Il contributo riproduce, con qualche adattamento stilistico, il testo della lezione (“La motivazione rafforzata nel processo penale”) svolta dall’Autore in data 30 marzo 2023, nell’ambito del corso di Procedura penale tenuto dal prof. Francesco Peroni, presso l’Università degli Studi di Trieste. Le considerazioni qua esposte, frutto degli anni di studio dottorali, sono in gran parte già contenute in M. Cecchi, La motivazione rafforzata del provvedimento penale. Un nuovo modello logico-argomentativo di stilus curiae, Milano, 2021, passim. (spec., 437-503).
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«Una volta che il sistema sia ben definito e confezionato, esso diventa vulnerabile»[1].
La sfida da affrontare, dunque, è quella di sottoporre all’apprezzamento e, soprattutto, alla «unpleasant»[2] critica altrui le proprie considerazioni.
In questa sede, ‘il sistema ben definito e confezionato’ da prendere in esame è costituito da un istituto giuridico: la motivazione rafforzata del provvedimento. In particolare, la discussione ruoterà attorno al significato della locuzione “motivare rafforzatamente la decisione”; e si rifletterà su una sua possibile concettualizzazione.
1. Partiamo quindi dalla definizione del concetto. Che cos’è la “motivazione rafforzata”?
La ‘motivazione rafforzata’ è una formula con la quale, da un lato, si esorta alla cautela decisionale verso specifici profili giuridici e, dall’altro lato, si pretende l’elaborazione di un impianto motivazionale irrobustito rispetto a tali questioni (recte argomenti), la cui verifica si ritiene imprescindibile ai fini della legittimità del provvedimento emanato.
L’obbligo di motivare in modo rinforzato si risolve nel metodo, cioè in una scansionata e approfondita attività decisorio-argomentativa, alle volte preceduta da un’attività probatoria a essa necessariamente prodromica (es. riassunzione in appello della prova dichiarativa decisiva, nel caso di ribaltamento in condanna della pronuncia assolutoria di primo grado, prima di esprimersi nel merito in seconde cure).
La peculiare caratteristica di questa metodica di giudizio (i.e. decisione) e di giustificazione (i.e. argomentata spiegazione delle ragioni decisorie) si rinviene nel fatto che il giudice è tenuto a percorrere una serie di step o passaggi obbligati, costituiti da argomenti che concernono aspetti salienti della fattispecie in esame e che devono essere apprezzati (i.e. adattati contenutisticamente alle specificità del caso concreto) alla luce di parametri e criteri condivisi e/o consolidati, nonché intersoggettivamente verificabili.
1.1. Facciamo subito un esempio concreto. La motivazione rafforzata per disporre la custodia cautelare in carcere.
Parliamo perciò delle misure cautelari. Non ci interessa conoscere questi provvedimenti in ogni loro sfaccettatura. Ai fini di ciò che si vuol dire, ci basta osservare che se il giudice ritiene di disporre la custodia cautelare in carcere nei confronti di un soggetto, allora deve adempiere un obbligo di motivazione rafforzata. In che senso?
Dopo aver verificato la presenza delle condizioni generali di applicabilità (art. 273 c.p.p. – non ci soffermiamo sul punto, perché abbiamo detto che non ci interessa analizzare in dettaglio la materia de libertate); dopo aver riscontrato la sussistenza di almeno una delle esigenze cautelari (art. 274 c.p.p. – non ci soffermiamo nemmeno su questo profilo, perché abbiamo detto che non è rilevante adesso); dopo aver verificato questi due presupposti applicativi, id est 1) condizioni generali di applicabilità ed 2) esigenze cautelari: ecco che il giudicante deve apprezzare i criteri di scelta della misura cautelare da applicare al caso concreto – art. 275 c.p.p., e quest’ultima disposizione ci preme approfondirla un poco.
Quali sono i criteri di scelta dei quali il decisore deve tener conto? Le linee direttrici/orientative sono stabilite da tre princìpi o parametri di riferimento: la proporzionalità della misura (rispetto alla gravità del fatto-reato); l’adeguatezza della misura (rispetto all’esigenza cautelare da contenere); la gradualità della misura (nell’ottica del minor sacrificio necessario – vale a dire, il carcere come extrema ratio).
Oltre a questi tre princìpi o parametri/criteri guida, abbiamo anche un’ulteriore indicazione legislativa, che rappresenta precisamente quella tappa logico-argomentativa obbligata del ragionare giudiziale che stiamo – cioè, stavamo (visto che l’abbiamo trovata) – ricercando, per poter parlare a giusto titolo di motivazione rafforzata.
Gli articoli che vengono in gioco sono sempre l’art. 275 (co. 3 e 3-bis) c.p.p. – dedicato ai criteri di scelta, come si è appena visto) e poi l’art. 292 (co. 2, lett. c-bis) c.p.p. – dedicato all’apparato motivativo dell’ordinanza cautelare). Ai sensi di questo combinato disposto (art. 275, co. 3 e 3-bis) c.p.p. + art. 292, co. 2, lett. c-bis) c.p.p.), possiamo dire che il giudice – prima di disporre la custodia cautelare in carcere – è tenuto a compiere la seguente valutazione, di cui poi deve rendere conto in motivazione: più misure applicate cumulativamente tra loro consentono di evitare il carcere? Oppure, gli arresti domiciliari – con o senza braccialetto elettronico – sono sufficienti a soddisfare le necessità cautelari del caso concreto, così da non dover ricorrere alla custodia carceraria?
Soltanto dopo aver risposto a questi interrogativi, cioè soltanto dopo aver valutato questo duplice argomento e quindi giustificato (ossia, espresso le ragioni del)la propria decisione, il giudice può legittimamente disporre la cautela più afflittiva: la detenzione custodiale in carcere. Altrimenti, se non attraversa questa tappa obbligata del ragionare giudiziale, il provvedimento è nullo ai sensi dell’art. 292, co. 2 c.p.p.
