Corte cost., sent. n. 174 del 23 giugno 2022 (dep. 12 luglio 2022), Pres. Amato, Rel. Viganò
1. Con sentenza n. 174, decisa il 23 giugno 2022 e depositata il 12 luglio 2022, al momento in corso di pubblicazione sulla G.U., la Corte costituzionale torna sulla sospensione del procedimento con messa alla prova e amplia nuovamente l’ambito di applicazione dell’istituto, dichiarando l’illegittimità costituzionale (parziale) dell’art. 168-bis, comma quarto, cod. pen., nella parte in cui non prevede che l’imputato possa essere ammesso alla sospensione del procedimento con messa alla prova qualora si proceda per reati connessi, ai sensi dell’art. 12, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., con altri reati per i quali tale beneficio sia già stato concesso.
La pronuncia interviene a neanche un mese dal deposito della sentenza n. 146 del 2022, con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale parziale dell’art. 517 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede, a seguito di contestazione di reati connessi a norma dell’art. 12, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., la facoltà per l’imputato di richiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova, con riferimento a tutti i reati contestatigli: con quella decisione – commentata su questa rivista – è stata “recuperata” la messa alla prova, che va richiesta non solo per i nuovi reati oggetto di contestazione supplettiva, ma per tutti i reati, compreso quindi anche quelli per i quali, in quello stesso procedimento, siano già scattate le preclusioni di fase, in ossequio all’esigenza di non parcellizzare, bensì di assicurare la risocializzazione dell’imputato con riferimento a tutti gli addebiti ascrittigli e sempre che per ognuno di essi ricorrano i presupposti di legge per ammettere il rito speciale.
Anche la decisione, che oggi si segnala, si inserisce nel solco delle pronunce di illegittimità costituzionale parziale, con le quali è stata “recuperata”, ed in questo caso ampliata, dalla Corte costituzionale la facoltà, per l’imputato, di chiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova, valorizzando la ratio dell’istituto, e ciò nonostante il superamento delle preclusioni di fase e sempre che ricorrano determinati presupposti.
2. La questione di legittimità costituzionale dell’art. 168-bis, comma quarto, cod. pen. nella parte in cui, disponendo che la sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato non possa essere concessa più di una volta, non prevede che l’imputato ne possa usufruire per reati connessi, ai sensi dell’art. 12, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., con altri reati per i quali tale beneficio sia già stato concesso in altri procedimenti penali, è stata sollevata dal Tribunale ordinario di Bologna per violazione dell’art. 3 Cost.
Il caso sottoposto al vaglio del giudice a quo riguarda due imputati chiamati a rispondere del delitto di detenzione a fini di spaccio di sostanze stupefacenti, già qualificato dalla pubblica accusa ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309., e quindi di un reato per il quale è astrattamente concedibile la sospensione del procedimento con messa alla prova, quanto meno in ragione dei limiti edittali di pena.
Gli imputati, tuttavia, risultano aver già beneficiato della sospensione ai sensi dell’art. 168-bis cod. pen., in altro procedimento penale, dichiarato estinto per esito positivo della messa alla prova, nel quale veniva loro contestato un altro episodio di spaccio «coevo a quelli contestati nel giudizio a quo e ad essi avvinto dalla continuazione (art. 81, secondo comma, cod. pen.), trattandosi di fatti tutti commessi in esecuzione del medesimo disegno criminoso».
La questione è pertanto rilevante in quanto gli imputati, avendone già beneficiato, non possono più accedere al rito speciale, essendo ciò impedito dall’art. 168-bis cod. pen., il cui comma quarto espressamente prevede che la messa alla prova non possa essere concessa per più di una volta (è una chance che l’indagato/imputato di un reato commesso da maggiorenne può giocarsi una sola volta nella vita, n.d.r.).
