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26 Ottobre 2020


La Consulta ammette, con una decisione di accoglimento, la lettura in dibattimento delle dichiarazioni rese al gip dall’imputato in reato collegato

Corte cost., sent. 20 ottobre 2020, n. 218, Pres. Morelli, Red. Petitti



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Diamo sintetica ed immediata notizia, in attesa di un eventuale commento critico, di una sentenza della Corte costituzionale che ha ampliato i casi di lettura in dibattimento delle dichiarazioni rese nelle indagini preliminari e divenute medio tempore irripetibili.

La Corte, con la sentenza n. 218 del 2020, ha, infatti, dichiarato incostituzionale l’art. 512, comma 1, cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che, alle condizioni ivi stabilite, sia data lettura delle dichiarazioni rese al giudice per le indagini preliminari in sede di interrogatorio di garanzia dall’imputato di un reato collegato a norma dell’art. 371, comma 2, lettera b), che, avendo ricevuto l’avvertimento di cui all’art. 64, comma 3, lettera c), sia stato citato per essere sentito come testimone.

 

1. La norma censurata e le questioni sollevate del rimettente

L’art. 512 cod. proc. pen. enuncia la disciplina della «Lettura di atti per sopravvenuta impossibilità di ripetizione» e al comma 1 prevede che il giudice, a richiesta di parte, dispone che sia data lettura degli atti assunti dalla polizia giudiziaria, dal pubblico ministero, dai difensori delle parti private e dal giudice nel corso della udienza preliminare quando, per fatti o circostanze imprevedibili, ne è divenuta impossibile la ripetizione.

Il Tribunale ordinario di Roma ha sollevato questione di legittimità costituzionale di tale norma «nella parte in cui non prevede la possibilità di disporre la lettura delle dichiarazioni, rese in sede di interrogatorio dinanzi al giudice per le indagini preliminari di cui non sia possibile la ripetizione per impossibilità di natura oggettiva, di imputato di un reato collegato a norma dell’art. 371, comma 2, lett. b) del c.p.p., da escutersi quale testimone assistito, nell’ipotesi di cui all’art. 64, comma 3, lett. c) del c.p.p. per violazione degli artt. 3 e 111 della Costituzione».

Nel giudizio a quo il rimettente era chiamato a giudicare dell’ammissibilità della lettura dibattimentale di dichiarazioni eteroaccusatorie rese da una persona arrestata in flagranza di reato, in quanto trovata in possesso di alcuni involucri di eroina. All’atto dell’arresto e del sequestro della sostanza stupefacente, peraltro, l’indagato aveva ingaggiato una violenta colluttazione con gli agenti di polizia giudiziaria e gli era stato contestato anche di aver opposto resistenza e cagionato lesioni ai pubblici ufficiali, fatti per i quali lo stesso era stato definitivamente condannato. Durante l’interrogatorio di garanzia davanti al Giudice per le indagini preliminari, tuttavia, lo stesso indagato, dopo aver ricevuto l’avvertimento previsto dall’articolo 64, comma 3, lett. c), del c.p.p., aveva reso dichiarazioni accusatorie nei confronti dei pubblici ufficiali che avevano proceduto al suo arresto. Costoro risultavano perciò imputati nel processo pendente davanti al Tribunale di Roma per i reati di cui agli artt. 110, 582, 61, numero 9), del codice penale nonché agli artt. 110, 479 in relazione all’art. 476, comma 2, cod. pen., oltre che per il reato di cui all’art. 605 cod. pen. Il dichiarante, chiamato a deporre in dibattimento quale “testimone assistito”, ai sensi dell’art. 197-bis cod. proc. pen., era, tuttavia, risultato irreperibile, circostanza che, secondo il giudice rimettente, non era prevedibile al momento in cui erano state rese le dichiarazioni eteroaccusatorie. 

Il Tribunale di Roma, richiesto di ammettere la lettura dibattimentale delle dichiarazioni rese nell’interrogatorio di garanzia dal “testimone assistito”, ha, dunque, ritenuto rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale sopra riportate.

