[14] Cfr. F. Menditto e P. Di Nicola Travaglini, op. ult. cit., pp. 83-85 e E. Biaggioni, op. ult. cit., § 5.

[15] Si fa riferimento alle pene sostitutive diverse dalla pena pecuniaria. Secondo quanto riportato nella Relazione illustrativa al d.lgs. n. 150/2022, cit., p. 248, la decisione di richiedere il consenso dell’imputato all’applicazione del lavoro di pubblica utilità sostitutivo è derivata dalla necessità di rispettare l’art. 4, 2° co. CEDU che pone il divieto di lavori forzati; mentre per quanto riguarda le altre pene sostitutive “personali” si è giunti a questa soluzione perché «la mancata introduzione dell’affidamento in prova al servizio sociale nel novero delle pene sostitutive, da parte della legge delega, [avrebbe] comportato il rischio che po[tessero] determinarsi irragionevoli disparità di trattamento tra persone condannate».

[16] Per esempio, l’art. 63, 3° co., l. n. 689/1981, prevede che «il giudice incaric[hi] l’ufficio di esecuzione penale esterna (…) di verificare l’effettivo svolgimento del lavoro di pubblica utilità» e l’art. 55, 4° co., l. n. 689/1981 nell’ambito della semilibertà sostitutiva stabilisce che «l’ufficio di esecuzione penale esterna è incaricato della vigilanza e dell'assistenza del condannato in libertà». Per una ricostruzione esaustiva del coinvolgimento dell’UEPE nell’applicazione delle pene sostitutive cfr. la Circolare, 26 ottobre 2022, n. 3, del Ministero della Giustizia, Dipartimento per la Giustizia minorile e di comunità, su https://www.sistemapenale.it/pdf_contenuti/1669018947_circolare-uepe-ministero-giustizia.pdf, commentata da A. Calcaterra, UEPE: prime indicazioni operative del Ministero della Giustizia, in questa Rivista, 21 novembre 2022.

[17] Linee guida nazionali dei programmi di trattamento per uomini autori di violenza contro le donne nelle relazioni affettive dell’associazione Relive, cit., p. 2.