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  Scheda  
09 Dicembre 2020


Davvero incostituzionale l'art. 578 c.p.p. per contrasto con l'art. 6 comma 2 Conv. eur. dir. uomo?

C. App. Lecce, ord. 6 novembre 2020, Pres. Scardia, Est. Biondi



1. Merita una segnalazione l’ordinanza con cui, il 6 novembre 2020, la Corte d’appello di Lecce ha chiesto al giudice delle leggi di dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 578 c.p.p., «nella parte in cui stabilisce che, quando nei confronti dell’imputato è stata pronunciata condanna, anche generica, alle restituzioni o al risarcimento dei danni cagionati dal reato, a favore della parte civile, il giudice di appello, nel dichiarare estinto il reato per prescrizione, decide sull’impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli effetti civili».

Per il giudice di seconde cure, tale precetto contrasterebbe con le statuizioni in materia di presunzione d’innocenza desumibili dall’art. 6 comma 2 Conv. eur. dir. uomo, quale parametro interposto ai sensi dell’art. 117 comma 1 Cost., e con gli art. 48 Carta dir. fond. UE, 3 e 4 direttiva 9 marzo 2016 n. 2016/343/UE, quali parametri interposti ex art. 11 e 117 comma 1 Cost.

A sostegno della propria richiesta, la corte d’appello richiama una recentissima sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, dove il giudice europeo ha accertato la violazione dell’art. 6 comma 2 Conv. eur. dir. uomo in una vicenda che aveva a oggetto l’applicazione di una disposizione del codice di procedura penale di San Marino, l’art. 196-bis, affine al nostro art. 578 c.p.p.[1].

Sembrano ormai lontani i tempi in cui la giurisprudenza di Strasburgo faticava a imporsi nelle aule di giustizia, quasi fosse un corpo estraneo all’ordinamento. Per effetto delle sent. cost. n. 348 e 349 del 2007, il giudice comune non può più esimersi né dall’«esplorare la possibilità di una interpretazione conforme della normativa nazionale, che consenta di superare le possibili antinomie tra la stessa e gli obblighi internazionali»[2], né dal sollecitare l’«intervento ablativo della Corte costituzionale» dinnanzi a un «ostacolo normativoinsuperabile in via ermeneutica».

Ovviamente, risulta indispensabile che le sentenze della Corte di Strasburgo invocate dai giudici nazionali non vengano equivocate nella loro portata, mediante richiami approssimativi o contraddittori, o forzature esegetiche.

 

2. Premesso che la dottrina più sensibile ai valori dell’equità processuale ha già messo in luce le slabbrature e i rischi insiti in certe letture dell’art. 578 c.p.p.[3], la palese sovrapponibilità del caso Pasquini (n. 2) con quello sottoposto al vaglio della Corte d’appello leccese ha spinto quest’ultima a chiedere l’intervento demolitivo della Corte costituzionale.

In breve, il casus belli. Condannato il ricorrente (tra l’altro) per appropriazione indebita, il tribunale di San Marino riconosceva alla parte civile il risarcimento del danno derivante da reato. Appellata la sentenza sotto il profilo della responsabilità penale, il giudice di seconde cure dichiarava l’estinzione del reato per sopravvenuta prescrizione, confermando le statuizioni civili contenute nella pronuncia impugnata. Per la corte d’appello, il riconoscimento dell’illecito aquiliano si fondava sull’accertamento della colpevolezza stabilita in primo grado, né vi erano dubbi sul fatto che il prevenuto avesse tenuto dolosamente condotte di appropriazione indebita e che la parte civile avesse subito un danno in conseguenza di tale delitto[4].

