Corte cost. 17 ottobre 2022 n. 211 (ud. 12 settembre 2022) Pres. Sciarra, Rel. Amoroso
1. La pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del 19 aprile 2023 dell’ordinanza del 4 ottobre 2022, con cui il Tribunale di Terni ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 73 d.lgs. n. 159/2011, rappresenta un’occasione propizia per soffermarsi sulle ragioni che hanno condotto la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 211/2022 del 12 settembre 2022[1], a dichiarare infondata identica questione, promossa in quel caso dalla VI Sezione della Corte di Cassazione e dal Tribunale di Ravenna.
2. A mente dell’art. 73 d.lgs. 159/2011, “nel caso di guida di un autoveicolo o motoveicolo, senza patente, o dopo che la patente sia stata negata, sospesa o revocata, la pena è dell'arresto da sei mesi a tre anni, qualora si tratti di persona già sottoposta, con provvedimento definitivo, a una misura di prevenzione personale”. Il Tribunale di Terni, al pari degli altri giudici a quibus, ha dubitato della legittimità costituzionale di tale fattispecie incriminatrice, ravvisandovi un contrasto con gli articoli 3, 25, co. 2, e 27, co. 3 della Costituzione. Riveste un ruolo propulsivo nell’argomentare del giudice rimettente la constatazione di come la depenalizzazione attuata dall’art. 1 d.lgs. n. 8/2016 abbia investito la guida senza patente di cui all’art. 116, co. 15, d.lgs. 285/1992 (salvo il caso della recidiva nel biennio), ma non l’art. 73 d.lgs. 159/2011[2], che rispetto a tale fattispecie si pone in rapporto di species a genus[3]. La sottoposizione a una misura di prevenzione personale, pur essendo circostanza del tutto estranea al fatto-reato della guida senza patente, rende quindi punibile una condotta che non assume rilevanza sul piano penale se posta in essere da qualsiasi altro soggetto. Ciò comporta un’evidente lesione dei principi di eguaglianza e di offensività, dal momento che il fulcro del disvalore penale rimane incentrato sulla qualità personale del soggetto attivo. L’ineguaglianza descritta, inoltre, non può non riflettersi negativamente anche sulla funzione rieducativa della pena, posto che la sanzione penale verrebbe inevitabilmente avvertita come ingiusta dal condannato. In definitiva, venuta meno la punibilità della fattispecie base di cui all’art. 116, co. 15, Codice della Strada, quella prevista dall’art. 73 d.lgs. n. 159/2011 costituisce una palese ipotesi di reato ‘d’autore’, la cui sopravvivenza risulta inaccettabile in un diritto penale ispirato al principio della colpevolezza per il fatto.
3. Così inquadrate le linee essenziali delle ordinanze di rimessione, è opportuno altresì richiamare l’attenzione su come – prima dell’intervento operato dalle Sezioni Unite Paternò[4] e dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 25/2019 in ossequio alle esigenze di tassatività evidenziate dalla decisione De Tommaso della Corte EDU[5] – la guida in difetto di patente del prevenuto desse origine ad un autentico bis in idem sanzionatorio. La giurisprudenza consolidata, infatti, riteneva che venissero integrate in concorso formale sia la fattispecie di cui all’art. 73 che quella di cui all’art. 75 d.lgs. n. 159/2011, sotto il profilo dell’inosservanza dell’obbligo di vivere onestamente e rispettare le leggi[6].
4. Poste queste premesse, chi si trovasse a riflettere sulla pronuncia di infondatezza potrebbe avere l’impressione di trovarsi di fronte a un punto di arresto, o perlomeno di discontinuità, nel discorso costituzionale in tema di responsabilità d’autore, che ha visto come tappe fondamentali le sentenze relative al possesso ingiustificato di valori (sent. n. 110/1968 e n. 370/1996), al possesso ingiustificato di chiavi alterate o di grimaldelli (sent. n. 14/1971), all’ubriachezza della persona già condannata per delitto non colposo contro la vita o l’incolumità individuale (sent. n. 354/2002), nonché all’aggravante di clandestinità (sent. n. 249/2010). Punto d’arresto che risulterebbe ancora più allarmante data l’attinenza della tematica al settore delle misure di prevenzione, acutamente definito come un “diritto penale al limite”[7], oltre che intrinsecamente d’autore[8].