Questo è un esempio pratico di che cosa significhi (dover) motivare rafforzatamente. Vuol dire attraversare un percorso a tappe logico-argomentative obbligate. Un percorso dove il giudice deve necessariamente, inevitabilmente valutare e poi motivare alcuni argomenti specifici, che costituiscono i tratti salienti della fattispecie che sta applicando.
1.2. Esemplifichiamo ancora.
Un altro caso di motivazione rafforzata, stavolta non di marca legislativa bensì di elaborazione giurisprudenziale e dottrinale, concerne la prova scientifica[3].
Se il giudice, davanti a due diverse ricostruzioni specialistiche prospettategli dal perito o dal consulente tecnico/dai consulenti tecnici di parte, predilige la teoria A anziché la teoria B, questa sua mera predilezione non è sufficiente perché egli possa legittimamente accogliere – ai fini della decisione che deve assumere – la teoria A invece che la teoria B. È necessario, piuttosto, che il giudice attraversi dei passaggi logico-argomentativi obbligati prima di decidere, dati in questo caso dalle tappe – oramai consolidate – che si rinvengono nei c.d. criteri Daubert[4] (di matrice americana; criteri raffinati e arricchiti dalla sentenza Cozzini e dalle successive pronunce giurisprudenziali italiane: es. Cantore, Sartori, Knox-Sollecito, Bordogna, Cappel, Pesenti, Cirocco, Beduschi, Palleschi, Bossetti, De Santis, Spallanzani, Cirocco-bis ecc.[5]). Si tratta di profili valutativi, o meglio di argomenti, che servono a discriminare la «buona» dalla «cattiva» scienza (junk science)[6]. Quali sono? Il tasso di errore della teoria scientifica; la sperimentabilità e la sottoposizione a tentativo di falsificazione della teoria scientifica; la diffusione della teoria scientifica nella comunità degli esperti; il curriculum del perito o del consulente tecnico che la sostiene; l’esistenza di cointeressenze, in capo allo specialista che se ne fa portavoce, a sostenere l’una anziché l’altra ricostruzione; ecc.
Una volta affrontati tali step obbligati, l’autorità giudiziaria potrà scegliere – causa cognita e concretizzando ciascun argomento/riempiendo ciascun argomento di contenuto sulla scorta delle peculiarità del caso di specie – quale teoria specialistica accogliere. Soltanto nell’ipotesi in cui la teoria A si riveli scientificamente – e, quindi, secondo un parametro sicuramente più obiettivo della mera preferenza personale del singolo giudice – più fondata della teoria B, allora il giudicante potrà legittimamente porla a fondamento della decisione; altrimenti, il giudice dovrà abbandonare la predilezione che inizialmente lo induceva a optare per la teoria A e, dopo la disamina compiuta, dovrà basarsi sulla teoria B, in quanto scientificamente migliore/più affidabile per un suo impiego processuale.
Di nuovo, siamo davanti a un percorso a tappe logico-argomentative obbligate che garantisce una maggiore bontà epistemologica, una migliore qualità del giudizio. Un tragitto accertativo dove il decisore deve necessariamente, inevitabilmente valutare e poi motivare alcuni argomenti specifici, che costituiscono i tratti salienti della fattispecie che sta applicando.
2. Ora proviamo a scendere più in profondità, ad addentrarci nella natura intima di questo istituto.
2.1. Quand’è che occorre una motivazione rafforzata? E qual è, in sostanza, la differenza tra questo modo – o meglio, tra questo metodo – di motivare e il normale modo/metodo con cui ordinariamente si motiva?
È necessario adempiere un onere[7] motivazionale rinforzato quando l’ordinamento intende apprestare una tutela effettiva e particolarmente stringente – al punto da scansionare il ragionare decisorio entro tappe logico-argomentative ineludibili – a una determinata situazione giuridicamente rilevante, che rischierebbe sennò di essere garantita soltanto in apparenza o, addirittura, non garantita affatto.
Se si ha riguardo alle varie ipotesi in cui occorre motivare rafforzatamente, ci si accorge che un simile sforzo di valutazione e di giustificazione è richiesto laddove si voglia dare importanza a uno specifico profilo o aspetto essenziale della fattispecie e, al contempo, se ne voglia assicurare la compiuta manifestazione pratica.
Si rafforza la trattazione di uno o più punti argomentativi della fattispecie da applicare quando ci si accorge che serve “qualcosa in più” affinché la stessa sia attuata effettivamente o pienamente. Questo ‘qualcosa in più’, che giustifica la disamina rinforzata della fattispecie, può rinvenirsi o in diritti[8], specie se di rango costituzionale, o in interessi legittimi[9] o, ancora, in aspettative prasseologiche validamente formatesi e consolidatesi[10].
Sono queste situazioni giuridicamente rilevanti che l’ordinamento può impegnarsi a tutelare (i.e. diritti, interessi legittimi, aspettative prasseologiche) ad offrire la copertura, legale o para-legale, all’obbligo di motivazione rafforzata.
Di queste situazioni giuridicamente rilevanti l’obbligo di motivazione rafforzata rappresenta uno strumento – tra gli altri strumenti immaginabili – di tutela possibile, al quale si può far ricorso nei limiti della compatibilità tra tale istituto e l’occorrenza di rilievo giuridico da garantire, da proteggere.
Questo processo affermativo della situazione giuridicamente rilevante meritevole di tutela avviene solitamente all’esito di un’evoluzione storico-sociale che il giurista – nelle vesti di legislatore, magistrato, avvocato, accademico ecc. – recepisce ed elabora, adattandola al mondo del diritto e alle sue categorie.