Da qui le doglianze di fronte alla Corte europea, che, come prevedibile, ha riscontrato la violazione dell’art. 6 comma 2 Cost. Ripresa la propria giurisprudenza in tema di presunzione d’innocenza, il giudice di Strasburgo ha rammentato come il principio in questione non operi con esclusivo riferimento ai procedimenti relativi alle determinazioni di un’accusa penale[5] (nel significato “autonomo” elaborato dalla stessa Corte[6]). Quando il procedimento penale si conclude con un’assoluzione o viene interrotto, entra in scena un secondo aspetto del canone in parola: le persone prosciolte (o che abbiano ottenuto un’archiviazione) non possono «essere trattate dai pubblici ufficiali e dalle autorità come se fossero di fatto colpevoli del reato contestato»[7] nei successivi procedimenti extrapenali, fra cui vanno annoverati quelli civili per il risarcimento del danno da reato[8], sempre che vi sia un nesso fra le statuizioni del giudice penale e quelle da adottare aliunde[9].

Diversamente opinando, le garanzie dell’equità processuale di cui all’art. 6 comma 2 Conv. eur. dir. uomo risulterebbero teoriche e illusorie, perché, chiusa la partita penale, rimangono comunque in gioco «la reputazione della persona e il modo in cui essa viene percepita dal pubblico»[10].

A tal proposito, nei casi concernenti dichiarazioni rese dopo che la sentenza di assoluzione è diventata definitiva, il giudice europeo ha ritenuto che la formulazione di sospetti relativi all’innocenza di un imputato non fosse più ammissibile[11], mentre ha reputato violato l’art. 6 comma 2 Conv. eur. dir. uomo in vicende relative a dichiarazioni rilasciate, dopo la cessazione del procedimento penale, quando – senza previo accertamento giuridico della colpevolezza dell’imputato e, in particolare, senza che questi abbia avuto la possibilità di esercitare il diritto di difesa – una decisione giudiziaria in materia non penale che lo riguarda riflette un’opinione di colpevolezza[12].

In tale prospettiva, il linguaggio utilizzato da chi deve decidere diviene fondamentale per valutare la compatibilità del provvedimento e della relativa motivazione rispetto all’art. 6 comma 2 Conv. eur. dir. uomo. Quanto ai ragionamenti contenuti nelle sentenze civili conseguenti a un’interruzione del processo penale, il giudice europeo ha quindi accertato una lesione del dettato convenzionale tutte le volte in cui i «tribunali civili hanno ritenuto ‘chiaramente probabile’ che il richiedente avesse commesso un reato o hanno espressamente indicato che le prove disponibili risultavano sufficienti per stabilire che era stato commesso un reato»[13].

Naturalmente, occorre precisare che la Corte europea è disposta a tollerare, in considerazione della natura e del contesto del procedimento, anche l’uso di un linguaggio “infelice” da parte dell’organo decidente, comprese le «espressioni provenienti dalla sfera del diritto penale»[14], purché il loro impiego, nel tenore complessivo della sentenza, non possa essere inteso come un’affermazione di responsabilità penale.

Ciò non è accaduto nella vicenda Pasquini (n. 2). Constatato che fra il processo penale interrotto e la successiva decisione sui capi civili sussisteva un nesso[15], il giudice europeo ha osservato come la terminologia utilizzata in sentenza «andava oltre il riferimento agli elementi costitutivi di un reato … [lasciando intendere che] le azioni del ricorrente erano pari agli atti di cui era stato accusato»: insomma, «una dichiarazione inequivocabile che il ricorrente aveva commesso un reato», nonostante «la cessazione delle relative accuse a causa della scadenza del termine di prescrizione»[16], in violazione dell’art. 6 comma 2 Conv. eur. dir. uomo.

 

3. A parere della Corte d’appello di Lecce, le statuizioni espresse nella sentenza Pasquini (n. 2), poiché ampiamente consolidate nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo, suonano il de profundis di una disciplina ormai a «termine»[17], perlomeno per quanto riguarda la prescrizione.

A «differenza della mera sentenza dichiarativa della prescrizione del reato in primo grado, che non può mai essere ritenuta sentenza di ‘condanna’, non comportando l’attribuzione dello status di condannato nei riguardi dell’imputato», sostiene il giudice rimettente, «la sentenza di appello che, dichiarando l’estinzione del reato per prescrizione, confermi le statuizioni civili, viene ad essere equiparata, nella sostanza, ad una sentenza di ‘condanna [corsivi nostri]».

