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08 Luglio 2021


Il decreto “Severino” al vaglio della Corte di Strasburgo: escluso il “carattere penale” dell’incandidabilità parlamentare e del divieto di ricoprire cariche elettive regionali

C. eur. dir. uomo, Sez. I, sent. 17 giugno 2021, Galan c. Italia — C. eur. dir. uomo, Sez. I, sent. 17 giugno 2021, Miniscalco c. Italia



Per leggere il testo, in lingua francese, della pronuncia Galan c. Italia, clicca qui.

Per leggere il testo, in lingua francese, della pronuncia Miniscalco c. Italia, clicca qui.

 

1. Con le pronunce in commento la Corte EDU si è finalmente pronunciata sul tema della compatibilità delle norme del decreto legislativo 31 dicembre 2012, n. 235 (c.d. decreto Severino) riguardanti l'incandidabilità (o la decadenza dal mandato in caso di incandidabilità sopravvenuta) alle cariche parlamentari (nel caso Galan c. Italia) o alle cariche elettive regionali (nel caso Miniscalco c. Italia) dei condannati in via definitiva per determinati reati. Più in particolare, al vaglio della Corte di Strasburgo è stato sottoposto il complesso tema se sia da riconoscere natura sostanzialmente penale alle disposizioni sopra citate e se di conseguenza sia da ritenersi violato il principio di irretroattività in materia penale nell’ipotesi di una loro applicazione in relazione a fatti antecedenti all’entrata in vigore del decreto.

Come è noto, la querelle relativa alla reale natura e al carattere retroattivo delle misure limitative dell’elettorato passivo contenute nella Legge Severino[1] è stata posta in particolare evidenza a seguito della proposizione da parte di Silvio Berlusconi di un ricorso innanzi alla Corte EDU in relazione alla decadenza dalla carica di senatore conseguente alla condanna definitiva nei suoi confronti per frode fiscale per fatti risalenti al 2004, e dunque precedenti all’entrata in vigore del D.lgs. n. 235/2012[2]. In tale occasione, tuttavia, la Grande Camera, a cui era stato assegnato il ricorso ex art. 30 CEDU, non ha avuto modo di pronunciarsi, posto che  nel luglio 2018, dopo aver ottenuto la riabilitazione dal Tribunale di Milano, Berlusconi ha rinunciato al ricorso per sopravvenuta carenza di interesse[3].

La Corte, con decisione definitiva di irricevibilità nel caso Galan c. Italia e con sentenza di irricevibilità e non violazione nel caso Miniscalco c. Italia, ha aderito all'approccio adottato dalla nostra Corte Costituzionale che ha a più riprese ritenuto che l'interdizione dalla candidatura o la rimozione dall'ufficio non costituissero sanzioni o effetti della condanna penale, così escludendo la sussistenza di profili di illegittimità della normativa alla stregua dell’art. 7 della Convenzione[4].

D’altra parte, sebbene non esistano nella giurisprudenza sovranazionale precedenti sovrapponibili ai casi oggetto delle pronunce in commento, queste si pongono in linea con l’orientamento prevalente della Corte Edu, che esclude la natura penale di alcune forme di incandidabilità o di restrizione al diritto di elettorato passivo[5], anche nell’ipotesi in cui tali misure siano previste come sanzioni accessorie ad una sanzione penale principale negli ordinamenti nazionali[6].

 

2. Appare opportuno anzitutto svolgere alcune brevi premesse in merito al quadro normativo di riferimento.

Come noto, il decreto legislativo 31 dicembre 2012, n.235 è stato adottato in attuazione della legge 6 novembre 2012, n. 190, recante “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione”, che delegava il Governo all'emanazione di un testo unico della normativa in materia, tra le altre cose, di incandidabilità alla carica di membro del Parlamento europeo, di deputato e di senatore della Repubblica, e di incandidabilità alle elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali. In particolare, per quanto riguarda le elezioni della Camera e del Senato, la legge Severino ha introdotto la nuova fattispecie della «incandidabilità» (art. 1 del decreto) come effetto che si produce ex lege nei confronti di tre categorie di condannati con sentenza definitiva: a) coloro che hanno riportato condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione per i delitti, consumati o tentati, previsti dall'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale (ovvero, rispettivamente, delitti di stampo mafioso e con finalità di terrorismo); b) coloro che hanno riportato condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione per i delitti, consumati o tentati, previsti nel libro II, titolo II, capo I, del codice penale (ovvero delitti contro la pubblica amministrazione); c) coloro che hanno riportato condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione, per delitti non colposi, consumati o tentati, per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni, determinata ai sensi dell'articolo 278 del codice di procedura penale.