2.2. A costo di apparire ridondanti, conviene ripetersi per evitare equivoci. Nelle ipotesi in cui si richieda o si scelga di adottare l’obbligo di motivazione rafforzata come forma di garanzia di tali particolari situazioni giuridiche, viene a delinearsi – per certi aspetti e profili argomentativi specifici della fattispecie (i.e. quelli critici, che abbisognano di una protezione rinforzata perché celano una di queste congiunture meritevoli di tutela: diritti, interessi legittimi o aspettative prasseologiche consolidate) – uno schema di ragionamento strutturato a tappe obbligate; ad esser precisi: a tappa obbligata unica o a tappe obbligate plurime, a seconda della fattispecie. In questi casi, nella pur sempre libera selezione di tutti i vari argomenti utili da addurre a sostegno delle proprie ragioni o decisioni, non si può evitare di prendere in considerazione – inserendoli tra quelli da vagliare necessariamente – anche, e specialmente, gli argomenti relativi a questi aspetti salienti della fattispecie.
Si tratta di aspetti e profili argomentativi che possiamo definire non comuni, ma critici: cioè, particolarmente problematici. Argomenti (ineludibili), piuttosto che elementi (sia pure costitutivi), della fattispecie. Argomenti che avvincono e avvinghiano l’accertamento alle peculiarità fattuali dell’accadimento storico, perché possono essere svolti e risolti soltanto tramite le informazioni circostanziate emergenti in quello specifico caso; e non invece con ragionamenti stereotipati, generalizzati e astratti.
Proviamo a rendere più palpabile quello che stiamo dicendo. Domandiamoci ad esempio perché non sia possibile parlare di motivazione rafforzata relativamente agli artifizi o raggiri di cui all’art. 640 c.p., mentre si possa parlare di onere motivazionale rinforzato ove, per disporre la custodia cautelare in carcere, è richiesto di esplicitare le ragioni per cui non è possibile ordinare gli arresti domiciliari, con o senza braccialetto elettronico.
In entrambi i casi – si potrebbe sostenere – abbiamo delle tappe del ragionamento obbligate; per la precisione: un’unica tappa obbligata, consistente in un solo profilo saliente e ineludibile da vagliare. Nell’ipotesi del delitto di truffa, gli artifizi o raggiri; nell’ipotesi cautelare, il perché le mura domestiche non siano sufficienti come misura cautelare e si debba ordinare la restrizione in quelle carcerarie. Ebbene: nonostante sia indubbio che si tratti, in ambedue le situazioni, di punti parimenti essenziali ai fini dell’applicazione delle fattispecie in questione, sussiste quantomeno una differenza che rende una fattispecie soggetta a motivazione rafforzata e l’altra no. La seguente: nel caso degli artifizi o raggiri si è al cospetto di “elementi costitutivi” della fattispecie; nel caso della custodia in carcere si è dinanzi ad “argomenti (ineludibili)” della fattispecie. E vi è un evidente scarto logico-strutturale tra ciò che costituisce un ‘argomento’ e ciò che costituisce un ‘elemento’ della fattispecie.
Processualmente parlando, mentre dell’elemento si mira a stabilirne l’esistenza o l’inesistenza (ossia, a constatarne la presenza, o meno, nella realtà così come probatoriamente ricostruita), dell’argomento interessa valutare la validità o l’invalidità (cioè, la corrispondenza e la coerenza del ragionamento compiuto rispetto a quel tipo di accertamento; il che, di riflesso, si riflette poi anche sulla verifica dell’esistenza, o meno, dell’elemento della fattispecie, giacché è intorno ad esso e su di esso che l’argomento si esercita – ma restano aspetti differenti).
Inoltre, si può ancora rilevare che dietro alla problematica applicativa che sollevano gli artifizi o raggiri non si nasconde nulla, se non la loro constatazione materiale: non vi sono interessi, né posizioni, né diritti o altre situazioni giuridiche di rilievo, oltre – lo si ripete – alla tipicità legale di cui si fa espressione l’elemento della fattispecie, in cui totalmente si consumano gli artifizi o raggiri. Diversamente, il problema argomentativo-applicativo che pone l’alternativa tra custodia cautelare in carcere e arresti domiciliari, con o senza braccialetto elettronico, non è affatto assorbito del tutto dall’argomento in questione. Nello svolgimento di tale argomento emergono interessi giuridicamente rilevanti che stanno oltre e che restano fuori di esso (anzi, che tramite di esso cercano di acquisire/trovar spazio nel processo): interessi i quali, in questo caso specifico, richiedono un ragionamento articolato che – orientandosi specialmente sulla scorta del criterio di gradualità – spieghi apertis verbis perché, rispetto alla carcerazione, non è idonea la cautela domiciliare.
2.3. Per quanto, malgrado l’esemplificazione, la ratio che sorregge l’onere di motivazione rafforzata possa apparire teoricamente fumosa e, pertanto, difficilmente governabile/compendiabile in astratto, viceversa, a livello concreto, l’affermarsi e l’attuarsi di questo metodo motivazionale si mostra agevole e funzionale. Tant’è che al proliferare di situazioni e interessi giuridicamente rilevanti, quasi di pari passo e nei limiti della compatibilità – per tali situazioni e interessi – di essere declinati secondo la metodica de qua, proliferano “fattispecie da motivazione rafforzata”[11], cui corrispondono i relativi moduli o modelli logico-argomentativi a tappe obbligate.
In ogni caso, anche se «abbiamo molto da guadagnare se applichiamo il nostro modello in maniera non troppo rigida»[12], nondimeno bisogna fare attenzione a non allargarne eccessivamente le maglie, estendendo a dismisura – e senza un’unitaria coerenza di fondo – l’ambito operativo della motivazione rafforzata.
