Cass. Sez. II, 14 febbraio 2024 (dep. 28 febbraio 2024), n. 8794, Pres. Petruzzellis, rel. Pardo
1. Premesse. Nell’impossibilità di modificare le pene principali e con l’obiettivo di realizzare un sistema che garantisca una maggiore parametrazione della risposta sanzionatoria alle caratteristiche soggettive del reo, il legislatore è intervenuto sul sistema punitivo, delineando ex novo il regime sostitutivo. Questa modifica si inserisce nell’ambito di una progressiva accentuazione del principio di personalizzazione punitiva, in linea come un’oramai tralatizia concezione della sanzione come progetto sul reo[1]. Del resto, in un tale contesto, le pene sostitutive si potrebbero rivelare un nuovo ed eccezionale congegno giudiziale per calmierare storture e guasti dell’ordinamento.
Ebbene, all’interno di un sistema sanzionatorio permanentemente in fieri, la Corte di cassazione ha già avuto occasione di pronunciarsi sulle neonate pene sostitutive delle sanzioni detentive brevi[2], delineando i principi e i limiti del nuovo sistema punitivo. A fronte di tale giurisprudenza, la decisione in commento appare particolarmente rilevante sia perché specifica gli obiettivi della riforma Cartabia, sia perché individua i termini della nuova discrezionalità giudiziale, evitando che le valutazioni di dosimetria sanzionatoria vengano illogicamente contradette nel segmento sostitutivo.
Per comprendere le ragioni della decisione può essere utile ripercorrere le linee di intervento della novella, che, com’è noto – con lo scopo di ridurre l’irrogazione delle pene detentive di breve durata e di stimolare l’individualizzazione della sanzione penale – ha profondamente riformato la struttura sanzionatoria[3].
Il legislatore, infatti, tramite il raddoppio del range di sostituibilità e l’incremento del novero delle sanzioni sostituibili ha tentato di ripristinare il ricorso al carcere come extrema ratio, relegando la detenzione ad opzione residuale per condanne fino a quattro anni di reclusione. In particolare, il D.lgs. 150/2022, collocandosi nel solco già segnato dalla Legge sull’Ordinamento Penitenziario del 1975, ha concretizzato diffuse analisi critiche rispetto ai sistemi punitivi occidentali, dove, a partire dagli anni Settanta, si sono intrapresi ambiziosi processi di riforma tesi a superare l’assioma per cui a condanna penale doveva sempre conseguire una sanzione detentiva[4].
Nel caso in esame, la Corte di legittimità è intervenuta specificando, da una parte, l’humus culturale da cui la riforma discende e, dall’altra, i limiti che il sistema pone alla nuova discrezionalità giudiziale. In particolare, la Corte di cassazione ha colto l’occasione per delineare i principi funditus dell’intervento novellistico e per specificare il peso che le pregresse condanne possono rivestire nella valutazione di sostituibilità.
2. La pronuncia. Nel caso in esame, i giudici della Suprema Corte sono stati chiamati a pronunciarsi sulla legittimità della sentenza con cui la Corte d’Appello di Torino ha confermato, per un’ipotesi di ricettazione, una pena a tre mesi di reclusione ed euro trecento di multa. Il giudice dell’appello, infatti, ribadendo la responsabilità ex art. 648 comma 4 c.p., ha ritenuto fondata la ricostruzione dalla Procura secondo cui l’imputato aveva consapevolmente rivenduto, per la modica cifra di cinquanta euro, sette modellini giocattolo provenienti da precedente furto. Nella pronuncia d’appello si era, infatti, ritenuta provata l’imputazione per dolo eventuale, dato il riconoscimento dei modellini di plastica da parte dell’originario proprietario e data l’assenza di una ricostruzione contraria da parte della difesa dell’imputato[5].
Ora, la rilevanza della pronuncia emerge con evidenza nella parte in cui procede ad individuare il trattamento sanzionatorio. Poiché il giudice, ancorandosi ai precedenti penali a carico dell’imputato, ha scelto di negare progressivamente all’autore l’accesso ad ogni istituto atto a evitare una pena detentiva, concependo, quindi, la reclusione come unica soluzione punitiva. Più precisamente, i giudici dell’appello, a causa delle condanne riportate dell’imputato, non solo non hanno concesso l’applicazione dell’articolo 131-bis c.p., ma, per il medesimo motivo, hanno impedito il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e della sospensione condizionale della pena, rigettando anche le richieste di applicazione delle sanzioni sostitutive. Icasticamente il collegio ha affermato come «dal contenuto del casellario giudiziale si evinca chiaramente che le precedenti esperienze giudiziarie e i periodi di carcerazione sofferti non [abbiano] sortito alcuna efficacia dissuasiva, per cui deve ritenersi inadeguata sotto il profilo sia rieducativo che special-preventivo ogni pena diversa da quella della reclusione».
Di conseguenza, avverso tale decisione la difesa dell’imputato ha presentato ricorso per cassazione, eccependo, tra gli altri motivi, proprio un’errata applicazione della disciplina delle pene sostitutive delle pene detentive brevi ex artt. 53-58 L. 689/1981, così come riformulati dal D.lgs. 150/2022. Segnatamente nella pronuncia veniva riscontrato, oltre a un difetto di motivazione, una violazione della legge penale e della legge processuale penale, poiché il giudice, nonostante la pena inflitta rispettasse i presupposti edittali e fosse stata correttamente presentata richiesta per la sanzione sostitutive, aveva escluso qualsiasi alternativa alla detenzione carceraria.