Parimenti, il decreto elenca all’art. 7 una serie di reati (più ampia di quella relativa alle elezioni del Parlamento) che, in caso di sentenza definitiva, ostano alla candidabilità alle cariche elettive regionali, tra cui compaiono i delitti contro la pubblica amministrazione.

 

3. Passando all’analisi dei fatti oggetto delle pronunce in commento, il caso Galan c. Italia trae origine dal ricorso presentato dal parlamentare dopo che la Camera di appartenenza aveva votato, in applicazione delle disposizioni del decreto Severino, per la decadenza dalla carica di parlamentare a seguito di condanna per fatti di corruzione.

Più in particolare, nei confronti del deputato Galan, il Gup di Venezia aveva emesso, nell’ottobre del 2014, sentenza ex art. 444 c.p.p. di applicazione della pena[7] pari a due anni e dieci mesi di reclusione (decisione divenuta irrevocabile il 2 luglio 2015[8]) per fatti di corruzione risalenti al periodo dal 22 luglio 2008 al 1 gennaio 2012, e dunque anteriori all’entrata in vigore della legge Severino.

Il successivo 11 novembre 2015 la Procura aveva trasmesso alla Camera dei Deputati copia della sentenza di primo grado, ai fini della valutazione da parte della Camera di appartenenza ai sensi dell'articolo 66 della Costituzione[9], della sussistenza di una causa di ineleggibilità sopravvenuta e, quindi, di decadenza dal mandato parlamentare, come previsto dagli articoli 1, 3, 15 e 16 del decreto Severino.

Il Comitato permanente per le incompatibilità, le ineleggibilità e le decadenze nella riunione del 23 febbraio 2016 aveva deliberato a maggioranza di proporre alla Giunta delle elezioni di accertare la sussistenza della causa di ineleggibilità sopravvenuta e quindi la decadenza dal mandato parlamentare dell'onorevole Giancarlo Galan. La Giunta, nella seduta pubblica del 7 aprile 2016, accogliendo la proposta del Comitato, aveva ritenuto di proporre all'Assemblea la decadenza dal mandato parlamentare del deputato, per motivi di ineleggibilità sopravvenuta.  In data 27 aprile 2016 la Camera dei Deputati aveva dichiarato la decadenza dal seggio parlamentare con effetto immediato.

Del pari, il caso Miniscalco c. Italia trae origine dal ricorso presentato alla Corte europea da Marcello Miniscalco a seguito dell’esclusione, con decisione adottata il 27 gennaio 2013 da parte dell’Ufficio Centrale Regionale, dalla lista regionale per  l’elezione  del  Presidente  della  Giunta  Regionale  e  del Consiglio Regionale del Molise, in ragione della condanna riportata per abuso d’ufficio emessa dalla Corte d’Appello di Campobasso e divenuta definitiva in data 19 dicembre 2011, dopo che il predetto aveva inutilmente esperito i mezzi di ricorso interni[10].

 

4. Entrambi i ricorrenti, di fronte alla Corte europea dei diritti dell’uomo, si dolevano anzitutto di una violazione dell’art. 7 Cedu (principio di legalità penale), sul presupposto della natura sostanzialmente penale delle disposizioni del decreto Severino che prevedono l’incandidabilità sopravvenuta a cariche parlamentari e alle cariche elettive regionali dopo condanna definitiva per determinati reati non colposi, con particolare riferimento ai profili della finalità punitiva delle misure e della gravità delle sanzioni. Il ricorrente Galan evidenziava anche i profili di affinità della misura dell’incandidabilità con la pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici disciplinata dall'art. 28 c.p. La natura penale di tali provvedimenti sarebbe stata ulteriormente confermata dal fatto che l’estinzione di tali misure poteva derivare esclusivamente da una sentenza di riabilitazione ex art. 178 e ss. c.p.