Il solo fatto che si assuma come importante un certo profilo o aspetto della fattispecie non è di per sé sufficiente a imporre un onere motivativo rinforzato, dovendosi comunque realizzare i presupposti di un simile impegno di giudizio e di giustificazione: a) la sussistenza, dietro a tale profilo o aspetto della fattispecie, di una situazione d’interesse giuridicamente rilevante alla quale occorre prestare tutela effettiva[13]; b) la “proceduralizzabilità” del profilo o dell’aspetto della fattispecie in questione, secondo un argomento o più argomenti di cui sia possibile la declinazione – recte la concretizzazione – alla luce di parametri e criteri condivisi e/o consolidati, nonché intersoggettivamente verificabili.
Ci si potrebbe allora chiedere perché soltanto per certe fattispecie si preveda un onere motivazionale rinforzato. E la risposta che ci pare di dover fornire è che soltanto con riferimento a determinate fattispecie (fattuali o giuridiche; di natura sostanziale o processuale) si dànno problematiche scomponibili in uno o più step logico-argomentativi, portatori di questioni problematiche da apprezzare sulla scorta di parametri e criteri condivisi e/o consolidati, nonché verificabili intersoggettivamente. In mancanza di tale occorrenza, non si ha motivazione rafforzata; e non tutte le fattispecie, evidentemente, manifestano argomenti valutabili e giustificabili in questi termini.
3. Tra i luoghi sistematici in cui, in materia penale, si è espressamente parlato – sia pure in modo disomogeneo[14] e in termini più o meno condivisibili, a fronte di quanto si è finora detto – di “motivazione rafforzata”, si possono elencare le seguenti ipotesi: i) riforma, in appello, di una sentenza di primo grado incentrata su prova dichiarativa[15]; ii) modifica in senso sfavorevole della misura cautelare, in assenza di mutamenti del materiale probatorio acquisito[16]; iii) attualità dell’esigenza cautelare[17] e applicazione della custodia in carcere come extrema ratio[18]; iv) attendibilità delle dichiarazioni (tardive) dei collaboratori di giustizia[19]; v) inidoneità del distacco temporale a incidere sull’attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa minorenne, in tema di reati sessuali[20]; vi) prova scientifica[21]; vii) in tema di reato di trasferimento fraudolento di valori[22]; viii) misure di sicurezza, laddove il giudice – in sede di patteggiamento – applichi una misura diversa da quella concordata dalle parti[23]; ix) rinvio dell’esecuzione della pena per motivi di salute[24]; x) impiego del captatore informatico[25]; xi) overruling giurisprudenziale[26]; xii) fruibilità, da parte del detenuto, del permesso o della detenzione domiciliare in surroga al differimento della pena, a seguito del parere preventivo della Direzione distrettuale antimafia[27]; xiii) nomina, da parte del Consiglio Superiore della Magistratura, dei candidati all’incarico di procuratore europeo, in difformità rispetto alle osservazioni del Ministro della giustizia[28]; xiv) prognosi di non recidiva nei confronti della madre o del padre cui sia stata revocata una misura alternativa, ai fini della concessione della detenzione domiciliare ordinaria per la cura dei minori ex art. 47-ter, co. 1 lett. a) e lett. b) ord. pen.[29]; xv) decisione algorithm based[30]; xvi) statuizione di pena vicina al massimo edittale[31]; ecc.
4. Avviamoci a concludere, con un’ultima domanda.
Quali sono le ricadute, in termini di ragionevole durata, di una simile metodica (di giudizio e di giustificazione) sull’esercizio dell’attività giurisdizionale?
È lecito domandarsi se motivare rafforzatamente rallenti, o meno, l’amministrazione della giustizia; e, in caso di risposta affermativa, se questo rallentamento debba ritenersi eccessivo e irragionevole, oppure no.
Anzitutto, considerato anche il «carico di lavoro che lo sovrasta», viene da chiedersi «dove troverà il giudice il tempo per simili elaborate motivazioni»[32], discendenti da una metodica logico-argomentativa così particolareggiata.
Secondo chi vi parla, il metodo di giudizio e di giustificazione a tappe obbligate non è un fattore di intralcio per l’esercizio dell’attività giurisdizionale. Gli step obbligati, invero, definiscono un percorso funzionale a decidere andando dritto al punto.
Passando per gli argomenti fondamentali ai fini dell’applicazione della fattispecie, la decisione si perfeziona sia in termini qualitativo-contenutistici sia in termini quantitativo-temporali. Il giudice, con il proprio libero e motivato convincimento, vaglia determinati e salienti profili argomentativi della fattispecie (fattuale o giuridica; sostanziale o processuale) in esame. Attraversando questi passaggi obbligati l’autorità giudiziaria non rallenta il proprio procedere ma, ad ogni buon conto, addirittura lo velocizza: nella misura in cui ha immediatamente dinanzi a sé le questioni argomentative dirimenti sulle quali esprimersi per risolvere quella data problematica o quelle date problematiche che la fattispecie pretende siano affrontate per la sua risoluzione.
Sebbene questa metodica non impedisca al giudice di soffermarsi su qualunque tematica egli intenda approfondire, ove ci si attenga principalmente al percorso segnato dalle tappe obbligate, il tragitto verso la meta decisionale si velocizza. L’orientamento argomentativo che gli step obbligati imprimono al giudizio e alla sua giustificazione, infatti, dà vita a una scansione ordinata del ragionamento decisorio che si fa più puntuale e immediata, in quanto tendente a evitare divagazioni e superfluità.
Peraltro, l’efficienza delle tempistiche decisionali – che questo metodo non disgiunge dalla qualità e dall’efficacia deliberative, poiché gli argomenti rinforzati garantiscono (pure) la bontà epistemologica dell’accertamento – migliora con l’abitudine d’approccio del giudice, edotto in anticipo di “dove si andrà a parare” avuto riguardo a quella determinata fattispecie giuridica da applicare.