In via preliminare, quindi, il Supremo Collegio ha colto l’occasione per illustrare il nuovo paradigma punitivo e come esso chiami il giudice della cognizione ad un quid pluris, utile a rinvigorire il finalismo rieducativo e a individualizzare il trattamento sanzionatorio fin dalle primissime fasi esecutive. La sentenza sottolinea come la sostituzione imponga all’interprete un «compito ulteriore e nuovo rispetto agli schemi classici della commisurazione e applicazione della pena principale, ossia [di] valutare se non vi siano modelli sanzionatori, sostitutivi della pena detentiva, che contribuiscano in modo più adeguato alla rieducazione del condannato». Tale inedita valutazione, chiarisce la Corte, si è sostanziata inevitabilmente con un’espansione del potere di valutazione discrezionale attribuito al giudice della cognizione, potere che, concordemente con quanto affermato in letteratura[6], diviene di «particolare rilevanza» al fine di combinare «l’esigenza di tipo individualistico, incarnata nell’idea specialpreventiva, con la necessità di tener conto, in sede di conversione della pena, anche dell’esigenza di difesa sociale»[7].
La Corte di cassazione, pertanto, da una parte ha ammesso l’allargamento delle maglie della discrezionalità, ma, dall’altra, ne ha individuato i limiti, riscontrando negli articoli 53, 58 e 59 della legge 689 del 1981 il perimetro normativo entro cui l’interprete è chiamato a svolgere il proprio prognostico giudizio di sostituibilità. La Corte ha osservato come l’articolo 53 abbia il compito di introdurre il potere, conferendo al giudice la possibilità di attingere, per pene detentive fino a quattro anni, ad un sistema sostitutivo piramidale[8]. In secondo luogo, come l’articolo 58 abbia l’obiettivo di definire i parametri, legando il giudizio di sostituibilità ai criteri dell’articolo 133 c.p. e legittimando, dunque, l’uso di pene sostitutive nel caso in cui esse risultino più idonee alla rieducazione, fatto salvo il fondato motivo per ritenere che pene così riformulate non verranno adempiute. Infine, come l’articolo 59 elenchi le condizioni soggettive di esclusione dalla sostituibilità, ossia: la commissione del reato per cui si procede entro tre anni dalla revoca della sanzione sostitutiva o durante l’esecuzione della stessa, l’essere sottoposti a misura di sicurezza personale, ovvero l’aver subito una condanna per un reato ostativo. Tramite tale inquadramento, la Cassazione giunge, quindi, ad un primo e rilevante approdo, ossia a negare valenza preclusiva al precedente, stabilendo espressamente che le «precedenti condanne a carico dell'imputato non po[ssano] essere ritenute ex se elemento ostativo alla concessione delle pene sostitutive». Infatti, solo le condizioni previste all’articolo 58, ossia il pericolo di commissione di ulteriori reati e il fondato motivo di ritenere che le prescrizioni imposte non saranno adempiute, possono, secondo la pronuncia in commento, precludere la sostituzione ad un soggetto che possiede i requisiti soggettivi elencati all’articolo 59. La sentenza, dunque, ancora prima di entrare nel merito della vicenda, fissa il punto di fuga della riforma, definendone la ratio e sottolineando come essa non possa declinarsi unicamente come strumento deflattivo.
Su questo punto si articola il secondo rilievo contenuto nella pronuncia in commento, dacché, una volta chiarito che le nuove pene sostitutive richiedono al giudice di compiere due distinti giudizi – prima sulla pena principale, poi sulla possibile applicazione di una sanzione sostitutiva – la Cassazione annulla la sentenza d’appello proprio per una profonda discrasia tra il prodotto del primo livello di discrezionalità e il secondo. Infatti, dopo aver ricostruito l’obbligo gravante sul giudice del merito, la Cassazione ha riscontrato una violazione dei nuovi articoli 53-58 della L. 689/1981, in quanto il giudice, nonostante l’ancoraggio della sanzione ai minimi edittali data la scarsa entità del dolo e la limitata gravità dei fatti, ha irrazionalmente negato l'applicazione di qualsiasi sanzione prevista all'art. 20-bis c.p., affermando che «ove il giudice della condanna, nell'ambito della forbice edittale della pena, abbia determinato la sanzione nei termini edittali minimi o, comunque, in termini prossimi ai suddetti minimi, valutando la scarsa entità del dolo ovvero la limitata gravità dei fatti, la pronuncia che neghi l'applicazione di una delle pene previste dall'art. 20-bis c.p. sulla base di una affermata elevata pericolosità dell'imputato appare affetta da insanabile contraddittorietà».
3. I limiti alla discrezionalità del giudice della sostituzione. La pronuncia, tramite un ineccepibile percorso argomentativo, ha formulato una serie di rilievi che chiariscano poteri e meccanismi delle sanzioni sostitutive.
In primis, la Cassazione ha evidenziato come la sostituzione per un reato di scarsa gravità non possa risultare automaticamente impedita dai precedenti a carico dell’imputato, soprattutto quando questi siano già stati oggetto di un percorso rieducativo. Il rinvio che l’articolo 58 della L. 689 del 1981 fa all’articolo 133 c.p. deve essere letto, infatti, in stretta connessione con il successivo articolo 59 e, di conseguenza, limitatamente al fatto in esame, non potendo surrettiziamente introdurre un ulteriore limite a carattere preclusivo. Pertanto, il pregresso, pur venendo valutato, non potrà fondare da solo una prognosi negativa di sostituibilità, la quale, semmai, dovrà essere riscontrata tramite un ventaglio di ulteriori indici. Viene respinto, quindi, un approccio puramente retrospettivo e viene sottolineata l’importanza di una puntuale diagnosi sul reo tesa a individuare un corretto e personale percorso rieducativo[9]. D’altro canto, parametrare la riuscita della detenzione esclusivamente sulla sua idoneità a dissuadere o meno il reo dalla commissione di nuovi reati significa, da una parte, non tener conto dei concreti effetti della reclusione[10], dall’altra, avvicinarsi a concezioni punitive special preventive di senso negativo[11].