Trattandosi, a detta dei ricorrenti, di sanzioni aventi carattere sostanzialmente penale le stesse, in applicazione del principio di irretroattività, non potrebbero applicarsi in relazione a fatti commessi prima dell’entrata in vigore del decreto, mentre sia nel caso Galan che Miniscalco i fatti di reato ascritti agli interessati risultavano commessi anteriormente alla data di entrata in vigore della legge Severino.

Lamentavano, inoltre, entrambi i ricorrenti, la violazione dell’art.  3 Protocollo 1 Cedu (diritto a libere elezioni), in ragione della privazione del diritto di elettorato passivo oltre i limiti di proporzionalità e prevedibilità.

Il solo Galan evidenziava altresì profili di frizione delle norme del decreto Severino sull’incandidabilità in relazione all’art.13 Cedu (diritto a un ricorso effettivo), in quanto non vi sarebbe la possibilità di impugnare in alcuna sede la decisione assunta dalla Camera di appartenenza, dal momento che l'art. 66 Cost. non prevede alcun successivo sindacato giurisdizionale sulla legittimità delle decisioni adottate dai competenti organi parlamentari.

 

5. La Corte di Strasburgo in entrambe le pronunce si sofferma, anzitutto, sul profilo di illegittimità connesso alla violazione dell’art. 7 Cedu, che appare certamente il più interessante: richiamando i criteri elaborati dalla propria giurisprudenza rispetto alla definizione del concetto di matière pénale[11] – il riferimento è evidentemente ai c.d. Engel Criteria, ovvero i tre criteri adottati dalla giurisprudenza di Strasburgo, a partire dal celebre cado Engel del 1976[12], per definire i confini della materia penale (qualificazione dell'illecito operata dal diritto nazionale; natura dell’illecito; grado di severità della sanzione) – conclude che le disposizioni concernenti l’incandidabilità e la decadenza introdotte dalla legge Severino non costituiscono sanzioni aventi carattere “penale” ai sensi della CEDU; con la conseguenza che, nel caso di specie, non trova applicazione il principio di irretroattività di cui all’art. 7 della Convenzione.

Più in particolare, i giudici di Strasburgo evidenziano in prima battuta lo scopo non punitivo delle misure introdotte con la legge Severino[13]: tali misure sono state, infatti, introdotte nell’ordinamento italiano allo scopo di preservare il buon andamento e la trasparenza dell’amministrazione e delle assemblee elettive, nell’ambito di politiche anticorruzione volte ad arginare il fenomeno dell’infiltrazione del crimine organizzato nella pubblica amministrazione[14].

Con riferimento, poi, alla qualificazione giuridica dell’illecito nel diritto nazionale (l’incandidabilità non viene espressamente qualificata come penale dal legislatore italiano) la Corte EDU, in entrambe le pronunce, fa espresso richiamo ai principi espressi dalla Corte costituzionale italiana[15], che, sebbene con riferimento alle diverse misure sospensive da cariche elettive locali e regionali previste dal decreto Severino in presenza di una condanna di primo grado per determinati reati, ha escluso che le stesse potessero avere natura penale[16], trattandosi non di sanzioni o effetti penali della condanna, ma di mere conseguenze del venir meno di un requisito soggettivo – la capacità morale – necessario per l'accesso alle cariche considerate o per il loro mantenimento. In altre parole, tali misure non avrebbero lo scopo di sanzionare i soggetti a cui si rivolgono, ma di stabilire requisiti più stringenti relativi all’accesso a determinate cariche istituzionali, a tutela dell’etica delle istituzioni medesime[17].

Sempre rispetto alla qualificazione delle misure ai sensi del diritto interno, la Corte di Strasburgo nella pronuncia relativa al caso Galan c. Italia afferma che le stesse non possano neppure associarsi alla pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici disciplinata dall'art. 28 c.p.[18], sanzione espressamente qualificata come penale dal legislatore nazionale e che priva il condannato, tra le altre cose, del diritto di elettorato attivo e passivo, di ogni altro diritto politico e di ogni incarico non obbligatorio di pubblico servizio della qualità di tutore o di curatore; dei gradi e delle dignità accademiche nonché della possibilità di esserne insignito; degli stipendi, delle pensioni e degli assegni che siano a carico dello Stato o di un altro ente pubblico. Infatti, a differenza della sanzione accessoria richiamata, decadenza e interdizione previsti dal decreto del 2012 comportano conseguenze solo in termini di elettorato passivo e non anche di elettorato attivo.