Ancora, dato che l’obbligo di motivazione rafforzata comporta l’adozione di una tecnica risolutoria comune nell’analisi di certe problematiche argomentativo-applicative, il successivo controllo – in sede di impugnazione – della pronuncia ne esce migliorato rispetto a tali tematiche. Da un lato, risulta facilitato: perché il modo di ragionare del controllato e del controllore si allinea sulla medesima procedura valutativo-motivativa (i.e. la scansione a tappe obbligate). Dall’altro lato, appare maggiormente efficiente: perché, inquadrandosi fin da subito il nodo o i nodi della faccenda da sbrogliare, si può andare “dritto al sodo” e guadagnare così in celerità ed effettività di giudizio.
Infine, anche laddove questo metodo di giudizio e di giustificazione apparisse comunque dispendioso, malgrado riduca significativamente l’evenienza che ci si disperda in tante superfluità decisionali, una simile onerosità non dovrebbe considerarsi né eccessiva né irragionevole. Le situazioni giuridicamente rilevanti, retrostanti all’onere di motivazione rinforzata, legittimano una tale gravosità e meritano senz’altro una siffatta forma di tutela.
Più in generale, poi, se la giustizia «tardi scocca» è «per non venir sanza consiglio a l’arco»[33]; e, dal momento che vi è di mezzo la libertà personale, un eventuale rallentamento procedurale dell’iter accertativo è – secondo gli odierni princìpi di civiltà – un prezzo da pagare tranquillamente per una cosa «ch’è sì cara»[34] da non rendere immaginabile un suo sacrificio sull’altare della ragionevole durata processuale: come ci ricorda anche la Corte costituzionale[35].
[1] D. R. Hofstadter, Gödel, Escher, Bach: un’Eterna Ghirlanda Brillante. Una fuga metaforica su menti e macchine, nello spirito di Lewis Carroll (1979), (a cura di G. Trautteur), Milano, 2009, 506. Nello specifico, è la ‘solipsistica’ «capacità di autoreferenza» (508) di un sistema il carattere che, da un lato, contribuisce a irrobustirlo eppurtuttavia, dall’altro lato, ne limita le potenzialità e giunge persino a minarne le fondamenta, nella misura in cui lo rende estremamente fragile rispetto alle esternalità. E allora il nostro intento, sottoponendo la sistematica dell’istituto di cui si discute (che presenta, ci teniamo a precisare, intenzionali valvole di versatilità) a un perenne confronto, è quello di sviluppare un meccanismo non statico e morto/morente bensì dinamico e vivo, solido in sé (coerenza interna) e in grado altresì di rispondere e alle circostanze/di confarsi alle peculiarità storiche della vicenda concreta (adattabilità esterna), case by case.
[2] Cfr. L. Floridi, Notes to myself, Torrazza Piemonte, 2022, 3: «It’s the philosopher’s fault” asking “the unpleasant questions».
[3] Parla, per prima, di motivazione rafforzata con riferimento alla prova scientifica Carlotta Conti (C. Conti, Scienza controversa e processo penale: la Cassazione e il “discorso sul metodo”, in Dir. pen. proc., 2019, 848; C. Conti, Il BARD paradigma di metodo: legalizzare il convincimento senza riduzionismi aritmetici, in Dir. pen. proc., 2020, 833; C. Conti, Il “diritto delle prove scientifiche”: percorsi metodologici della giurisprudenza nell’era post Franzese, in Cass. pen., 2022, 1644; v. anche C. Conti – C. Rossi, Metodiche sperimentali e motivazione rafforzata: il processualista interroga lo scienziato, in Aa.Vv., Frodi agroalimentari: profili giuridici e prospettive di tutela, (a cura di) A. Natalini, Milano, 2018, 191).
[4] In realtà, è più corretto parlare di “trilogia Daubert-Joiner-Kumho” (Daubert v. Merrel Dow Pharmaceuticals, Inc., 509 U.S. 579, 113 S. Ct. 2786 [1993]; General Electric Co. v. Joiner, 522 U.S. 136, 146 [1997]; Kumho Tire Co., Ltd. v. Carmichael, 526 U.S. 137 [1999]). Tale trilogia sviluppa – superandolo e articolandolo – il c.d. “Frye test” (Frye v. United States, 293 F. 1013, D.C. Circ. 1923) di inizio Novecento, secondo cui la scientificità di una teoria si regge prevalentemente – per non dire: in pratica, esclusivamente – sul consenso della comunità degli esperti (criterio dell’accreditamento/general acceptance).
[5] Gli estremi delle pronunce giurisprudenziali citate sono i seguenti: Cass., Sez. IV, 17 settembre 2010, Cozzini, in Mass. Uff., n. 248943; Cass., Sez. IV, 29 gennaio 2013, Cantore, in Giust. pen., 2013, 695; Cass., Sez. IV, 13 febbraio 2015, Sartori, in Mass. Uff., n. 263435; Cass., Sez. V, 25 marzo 2015, n. 36080, Knox-Sollecito, cit.; Cass., Sez. IV, 3 novembre 2016, Bordogna, in Mass. Uff., n. 270385; Cass., Sez. IV, 3 ottobre 2017, Cappel, in Mass. Uff., n. 271943; Cass., Sez. IV, 10 novembre 2017, Pesenti, in Mass. Uff., n. 271718; Cass., Sez. IV, 16 aprile 2018, Cirocco, in Mass. Uff., n. 273096; Cass., Sez. IV, 15 maggio 2018, Beduschi, in Mass. Uff., n. 274272; Cass., Sez. I, 18 maggio 2018, n. 11897, Palleschi, in Mass. Uff., n. 276170; Cass., Sez. I, 12 ottobre 2018, Bossetti, in Mass. Uff., n. 275058-04; Cass., Sez. IV, 16 novembre 2018, De Santis, in Mass. Uff., n. 274831; Cass., Sez. IV, 13 giugno 2019, n. 45935, Spallanzani, in questa Rivista; Cass., Sez. III, 6 settembre 2021, Cirocco, inedita.