Il ragionamento seguito dalla Corte risulta condivisibile perché garantisce ergonomia alle pene sostitutive, ossia le adatta alle necessita del singolo e del sistema punitivo. Se si legittimasse l’approccio opposto, secondo cui il carcere rappresenta l’unica soluzione punitiva per chi ha già subito una condanna, si cadrebbe in una evidente aporia dove gran parte della popolazione criminale rimarrebbe inevitabilmente esclusa dal sistema sostitutivo. Infatti, negando al recidivo l’accesso alla sostituzione verrebbe irreparabilmente compromesso l’obiettivo deflativo, cioè la possibilità di ridurre con le nuove sanzioni, la pressione che contraddistingue i penitenziari italiani[12]. Il precedente, quindi, non potrà ostacolare l’accesso alle pene sostitutive non soltanto perché le nuove misure garantiscono una valutazione più personalizzata al reo, ma anche perché si rivelano uno strumento idoneo a decongestionare il penitenziario e, quindi, a evitare reiterazioni della condanna in sede europea per violazione dell’articolo 3 CEDU[13]. D’altronde, l’urgenza di quest’implementazione era già stata a suo tempo riscontrata dal Garante Nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, il quale, a fronte di un’emergenza umanitaria come quella dei suicidi in carcere, aveva richiesto un’attivazione senza rinvii delle sanzioni sostitutive[14].
La pronuncia, quindi, evidenzia la necessità di distinguere due diversi livelli di penalità. Una penalità ad alta intensità incardinata su una sanzione prevalentemente carceraria e una penalità a bassa intensità, «nella quale è possibile un’espiazione integralmente extra-carceraria»[15], realizzabile, appunto, tramite le sanzioni sostitutive[16].
Secondariamente, la Corte ha chiarito il rapporto che deve sussistere tra la valutazione sulla pena principale e quella sulla sostituibilità, impedendo al giudice di utilizzare due pesi e due misure per compiere un medesimo apprezzamento. Infatti, se è vero che l’obiettivo dei due giudizi è diverso, segnatamente la determinazione della pena principale nell’uno e l’attivazione del meccanismo sostitutivo nell’altro, è altrettanto vero che i criteri di valutazione appaiono identici. Di conseguenza, la scarsa gravità del reato e della capacità a delinquere ex art. 133 c.p. non potrà scomparire nel giudizio sostitutivo, come avvenuto nel caso di specie, ove l’erogazione di una pena ridotta e prossima ai minimi assoluti – tre mesi di reclusione in una forbice edittale compresa tra quindici giorni e sei anni – ha comunque impedito qualsiasi valutazione positiva di sostituibilità.
La Corte di cassazione si pone, quindi, in continuità con il principio di proporzionalità, inteso come diritto fondamentale, ossia come limite costituzionale alla discrezionalità del legislatore[17]. Se la proporzionalità è un rapporto razionale tra fatto e sanzione[18], il percorso argomentativo della Cassazione ottiene un’ulteriore convalida. Infatti, la pena irrogata dalla Corte d’Appello di Torino appariva sproporzionata in quanto aggravata non da un elemento fattuale, ma da un precedente che, senza influenzare la valutazione dosimetrica non configurandosi come recidiva (il Tribunale di Verbania aveva escluso la sussistenza della recidiva infraquinquennale), determinava in senso peggiorativo il trattamento concretamente inflitto.
Di conseguenza, la sentenza evidenziava criticità non soltanto rispetto agli scopi della riforma Cartabia, ma anche nei confronti dei limiti costituzionali che impongono una razionale parametrazione del trattamento al fatto. Le conclusioni a cui giunge il giudice della legittimità permettono, dunque, di profilare con maggiore precisione i limiti della discrezionalità giudiziale, la quale deve necessariamente seguire un percorso razionale e non può contraddirsi tra una fase e l’altra, specialmente all’interno di un sistema bifasico ove la seconda fase consiste in una successiva udienza e non in un rinvio ad uno specifico tribunale[19].
In merito a quest’ultima questione bisogna, tuttavia, analizzare criticamente quanto affermato dalla Cassazione[20]. I giudici della legittimità, conformemente alla lettera della riforma e ad alcune posizioni in dottrina[21], precisano che sia «di gran lunga preferibile che sia il giudice della cognizione - il quale meglio conosce il profilo dell'imputato - a stabilire le modalità con cui la pena dovrà essere eseguita [e quindi sostituita], piuttosto che la magistratura di sorveglianza, che si basa su un'asettica valutazione cartolare».
Invero, la questione appare più complessa, poiché la “migliore conoscenza” data dal dibattimento può comportare effetti inversi rispetto a quelli prospettati dal legislatore e dalla giurisprudenza. In un sistema ove i giudici soventemente cadono in illusioni cognitive frutto di ragionamenti fast and frugal[22] – indotti anche dalla mole di lavoro –, appare affrettato affermare che il giudice della cognizione risulti capace di compiere una valutazione più obiettiva rispetto a quella a cui potrebbe giungere il tribunale di sorveglianza[23].
Gli interpreti, infatti, a causa dei bias che tipicamente colpiscono il ragionamento umano, possono facilmente cadere in visioni “a tunnel”, ossia in processi di pensiero irrazionali e inconsapevoli, dove le informazioni vengono sistematicamente filtrate e rilette col fine di avvalorare una preliminare impressione[24]. Pertanto, la completa conoscenza del fatto e di tutti gli elementi emersi durante la fase di accertamento non può rappresentare un così sicuro baluardo di razionalità. Se, come giustamente osservato dalla Cassazione nella pronuncia in commento, l’analisi circa il concreto pericolo di violazione delle condizioni imposte non può esaurirsi nella valutazione del precedente, risulta cruciale procedere con cautela e comprendere che il precedente può rivelarsi subdolo, capace di suggestionare indirettamente anche i ragionamenti più accorti. D’altronde, lo stesso modello anglosassone, matrice ideologica del procedimento ex 545-bis c.p.p., ha tentato di limitare l’influenza che il pregresso comportamento criminoso può produrre sulle valutazioni giudiziali. Il sentencing, infatti, al fine di evitare nocive influenze, permette l’acquisizione delle informazioni sui precedenti solamente una volta accertata la responsabilità penale[25].