Da ultimo, anche sotto il profilo della gravità della sanzione la Corte esclude il carattere eminentemente penale della misura dell’incandidabilità[19], affermando che la connotazione afflittiva da un punto di vista politico conseguente alla perdita del diritto all’elettorato passivo non sia sufficiente per attribuire carattere penale alla sanzione, soprattutto tenuto conto del fatto che le disposizioni del decreto Severino lasciano immutati i diritti di elettorato attivo.

6. La Corte di Strasburgo, sul presupposto che gli Stati contraenti possiedono ampio margine di manovra nello stabilire, nel loro ordinamento costituzionale, le norme relative allo status di parlamentare, compresi i criteri di ammissibilità finalizzati a garantire l'indipendenza dei funzionari eletti, nega la sussistenza di profili di illegittimità delle disposizioni del decreto Severino anche in relazione all’art. 3, Protocollo 1 della Convenzione[20].

Premesso che le misure impugnate hanno comportato un'ingerenza nell'esercizio dei diritti elettorali del ricorrente, la Corte afferma, tuttavia, che l’introduzione delle stesse abbia perseguito uno scopo legittimo, ovvero quello di assicurare il buon funzionamento della pubblica amministrazione e la libertà decisionale degli organi elettivi. Inoltre le limitazioni all’elettorato passivo sono circondate di garanzie, avendo come presupposto l'esistenza di una condanna penale definitiva per reati gravi definiti dalla legge e non appaiono sproporzionate, anche tenuto conto della possibilità di proporre al Tribunale competente istanza di riabilitazione.

D’altro canto, il decreto non viola neppure il principio di prevedibilità (violazione lamentata dai ricorrenti in relazione all’applicazione dell'incandidabilità per fatti commessi prima dell'entrata in vigore del decreto legislativo): premesso che lo Stato ha ampia discrezionalità nello stabilire i criteri limitativi della capacità elettorale passiva, l’applicazione immediata della misura dell’incandidabilità (e della decadenza) e la scelta di applicare il provvedimento a chiunque sia stato condannato per i reati di cui al D.Lgs. n.235/2012 dopo la sua entrata in vigore appaiono, a detta della Corte, coerenti con le finalità perseguite dal legislatore italiano,  ovvero la necessità dello Stato di organizzare il più rapidamente possibile il proprio sistema di lotta all'illegalità e alla corruzione all'interno dell'amministrazione per proteggere l'integrità del processo democratico[21].

Anche rispetto alla conformità del procedimento in seno alla Camera dei deputati per l’applicazione della decadenza parlamentare ai requisiti dell'articolo 3 del Protocollo n. 1, la Corte ritiene che il sistema preveda garanzie processuali sufficienti e adeguate ad escludere ogni rischio di arbitrarietà[22].

7. Da ultimo, premesso il principio fondamentale della divisione dei poteri esecutivo e giudiziario, nonchè dell'indipendenza del Parlamento nello svolgimento delle sue funzioni e viste le garanzie previste dalla procedura parlamentare di “tripla convalida” (quella della Commissione permanente sulle incompatibilità, le interdizioni e le revoche, della Giunta e della Camera dei Deputati), la Corte ha ritenuto che il disposto dell’art. 13 della Convenzione non obblighi al controllo giurisdizionale di una decisione adottata dal Parlamento nell’ambito di poteri attribuiti a tale organo dalla Carta Costituzionale. La procedura di applicazione della misura dell’incandidabilità (o decadenza) parlamentare appare, quindi, compatibile anche con l’art. 13 Cedu[23].

 

 

[1] In dottrina la tematica è molto dibattuta: tra i sostenitori della natura penale delle misure previste dal decreto Severino cfr. ex multis: P. Torretta, L'incandidabilità al mandato parlamentare - La "legge Severino" oltre il "caso Berlusconi", 2015; N. D'Ascola, Alla ricerca di un diritto che non c'è - La presunta retroattività della 'legge Severino', tra derive assiomatiche e suggestioni moralistiche, in Arch. pen., n. 1/2014, 25 ss.; M. Gambardella, "Legge Severino" in materia di incandidabilità sopravvenuta e divieto di retroattività convenzionale (art. 7 Cedu), ibidem; Mancano, Riflessioni in tema di incandidabilità, in Riv. it. dir. proc. pen., 2014, 951 ss. Contra, cfr.: B. Galgani, Le vicende dell'incandidabilità nella dialettica tra garanzie costituzionali: distingue frequenter, in Arch. pen., n. 1/2014, 10 ss.; A. Manna, L'incandidabilità sopravvenuta nel corso del mandato parlamentare e l'irretroattività della norma penale, ibidem, 5 ss.; O. Mazza, La chassé-croisé della retroattività (in margine alla 'legge Severino'), ibidem, 6.