Secondo il giudice a quo, del resto, la «corte d’appello, che riscontra l’estinzione del reato per prescrizione, deve statuire anche in ordine alle questioni civili, e, a tale fine, … deve prendere espressamente posizione sui motivi di appello sollevati dall’imputato, anche in punto di responsabilità penale, sicché se giunge a confermare le statuizioni civili, ciò può fare soltanto implicitamente riconoscendo la colpevolezza dell’imputato [corsivi nostri]»[18].

Non solo: la corte leccese si rifà espressamente pure a quell’innovativa giurisprudenza della Cassazione a Sezioni unite, con cui si è esteso il rimedio della revisione alle sentenze di proscioglimento per prescrizione o amnistia, che confermino il risarcimento del danno. È noto come, mediante tale pronuncia, il giudice di legittimità abbia asserito che la condanna agli effetti civili ex art. 578 c.p.p. contiene «necessariamente, anche se incidentalmente, una implicita quanto ineludibile affermazione di responsabilità tout court operata, a cognizione piena, in relazione al fatto-reato causativo del danno»[19].

In definitiva, per il giudice rimettente, l’art. 578 c.p.p. è incompatibile con la Carta di Roma e con il diritto eurounitario in tema di presunzione d’innocenza, non risultando possibile un’interpretazione convenzionalmente orientata della disciplina in parola.

 

4. Siffatta estrema conclusione, tuttavia, lascia perplessi.

Da un lato, pare eccessivo sostenere che, di per sé, la giurisprudenza europea si ponga in rotta di collisione con l’art. 578 c.p.p.: inteso quale regola di giudizio[20], l’art. 6 comma 2 Conv. eur. dir. uomo si limita a esigere che le decisioni extrapenali adottate dopo un proscioglimento non riflettano, attraverso l’impiego d’un linguaggio infelice, l’opinione che l’imputato sia colpevole, allorché non vi sia stato un precedente accertamento legale della sua colpevolezza.

Dall’altro, lo stesso art. 578 c.p.p., laddove autorizza il giudice dell’impugnazione a compiere l’indagine sull’illecito aquiliano, non sottintende che il giudice, una volta rilevata l’estinzione del reato per prescrizione o amnistia, debba esprimersi, implicitamente, sulla responsabilità penale del prevenuto. Tuttavia, pretendere di negarla, anziché considerarla solo un’ipotesi, «[c]ost[erebbe] car[o] alle parti civili»: «sopravvenuta l’estinzione del reato nei gradi ulteriori, sfum[erebbero] gli esiti acquisiti»[21]. Ed è questa la ragione per cui il legislatore ha mantenuto in capo al giudice dell’impugnazione penale, in deroga all’art. 538 c.p.p., il potere di pronunciarsi sugli elementi strutturali della responsabilità civile dipendente da reato, i quali vanno accertati con le stesse categorie e parole – o, si potrebbe dire, con lo stesso “sguardo e tratto di penna” – del giudice civile, se l’impugnazione verte pure sulle questioni civilistiche. Si pensi all’ipotesi in cui l’imputato miri a ottenere l’assoluzione perché il fatto non sussiste o non lo ha commesso: «il giudizio davanti alla corte è [qui] aperto a ogni questione su an e quantum debeatur»[22].

Ma v’è di più: ritenere che la sentenza emessa con effetti pregiudizievoli per l’imputato ai sensi dell’art. 578 c.p.p. comporti necessariamente un riconoscimento implicito della sua responsabilità è contraddetto appunto dalla dichiarazione della sopravvenuta estinzione dell’illecito penale. Come insegnano la Corte costituzionale[23] e autorevole dottrina[24], nemmeno può sostenersi che la declaratoria di estinzione presuma sempre l’accertamento del reato.

 

5. Certo, la Corte d’appello di Lecce asserisce che è “diritto vivente” l’interpretazione secondo cui la sentenza pronunciata ex art. 578 c.p.p. contiene un accertamento implicito della responsabilità penale. Il dubbio, però, è se si possa davvero considerare tale quel diritto alla stregua dei più recenti approdi della Cassazione.

