Corte d’Assise di Brescia, Sez. II, ud. 13 maggio 2019, dep. 12 luglio 2019, n. 3, Pres. Ardenghi, Est. Corvi
1. Con la pronuncia in commento, la Corte d’Assise di Brescia condanna per omicidio preterintenzionale una donna per aver spinto a terra un anziano signore causandone la morte.
La sentenza si segnala per la duplice argomentazione utilizzata dalla Corte per dimostrare la sussistenza dell’elemento soggettivo: i giudici applicano sia il test della prevedibilità dell’evento-morte in astratto (riconducibile ad un modello di responsabilità oggettiva) che, in via residuale, quello della prevedibilità in concreto (c.d. teoria del dolo misto a colpa).
Inoltre, la pronuncia si distingue per la complessa ricostruzione in fatto del nesso di causalità tra condotta ed evento.
1.1 Innanzitutto, il fatto. Nel corso di una lite riguardante i confini e la sussistenza di una servitù di passaggio tra due proprietà, Z. spingeva il vicino F., facendolo cadere a terra di schiena.
Quando i soccorsi intervenivano, mezz’ora dopo, trovavano F. ancora disteso, cosciente ma in stato di agitazione, che lamentava un dolore nella zona lombare. Spinalizzato e trasportato in ospedale, F. cominciava a lamentare, oltre al dolore alla schiena, anche mal di testa e mal di collo. F. veniva quindi dimesso il giorno successivo con una diagnosi di trauma lombare; acuitisi tuttavia i dolori alla testa nei giorni seguenti, veniva ricoverato d’urgenza in pronto soccorso, dove gli veniva diagnosticata un’emorragia cerebrale. Sottoposto a terapia intensiva, F. moriva infine per distress respiratorio acuto, causa ultima della morte, avvenuta dieci giorni dopo l’aggressione da parte della Z.
Z. viene condannata a sei anni per omicidio preterintenzionale.
2. In primo luogo, sul terreno del fatto, si passano brevemente in rassegna le complesse valutazioni svolte dalla Corte in ordine alla sussistenza del nesso di causalità. I fattori che determinarono l’emorragia cerebrale e, di conseguenza, la morte di F. non sono di agevole ricostruzione e sono stati oggetto di controversia tra periti e consulente tecnico di parte.
2.1 In base alle valutazioni tecniche svolte dai periti, il colpo a livello lombare avrebbe creato “una controspinta, una sollecitazione a livello del rachide cervicale”, causando un “trauma chiuso cranico indiretto, legato all’azione di meccanismi di trazione e stiramento”, “uno scuotimento da contraccolpo” che avrebbe causato l’emorragia. Il trauma, dunque, si sarebbe propagato dalla schiena al cervello. L’emorragia sarebbe stata favorita dalla presenza di fattori di rischio quali l’assunzione di terapie anticoagulanti e l’età avanzata della vittima (la quale, al momento del decesso, aveva 71 anni). La spinta, la caduta ed il conseguente trauma lombare sarebbero dunque state la condicio sine qua non per il verificarsi dell’emorragia e, dunque, dell’evento-morte.
Il consulente tecnico di parte riteneva, invece, che il decesso di F. fosse totalmente indipendente dalla condotta di Z., ma che fosse stato causato da un’emorragia cerebrale di natura spontanea, conseguenza delle pregresse patologie di F. (affetto da ipertensione e già colpito da ischemia ed episodi di epilessia), talmente avanzate da provocare uno stato di sofferenza anche a livello cerebrale. In particolare, proprio i preesistenti picchi ipertensivi avrebbero determinato la lacerazione di un vaso arterioso cerebrale.
I giudici accolgono tuttavia le relazioni dei periti ed escludono che l’emorragia fosse stata di natura spontanea, ritenendo che le teorie alternative avanzate dalla difesa si arrestassero sul piano della mera congettura.