5. Ubi consistam della decisione in esame è l’art. 120 Codice della Strada, che, a parere della Consulta, “integra il necessario presupposto normativo della fattispecie incriminatrice censurata”. In particolare, tale disposizione prevede che i soggetti sottoposti a misura di prevenzione non possano conseguire la patente di guida (co. 1) e che il Prefetto debba provvedere a revocare loro l’eventuale patente già conseguita (co. 2). Peraltro, l’automatismo della revoca prefettizia è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla sentenza n. 99/2020, che l’ha ritenuto irragionevole a fronte dell’estrema eterogeneità delle categorie dei destinatari delle misure ante delictum, evidenziando altresì come esso inneschi un ‘cortocircuito’ all’interno dell’ordinamento qualora la patente sia funzionale alla ricerca di un lavoro, prescritta dal Tribunale ai sensi dell’art. 8, co. 3, d.lgs. n. 159/2011. La Corte, in tale sede, ha precisato che la valutazione del Prefetto opera non sul piano del riesame della pericolosità del soggetto, bensì su quello della verifica di necessità e opportunità della revoca della patente a fronte della specifica misura di prevenzione cui egli è sottoposto.
6. Il principio del nullum crimen sine iniuria richiede che il diritto penale rivolga la propria attenzione unicamente a comportamenti dal contenuto offensivo di beni meritevoli di protezione, anche sotto il profilo della loro mera esposizione a pericolo. Esso quindi vieta che fulcro dell’incriminazione sia il ‘modo di essere dell’autore’ in quanto tale, slegato da un fatto intrinsecamente offensivo di un bene giuridico. La Corte costituzionale, tuttavia, richiamando la propria giurisprudenza in materia, giunge ad escludere che nella fattispecie in esame sia ravvisabile una tale patologia. La condizione personale di sottoposto a misura ante delictum non rappresenta quindi un “marchio” privo di correlazione con la guida in difetto di patente e però tale da attribuire a quella condotta una significanza penale esclusa invece per la generalità dei consociati. Al contrario, il collegamento con l’art. 120 Codice della Strada suggerisce come la guida in difetto di patente costituisca violazione di uno specifico divieto finalizzato alla tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza[9].
7. In definitiva, per quanto la pronuncia rimanga alquanto sibillina, sembra di poter affermare che la fattispecie in esame possa sanzionare unicamente quelle condotte di guida senza patente strettamente collegate alla sottoposizione a misura di prevenzione, in quanto la disponibilità del titolo abilitativo sia stata ritenuta, all’esito di una specifica valutazione di pericolosità[10], d’ostacolo alla realizzazione delle finalità preventive della misura stessa. In questo senso, condizione personale e condotta del soggetto risultano inscindibilmente connesse e ciò consente quindi di affermare che la fattispecie sia caratterizzata da un effettivo profilo di offensività sub specie di messa in pericolo del bene dell’ordine e della sicurezza pubblica[11].
8. Tuttavia, anche in considerazione del superamento del “referente criminologico unitario e nucleare”[12] alla base delle misure di prevenzione, è bene ricordare che non ogni tipo di pericolosità comporta che il soggetto costituisca un pericolo per l’ordine pubblico: a pena, chiaramente, di dare del concetto di ordine pubblico una lettura talmente estensiva da giustificarne l’epiteto di bene giuridico ‘ripostiglio’. Si pensi, in questo senso, all’inclusione tra i soggetti di cui all’art. 4 d.lgs. 159/2011 degli indiziati dei delitti di cui agli articoli 572 e 612 bis c.p. Inoltre, e di conseguenza, non ogni misura di prevenzione richiede per la realizzazione dei propri scopi che il prevenuto sia posto nell’incapacità di condurre veicoli. Questa è infatti la premessa della dichiarazione di illegittimità costituzionale parziale dell’automatismo della revoca prefettizia di cui all’art. 120 co. 2 Codice della Strada: a fronte dei contenuti specifici e delle prescrizioni della misura di prevenzione cui il soggetto è sottoposto, il Prefetto dovrà effettuare una valutazione – vale la pena di ribadirlo a scanso di equivoci – non tanto di pericolosità (essendo questa già stata ritenuta sussistente), quanto invece di necessità e opportunità della revoca della patente di guida.