Qualora il diritto vivente si riducesse alla quantità di pronunce idonee a rendere prevalente una certa lettura della disposizione codicistica, allora, sarebbe agevole notare come la decisione delle Sezioni unite della Cassazione sulla legittimazione a impugnare con la revisione le sentenze ex art. 578 c.p.p., conosca in realtà un solo precedente, contro le decine di sentenze di segno contrario[25].

Se, invece, il diritto vivente si misurasse in termini qualitativi, tenendo conto dell’autorevolezza del soggetto designato a fissare il diritto applicabile, non sembra fuori luogo riesaminare le Sezioni unite Tettamanti. È da esse, invero, che originano quelle interpretazioni dell’art. 578 c.p.p., condivise dal giudice a quo, grazie a cui si è giunti ad asserire che «la corte di appello, a fronte del gravame del pubblico ministero e dell’imputato, laddove ritenga di dover prosciogliere per prescrizione del reato, che sconta l’impossibilità di prosciogliere per ragioni di merito ex art. 129 c.p.p., deve decidere in ogni caso anche sulle statuizioni civili, previa conferma della responsabilità penale dell’imputato medesimo»[26] o, comunque, con considerazione di essa come implicita.

Queste letture, però, sembrano oltrepassare il dictum della sentenza Tettamanti, forzandone la portata. Nel chiarire il rapporto fra gli art. 129 e 578 c.p.p., le Sezioni unite hanno sì stabilito che, «in presenza di amnistia o prescrizione, … l’accertamento della mancanza della responsabilità penale – anche per l’insufficienza o contraddittorietà delle prove – esplica i suoi effetti sulla decisione penale, con la conseguenza che deve essere pronunciata, in tal caso, la formula assolutoria nel merito»[27], in luogo di quella di estinzione del reato. Ma, nel formulare il principio di diritto, le Sezioni unite non hanno mai affermato (neppure incidenter tantum) che, per converso, la sentenza di conferma delle statuizioni civili ex art. 578 c.p.p. si risolve in un riconoscimento esplicito o implicito della colpevolezza dell’imputato. Né avrebbero potuto farlo, poiché ciò è escluso proprio dalla presunzione d’innocenza.

 

 

[1] Corte eur. dir. uomo, sez. III, sent. 20 ottobre 2020, Pasquini c. San Marino (n. 2).

[2] Per questa e per le due successive citazioni, cfr. F. Viganò, L’impatto della Cedu e dei suoi protocolli sul sistema penale italiano, in Corte di Strasburgo e giustizia penale, a cura di G. Ubertis - F. Viganò, Torino, 2016, rispettivamente, p. 26 e 28.

[3] Cfr. R. Casiraghi, La revisione, in Trattato di procedura penale, diretto da G. Ubertis - G.P. Voena, XL, Milano, 2020, p. 107, nota 100.

[4] Corte eur. dir. uomo, sez. III, sent. 20 ottobre 2020, Pasquini c. San Marino (n. 2), § 55.

[5] C. eur. dir. uomo, grande camera, sent. 12 luglio 2013, Allen c. Regno Unito, § 95.

[6] Cfr., al riguardo, G. Ubertis, L’autonomia linguistica della Corte di Strasburgo (2012), in Id., Argomenti di procedura penale, IV, Milano, 2016, p. 63-64.

[7] C. eur. dir. uomo, grande camera, sent. 12 luglio 2013, Allen c. Regno Unito, § 94.

[8] Fra le molte, cfr. C. eur. dir. uomo, sez. V, sent. 28 maggio 2020, Farzaliyev c. Azerbaijan, § 64; C. eur. dir. uomo, sez. I, sent. 15 maggio 2008, Orr c. Norvegia, § 47-49; C. eur. dir. uomo, sez. III, sent. 11 febbraio 2003, Ringvold c. Norvegia, § 36.

[9] Cfr., per la giurisprudenza europea al riguardo, F. Cassibba, sub art. 6, in Corte di Strasburgo e giustizia penale, cit., p. 162-163.

[10] C. eur. dir. uomo, grande camera, sent. 28 giugno 2018, G.I.E.M. S.r.l. e altri c. Italia, § 314.