Quanto alla non manifesta infondatezza, il giudice a quo si richiama al disegno all’origine della legge 28 aprile 2014, n. 67, che ha introdotto l’istituto, nel quale non era prevista una limitazione così stringente e opera un raffronto con l’omologo istituto disciplinato nel rito minorile, che può essere concesso senza alcuna limitazione di sorta (e ciò non solo con riferimento alle volte in cui possa essere richiesto, ma anche in relazione alla tipologia di reato per cui è concedibile, n.d.r.)
Osserva quindi che nella sospensione del procedimento con messa alla prova per reati commessi da maggiorenne, la possibilità di beneficare del rito speciale finisce con il dipendere o dalla scelta del pubblico ministero o da diverse tempistiche processuali, perché, laddove, nel simultaneus processus, venissero contestati più fatti di reato, avvinti tra loro dal nesso della continuazione, il giudice potrebbe anche ammettere il rito e giungere così, in caso di esito positivo della messa alla prova, all’estinzione di tutti i reati contestati all’imputato, nell’ambito, appunto, dello stesso procedimento penale; per converso, se la scelta del P.M. è quella di iscrivere due procedimenti separati o se comunque, al di là delle scelte assunte, i fatti venissero contestati in momenti diversi, e vi fosse quindi una parcellizzazione di procedimenti tra reati connessi, la possibilità per l’imputato di accedere al beneficio in momenti distinti, gli sarebbe preclusa, qualora questi abbia già optato per il rito in uno dei procedimenti penali parcellizzati.
Nel richiamare i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità e dalla Consulta in tema di reato continuato, il giudice a quo rimarca comunque l’evidente irrazionalità del sistema e la irragionevole disparità di trattamento, tra chi è imputato di reati connessi ex art. 12, lett. b), cod. proc. pen. nello stesso procedimento e chi, invece, ne risponda in procedimenti distinti, con conseguente violazione dell’art. 3 Cost., rispetto alla quale non sarebbe neanche possibile un’interpretazione costituzionalmente orientata, data l’impossibilità di considerare la seconda richiesta di messa alla prova come una prosecuzione della prima, trattandosi, in tutta evidenza, di una nuova richiesta.
A fronte di questi rilievi, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha chiesto che la questione venisse dichiarata inammissibile o comunque non fondata, per difetto di motivazione sulla rilevanza (non emergendo gli elementi di prova in ragione dei quali i reati si ritengano avvinti dal nesso della continuazione e sia concedibile l’istituto) e perché sarebbe comunque possibile un’interpretazione costituzionalmente orientata, fondata sugli orientamenti giurisprudenziali che considerano unitariamente il reato continuato ai fini dell’applicazione della sospensione condizionale della pena, principio, questo, che potrebbe essere esteso anche alla sospensione del procedimento con messa alla prova.
3. La Corte costituzionale, nel disattendere le eccezioni di irrilevanza e manifesta infondatezza, dichiara fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata, per violazione dell’art. 3 Cost.
Quanto alla rilevanza della questione, essa emerge proprio da quanto affermato dal giudice a quo, chiamato a giudicare due imputati che rispondono di un reato per il quale è astrattamente concedibile la messa alla prova; che hanno già beneficiato della messa alla prova in un distinto procedimento penale, già definito (per esito positivo della messa alla prova) e che, nel giudizio a quo, sono imputati per un reato connesso ai sensi dell’art. 12, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., con quelli già definiti nel procedimento “parcellizzato”.
Accogliendo la questione sollevata – sottolinea la Corte – verrebbe rimossa la preclusione oggi esistente per chi voglia accedere al beneficio una seconda volta, in relazione a reati che siano espressione del medesimo disegno criminoso di quelli per i quali la messa alla prova è stata già concessa, fatta sempre salva la sussistenza dei presupposti di legge per l’ammissione al rito anche con riferimento a tali addebiti.
Non può dunque sostenersi che le questioni non siano rilevanti e neanche si può affermare che il giudice non abbia motivato sulla ammissibilità della messa alla prova, tenuto conto che la valutazione sulla sussistenza dei requisiti del beneficio avviene in un momento necessariamente successivo, che presuppone la rimozione della preclusione prevista dall’art. 168-bis cod. pen. che vieta la concessione del beneficio a chi ne abbia già fruito.