[6] Cfr. F. Caprioli, La scienza “cattiva maestra”: le insidie della prova scientifica nel processo penale, in Cass. pen., 2008, 3520.
[7] In questo lavoro impieghiamo le parole “obbligo” e “onere” (di motivazione) come sinonimi, senza quindi presupporre la distinzione esistente tra queste due nozioni, o meglio tra queste due situazioni giuridiche.
[8] Riprendiamo l’ipotesi già esposta della custodia cautelare in carcere. Se il giudice intende disporre tale misura, è necessario che egli valuti e quindi motivi esplicitamente perché non sia possibile, nella vicenda sottoposta al suo esame, rispondere alle esigenze cautelari con una misura più tenue, quale quella degli arresti domiciliari (con o senza braccialetto elettronico), oppure con più misure – sempre meno afflittive del carcere – applicate cumulativamente tra loro. Il venire in gioco della libertà personale, insieme alla presunzione di innocenza, nell’ambito di un accertamento non definitivo e anzi funzionale a quello principale porta l’ordinamento a pretendere che la lesione dei diritti del soggetto sottoposto a misura cautelare sia la più lieve possibile: proporzionata, adeguata e graduata. In una prospettiva di favor rei, s’impone all’autorità giudiziale – ove decida di ordinare la carcerazione – di motivare rafforzatamente il seguente specifico profilo argomentativo: perché la detenzione carceraria non può essere evitata applicando la restrizione domiciliare (con o senza braccialetto elettronico) oppure applicando più misure cautelari, anche in via cumulativa?
[9] Se, ad esempio, l’Amministrazione intende negare il rinnovo del porto d’armi a un cittadino a cui è stata sistematicamente rinnovata la licenza ogni volta che ha avanzato la relativa richiesta, allora è tenuta a spiegare rinforzatamente perché stavolta proceda diversamente dalle precedenti. Tale cautela decisionale e siffatta specificità argomentativo-motivazionale si impongono come forma di tutela ordinamentale dell’interesse legittimo o della legittima aspettativa (i.e. vedersi rinnovato il porto d’armi) che il cittadino vanta, in virtù della serie di rinnovi precedentemente disposti dall’autorità pubblica.
[10] Si crea una legittima aspettativa – ma sicuramente non un interesse legittimo – nel non vedersi abbattere il manufatto abusivo in mancanza di una motivazione rafforzata del provvedimento che dispone tale abbattimento, laddove la Pubblica Amministrazione, che già ieri era a conoscenza dell’esistenza dell’opera, nulla aveva detto prima d’ora al riguardo (i.e. non ne aveva inizialmente ordinato la demolizione). In questo caso, la tematica si correla alla certezza/prevedibilità del diritto: situazione giuridicamente rilevante che l’ordinamento garantisce altresì con un apposito modulo motivativo rinforzato dedicato all’overruling giurisprudenziale. A tal proposito e in via generale, infatti, se la giurisprudenza (civile, penale, amministrativa, tributaria ecc.) mantiene per anni un orientamento stabile su una certa materia, per distaccarsene – a maggior ragione, se l’orientamento è stato consolidato dagli organi giudiziari di vertice (es. Sezioni unite) – devono essere addotti decisivi argomenti di segno contrario che lo superino, essendo altrimenti ragionevole attendersi che all’indirizzo costante ci si attenga, salvo distinguishing, anche nel caso di specie.
[11] In questo lavoro impieghiamo la parola “fattispecie” per riferirci alla situazione giuridico-fattuale complessivamente intesa. Può trattarsi di una previsione di legge sostanziale o processuale, oppure di una circostanza giuridicamente rilevante di stretto diritto (quaestio iuris) o fattuale (quaestio facti). Il richiamo deve cioè intendersi esteso sino a ricomprendere ogni occorrenza – altresì relativa allo svolgersi del procedimento – che assume giuridica rilevanza nell’ambito dell’accertamento processuale (in questo caso: nell’ambito dell’accertamento processuale penale). Aggiungiamo l’attributo “da motivazione rafforzata” laddove la fattispecie sia trattabile con la metodica valutativo-giustificativa che motivare rinforzatamente comporta, sul presupposto che non ogni fattispecie è motivabile rafforzatamente.
[12] T. S. Kuhn, Poscritto (1969), in T. S. Kuhn, La struttura delle rivoluzioni scientifiche (1962), (trad. it.) A. Carugo, Torino, 2009, 146.
[13] Dal momento che l’emersione di situazioni o interessi giuridicamente rilevanti – cioè di quegli eventi/di quei fatti che stanno alla base del sorgere dell’obbligo di motivazione rafforzata – è un fenomeno carsico, esito di un processo di evoluzione storica e giuridico-sociale non preconizzabile, che fatalmente coinvolge tutti i protagonisti dell’ordinamento giuridico, alla domanda “da chi e in che modo sono stabilite le tappe obbligate che caratterizzano l’obbligo motivazionale rinforzato?” si può rispondere dicendo che tale opera è il frutto ora del legislatore, ora della giurisprudenza (nonché delle parti processuali) e ora della dottrina e dei giuristi in genere.
[14] La disomogeneità alla quale si fa riferimento è, da un lato, una disomogeneità fisiologica, giacché dipende dalla varietà di ipotesi in cui si richiama l’espressione “motivazione rafforzata” e si impiega poi effettivamente la metodica di giudizio e di giustificazione che tale onere motivazionale comporta: circostanza, questa, che dimostra l’ampia diffusione dell’istituto. Dall’altro lato, tale disomogeneità presenta nondimeno tratti patologici, laddove – in mancanza di una ricostruzione unitaria che renda consapevoli della natura (an, quid, quando, quomodo e ratio) dell’obbligo valutativo-motivativo rinforzato e che, quindi, guidi/assista il decisore nella sua corretta applicazione – si utilizza la formula de qua in modo improprio, ad esempio affermando di star motivando rafforzatamente quando invece di tale metodica decisorio-giustificativa non si vede neanche l’ombra.