[11] Cfr., ad esempio, C. eur. dir. uomo, sez. III, 21 marzo 2000, Asan Rushiti c. Austria; C. eur. dir. uomo, 25 agosto 1993, Sekanina c. Austria, § 30.

[12] C. eur. dir. uomo, sent. 25 marzo 1983, Minelli c. Svizzera, § 37.

[13] C. eur. dir. uomo, sez. IV, sent. 7 febbraio 2012, Diacenco c. Romania, § 64.

[14] C. eur. dir. uomo, sez. V, sent. 3 ottobre 2019, Fleischner c. Germania, § 64.

[15] Corte eur. dir. uomo, sez. III, sent. 20 ottobre 2020, Pasquini c. San Marino (n. 2), § 38.

[16] Per questa e le precedenti citazioni del capoverso, cfr. Corte eur. dir. uomo, sez. III, sent. 20 ottobre 2020, Pasquini c. San Marino (n. 2), § 64.

[17] G. Varraso, La decisione sugli effetti civili e la confisca senza condanna in sede di impugnazione. La legge n. 3 del 2019 (c.d. “spazzacorrotti”) trasforma gli artt. 578 e 578-bis c.p.p. in una disciplina a “termine”, in Dir. pen. cont., 4 febbraio 2019, p. 1, il quale rimarca come gli art. 578 e 578-bis c.p.p. abbiano subito un’«abrogazione implicita ‘differita’ in parte qua», per effetto della l. n. 3 del 2019 (ivi, p. 11), la cui modifica all’art. 159 comma 2 c.p. comporta la sospensione del corso della prescrizione «dalla pronuncia della sentenza di primo grado o del decreto penale di condanna fino alla data di esecutività della sentenza che definisce il giudizio».

[18] In proposito, la Corte d’appello di Lecce richiama Cass., sez. VI, 20 marzo 2013, Galati e altri, in CED, n. 255666, la cui massima recita che la «previsione di cui all’art. 578 cod. proc. pen. … comporta che i motivi di impugnazione dell’imputato devono essere esaminati compiutamente, non potendosi dare conferma alla condanna al risarcimento del danno in ragione della mancanza di prova dell’innocenza dell’imputato, secondo quanto previsto dall’art. 129, comma secondo, cod. proc. pen.; pertanto, la sentenza di appello che non compia un esaustivo apprezzamento sulla responsabilità dell’imputato deve essere annullata con rinvio, limitatamente alla conferma delle statuizioni civili».

[19] Cass., sez. un., 25 ottobre 2018, Milanese, in Cass. pen., 2019, p. 3453-3454, in motivazione (corsivi nostri).

[20] Cfr., in proposito, G. Ubertis, Principi di procedura penale europea. Le regole del giusto processo, Milano, 2009, p. 90-91.

[21] F. Cordero, Procedura penale, Milano, 2012, p. 1132, da cui è tratta anche la precedente citazione.

[22] F. Cordero, Procedura penale, cit., p. 1132.

[23] C. cost., sent. 26 marzo 2015 n. 49, in Giur. cost., 2015, p. 406.

[24] Cfr. F. Cordero, Contributo allo studio dell’amnistia, 1957, p. 40.

[25] Sull’evoluzione giurisprudenziale in materia, cfr. G. Di Paolo, Proscioglimento per prescrizione del reato e revisione: le Sezioni unite estendono l’esperibilità del rimedio straordinario riconoscendo legittimazione attiva al prosciolto condannato agli effetti civili, in Cass. pen., 2020, p. 2049 ss.; e, per una ricostruzione in chiave critica dell’impugnabilità in via straordinaria di tale tipo di sentenza, cfr. R. Casiraghi, La revisione, cit., p. 104 ss.

[26] G. Varraso, La decisione sugli effetti civili e la confisca senza condanna in sede di impugnazione. La legge n. 3 del 2019 (c.d. “spazzacorrotti”) trasforma gli artt. 578 e 578-bis c.p.p. in una disciplina a “termine”, cit., p. 4.

[27] Cfr. Cass., sez. un., 28 maggio 2009, Tettamanti, in Cass. pen., 2010, p. 4105, in motivazione.