2.2. Nella decisione della Corte bresciana svolgono un ruolo centrale i principi espressi dalla sentenza Franzese (Cass., sez. un., 10 luglio 2002, n. 30328, Franzese, in CED Cassazione n. 222138), secondo cui, come è noto, anche leggi scientifiche che abbiano un grado di probabilità statistica medio-basso (quale è il caso della legge scientifica che ricollega il trauma lombare all’emorragia cerebrale) possono provare il nesso di causalità qualora non sussistano altri fattori causali in grado di spiegare il concreto verificarsi dell’evento. La sentenza annotata afferma a riguardo che per escludere il nesso di causalità «non è necessario che l’ipotesi alternativa alla colpevolezza sia assolutamente fantasiosa o comunque estranea a quanto accade in rerum natura (poiché, in quel caso, la norma avrebbe parlato di “non irrazionale dubbio”); piuttosto, il Giudice deve concludere per l’assoluzione quando simile ipotesi alternativa, sia pure meno probabile rispetto a quella che fa propendere per la colpevolezza dell’imputato (…), si fonda su elementi, dati, indizi emersi nel processo che portino a ritenere che la prima, sebbene statisticamente meno frequente, possa in effetti essersi verificata». In questo caso, i giudici ritengono, al contrario, che le spiegazioni causali alternative avanzate dalla difesa non siano credibili.
La Corte ricorda inoltre il corollario della teoria condizionalistica, in base al quale il concorso di fattori preesistenti non esclude il rapporto di causalità tra l’azione e l’evento.
Il fatto che F. fosse affetto da numerose patologie, dunque, non fa venire meno il nesso condizionalistico tra condotta ed evento poiché «è pacifico che anche nell’ipotesi in cui gli atti diretti a ledere o a percuotere non costituiscano la “causa clinica”, diretta ed immediata, della morte, ma soltanto il fattore di emergenza di un precedente stato patologico della vittima, il principio di equivalenza causale preclude qualsiasi valutazione di carattere quantitativo e la causalità deve ritenersi sussistente anche se la condotta dell’imputato abbia contribuito alla realizzazione dell’evento in misura minima».
Si anticipa fin da ora che dalla complessità del dibattito scaturito tra periti e consulente tecnico, di cui si è qui dato brevemente conto, non possono non ricavarsi considerazioni circa la prevedibilità in concreto dell’evento da parte dell’agente.
3. La Corte d’Assise di Brescia si concentra poi sul tema più controverso in materia di omicidio preterintenzionale, ossia l’elemento soggettivo necessario per l’integrazione del reato. La questione, nel caso di specie, è dunque quella di stabilire se a Z. sia rimproverabile la morte di F. anche nel caso in cui essa sia mera conseguenza naturalistica della sua condotta, non concretamente prevedibile al momento della spinta.
Letteralmente – come è noto –, l’art. 584 c.p. parrebbe infatti addebitare all’agente la responsabilità dell’evento-morte sulla sola base del rapporto di causalità, assumendo dunque i contorni di un’ipotesi di responsabilità oggettiva. Come è altrettanto noto, tuttavia, la Corte Costituzionale ha dichiarato che lo schema della responsabilità oggettiva è incompatibile con il dettato costituzionale: in ottemperanza al principio di colpevolezza sancito dall’art. 27, primo comma, Cost., «è indispensabile che tutti e ciascuno degli elementi che concorrono a contrassegnare il disvalore della fattispecie siano soggettivamente collegati all’agente, siano, cioè, investiti dal dolo o dalla colpa» (C. Cost. 1085/1988; nello stesso senso 364/1988 e 322/2007). Tra tali elementi, ovviamente, non può ignorarsi l’evento. Alla luce della richiamata giurisprudenza, le disposizioni che delineano un modello di responsabilità oggettiva devono essere interpretate, in senso conforme a costituzione, come se contenessero già il limite della colpa.