Per meglio garantire un’analisi del reo utile a personalizzare la sanzione pur nel rispetto del principio di proporzionalità[26], risulterebbe opportuno, quindi, delegare la sostituzione – ma idealmente anche tutta la valutazione punitiva – al tribunale di sorveglianza[27]. Tale trasferimento, da una parte, collocherebbe la decisione sulla pena in prossimità della sua effettiva esecuzione; dall’altra, salvaguarderebbe il giudice dai condizionamenti psicologici. Inoltre, la composizione mista di tale collegio, che è formato sia da giudici togati che da esperti laici, permetterebbe di evitare una serie di bias, garantendo così una valutazione più razionale[28].
4. Plurime valutazioni discrezionali a confronto. Nonostante la sentenza in commento fornisca preliminari chiarimenti sulla discrezionalità giudiziale, essa si iscrive in sistema sanzionatorio caratterizzato da plurime valutazioni di difficile coordinamento.
Di conseguenza, un altro nodo critico rinvenibile a seguito della riforma Cartabia, riguarda il rapporto tra la valutazione di sospendibilità e quella di sostituibilità, ove, in passato, la giurisprudenza era più volte intervenuta senza però dare linearità al processo di individualizzazione della sanzione, ma, anzi, incrementando il disorientamento[29]. Sebbene la questione appaia meno rilevante rispetto al sistema previgente, dacché le due aree non sono più sovrapponibili e, per chiara indicazione legislativa, le pene sostitutive non possono più essere sospese, sono comunque rinvenibili sovrapposizioni tra le due misure, soprattutto per l’evidente omologazione delle rispettive condizioni di concessione.
Il legislatore, infatti, con l’obiettivo di privilegiare soluzioni sanzionatorie non punitive per reati di scarso allarme sociale – come quelli sanzionati con la reclusione non superiore a due anni – ha imposto al giudice della cognizione di valutare preliminarmente la possibilità di sospendere la pena. Un tale primato, esaurendosi sugli stessi criteri guida della sostituzione, si rivela, tuttavia, foriero di squilibri tra le due soluzioni, tanto da rischiare di sterilizzare la riforma.
Da una parte, infatti, l’articolo 164 c.p. stabilisce che la sospensione condizionale della pena è ammessa, quando, avuto riguardo alle circostanze indicate nell'articolo 133 c.p., il giudice presume che il colpevole si asterrà dal commettere ulteriori reati; dall’altra, l’art. 58 L. 689/1981 chiarisce che, «tenuto conto dei criteri indicati nell'articolo 133 del codice penale», il giudice dispone le pene sostitutive se «assicurano la prevenzione del pericolo di commissione di altri reati».
Ebbene, la valutazione negativa in ordine ai presupposti soggettivi di applicabilità della sospensione condizionale risulterebbe, quindi, destinata a produrre – quasi automaticamente – una valutazione negativa in ordine alla sostituibilità della pena, poiché l’inidoneità alla misura sospensiva comporterà anche l’inidoneità del trattamento sanzionatorio sostitutivo[30].
In assenza, quindi, di un dato normativo che specifichi in che termini una valutazione negativa ai sensi dell’art. 164 c.p. possa comunque comportare una valutazione positiva ai sensi dell’art. 58 L. 689/1981, è auspicabile un pronunciamento della Cassazione idoneo a specificare il livello di gravità del reato e il grado di capacità a delinquere che, negando la sospensione, possa comunque ammettere la sostituibilità della pena, poiché i requisiti per soluzioni non punitive non possono negare automaticamente soluzioni punitive ma meno afflittive rispetto alla pena detentiva.
Una soluzione potrebbe comunque essere offerta dalle integrazioni che, in sede di sostituzione, il giudice può richiedere all’UEPE e alla polizia giudiziaria. Infatti, ai sensi del comma 2 dell’articolo 545 bis c.p.p., il giudice, per decidere sulla sostituzione, può acquisire tutte le informazioni ritenute necessarie in relazione alle condizioni di vita, personali, familiari, sociali, economiche e patrimoniali dell’imputato. Questo meccanismo, se portato a regime tramite una relazione obbligatoria nei casi in cui la sospensione, seppur formalmente possibile, non sia stata disposta, garantirebbe, da una parte, un giudizio più personalizzato, dall’altra, degli effettivi strumenti per poter adempiere al giudizio prognostico ex art. 58 L. 689/1981 e, quindi, la possibilità di indicare gli elementi che, negando la sospensione, giustifichino la sostituzione.
Purtroppo, l’attuale panorama non appare idoneo a superare le critiche già mosse alla sospensione condizionale della pena[31], secondo le quali «il processo vigente lascia emergere pochissimi dati empirici utili al giudizio prognostico, per cui la piattaforma conoscitiva della prognosi rimane in gran parte costituita da elementi documentali, ciò spiega come mai il metodo di accertamento più diffuso nella prassi giudiziaria […] sia quello c.d. intuitivo: il giudice si forma un quadro generale della personalità dell’imputato sulla base delle sue esperienze e della sua personale attitudine a conoscere gli uomini»[32].
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5. Considerazioni conclusive. Conclusivamente, la sentenza rileva non soltanto perché condivide la ratio della riforma o perché specifica il rapporto tra i due livelli di discrezionalità, ma, anche e soprattutto, perché definisce e orienta un potere giudiziale che rischia altrimenti di risultare eccessivamente ampio.
La riforma Cartabia, infatti, importando un meccanismo non così distante dalle cadenze del sentencing anglosassone, non ha imposto al giudice della cognizione i limiti che, all’estero, ne arginano la discrezionalità[33]. L’assenza di specifiche linee guida capaci di indirizzare i giudizi può produrre un potere non efficacemente bilanciato, idoneo ad «aprire varchi alle componenti irrazionali, intuitive, creative dell’attività giudiziale, capaci di alterare le scelte legislative, con conseguente accresciuto rischio di esiti processuali imprevedibili, incoerenti, e, quindi, di trattamenti sanzionatori ingiustificatamente diseguali e, pertanto, intrinsecamente iniqui»[34].