9. Ciò comporta che la fattispecie ‘ritagliata’ dalla Corte costituzionale risulti necessariamente più ristretta rispetto all’originaria fisionomia dell’art. 73 d.lgs. n.159/2011. Di questa non perfetta sovrapponibilità è indizio anche la menzione, in tale disposizione, del fenomeno della sospensione della patente, di per sé non riconducibile alla dinamica di cui all’art. 120 Codice della Strada. In altre parole, quindi, sembrano attualmente integrare la contravvenzione de qua non tutte le ipotesi in cui il prevenuto circoli in difetto della patente[13] (per esempio perché sospesa o revocata in ragione della condanna per la contravvenzione di cui all’art. 186 o 187 Codice della Strada), ma solo quelle in cui la revoca della patente di guida o il rigetto della richiesta di rilascio siano diretta conseguenza della misura di prevenzione applicata. Inoltre, tale conclusione sembra implicitamente presupporre che la condotta sia stata realizzata nella vigenza della misura ante delictum[14]: a questo proposito sarebbe forse stata opportuna un’esplicita presa di posizione da parte della Consulta, ed è sicuramente auspicabile l’espunzione di quegli incisi nel dettato legislativo che depongono in senso contrario[15].
10. Nel complessivo incedere argomentativo della Consulta è quindi possibile individuare alcuni nodi da sciogliere, tra cui deve essere menzionata anche la non del tutto risolta ambiguità nell’individuazione della ratio legittimante la fattispecie in esame. Infatti, se da un lato la Corte, come si è detto, sostiene che la guida in difetto di patente rappresenti una violazione di un divieto strettamente connesso al contenuto e al fine della misura di prevenzione, dall’altro essa richiama l’argomento della valutazione discrezionale e non irragionevole del legislatore nel dare rilievo a una circostanza “relativa alla persona del colpevole”: argomento sulla base del quale aveva escluso l’irragionevolezza della disparità di trattamento sanzionatorio tra l’ipotesi speciale e quella generale[16] in una temperie in cui entrambe costituivano reato[17]. È evidente che quest’ultimo argomento, se poteva sufficientemente giustificare una differenza quantitativa di pena a fronte di una pari rilevanza penale delle fattispecie, non è invece di per sé idoneo, a seguito della depenalizzazione dell’ipotesi generale, a fugare il sospetto che quello di cui all’art. 73 d.lgs. 159/2011 rappresenti un reato d’autore.
11. Inoltre, la Corte non chiarisce se la misura di prevenzione personale presupposto della contravvenzione in esame possa essere altresì quella dell’avviso orale ‘mero’ del questore, cioè privo delle prescrizioni di cui all’art. 3, co. 4, d.lgs. 159/2011. Sul punto si è originato un contrasto interpretativo tra impostazioni che impiegano le (mancate) argomentazioni della Consulta per giungere a conclusioni contrapposte[18]. Infatti, un primo orientamento afferma che poiché né l’art. 73 del Codice Antimafia né la sentenza n. 211/2022 effettuano distinzioni tra le misure di prevenzione personali, queste ultime possono consistere tanto nella sorveglianza speciale applicata dall'Autorità Giudiziaria quanto nelle misure applicate dall'Autorità amministrativa. Il secondo orientamento sostiene invece, richiamando altresì un argomento storico[19], che l'avviso orale “mero” non costituisce una misura di prevenzione in quanto non comporta alcuna limitazione alla libertà personale, con la conseguenza che non può fungere da presupposto della contravvenzione. Peraltro, in dottrina si è osservato criticamente come tale valutazione negativa dovrebbe estendersi altresì all’avviso orale con prescrizioni, attesa la natura non giurisdizionale dell’autorità che applica la misura[20].
12. Da ultimo, si osserva come vi sia un ulteriore profilo di ‘incompiutezza’ nello sforzo della pronuncia in esame di valorizzare il contenuto offensivo della fattispecie, sul quale peraltro la stessa Corte Costituzionale sembra voler attirare l’attenzione ove afferma che “almeno nell’ipotesi della revoca della patente in ragione dell’applicazione della misura di prevenzione personale (l’unica finora venuta all’esame di questa Corte sotto il profilo del censurato automatismo della preclusione), c’è un momento di valutazione in concreto, caso per caso, della pericolosità specifica dell’interessato.” Valutazione che difetta invece nell’ipotesi di cui all’art. 120, co. 1, Codice della Strada, il quale, come si è detto, preclude al sottoposto a misura ante delictum la possibilità di conseguire la patente. A contrario, dunque, occorre interrogarsi sull’esito della sentenza n. 152/2021[21] che, richiamando il proprio argomentare nella sentenza n. 80/2019 e dell’ordinanza n. 81/2020[22], ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale relativa a tale automatismo, sulla scorta della considerazione che quella in esame sia una «condizione ostativa che, diversamente dalla revoca del titolo, opera a monte del suo conseguimento e non incide su alcuna aspettativa consolidata dell’interessato». Tuttavia, come si è detto, non ogni singola misura di prevenzione personale richiede che il soggetto sia posto (o in questo caso tenuto) nell’incapacità di condurre veicoli. Di conseguenza, non sembra peregrino perlomeno auspicare una rimeditazione circa la compatibilità costituzionale della preclusione assoluta di cui all’art. 120 co. 1, Codice della Strada, nella misura in cui non tiene in alcun conto da un lato come la misura di prevenzione possa imporre prescrizioni che niente hanno a che fare con la circolazione stradale con mezzo proprio, e dall’altro lato come la patente possa talvolta rappresentare non un mezzo per la prosecuzione di attività illecite, ma uno strumento indispensabile per “darsi alla ricerca di un lavoro”[23] e quindi per ritrovare la ‘diritta via’ smarrita[24].