Si parla, in proposito, in dottrina, di dolo misto a colpa [1]. Doloso sarebbe il compimento di atti diretti a percuotere o a cagionare una lesione personale, mentre la morte sarebbe ascrivibile a colpa (nella forma di colpa generica) dell’agente. Tali principi sono stati fatti propri anche dalla Corte di Cassazione in materia di morte come conseguenza di altro delitto di cui all’art. 586 c.p.: la sentenza Ronci (Cass. pen., Sez. un., 29 maggio 2009, n. 22676, Ronci) ha infatti stabilito che la morte dell’acquirente di stupefacenti è addebitabile al cedente soltanto qualora tale evento fosse concretamente prevedibile dal cedente [2].
La teoria non ha avuto lo stesso successo in materia di omicidio preterintenzionale, se non in sentenze di legittimità rimaste isolate (vd. Cass., Sez. I, 26 aprile 2006, n. 19611, G.G., in Dir. pen. proc., 2006, p. 1394; Cass., Sez. I, 22 settembre 2006, n. 37385, V.M.B., in Leggi d’Italia, per la giurisprudenza di merito si veda Corte d’App. Reggio Emilia, 12 gennaio 2015).
La giurisprudenza di legittimità maggioritaria sull’art. 584 c.p. si è infatti assestata negli ultimi anni su una posizione scarsamente conforme al principio di colpevolezza, affermando che l’elemento soggettivo in materia di omicidio preterintenzionale è costituito «non già da dolo e responsabilità oggettiva né da dolo misto a colpa, ma unicamente dal dolo di percosse o lesioni, in quanto la disposizione di cui all'art. 43 c.p., assorbe la prevedibilità di evento più grave nell'intenzione di risultato» (Cass., Sez. V, 18 ottobre 2012, n. 791; Id. 21 settembre 2016, n. 44986). È la tesi dell’unicità dell’elemento psicologico della preterintenzione: l’elemento soggettivo del delitto sussidiario (percosse e lesioni) assorbirebbe, come intenzione di risultato del delitto contro la persona, la prevedibilità dell’evento-morte, così che «il rischio dell'evento omogeneo più grave [sarebbe] insito nel danno o nel pericolo che si arreca con gli atti diretti a percuotere o ledere» [3]. In sostanza, basterebbe dimostrare la sussistenza del dolo con riferimento alla condotta di lesioni, affinché operi una sorta di “presunzione di prevedibilità” dell’evento [4]: la prova dell’elemento soggettivo del dolo in ordine al delitto di lesioni, nonché del nesso eziologico fra tale condotta e l’evento-morte, sarebbe di per sé sufficiente a ritenere integrati gli estremi del delitto di cui all’art. 584 c.p.
Mascherata dietro alla teoria dell’assorbimento, insomma, non è difficile intravedere la tesi della preterintenzione come combinazione di dolo (di lesioni o percosse) e responsabilità oggettiva (quanto alla causazione dell’evento).
La Corte d’Assise di Brescia non si discosta dal modello propugnato dalla Corte di Cassazione e, nel paragrafo della motivazione intitolato “prevedibilità dell’evento morte in astratto”, riprende gli argomenti utilizzati dalla giurisprudenza di legittimità più recente. L’evento-morte sarebbe addebitabile all’agente che abbia dolosamente cagionato le lesioni, indipendentemente dalla concreta prevedibilità dell’esito finale. Come afferma la Corte di Brescia «la sussistenza di un atto consapevole e volontario, diretto a cagionare percosse o lesioni, nonché del nesso eziologico tra tale condotta e l’evento finale, rappresentato dalla morte della vittima, sarebbe di per sé sufficiente per ritenere integrati gli estremi del delitto di cui all’art. 584 c.p.».
3.1. Ben consapevole dei problemi di compatibilità con l’art. 27 Cost. posti dall’orientamento maggioritario della Cassazione, la Corte d’Assise di Brescia dedica tuttavia un secondo paragrafo della motivazione della sentenza qui in esame alla “prevedibilità dell’evento morte in concreto”, applicando il modello del dolo misto a colpa e giungendo, comunque, ad affermare che la morte di F. era in concreto prevedibile e, dunque, rimproverabile a Z.