Di conseguenza, con la pronuncia in commento, la Corte concorre a creare un filone giurisprudenziale tutorio, adeguato a evitare che la discrezionalità degeneri in arbitrio e che la scelta tra pena sostitutiva e pena detentiva si fondi meramente sulla capienza degli istituti di detenzione. In evidente controtendenza con il legislatore ordinario, il quale, nonostante l’incremento significativo della sostituzione penale[35], ha deciso di intervenire nuovamente sul tema, con l’intento di velocizzare il processo bifasico e, quindi, di sacrificare l’individualizzazione sull’altare della deflazione. Con il D. Lgs. n. 31 del 19 marzo 2024 il legislatore ha apportato, infatti, alcune modifiche al procedimento di condanna a una pena sostitutiva di cui all'articolo 545-bis c.p.p. Tali interventi, con l’obiettivo di velocizzare la procedura di sostituzione, hanno prodotto una riduzione del contraddittorio nella fase sostitutiva, riconoscendo al giudice la possibilità di ricorrere de plano alla sostituzione. Il nuovo approccio, quindi, pur incentivando le neonate misure, sembra contraddire il modello bifasico che, al fine di garantire una più puntuale individualizzazione del trattamento sanzionatorio, imporrebbe un distacco tra l’accertamento della responsabilità penale e l’individuazione della pena.
Appare, quindi, auspicabile che la Cassazione continui a pronunciarsi sul tema in modo conforme alle linee ispiratrici della riforma Cartabia, sia per meglio specificare i limiti di una discrezionalità non perfettamente calibrata, sia per evitare che le pene sostitutive si rivelino uno strumento teso soltanto a limitare il sovraffollamento carcerario. Del resto, una tale eventualità condannerebbe alla sterilità o ad esiti minimalistici la riforma, impedendo, di conseguenza, la necessaria introduzione nell’ordinamento di una valvola di sfogo rispetto a un sistema drammaticamente e intollerabilmente carcerocentrico.
[1] P. Nuvolone, Il problema della rieducazione del condannato, in Sul problema della rieducazione del condannato XI Convegno di Diritto Penale-Bressanone 1963, G. Bettiol-S. Glaser et. Al., Padova, CEDAM, 1964, 354.
[2] Sulle nove sanzioni è già rinvenibile un corposo filone giurisprudenziale v. Cass. Sez. V, 11 luglio 2023, n. 43622; Cass., Sez. VI, 27 settembre 2023, n. 41313; Cass. Sez. II, 29 settembre 2023, n. 43848; Cass. Sez. V, 03 ottobre 2023, n. 43960.
[3] La riforma, in bilico tra deflazione e umanesimo penale, ha, infatti, due diversi scopi: da una parte, l’efficientamento del sistema punitivo, dall’altra, l’individualizzazione del trattamento sanzionatorio. In argomento si richiama M. Arbotti, Al di là del monologo carcerocentrico: le nuove pene sostitutive nella Riforma Cartabia, in Diritto di Difesa, fasc. 4/2022, 760; T.T. Cicirello, La riforma delle sanzioni sostitutive e le potenzialità attuabili del lavoro di pubblica utilità, in Leg. Pen., 21.09.2022, 4 s.; F. Santalucia-L. Marano, La riforma della pena pecuniaria sostitutiva, in Riv. Pen., fasc. 3/2023, 246.
[4] T. T. Cicirello, Le pene sostitutive tra aspettative e incertezze, in D. Castonuovo-D. Negri (a cura di), Forme, riforme e valori per la giustizia penale futura, Napoli, Jovene Editore, 2023, 277.
[5] La pronuncia si inserisce in un filone giurisprudenziale consolidato, secondo il quale, ai fini della configurabilità del reato di ricettazione, la prova dell’elemento soggettivo può essere raggiunta anche sulla base dell'omessa o non attendibile indicazione della provenienza della cosa ricevuta: così, Cass. Sez. II, 19 aprile 2017, n. 20193. Corte Cass. Sez. II, 22 novembre 2016, n. 53017; Sez. II, 26 novembre 2013, n. 50952; Sez. I, 13 marzo 2012, n. 13599; Sez. II, 27 ottobre 2010, n. 41423; Sez. II, del 25 maggio 2010, n. 29198.
[6] A. Abbagnano Trione, Le latitudini applicative della commisurazione e della discrezionalità nel sistema delle pene sostitutive, in Leg. pen., 27.12.2022, 6; D. Bianchi, Le modifiche in materia di sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi, in D. Castronuovo-M. Donini-E.M. Mancuso-G. Varraso (a cura di), Riforma Cartabia. La nuova giustizia penale, Milano, Wolters Kluwer, 2023, 83-114; L. De Stradis, La riforma delle pene sostitutive delle pene detentive brevi: la semilibertà sostitutiva tra spinte innovatrici e problematicità applicative, in Riv. Pen., 3/2023, 252; C. Minella, La pena della detenzione domiciliare sostitutiva, in Riv. Pen., 2/2023, 136; ma soprattutto: F. Palazzo, I profili di diritto sostanziale della riforma penale, in Sist. Pen., 8 settembre 2021, 11.
[7] Così A. Abbagnano Trione, Una semantica persuasiva nel disegno di revisione delle sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi. Dalle parole ai fatti, in Processo penale e giustizia, fasc. n. 1/2022, 245 s.
Sul rapporto tra la funzione rieducativa, unica funzione costituzionalmente imposta, e gli altri scopi punitivi con cui viene soventemente abbinata è d’obbligo richiamare la sentenza della Corte Costituzionale n. 149 del 2018, nella quale i giudici delle leggi hanno chiarito come i segnali di deterrenza contenuti nel precetto penale non possono «nella fase di esecuzione della pena, operare in chiave distonica rispetto all’imperativo costituzionale della funzione rieducativa della pena medesima, da intendersi come fondamentale orientamento di essa all’obiettivo ultimo del reinserimento del condannato nella società, e da declinarsi nella fase esecutiva come necessità di costante valorizzazione, da parte del legislatore prima e del giudice poi, dei progressi compiuti dal singolo condannato durante l’intero arco dell’espiazione della pena» (Corte Cost., sentenza 21 giugno 2018, n. 149). Punto di approdo confermato anche dalla giurisprudenza costituzionale successiva, v. Corte Cost., sentenza 9 ottobre 2019, n. 229.