[15] Sul punto, la giurisprudenza è copiosa. Il refrain motivazionale è quello illustrato dalle Sezioni unite nelle pronunce Andreotti (Cass., Sez. un., 24 novembre 2003, n. 45276, Andreotti, in Cass. pen., 2004, 811) e Mannino (Cass., Sez. un., 12 luglio 2005, n. 33748, Mannino, in Mass. Uff. n. 231679), le quali si sono comunque inserite in un contesto largamente bell’e arato negli anni Novanta del Novecento (cfr. Cfr. Cass., Sez. I, 9 febbraio 1990, n. 4333, in Mass. Uff. n. 183848; Cass., Sez. un., 4 febbraio 1992, n. 6682, Musumeci, in Mass. Uff. n. 191229; Cass., Sez. I, 16 dicembre 1994, n. 1381, in Mass. Uff. n. 201487; Cass., Sez. I, 27 giugno 1995, n. 8009, in Mass. Uff. n. 202280; Cass., Sez. II, 12 dicembre 2002, Contrada, in Mass. Uff. n. 225564; Cass., Sez. IV, 29 novembre 2004, Marchiorello, in Mass. Uff. n. 231136; Cass., Sez. VI, 20 aprile 2005, Aglieri, in Mass. Uff. n. 233083. In dottrina, V. Aiuti, Il ribaltamento della condanna in appello, in Cass. pen., 2013, 4063 individua la genesi del fenomeno addirittura a partire dalla giurisprudenza degli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso, di cui riporta le seguenti pronunce: Cass., Sez. V, 21 giugno 1974, n. 8218, in Mass. Uff. n. 128422 (ove si parla di un obbligo di confutazione degli «argomenti più rilevanti della sentenza di primo grado», a pena di nullità della sentenza d’appello per difetto di motivazione); Cass., Sez. VI, 16 marzo 1982, n. 7716, in Mass. Uff. n. 158485; Cass., Sez. I, 25 ottobre 1983, n. 617, in Mass. Uff. n. 162267. Da ultimo, v. Cass., Sez. VI., 30 settembre 2024, n. 36432, inedita*.
[16] Cass., Sez. I, 27 gennaio 2016, n. 16029, in Mass. Uff. n. 266622; Cass., Sez. VI, 8 febbraio 2017, n. 17581, in Mass. Uff. n. 269827.
[17] Secondo G. Amato, Tutela rafforzata anche con il canone dell’attualità, in Guida dir., 2015, 22, «la necessità di uno specifico apprezzamento in punto di “attualità” [del pericolo ex art. 274, co. 2, lett. b) o lett. c) c.p.p.] impone una “motivazione rafforzata”, per giustificare positivamente l’esigenza di cautela, in caso di fatto risalente nel tempo».
[18] Si veda la Circolare n. 6 del 27 aprile 2015 della procura della Repubblica di Torino.
[19] Cfr. C. Conti, Il volto attuale dell’inutilizzabilità: derive sostanzialistiche e bussola della legalità, in Dir. pen. proc., 2010, 784 e 794 (ove si richiama – in giurisprudenza – Cass., Sez. I, 20 febbraio 2009, Esposito, in Mass. Uff. n. 24845 e – in dottrina – R. A. Ruggiero, Dichiarazioni tardive dei collaboratori di giustizia e surplus di motivazionale del giudice: un inedito rapporto, in Cass. pen., 2009, 4755).
[20] Cass., Sez. III, 14 maggio 2015, n. 30865, in Mass. Uff. n. 264248, ove si puntualizza che il rafforzamento motivazionale si manifesta «in particolare precisando se non siano intervenuti fattori esterni di “disturbo”, o se questi, ove intervenuti, non si siano comunque dimostrati in grado di alterare il corretto ricordo dei fatti». In materia, v. M. C. Amoroso, L’utilizzabilità delle dichiarazioni del minore vittima di abusi sessuali rese in sede di incidente probatorio in caso di ribaltamento in appello della sentenza assolutoria di primo grado, in Cass. pen., 2019, 1179.
[21] V. supra, nt. 4. Sul punto, v. altresì: D. Canale, Il disaccordo tra gli esperti nel processo penale: profili epistemologici e valutazione del giudice, in Dir. pen. cont., 2020, 2, 118; F. Cerqua, L’acquisizione della prova tecnica per l’accertamento delle fattispecie penali-fallimentari, in Le Società, 2020, 1288; C. Conti, La prova scientifica alle soglie dei vent’anni dalla sentenza Franzese: vette e vertigini in epoca di pandemia, in questa Rivista, 9 febbraio 2021; C. Conti – C. Bonzano, Scienza ed epistemologia giudiziaria verso l’affermazione di nuovi paradigmi, in Aa.Vv., Scienza, diritto e processo penale nell’era del rischio, (a cura di) A. Amato – G. Flora – C. Valbonesi, 2019, Torino, 15. Sul versante civilistico, in Cass. civ., Sez. II, 23 maggio 2019, n. 14097, inedita leggiamo che, «solo laddove le parti abbiano specificamente contestato l’operato del C.T.U. e le risultanze della sua relazione, il giudice è tenuto a fornire una motivazione rafforzata circa le ragioni della propria scelta».
[22] Cass., Sez. I, 19 dicembre 2014, n. 49970, B., in Mass. Uff. n. 265408.