Secondo il giudice rimettente, l’art. 512 cod. proc. pen. non consente, infatti, di disporre la lettura del verbale di dichiarazioni rese al giudice per le indagini preliminari dall’imputato giudicato in un procedimento per reato collegato, in quanto l’interrogatorio della persona sottoposta a misura cautelare non rientra fra gli atti tassativamente elencati nell’art. 512 cod. proc. pen.; d’altra parte, rivestendo il dichiarante la qualità di “testimone assistito” ex art. 197-bis, comma 2, cod. proc. pen., non sarebbe applicabile la distinta ipotesi di lettura dibattimentale contemplata dall’art. 513 cod. proc. pen., che è invece riferibile all’imputato ed alle persone indicate nell’art. 210, comma 1, cod. proc. pen. (e cioè, le persone imputate in un procedimento connesso a norma dell’art. 12, comma 1, lettera a, cod. proc. pen, nei confronti delle quali si procede o si è proceduto separatamente e che non possono assumere l’ufficio di testimone).

L’art. 512 cod. proc. pen., tuttavia, non ammettendo la lettura dibattimentale di tali dichiarazioni, risulterebbe irragionevole e lesivo del principio di eguaglianza, essendo viceversa consentita la lettura delle dichiarazioni rese, fuori del contraddittorio, dinanzi alla polizia giudiziaria e al pubblico ministero (e, dunque, in assenza di un giudice terzo), come anche delle dichiarazioni rese dai soggetti di cui all’art. 210 cod. proc. pen.

Parimenti la disposizione censurata sarebbe per il giudice a quo in contrasto con l’art. 111 Cost., il quale rimette alla legge di regolare i casi di deroga al principio del contraddittorio nella formazione della prova per accertata impossibilità, in modo da permettere l’acquisizione nella fase dibattimentale di atti di indagine allorché sussista la non ripetibilità dell’elemento raccolto dovuta a cause imprevedibili.  

 

2. La ricostruzione del sistema normativo operata dalla Corte Costituzionale

La Corte Costituzionale ha ritenuto rilevante la questione sollevata dal giudice rimettente e corretta la premessa dalla quale muove, e cioè che le dichiarazioni rese al giudice delle indagini preliminari dall’imputato di reato collegato ai sensi dell’art. 371, comma 2, lettera b), cod. proc. pen. in sede di interrogatorio di garanzia ex art. 294 cod. proc. pen., nel caso in cui le stesse divengano irripetibili per impossibilità dell’esame dello stesso imputato, non sono suscettibili di lettura nel corso del dibattimento.

Nel giudizio della Corte, l’introduzione nella trama del codice di rito, per effetto della legge n. 63 del 2001, della figura del “testimone assistito” di cui all’art. 197-bis cod. proc. pen. e la correlata contrazione dell’ambito di operatività dell’art. 210 cod. proc. pen. hanno, infatti, «ampliato le lacune e le incongruenze della disciplina delle modalità di recupero in dibattimento delle dichiarazioni rese nelle fasi precedenti, quale risultante dal rapporto tra gli artt. 512 e 513 cod. proc. pen.».

Tali norme lasciano, invero, senza soluzione il problema della lettura degli atti qualora l’esame della persona da escutere ai sensi dell’art. 197-bis cod. proc. pen. sia divenuto impossibile per fatti o circostanze sopravvenute ed imprevedibili, estranee alla volontà del dichiarante.

Da un lato, infatti, l’art. 513 cod. proc. pen. si riferisce espressamente alle sole dichiarazioni rese dall’imputato nella precedente fase delle indagini preliminari ovvero, attraverso il richiamo all’art. 210, comma 1, a quelle rese dal coimputato ai sensi dell’art. 12, comma 1, lettera a), nei confronti del quale si procede o si è proceduto separatamente e che non può assumere l’ufficio di testimone. Dall’altro lato, l’art. 512 cod. proc. pen. contiene una elencazione degli atti dei quali può essere data lettura in caso di impossibilità di ripetizione, che, tuttavia, non ricomprende quelli assunti dal giudice per le indagini preliminari, essendo menzionati quelli assunti dalla polizia giudiziaria, dal pubblico ministero, dai difensori delle parti private e dal giudice nel corso della udienza preliminare.