Sulla questione si rinvia al fiorente dibattito dottrinale, inter multis: E. Dolcini, Dalla Corte Costituzionale una coraggiosa sentenza in tema di ergastolo (e di rieducazione del condannato), in Diritto Penale Contemporaneo, fasc. 7/2018, 148 s., G. Flick, Una nuova cultura della pena?, in www.rivistaaic.it, 21 dicembre 2016, 10 s.; D. Galliani, Dalla polifunzionalità alla proporzionalità. La Corte Costituzionale e gli scopi della pena, in Sist. Pen., 12 settembre 2023, 6-9; F. Palazzo, La rieducazione: un bilancio sommario, in A. Menghini-E. Mattevi (a cura di), La rieducazione oggi. Dal dettato costituzionale alla realtà del sistema penale. Atti del Convegno Trento, 21-22 gennaio 2022, Napoli, 2022, 7-13; A. Pugiotto, Il volto costituzionale della pena (e i suoi sfregi), in www.penalecontemporaneo.it, 10 giugno 2014, 2-6; M. Ruotolo, Tra integrazione e maieutica: Corte Costituzionale e diritti dei detenuti, in www.rivistaaic.it, 6 agosto 2016, 3-12.
[8] A. Gargani, Le “nuove” pene sostitutive, in Dir. Pen. Proc., 2023, 17-35.
[9] Con queste argomentazioni la Corte conferma la propria giurisprudenza, si veda Cass. Sez. V, 11 luglio 2023, n. 43622, ove il Supremo Collegio afferma che «l’applicazione delle pene sostitutive non solo non è incompatibile con il pericolo di recidiva, ma costituisce la specifica modalità prescelta dal legislatore per arginarlo al meglio, sia pure in un'ottica che si proietta necessariamente dopo il completamento del percorso rieducativo conseguente all'applicazione; essa è, quindi, in definitiva, incompatibile solo con quel tasso di recidiva che il giudice non reputa di poter azzerare o ridurre attraverso l'adozione di quelle particolari prescrizioni che accompagnano la pena sostitutiva nella fase di esecuzione della stessa, la quale, in quanto di tipo non restrittivo, o del tutto restrittivo, necessita di adeguati controlli e prescrizioni»; in argomento B. Cassiani, Pene sostitutive e discrezionalità del giudice al banco di prova della prassi: una prima pronuncia della Cassazione, nota a Cass. sez. V, 11 luglio 2023, n. 43622, in Sist. pen., 28 febbraio 2024.
[10] Il carcere è da tempo visto un’istituzione totale lesiva della dignità della persona, penosamente ed inutilmente afflittiva atta solo a incentivare i processi di depersonalizzazione del condannato, ossia la disculturazione e la prigionizzazione, e che, di fatto, si frappone tra il reo e un virtuoso percorso rieducativo, v. L. Ferrajoli, Diritto e ragione Teoria del garantismo penale, Bari, Editori Laterza, 2002, 410 s. Sulla questione la letteratura è sterminata; si vedano, inter multis: M. Venturoli, Modelli di individualizzazione della pena. L’esperienza italiana e francese nella cornice europea, Torino, G. Giappichelli Editore, 2020, 95; M. Palma, Liberarsi della necessità del carcere?, in U. Curi-G. Palombarini (a cura di), Diritto penale minimo, Roma, Donzelli, 2002, 391; R. Zannotti, Per una pena non più carcerocentrica: come pene diverse dal carcere possono contribuire al migliore reinserimento dei condannati, in I. Piccinini-P. Spagnolo (a cura di), Il reinserimento dei detenuti: esperienze applicative e novità legislative, Torino, G. Giappichelli Editore, 2020, 9-11;; T. Padovani, L'utopia punitiva. Il problema delle alternative alla detenzione nella sua dimensione storica, Milano, A. Giuffrè Editore, 1981, 243-248; M. Pavarini, Governare la penalità. Struttura sociale, processi decisionali e discorsi pubblici sul tema, in ius17@unibo.it, settembre-dicembre 2013, 101-118. Su disculturazione e prigionizzazione, si rinvia, rispettivamente a F. Vianello, Sociologia del carcere, IX ed., Roma, Corracci Editore, 2021, 68; per la disculturazione, ove viene indicata come un profondo attacco all’identità del detenuto, quantomeno per come definita in precedenza, con il conseguente obbligo di dover riconsiderare completamente il proprio ruolo alla luce delle limitate possibilità di autodeterminazione; e D. Clemmer, La comunità carceraria, in Rassegna Penitenziaria e Criminologica, 2021, 391; per la prigionizzazione, ove viene definita dall’Autore come «un lento, graduale, più o meno inconscio processo durante il quale una persona apprende abbastanza elementi della cultura di un’entità sociale nella quale è inserita, da diventarne un rappresentante tipico».
[11] Si fa riferimento alla teoria speciale dell’intimidazione, secondo la quale la sanzione dovrebbe operare come coazione psicologica sul condannato volta a dissuaderlo dal commettere in futuro altri reati; così S. Canestrari-L. Cornacchia-G. De Simone, Manuale di diritto penale, Pt. g.2, Bologna, Il Mulino, 2017, 63.
[12] In un sistema carcerario contraddistinto da un sovraffollamento del 119,3% (sulla capienza ufficiale) e da una popolazione detenuta che per il 62% è composta da soggetti con un pregresso periodo di detenzione, appare di evidente urgenza l’implementazione di tutti gli strumenti tesi a ridurre tale pressione, soprattutto di quelli che prevedono un percorso più individualizzato, e quindi più rieducativo, per il detenuto. Per i dati si rinvia al XX Rapporto di Antigone sulle condizioni di detenzione, reperibile al seguente link: https://www.rapportoantigone.it/ventesimo-rapporto-sulle-condizioni-di-detenzione/ (5 maggio 2024); e al XVIII rapporto di Antigone sulle condizioni di detenzione, reperibile al seguente link: https://www.rapportoantigone.it/diciottesimo-rapporto-sulle-condizioni-di-detenzione/ (5 maggio 2024).