[1] Per una puntuale ricostruzione, cfr. A. Provenzano, Il prevenuto alla guida senza patente. Principio di offensività e diritto penale d’autore in una recente pronuncia della Corte costituzionale, in Giurisprudenza Penale Web, 2023, 1; per una lettura critica, cfr. M. Donini, Misure di prevenzione e guida senza patente: apparente offensività oggettiva del reato e diritto penale d’autore nella sentenza C. cost. 211 del 2022, in Giurisprudenza Costituzionale, 6/2022, 3011-3019.
[2] Cass. pen., Sez. VI, sent. n. 8223/2018.
[3] M. F. Cortesi, Le sanzioni, in F. Fiorentin (a cura di), Misure di prevenzione personali e patrimoniali, Torino, 2018; Cass. pen., Sez. I, sent. n. 27828/2013.
[4] Cass. pen., Sez. Un., sent. n. 40076/2017: “L'inosservanza delle prescrizioni generiche di ‘vivere onestamente’ e di ‘rispettare le leggi’, da parte del soggetto sottoposto alla sorveglianza speciale con obbligo o divieto di soggiorno, non configura il reato previsto dall'art. 75, comma secondo, d.lgs. n. 159 del 2011, il cui contenuto precettivo è integrato esclusivamente dalle prescrizioni c.d. specifiche; la predetta inosservanza può, tuttavia, rilevare ai fini dell'eventuale aggravamento della misura di prevenzione”.
[5] Sul punto, cfr. A. M. Maugeri, Misure di prevenzione e fattispecie a pericolosità generica: la Corte Europea condanna l’Italia per la mancanza di qualità della “legge”, ma una rondine non fa primavera, in Diritto penale contemporaneo, fasc. 3/2017, 15-35; F. Menditto, La sentenza De Tommaso c. Italia: verso la piena modernizzazione e la compatibilità convenzionale del sistema della prevenzione, in Diritto penale contemporaneo, fasc. 4/2017, 127- 174.
[6] Ex multis, cfr. Cass. pen., Sez. I, sent. n. 1086/2017.
[7] M. Pelissero, I destinatari della prevenzione praeter delictum: la pericolosità da prevenire e la pericolosità da punire, in Rivista Italiana di Diritto e Procedura Penale, n. 2, 2017, 439-469, 442.
[8] R. Orlandi, Una giustizia penale a misura di nemici, in Rivista Italiana di Diritto e Procedura Penale, n. 2, 2020, 715-744, 744; M. Pelissero, op. cit., 453.
[9] Così intesa, la disposizione di cui all’art. 73 d.lgs. n. 159/2011 appare assimilabile nel suo operare, mutatis mutandis, a quelle di cui all’art. 75 e 76 del medesimo decreto legislativo.
[10] Sono peraltro note le critiche rivolte al giudizio di pericolosità: cfr. A. Martini, Il mito della pericolosità. Alla ricerca di un senso compiuto del sistema della prevenzione personale, in Rivista Italiana di Diritto e Procedura Penale, n. 2, 2017, 536-558, 558: “in fondo esso assomiglia, in un modo che confonde, all’espressione di un atto di fede, fondato sulla certezza dell’esistenza di un’entità ritenuta evidente, benché non la si possa vedere”; F. Basile, Esiste una nozione ontologicamente unitaria di pericolosità sociale?, in Rivista Italiana di Diritto e Procedura Penale, n. 2, 2018, 644-674, 645: “La pericolosità sociale - grazie alla sua vaghezza congiunta ad un enorme potere evocativo - si presta, insomma, a fungere da ‘formula magica’, suscettibile di essere invocata in plurime e svariate sedi.”