[23] G. Camera, Patteggiamento, un accordo più forte sulle confische, in Il Sole 24 Ore, 26 ottobre 2020: «Con la sentenza 21368 [del 2020: Cass., Sez. un., 26 settembre 2019, n. 21368], la Corte ha spiegato che le misure di sicurezza personali e patrimoniali – tra cui rientra la confisca del prezzo, del profitto e del prodotto del reato, che caratterizza praticamente tutti i reati a connotazione economica – possono essere oggetto di accordo tra accusa e difesa, che però non vincola il giudice: se egli lo ratifica, continua la Corte, può farlo con motivazione sintetica; se invece applica una misura diversa da quella concordata dalle parti, ha un onere di motivazione rafforzato».
[24] Cass., Sez. I, 24 maggio 2018, n. 23354, in Quot. giur., 7 giugno 2018, la quale precisa che è necessario un «obbligo di motivazione particolarmente rafforzato» nel caso in cui il giudice intenda «discostarsi totalmente dalle conclusioni delle relazioni sanitarie e/o delle consulenze tecniche di parte acquisite».
[25] Sul tema: L. Giordano, Dopo le Sezioni unite sul “captatore informatico”: avanzano nuove questioni, ritorna il tema della funzione di garanzia del decreto autorizzativo, in www.penalecontemporaneo.it, 20 marzo 2017; M. Griffo, Sono inutilizzabili i dati intercettati a mezzo di captatore informatico al di fuori dei luoghi consentiti, in questa Rivista, 2020, 10, 132; E. Pilla, Provvedimenti e motivazione, in Aa.Vv., L’intercettazione di comunicazioni, (a cura di) T. Bene, Bari, 2018, 121; D. Pretti, Prime riflessioni a margine della nuova disciplina sulle intercettazioni, in Dir. pen. cont., 2018, 1, 219; A. Procaccino – W. Nocerino, Le nuove investigazioni nei reati corruttivi informatici, in Dir. pen. proc., 2020, 1630 e 1631; L. Suraci, La disciplina del captatore informatico. Nota breve al d.m. 20 aprile 2018, in Quot. giur., 25 luglio 2018; M. Torre, Il captatore informatico. Nuove tecnologie investigative e rispetto delle regole processuali, Milano, 2017, 25; Ufficio del Massimario e del Ruolo della Corte Suprema di Cassazione, Relazione su novità normativa, 23 marzo 2020.
[26] Cass., Sez. un., 17 febbraio 2017, n. 7697, Amato, in Quot. giur., 22 febbraio 2017: «Una sentenza la quale determini un overruling, per avere effettivamente tale ambizione e per poter incidere sulle valutazioni interpretative del giudice di merito, deve avere il carattere della consapevolezza dell’intenzione del mutamento della giurisprudenza e deve essere sostenuta da un tessuto argomentativo della motivazione rafforzato rispetto al precedente e caratterizzato da esaustiva persuasività»).
[27] F. Fiorentin, Sui profili di pericolosità del reo necessario un identikit definito, in Guida dir., 2020, 22, 59; G. Quarticelli, Ergastolo ostativo. La Consulta ha giurisdizionalizzato la materia, non liberato i mafiosi, in www.lanotiziaweb.it, 19 novembre 2019.
[28] A. Cisterna, Nomine, pochi vincoli e conflitti: la difficile collocazione dell’Eppo, in Guida dir., 2021, 8, 80-81 e 85.
[29] A. M. Capitta, Revoca della misura alternativa e detenzione domiciliare per la cura dei minori: la Consulta rimuove l’automatismo ma continua a imporre la regola di giudizio, in Arch. pen., 2019, 2, 6-7.
[30] V. Manes, L’oracolo algoritmico e la giustizia penale: al bivio tra tecnologia e tecnocrazia, in www.discrimen.it, 15 maggio 2020, 21. Analogamente, E. Nagni, Artificial intelligence, l’innovativo rapporto di (in)compatibilità fra machina sapiens e processo penale, in questa Rivista, 2021, 7, 28-30.
[31] Cass., Sez. V, 13 dicembre 2019, n. 2727, in Mass. Uff. n. 278557 («L’obbligo di una motivazione rafforzata sussiste solo allorché la pena si discosti significativamente dal minimo edittale, mentre, nel caso in cui venga irrogata una sanzione al di sotto della media, è sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all’art. 133 c.p. (Cass., Sez. IV, 5 novembre 2015, n. 46412, Scaramozzino, in Mass. Uff. n. 265283; Cass., Sez. II, 8 maggio 2013, n. 28852, Taurasi e altri, in Mass. Uff. n. 256464; Cass., Sez. IV, 20 marzo 2013, n. 21294, Serratore, in Mass. Uff. n. 256197; Cass., Sez. II, 26 giugno 2009, n. 36245, Denaro, in Mass. Uff. n. 245596)»); Cass., Sez. V, 28 ottobre 2019, n. 49239, inedita; cfr. Cass., Sez. V, 3 maggio 2018, n. 40084, inedita; Cass., Sez. III, 11 maggio 2015, n. 19334, in Quot. giur., 18 maggio 2015. In dottrina: A. Ubaldi, Pena inflitta vicina al massimo edittale: motivazione rafforzata, in D&G, 2018, 155, 10.
[32] F. M. Iacoviello, La Cassazione penale. Fatto, diritto e motivazione, Milano, 2013, 315.
[33] A. Dante, (Divina) Commedia, Purgatorio, VI, 130-131.
[34] A. Dante, (Divina) Commedia, Purgatorio, I, 71.
[35] Possiamo riprendere ad esempio le parole di C. cost., sent. n. 111/2022, secondo cui «un processo “non giusto”, perché carente sotto il profilo delle garanzie [e noi abbiamo detto essere una garanzia, ove è da applicarsi, la motivazione rafforzata], non è conforme al modello costituzionale, quale che sia la sua durata».