[13] Il rischio di un Torreggiani bis non appare, infatti, privo di fondamento, come evidenziato dal XX Rapporto di Antigone sulle condizioni di detenzione, cit., ove viene sottolineato come «il Consiglio d’Europa ha chiuso la procedura di esecuzione della sentenza Torreggiani contro l’Italia, accogliendo con favore gli interventi realizzati dalle autorità italiane, il 9 marzo 2016. A fine febbraio 2016 erano presenti nelle carceri italiane 49.504 detenuti in 52.846 posti. Come detto sopra, a fine marzo 2024 i detenuti erano 61.049 in 51.178 posti».
[14] Garante Nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, comunicato stampa del 29 ottobre 2022; reperibile al seguente link: https://www.garantenazionaleprivatiliberta.it/gnpl/pages/it/homepage/dettaglio_contenuto/?contentId=CNG14440&modelId=10019 (5 maggio 2024).
[15] §3.1. Della pronuncia in commento.
[16] Tale assetto è confermato da una lunga serie di istituti, che, com’è noto, prevedono vari escamotage, processuali e sostanziali, per evitare la detenzione carceraria per reati non gravi, ad esempio: il procedimento di messa alla prova ex art. 168 bis c.p.; la sospensione condizionale della pena ex art. 163 c.p.; l’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto ex art.131-bis; la detenzione domiciliare ex art. 47-ter comma 1-bis ord. penit.; la sospensione dell’ordine di esecuzione ex art. 656 comma 5 c.p.p.; il perdono giudiziale per minorenni ex art.169 c.p.; etc.
[17] F. Viganò, La proporzionalità della pena. Profili di diritto penale e costituzionale, Torino, G. Giappichelli Editore, 2021, 224-230.
[18] Si evidenzia come in letteratura siano state proposte due diverse ricostruzione della proporzionalità: la proporzionalità come un giudizio retrospettivo sul fatto, ovvero la proporzionalità come valutazione prospettica circa il fine perseguito alla norma penale, sulla questione si rinvia a: N. Recchia, Il principio di proporzionalità nel diritto penale. Scelte di criminalizzazione e ingerenze nei diritti fondamentali, Torino, G. Giappichelli Editore, 2020, 102-104; F. Viganò, Op. cit., 116-120.
[19] Per quanto attiene al processo bifasico si rimanda, inter multis, a P. Camucci, Attualità del processo bifasico, in Studi Pisapia, II, Milano, 2000, 128-131, il quale evidenzia l’importanza del distacco dalla fase cognitiva, poiché «in grado di assicurare alle questioni trattate [la sanzione] il necessario approccio personologico»; nonché V. Mongillo, La finalità rieducativa della pena nel tempo presente e nelle prospettive future, in Critica del diritto, 1-4 gennaio–dicembre, 2009, 205; G. Pisapia, La perizia criminologica e le sue prospettive di realizzazione, in Riv. it. dir. proc. pen., 1980, 1029; F. Caprioli, Processo penale e commisurazione della pena, in M. Pavarini (a cura di), Silète poenologi in munere alieno! Teoria della pena e scienza penalistica, Bologna, Monduzzi Editore, 2000, 135 ss.
[20] In letteratura è stata, infatti, da più voci evidenziata la possibile conflittualità tra l’habitus dei giudici e la svolta culturale di cui la riforma appare gravida. In argomento: L. Gosis, Rieducazione e sanzioni sostitutive nella recente riforma della giustizia penale, in A. Menghini-E. Mattevi (a cura di), La rieducazione oggi. Dal dettato costituzionale alla realtà del sistema penale. Atti del Convegno Trento, 21-22 gennaio 2022, Napoli, 2022, 54; M. Pelissero, Oltre la Riforma Cartabia. Le prospettive della rieducazione nello sviluppo del sistema sanzionatorio, in A. Menghini-E. Mattevi (a cura di), La rieducazione oggi. Dal dettato costituzionale alla realtà del sistema penale. Atti del Convegno Trento, 21-22 gennaio 2022, Napoli, 2022, 31; M. Venturoli, Natura e confini dell’individualizzazione della pena nel giudizio di cognizione, in A. Menghini-E. Mattevi (a cura di), La rieducazione oggi. Dal dettato costituzionale alla realtà del sistema penale. Atti del Convegno Trento, 21-22 gennaio 2022, Napoli, 2022, 112.
[21] M. Pelissero, Op. cit., 30.
[22] Si veda V. Manes, L’oracolo algoritmico e la giustizia penale: al bivio tra tecnologia e tecnocrazia, in DisCrimen, 15 maggio 2020, 19.
[23] Sulle illusioni cognitive che colpiscono l’attività giudiziaria si rimanda inter multis a G. Canzio, Alle radici dell’errore giudiziario: “Heuristics and biases”, in L. Luparia Donati (a cura di), L’errore giudiziario, Milano, Giuffré Francis Lefebvre, 2021, 81-92; nonché G. Cevolani-V. Crupi, Come ragionano i giudici: razionalità, euristiche e illusioni cognitive, in DisCrimen, 22 ottobre 2018.
[24] Così G. Gulotta-P. Egnoletti-B. Niccolai-L. Pagani, Tendenze generali e personali ai bias cognitivi e la loro ricaduta in campo forense: fondamenti e rimedi, in Sist. pen., 11 giugno 2021, 3, ove gli Autori chiariscono che la visione a tunnel vada intesa come un «insieme di euristiche e inganni cognitivi […], una sorta di “paraocchi’ mentale” che non permette di avere una visione aperta sulle informazioni a disposizione, facendo sì che a guidare i processi di pensiero siano “criteri spesso irrazionali e inconsapevoli”. La visione a tunnel porta i vari attori a concentrarsi più su alcuni aspetti piuttosto che su altri. In questo modo, i dati a disposizione saranno selezionati o filtrati, con il rischio di condurre ad un esito diverso rispetto a quello che si sarebbe raggiunto se certi elementi non fossero stati svalutati o addirittura ignorati».