[11] A. Martini, op. cit., 538: “L’endiadi ‘ordine e sicurezza’ ha un senso solo attribuendo al primo concetto il valore di strumento al servizio della seconda.” E ancora, “la sicurezza non ha padroni, ma appartiene a tutti in virtù di una comune appartenenza sociale: si tratta di un interesse adespota”.
[12] M. Donini, op. cit., 3017; sul punto cfr. R. Bartoli, Misure di prevenzione: costituzionalmente legittime soltanto per le organizzazioni criminali, in questa Rivista, 19 settembre 2022; G. Grasso, Le misure di prevenzione personali e patrimoniali nel sistema costituzionale, in questa Rivista, 14 febbraio 2020.
[13] Sul punto, cfr. Cass., Sez. I, sent. n. 47713/2022.
[14] Sul punto, cfr. Cass., Sez. I, sent. n. 47713/2022.
[15] Il riferimento è a persona “già” sottoposta, con provvedimento definitivo, a misura di prevenzione (art. 73 d.lgs. 159/2011). Invece l’inciso dell’art. 120 d.lgs. 285/1992 riferito a coloro che “sono stati sottoposti” alle misure di prevenzione personali è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo per violazione dell'art. 76 della Costituzione ad opera della sentenza n. 251/2001.
[16] Ratione temporis, art. 6 l. 575/1965 e art. 80 D.P.R. 393/1959.
[17] Corte Cost., ord. n. 66/1971 e sent. n. 66/1984.
[18] Per una sintesi dei termini del contrasto, cfr. Cass. pen., Sez. I, sent. n. 47713/2022 e Cass. pen., Sez. I, sent. n. 418/2023.
[19] Cass. pen., Sez. I, sent. n. 47713/2022: “L’art. 4 l. n. 1423 del 1956 non configurava l'avviso orale del questore come misura di prevenzione: stabiliva che il questore doveva avvisare la persona che esistevano sospetti a suo carico e invitarla a tenere una condotta conforme alla legge; il processo verbale dell'avviso era redatto ‘al solo fine di dare allo stesso una data certa’. Trascorsi sessanta giorni e non più di tre anni, il questore poteva avanzare proposta motivata per l'applicazione delle misure di prevenzione al Presidente del Tribunale se la persona, nonostante l'avviso, non aveva cambiato condotta ed era pericolosa per la sicurezza pubblica. (…) La conclusione cui si giunge, a seguito di questo excursus, è la seguente: D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 73, riprende la L. 31 maggio 1965, n. 575, art. 6, che prevedeva la medesima pena per la guida senza patente o dopo che la patente era stata negata, sospesa o revocata in base all'allora vigente codice della strada ‘qualora si tratti di persona già sottoposta, con provvedimento definitivo, a misura di prevenzione’; ma, appunto, l'avviso orale non costituiva una misura di prevenzione personale all'epoca; l'art. 6 cit., quindi, non puniva la condotta di guida senza patente di un soggetto ad esso sottoposto.”
[20] M. Donini, op. cit., 3017: «Un aspetto del tutto insostenibile della disciplina è che la revoca della patente può derivare anche dall’avviso orale del Questore (con prescrizioni) e questo rende ancora più debole il ragionamento della Corte, perché almeno la misura di prevenzione applicata dal Tribunale è giurisdizionale».
[21] Inoltre, la Corte richiama altresì che sia prevista “la possibilità di ottenere, sebbene dopo tre anni, la riabilitazione prevista dall’art. 70 del d.lgs. n. 159 del 2011”.
[22] Sia la sentenza n. 80/2019 che l’ordinanza n. 81/2020 riguardano casi di diniego in via automatica del rilascio della patente di guida a persone condannate per i reati di cui agli articoli 73 e 74 del testo unico di cui al D.P.R. 309/1990.
[23] Art. 8, co. 3, d.lgs. n. 159/2011.
[24] A. Martini, op. cit., 550: «Nulla dello strumentario che il legislatore pone a disposizione del giudice (o del Questore) per fronteggiare il pericolo espresso dalla persona, sembra rivelare la preoccupazione di offrire al soggetto occasioni perché questi possa ‘migliorare’, superando la propria condizione; eppure solo per tale strada potrebbe cogliersi un senso accettabile delle misure personali, concludendo che esse, non meno che la pena, devono tendere alla ‘rieducazione’ del sottoposto».