Tale elencazione deve, peraltro, ritenersi tassativa, in quanto il disposto dell’art. 512 cod. proc. pen. costituisce una specifica ipotesi di deroga del principio del contraddittorio nella formazione della prova nel processo penale.

Secondo la Corte Costituzionale, peraltro, è proprio l’art. 512 cod. proc. pen. la norma di riferimento e residuale in tema di recupero degli atti a contenuto dichiarativo di cui sia impossibile la ripetizione in dibattimento per circostanze sopravvenute dei soggetti diversi dall’imputato o dal coimputato ai sensi dell’art. 12, comma 1, lettera a), nei confronti del quale si procede o si è proceduto separatamente e che non può assumere l’ufficio di testimone.

L’esplicita previsione che nei casi di cui ai commi 1 e 2 dell’art. 197-bis cod. proc. pen. le persone ivi indicate possano essere sentite come testimoni, rende evidente, da un lato, la non assimilabilità della posizione di costoro a quella di chi può avvalersi del diritto al silenzio (cui è riservata la disciplina delineata dall’art. 513, comma 2, in caso di irripetibilità delle dichiarazioni) e, dall’altro, l’avvicinamento della posizione di tali soggetti a quella dei testimoni, sia pure con le garanzie procedurali e con le limitazioni di efficacia probatoria delineate compiutamente dai successivi commi del medesimo art. 197-bis.

 

3. Le statuizioni della Corte Costituzionale

Affermata la “centralità” della disciplina delineata dall’art. 512 cod. proc. pen. al fine del recupero di dichiarazioni non riproponibili nel contraddittorio dibattimentale «per accertata impossibilità di natura oggettiva», la Corte Costituzionale ha, dunque, accolto la questione di costituzionalità di tale norma sollevata dal rimettente in relazione all’art. 3 Cost.  

Se, infatti, in base all’art. 512 cod. proc. pen., può essere data lettura degli atti assunti dalla polizia giudiziaria, dal pubblico ministero, dai difensori delle parti private e dal giudice nel corso della udienza preliminare quando, per fatti o circostanze imprevedibili, ne è divenuta impossibile la ripetizione, la mancata previsione di identica possibilità per il caso in cui l’atto assunto sia un atto formato dal giudice per le indagini preliminari risulta del tutto irragionevole.

Del resto, osserva la Corte, le dichiarazioni rese dall’imputato di reato collegato ai sensi dell’art. 371, comma 2, lettera b), che abbia assunto la qualità di testimone assistito, sia per effetto dell’avvertimento di cui all’art. 64, comma 3, lettera c), sia per effetto dell’intervenuta pronuncia nei suoi confronti di sentenza di proscioglimento, di condanna o di applicazione della pena ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., ben sarebbero suscettibili di lettura ove assunte dal pubblico ministero; anche da tale ulteriore prospettiva, risulta del tutto irragionevole che ciò non sia possibile nel caso in cui l’interrogatorio sia stato assunto dal giudice per le indagini preliminari con le garanzie proprie di tale tipo di atto.

La Corte Costituzionale, come sopra anticipato, ha, dunque, dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 512, comma 1, cod. proc. pen., per violazione dell’art. 3 Cost., «nella parte in cui non prevede che, alle condizioni ivi stabilite, sia data lettura delle dichiarazioni rese al giudice per le indagini preliminari in sede di interrogatorio di garanzia dall’imputato di un reato collegato a norma dell’art. 371, comma 2, lettera b), che, avendo ricevuto l’avvertimento di cui all’art. 64, comma 3, lettera c), sia stato citato per essere sentito come testimone».