Parimenti, non è percorribile, in linea con quanto afferma il giudice a quo, un’interpretazione costituzionalmente orientata che consenta di superare la preclusione.
Nel merito, la questione viene ritenuta fondata, e ciò proprio in ragione della violazione dell’art. 3 Cost.
Afferma infatti la Consulta, con quella chiarezza e linearità che connota le decisioni (non solo quelle) in tema, assunte dal giudice delle leggi, che il «[c]uore dell’articolata motivazione dell’unica censura svolta dal rimettente è la constatazione dell’irragionevole disparità di trattamento tra l’imputato cui tutti i reati commessi in esecuzione di un medesimo disegno criminoso vengano contestati nell’ambito di un unico procedimento, nel quale egli ha la possibilità di accedere al beneficio della sospensione del procedimento con messa alla prova, e l’imputato nei cui confronti l’azione penale venga inizialmente esercitata solo in relazione ad alcuni di tali reati, e che si veda contestare gli altri, per effetto di una scelta discrezionale del pubblico ministero o di altre evenienze processuali, nell’ambito di un diverso procedimento, dopo che egli abbia già avuto accesso alla messa alla prova. Questo secondo imputato si trova così nell’impossibilità di ottenere una seconda volta il beneficio, cui avrebbe invece potuto accedere ove tutti i reati gli fossero stati contestati in un unico procedimento».
La Consulta passa allora in rassegna le decisioni che hanno rimosso analoghe preclusioni, dichiarate costituzionalmente illegittime: in questo senso, la sentenza n. 86 del 1970 che, intervenendo sugli artt. 164, comma secondo, n. 1) e 168 cod. pen., nelle formulazioni allora vigenti, ha ammesso la possibilità che il giudice possa concedere o negare il beneficio della sospensione condizionale della pena, ovvero revocarlo, quando il secondo reato sia legato dal vincolo della continuazione con quello punito con pena sospesa; parimenti, gli interventi sull’art. 169 cod. pen., con sentenza n. 108 del 1973 in tema di perdono giudiziale per i minorenni, esteso ai reati legati dal vincolo della continuazione; infine, la sentenza n. 267 del 1987 che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’allora vigente art. 80 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), nella parte in cui escludeva la reiterabilità del provvedimento di concessione delle sanzioni sostitutive della libertà controllata e della pena pecuniaria, in caso di reati avvinti dalla continuazione a quelli per i quali egli avesse già fruito del beneficio.
Sono tutte sentenza nelle quali il fulcro della decisione è stato la disparità di trattamento, essendosi affermato che un nesso “sostanziale” qual è quello della continuazione tra reati (la Consulta utilizza, non a caso, il termine “continuità”) non può dipendere da circostanze meramente occasionali.
Ed è a questi stessi principi che la Consulta si riporta riprendendo quanto affermato nella sentenza n. 146 del 2022, nella parte in cui aveva a sua volta richiamato – in un sempre proficuo e costruttivo dialogo a distanza tra le Corti superiori – la sentenza Sez. II, 12 marzo 2015 Cc., n. 14112, Allotta, in CED Rv. 263125 – 01: nulla osta, infatti, a che uno stesso imputato possa essere ammesso al beneficio della sospensione del procedimento con messa alla prova anche qualora gli vengano contestati più reati nell’ambito del medesimo procedimento, sempre che i limiti edittali di ciascuno di essi siano compatibili con la concessione del beneficio. Lo stesso vale qualora i reati in contestazione siano avvinti dalla continuazione, tenuto conto che l’ordinamento li considera unitariamente ai fini sanzionatori: sotto questo profilo, ove tutti i singoli reati siano compatibili, in ragione dei rispettivi limiti edittali, con il beneficio della messa alla prova, l’imputato potrà essere ammesso ad percorso unitario di risocializzazione e riparazione, nel quale si sostanzia il beneficio medesimo.
