C. eur. dir. uomo, 20 gennaio 2022, D.M. e N. c. Italia, ricorso 60083/19
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1. Lo scorso 20 gennaio l’Italia è stata condannata dalla Corte europea dei diritti umani per violazione dell’art. 8 della CEDU (diritto al rispetto della vita privata e familiare), avendo dichiarato una minore adottabile, senza prendere in considerazione altre soluzioni, meno drastiche, che avrebbero permesso di salvaguardare il suo rapporto – tra l’altro molto stretto – con la madre, vittima di gravi maltrattamenti in famiglia[1].
2. La vicenda trae origine dalla richiesta d’aiuto di una donna cubana che per anni aveva subito violenza – fisica, psicologica e sembrerebbe anche sessuale – dall’ex-compagno e padre della bambina. Nel 2013, quando la bambina aveva solo 1 anno, la ricorrente aveva chiesto aiuto ai Servizi sociali che l’avevano collocata, insieme alla figlia, dapprima presso una famiglia affidataria a Brescia e poi, dopo un anno, presso una Casa-famiglia. Sfruttando tutte le opportunità offertele dalla struttura, la donna aveva trovato un lavoro a tempo indeterminato come addetta alle pulizie in un albergo, riuscendo così a rendersi economicamente indipendente e, nel giro di due anni, a separarsi definitivamente dal compagno violento. Qualche tempo dopo, aveva intrapreso una nuova relazione con un uomo, che poi ha sposato nel 2018 e dal quale ha avuto un figlio.
3. Al momento dell’ingresso della donna e della sua bambina nel circuito assistenziale, il Pubblico Ministero aveva chiesto l’apertura di un procedimento davanti al Tribunale per i minori di Brescia, diretto a valutare la capacità genitoriale della donna. Il procedimento si era poi concluso, inaspettatamente, alla fine del 2015, con una dichiarazione di adottabilità della bambina, che era stata di conseguenza bruscamente allontanata dalla madre. La decisione era basata sulle (sole) relazioni degli assistenti sociali, che avevano avuto modo di ‘valutare’ la madre e la minore all’interno della Casa-famiglia.
4. Le relazioni dei Servizi sociali, dopo aver offerto, nel dicembre 2014, un quadro positivo della capacità genitoriale della donna, evidenziando anche lo stretto legame affettivo con la figlia, a distanza di 6 mesi già cominciavano a presentare un quadro diverso: pur confermando il forte legame tra madre e figlia, sottolineavano le (presunte) mancanze della madre («avait des méthodes pédagogiques inadaptées, à savoir utiliser continuellement son téléphone portable, prendre ses repas devant la télévision, ne pas tenir compte de certaines routines comme celle de mettre l’enfant au lit en début d’après-midi ou encore donner à l’enfant du riz froid, des jus de fruits et des croquettes. […] aurait publié sur Facebook des photos dans des poses provocantes et qui aurait souhaité confier sa fille, pendant ses heures de travail, à un homme âgé, peut-être égyptien[2], vivant dans un quartier peu recommandable de Brescia»); riferivano successivamente – per averlo appreso da un’ospite della Casa-famiglia – che la donna aveva avuto una relazione intima all’interno dell’appartamento in cui viveva con la figlia e che quest’ultima aveva avuto dei comportamenti sessualmente connotati con una sua coetanea; infine, qualche mese dopo, aggiungevano che la donna aveva incoscientemente deciso di avere rapporti sessuali non protetti: «avec l’intention présumée de tomber enceinte. Ils soutenaient que pareil comportement dénotait son incapacité à planifier des projets sains puisqu’elle ne se souciait pas de savoir si elle aurait réellement la possibilité de garantir à son futur enfant les conditions minimales pour son développement et sa croissance». Il giudizio sulla assenza di capacità genitoriale della donna era senza appello: non avrebbe avuto alcuna possibilità di recuperare tale capacità in futuro.
5. Alla luce di queste valutazioni, il Tribunale per i minori ha dichiarato la bambina in stato di abbandono morale e materiale, interrompendo il suo rapporto con la madre il 30 dicembre 2015, quando aveva solo 3 anni. La Corte d’Appello di Brescia ha poi confermato la decisione, specificando che, pur potendo esserci un recupero della capacità genitoriale della donna, esso richiedeva «trop de temps et d’efforts», ed era dunque preferibile, per tutelare l’interesse ‘superiore’ della minore, procedere con la dichiarazione di adottabilità. La Cassazione convalida la decisione, nonostante il parere contrario del Procuratore Generale, che aveva chiesto l’annullamento del provvedimento della Corte d’Appello.
6. La Corte Europea ravvisa in quelle decisioni una intromissione non giustificata nella vita privata della famiglia e condanna pertanto l’Italia, ricordando che il rapporto tra madre e figlio è fondamentale per il corretto sviluppo psico-fisico del minore e, per questo, deve essere sempre tutelato, salvo che la rottura di tale relazione non sia indispensabile nell’interesse del minore stesso. Si sottolinea poi che, in caso di difficoltà all’interno della famiglia, l’Autorità pubblica ha il dovere di intervenire ma solo per favorire, se appena possibile, il ricongiungimento familiare, che può essere interrotto solo in presenza di circostanze eccezionali. Secondo la Corte, nella vicenda in esame le Autorità nazionali si erano invece limitate a individuare le difficoltà della madre nel prendersi cura della figlia – dovute verosimilmente alla violenza domestica da lei subita e da cui, peraltro, con grande sforzo e coraggio era riuscita a sganciarsi, ricostruendosi una vita – senza però aiutarla a superarle, con un sostegno mirato a colmare le sue fragilità.