Innanzitutto, i giudici bresciani affermano che statisticamente le cadute degli anziani sono frequenti e che, inoltre, esiste una “regola d’esperienza” secondo cui «le cadute costituiscono un elevato fattore di rischio per la salute dell’anziano». E ciò perché - a causa della maggiore fragilità ossea, dei legamenti e dei vasi sanguigni - le conseguenze di simili eventi sono normalmente assai più gravi rispetto a quanto si verifica per individui di età inferiore.
Il c.d. agente modello è dunque in grado di prevedere che una spinta data ad un signore anziano possa farlo cadere e che tale caduta possa generare complicazioni.
Oltretutto, i giudici sottolineano che al fine di effettuare il giudizio di prevedibilità è necessario tenere conto anche delle contingenti e superiori conoscenze dell’imputato rispetto a quelle proprie dell’agente modello. In questo caso, l’imputata certamente sapeva che la fisiologica “fragilità” dell’anziano era accentuata dalla presenza di numerose patologie dalle quali la vittima era affetta, tanto che, secondo quanto dalla stessa dichiarato, proprio tale consapevolezza l’aveva portata ad attivare immediatamente i soccorsi, una volta che l’uomo era finito a terra. Nello specifico, Z. sapeva che F. aveva avuto un ictus in passato e, a parere della Corte, «qualsiasi soggetto con conoscenze mediche davvero minimali sa che chi ne è stato affetto necessita di assumere farmaci anticoagulanti e che quindi è più facilmente soggetto ad emorragie e a sanguinamenti in generale». Infine, le circostanze concrete erano tali da massimizzare il rischio di caduta, dal momento che il terreno era scivoloso per la presenza di fogliame e F. indossava delle ciabatte.
Per queste motivazioni, la Corte d’Assise di Brescia ritiene che la morte di F. come conseguenza della spinta fosse concretamente prevedibile ed evitabile dall’imputata. Un agente modello, al posto della Z., ed in possesso delle sue conoscenze circa la salute di F., si sarebbe rappresentato il rischio del verificarsi di un trauma per effetto della caduta ed il conseguente rischio di emorragia, anche cerebrale.
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4. A sommesso parere di chi scrive, le pur pregevoli argomentazioni della sentenza annotata, in tema di elemento soggettivo, non persuadono del tutto.
Quanto al criterio della prevedibilità in astratto, non si possono non condividere le già citate perplessità espresse dalla dottrina circa l’operare - sotto mentite, ma ben riconoscibili, spoglie - di una responsabilità oggettiva in materia di omicidio preterintenzionale.
D’altra parte, sebbene sia apprezzabile lo sforzo di aver dedicato un paragrafo della motivazione al vaglio della prevedibilità in concreto dell’evento-morte, le conclusioni raggiunte dalla Corte d’Assise sembrano non considerare che, in base al paradigma del dolo misto a colpa, il giudizio di prevedibilità deve avere ad oggetto non qualsiasi effetto pregiudizievole della condotta di percosse o lesioni, bensì lo specifico evento che si è verificato. Non basta, dunque, dimostrare che dalla condotta di percosse o lesioni possa genericamente derivare un rischio per la salute della vittima: si ricadrebbe, altrimenti, nella stessa logica della prevedibilità astratta e, dunque, della responsabilità oggettiva.
Se può condividersi con i giudici di Brescia la constatazione in base alla quale è prevedibile che una spinta data ad un soggetto in età avanzata possa causare una caduta e che la caduta possa generare ulteriori complicazioni, è dubbio se sia esigibile dall’agente un giudizio di prevedibilità che coinvolga anche l’evento-morte, in un caso, come quello di specie, in cui il decorso causale è evidentemente atipico [5].
D’altra parte, le considerazioni circa la conoscibilità della necessità di assumere farmaci anticoagulanti per chi abbia subito un ictus, nonché del rischio emorragico collegato all’assunzione di tali medicine, sembrano attribuire all’agente-modello competenze medico-specialistiche di gran lunga superiori a quelle dell’individuo “mediamente avveduto” [6].