[25] E.A.A. Dei Cas, Sentencing inglese e prospettive di un processo bifasico in Italia: potenzialità e insidie di un mutamento a lungo invocato, in Arc. Pen., 1/2022, 4; G. Mannozzi, voce Sentencing, in Dig. disc. pen., XIII, Torino, UTET, 1997, 152 s. Sull’impatto del criminal record sul sentencing si rinvia a: A. Ashworth-J. Roberts, Sentencing: theory, principle, and practice, in M. Maguire-R. Morgan-R. Reiner, The Oxford handbook of criminology, Oxford, V, 2012, 887.
[26] Sul rapporto tra proporzionalità e rieducazione si rinvia a F. Viganò, Op. cit., 219, ove l’Autore evidenzia come «finalità rieducativa e proporzionalità della pena si contemperano dunque in un rapporto di natura dialettica, in cui la prima è invocata dalla giurisprudenza costituzionale quale fondamento della seconda, ma in cui in definitiva entrambe finiscono per limitare la portata espansiva dell’altra».
[27] Sull’utilità del tribunale di sorveglianza a rappresentare la II fase del modello bifasico come tribunale delle pene si rinvia a: G. Dean, Ideologie e modelli dell'esecuzione penale, Torino, Giappichelli, 2004, 16; L. Monteverde, Tribunale della pena e processo bifasico: realtà e prospettive, in Dir. Pen. Proc, fasc. 9/2001, 1161-1168.
[28] J.J Rachlinski-A.J. Wistrich, Judging the Judiciary by the Numbers: Empirical Research on Judge, in Annu. Rev. Law Soc. Sci., fasc. 2017, 203–229.
[29] In argomento si richiama Cass., Sez. III, 27 gennaio 2015, n. 19326, ove la Cassazione, annullando la sentenza di II grado, eccepisce la «manifesta illogicità nella decisione nella parte in cui, per un verso, concede al ricorrente il beneficio della sospensione condizionale (che ha come presupposto, per l'appunto, una previsione positiva circa l'eventualità che l'imputato delinqua nuovamente) e, per altro verso, nega la conversione della pena detentiva in quella pecuniaria sul rilievo della pericolosità dell'imputato e della sua "proclività alla violazione della legge penale"». Nonché, più recentemente, Cass., Sez. II, 7 marzo 2019, n. 21459: «il principio secondo cui configura una motivazione illegittima negare la sostituzione della pena detentiva irrogata, e condizionalmente sospesa, con l'argomento che per conferire efficacia preventiva alla sospensione condizionale necessita una remora valida e questa è rappresentata dal timore della pena carceraria: Sez. III, 12 ottobre 1994, n. 2655; nello stesso senso v. successivamente Sez. III, 27 gennaio 2015, n. 19326, che ha ritenuto manifestamente illogica la valutazione operata dal giudice di merito, il quale, pur concedendo all'imputato la sospensione condizionale della pena, aveva rigettato la richiesta di sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria in ragione della pericolosità dell'imputato e della sua «proclività alla violazione della legge penale».
[30] D. Bianchi, Il rilancio delle pene sostitutive nella legge-delega “Cartabia”: una grande occasione non priva di rischi, in Sist. Pen., 21 febbraio 2022; pericolo paventato anche da P. Gaeta, Ragionando su alcuni ossimori della riforma delle pene sostitutive, in Riv. it. dir. proc. pen., 2023, 583.
[31] Tranne che per la semilibertà sostitutiva, la quale viene disposta dal giudice tenendo conto del programma di trattamento elaborato dall'ufficio di esecuzione penale esterna, le relazioni integrative dell’UEPE sono eventuali e secondarie. Il giudice, quindi, nel decidere tanto l’an, quanto il quantum della sanzione si potrà basare, anche unicamente, sull’intuizione. Sulla questione si rinvia alle varie “Linee guida per l'applicazione delle pene sostitutive delle pene detentive brevi”, recuperabili, rispettivamente per Pavia e Napoli, ai seguenti link: https://www.sistemapenale.it/pdf_contenuti/1697452220_pavia-pene-sostitutive.pdf; (12 maggio 2024) https://www.sistemapenale.it/pdf_contenuti/1685556263_protocollo-con-vademecum-sulle-pene-sostitutive-delle-pene-detentive-brevi.pdf (12 maggio 2024).
[32] A.L. Vergine, voce Sospensione condizionale della pena, in Dig. disc. pen., XIII, Torino, UTET, 1997, 461; che riprende quanto detto da G. Fiandaca-E. Musco, Diritto penale, Pt. g.8, Bologna, Zanichelli editore, 2019, 879.
[33] Il sistema delle Sentencing Guidelines permette, all’estero, di imbrigliare il potere giudiziale, evitando che la discrezionalità si declini in discriminazione. Sull’argomento si rinvia, inter multis, a R.W. Scott, Race disparity under advisory guidelines. Dueling assessments and potential responses, in Criminology & Public Policy, Volume 10, Issue 4, 1129-1138; nonché, per quanto riguarda l’importanza di un innesto con il nostro sistema, a C. Iagnemma, Discrezionalità giudiziaria e legislazione penale. Un rapporto da rivisitare nella teoria del reato e nel sistema sanzionatorio, in Riv. it. dir. proc. pen., 2019, 1431-1475.
[34] In questi termini F. Basile, L’enorme potere delle circostanze sul reato, in Riv. it. dir. proc. pen., 2015, 1767.
[35] Ad un anno dalla riforma si è passati, infatti, da 109 a 1.823 persone sottoposte a pena sostitutiva. Cfr. “Adulti in area penale esterna. Analisi statistica dei dati” del Ministero della Giustizia del 2023 con quello del 2022. Reperibili, rispettivamente, ai seguenti link: https://www.giustizia.it/cmsresources/cms/documents/Adulti_in_area_penale_esterna_31.12.2023dati_provvisoriGult.pdf(16 dicembre 2024) https://www.giustizia.it/cmsresources/cms/documents/Adulti_in_area_penale_esterna31.12.2022G.pdf (16 dicembre 2024).