7. In particolare, secondo la Corte, nel caso concreto è mancata da parte dei giudici una «évaluation sérieuse et attentive de la capacité de la première requérante à exercer son rôle de parent»: anziché ricorrere a ogni strumento processuale a disposizione per valutare il migliore interesse della minore, era stato fatto unicamente riferimento alle relazioni dei Servizi sociali, nelle quali erano tra l’altro presenti valutazioni che prescindevano dalla capacità della donna di essere una buona madre, consistendo più che altro in giudizi sul suo modo di vivere (la sua vita intima, la sua scelta in merito al concepimento di un altro figlio, la modalità con cui utilizzava i social network), ben lontani da poter essere posti a fondamento di una decisione così drastica come quella relativa alla adottabilità di una minore.
8. Non è la prima volta che tale prassi dei giudici italiani viene censurata dalla Corte EDU, ma la situazione appare particolarmente grave quando a perdere i propri figli sono donne con storie di violenza e abusi alle spalle che, anziché essere aiutate e tutelate dalle Autorità, vengono disincentivate dal farvi ricorso per il timore di subire altre conseguenze negative[3]. È del resto diffusa nella giurisprudenza italiana la prassi di ritenere inidonea (e, soprattutto, senza speranze di recuperare la sua capacità genitoriale) la madre che ha subito violenze. Un esempio di questo orientamento si può rinvenire in una recente sentenza della Cassazione civile, con la quale si è dichiarata l’adottabilità di un minore vissuto in una famiglia in cui per anni il padre, da sempre dedito all’uso di alcolici, ha violentemente maltrattato la moglie, anche alla sua presenza[4]. La Cassazione, confermando le decisioni del Tribunale per i minori e della Corte d’appello, ha ritenuto che la donna abbia tenuto «un comportamento abbandonico», per aver lasciato che «il minore vivesse a lungo in un clima violento, senza compiere nessuna seria iniziativa per offrirgli una vita accettabile. La stessa aveva chiesto l’intervento delle Istituzioni solo quando si era ritrovata a non avere alternative e, puntualmente, ogni volta, era tornata dal compagno, portando con sé il bambino, che ha iniziato a vivere serenamente solo quando è stato inserito, da solo, in una Casa-famiglia». Non è stata neanche accolta la richiesta della donna di essere inserita, insieme al figlio, nel centro di assistenza, per poter essere aiutata a rendersi capace di occuparsi del minore in autonomia: la donna è stata infatti ritenuta «irreversibilmente inidonea» a crescere suo figlio.
9. D’altra parte, un contributo non indifferente al ridimensionamento della violenza domestica e/o alla valorizzazione (eccessiva) di tratti della personalità della madre ritenuti inadeguati all’esercizio della responsabilità genitoriale proviene dalle relazioni dei Servizi sociali e dalle consulenze tecniche d’ufficio. Come ha evidenziato un recente studio, i cui risultati sono stati sinteticamente presentati su questa Rivista, all’origine di questi errori di valutazione sembra esserci la assenza di una formazione specifica. Da quella indagine, volta a conoscere le opinioni dei consulenti tecnici d’ufficio, chiamati ad intervenire nei casi di affidamento di minori in contesti di violenza domestica, è emerso che molti di loro, non avendo alcuna formazione in tema di violenza di genere, non riescono a cogliere le peculiarità dei casi sui quali devono esprimere il loro parere, e quindi si orientano sulla base di false credenze – come quella del necessario rispetto della bigenitorialità anche nei casi di violenza domestica – e di stereotipi inconsci – reputando ad esempio strumentali le denunce di violenza presentate dalle donne – che hanno il drammatico effetto di vittimizzare ulteriormente le madri che si rivolgono all’Autorità giudiziaria e di alimentare (comprensibilmente) la loro sfiducia nel ricorso alla giustizia.
[1] Corte EDU, 20 gennaio 2022, D.M. e N. c. Italia.
[2] Si tratta, in realtà, di una coppia egiziana molto legata alla donna e a sua figlia – tanto che la bambina li definiva “nonni” – che hanno, fin dalle prime difficoltà familiari, prestato aiuto alla madre.
[3] È questo il caso che ha visto protagonista una donna nigeriana, vittima di tratta, a cui sono state tolte le due figlie, poi dichiarate adottabili, cfr. Corte EDU, 1° aprile 2021, A.I. c. Italia. Altre pronunce in questo ambito sono: Corte EDU, 16 luglio 2015, Akinnibosun c. Italia; Corte EDU, 13 ottobre 2015, S.H. c. Italia; Corte EDU, 22 agosto 2017, Barnea e Caldararu c. Italia.
[4] Cfr. Cass. civ., Sezione I, Sentenza n. 3546 del 4 febbraio 2022, in Leggi d’Italia.