[1] Cfr. , per tutti, G. Marinucci, E. Dolcini., G.L. Gatta, Manuale di diritto penale. Parte generale, Giuffrè, 8a ed., 2019, p. 414; F. Basile, La colpa in attività illecita, Giuffrè, 2005, p. 44 ss,.; R. Fresta, Le ipotesi delittuose di omicidio preterintenzionale e di omicidio colposo, in Cadoppi, Canestrari, Manna, Papa (a cura di), Trattato di diritto penale, Parte speciale, VII, I delitti contro la vita e l’incolumità personale, Utet, 2011, pp. 154-158.
[2] A tali fini la Corte di Cassazione utilizza una serie di indici, quali la conoscenza delle condizioni di salute del cessionario e delle sue abitudini di consumo, la conoscenza della composizione chimica della dose etc. Vd. anche, sempre in materia di morte dell’acquirente quale conseguenza del delitto di spaccio Cass. 19.1.2010, n. 2373; Cass. 20.5.2010, n. 19090; Cass. 7.7.2010, n. 25973; Cass. 5.5.2011, n. 17394; Cass. 4.7.2011, n. 26072; Cass. 22.11.2011, n. 43006; per alcune riflessioni circa i motivi della diversa penetrazione del principio di colpevolezza quanto all’art. 584 c.p. e all’art. 586 c.p. si veda F. Basile, La responsabilità oggettiva nella più recente giurisprudenza della Cassazione relativa agli arti. 116, 584 e 584 c.p., in Dir. pen. cont. – Riv. trim., 3/2013, p. 3.
[3] S. Finocchiaro, Anche nell’omicidio preterintenzionale il criterio di imputazione dell’evento è la colpa in concreto? Una pronuncia della Corte d’Assise di Reggio Emilia, - Corte d'assise di Reggio Emilia, sent. 12 gennaio 2015, Pres. Caruso, Est. Ramponiin Dir. pen. cont., 24 dicembre 2015.
[4] Così si esprime A. Aimi, Omicidio preterintenzionale e principio di colpevolezza - Nota a C. Ass. App. Milano, ud. 19 dicembre 2012 (dep. 5 marzo 2013), Pres. Silocchi, Est. Bellerio, Imp. Desogus, in Dir. pen. cont., 30 maggio 2013.
[5] Questioni simili sono poste da E. Zuffada, Il lancio di un gavettone cagiona la morte di un uomo: un nuovo banco di prova per l’accertamento della colpevolezza dell’agente - Nota a Cass., sez. III, sent. 28 settembre 2016 (dep. 14 novembre 2016), n. 47979, Pres. Fiale, Rel. Aceto, Imp. Urru, in Dir. pen. cont., 1/2017. In quel caso il lancio di un gavettone aveva spaventato un anziano signore a tal punto da causargli un infarto letale e l’autore domandava retoricamente: «qual è l’effettiva prevedibilità della “potenzialità letale” del lancio di una busta piena d’acqua? È ragionevolmente prevedibile che una persona, sebbene anziana e cardiopatica, muoia a causa di uno spavento provocato da un gavettone?».
[6] Nel delitto preterintenzionale emergono regole cautelari che che non vengono individuate con riferimento al parametro dell’homo eiusdem condicionis et professionis. Essendo la condotta illecita a determinare la situazione di rischio cui le regole cautelari si ricollegano, il criterio di riferimento è quello dell’uomo “mediamente avveduto”: il criterio della colpa viene così “oggettivato”, nel senso che è connesso alla violazione di norme cautelari individuate in base a criteri non soggettivi. In questo senso si veda S. Canestrari, Il delitto preterintenzionale, F. Bricola, V. Zagrebelsky (a cura di), Giurisprudenza sistematica di diritto penale, Codice penale, Parte generale, vol. I, 2a ed., Utet, Torino, 1996, 599-622; A. Nappi, Manuale di diritto penale. Parte generale, Giuffrè, 2010, p. 612.