In questo sistema, la scelta del pubblico ministero, o accadimenti processuali che portino a contestare reati avvinti tra loro dal nesso della continuazione in più procedimenti parcellizzati, incidendo sulla possibilità di accedere al rito per una parte solo dei reati, creano un’evidente disparità di trattamento rispetto ai casi in cui i reati siano invece contestati nel simultaneus processus e rendono il tutto irragionevole: «Ciò equivarrebbe a far dipendere la possibilità di accedere a uno dei riti alternativi previsti dal legislatore – possibilità che costituisce «una modalità, tra le più qualificanti, di esercizio del diritto di difesa» dell’imputato di cui all’art. 24 Cost. (ex multis, sentenza n. 192 del 2020, nonché sentenze n. 19 e n. 14 del 2020, n. 131 del 2019) – dalle scelte contingenti del pubblico ministero o da circostanze casuali, sulle quali l’imputato stesso non può in alcun modo influire.»
Aggiunge, inoltre, la Consulta che la preclusione censurata finisce con il frustrare lo stesso intento del legislatore di sanzionare in maniera unitaria il reato continuato, e ciò deve valere anche quando sia stato richiesto il rito speciale della messa alla prova e anche quando venga in rilievo l’altra ipotesi di connessione prevista dall’art. 12, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., che si verifica nel caso del concorso formale disciplinato dall’art. 81, comma primo, cod. pen., e dunque allorché più reati sono commessi dalla stessa persona con una sola azione od omissione, trattandosi di una ipotesi per la quale è previsto lo stesso trattamento sanzionatorio stabilito per il reato continuato.
Il tutto, sempre che il secondo procedimento non sia di per sé precluso dall’art. 649 cod. pen..
Alla luce di queste considerazioni, la Consulta dichiara quindi l’illegittimità costituzionale dell’art. 168-bis, comma quarto, cod. pen. nella parte in cui non prevede che l’imputato possa essere ammesso alla sospensione del procedimento con messa alla prova nell’ipotesi in cui si proceda per reati connessi, ai sensi dell’art. 12, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., con altri reati per i quali tale beneficio sia già stato concesso.
Alla dichiarazione di illegittimità costituzionale parziale, segue anche una precisa – oltre che assolutamente qualificata, per la fonte da cui promana - indicazione da parte della Corte costituzionale delle modalità che il giudice dovrà adottare qualora ammetta alla prova l’imputato nel “secondo” procedimento.
A monte vi è la valorizzazione della ratio e della finalità dell’istituto della messa alla prova, rito speciale, con le sue preclusioni di fase (stabilite dall’art. 464-bis, comma 2, cod. proc. pen.), procedimento premiale (l’esito positivo porta all’estinzione del reato), alternativo al processo ed alla pena, con connotazioni sanzionatorie, ma anche, al tempo stesso, rieducative e riparatorie.
Dando per presupposto la necessità di assicurare un trattamento sanzionatorio unitario (qual è quello richiesto per il reato continuato) ed un percorso di risocializzazione anch’esso unitario ed efficace (qual è quello richiesto nella messa alla prova), la Consulta precisa che «spetterà al giudice, ai sensi dell’art. 464-quater, comma 3, cod. proc. pen., una nuova valutazione dell’idoneità del programma di trattamento e una nuova prognosi sull’astensione dalla commissione di ulteriori reati da parte dell’imputato. In tale valutazione non potrà non tenersi conto – per un verso – della natura e della gravità dei reati oggetto del nuovo procedimento, e – per altro verso – del percorso di riparazione e risocializzazione eventualmente già compiuto durante la prima messa alla prova. Nel caso poi in cui ritenga di poter concedere nuovamente il beneficio, il giudice stabilirà la durata del periodo aggiuntivo di messa alla prova, comunque entro i limiti complessivi indicati dall’art. 464-quater, comma 5, cod. proc. pen., valorizzando opportunamente il percorso già compiuto, alla luce dell’esigenza – sottesa al sistema – di apprestare una risposta sanzionatoria sostanzialmente unitaria rispetto a tutti i reati in concorso formale o commessi in esecuzione di un medesimo disegno criminoso».