[2] Per una ricostruzione della vicenda, cfr. P. Torretta, L'incandidabilità al mandato parlamentare, cit., 159.

[3] Corte EDU, GC, dec. 26 novembre 2018, Berlusconi c. Italia. Per un primo commento alla pronuncia cfr.: A. Galluccio, La Grande Camera della Corte EDU chiude, senza decidere, la causa Berlusconi c. Italia, in www.penalecontemporaneo.it

[4] Il riferimento è alle sentenze: Corte cost., sent. 19 novembre 2015, n. 236, in Cass. pen., 2016, 559 ss., con nota di M. Gambardella, 1884 ss.; Corte cost. 16 dicembre 2016, n. 276, in Dir. pen. cont., 19 dicembre 2016, con scheda di F. Viganò, ed in Cass. pen., 2017, 1057 ss. Cfr. anche: L. Masera, Il decreto Severino di fronte alla Corte Costituzionale, in attesa della decisione di Strasburgo sul caso Berlusconi, in Dir. Pen. e Processo, 2017, 9, 1218 ss.

[5] Corte EDU, 6 gennaio 2011, Paskas c. Lituania; Corte EDU, 30 giugno 1995, Estrosi c. Francia.

[6] Corte EDU, 21 ottobre 1997, Pierre-Bloch c. Francia.

[7] GUP tribunale di Venezia, sent. n. 2097 del 16 ottobre 2014.

[8] L'interessato aveva presentato ricorso per Cassazione avverso la pronuncia di patteggiamento; la Corte di legittimità, con ordinanza del 2 luglio 2015, n.4692, aveva tuttavia dichiarato l'inammissibilità del ricorso.

[9] In materia di dichiarazione di decadenza dalla carica di parlamentare non possono esistere automatismi, poiché ci si muove nel perimetro dell'articolo 66 della Costituzione, in base al quale «ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità».

[10] Più in particolare Marcello Miniscalco aveva proposto in data 28 gennaio 2013 istanza di riesame, che era stata tuttavia respinta. Il 29 gennaio 2013, invocando l'articolo 7 della Convenzione EDU, il ricorrente aveva adito il Tribunale Amministrativo Regionale della regione Molise;  con sentenza del 1° febbraio, il TAR aveva respinto il ricorso escludendo la natura penale del decreto Severino. Tale sentenza era poi stata confermata dal Consiglio di Stato il successivo 26 febbraio 2013 con sentenza n. 695/2013.

[11] Nella pronuncia, rispetto alla nozione di “pena” alla stregua del disposto dell’art. 7 della Convenzione, la Corte fa espresso riferimento alla pronuncia Del Rio Prada c. Spagna (Corte EDU, sent. 21 ottobre 2013, Del Rio Prada c. Spagna, ric. n. 42750/09), ove si legge testualmente che “81. La notion de « peine » contenue dans l’article 7 § 1 de la Convention possède, comme celles de « droits et obligations de caractère civil » et d’« accusation en matière pénale » figurant à l’article 6 § 1, une portée autonome. Pour rendre effective la protection offerte par l’article 7, la Cour doit demeurer libre d’aller au-delà des apparences et d’apprécier elle-même si une mesure particulière s’analyse au fond en une « peine » au sens de cette clause (Welch, précité, § 27, et Jamil, précité, § 30).

82. Le libellé de l’article 7 § 1, seconde phrase, indique que le point de départ de toute appréciation de l’existence d’une « peine » consiste à déterminer si la mesure en question a été imposée à la suite d’une condamnation pour une infraction pénale. D’autres éléments peuvent être jugés pertinents à cet égard : la nature et le but de la mesure en cause, sa qualification en droit interne, les procédures associées à son adoption et à son exécution, ainsi que sa gravité (Welch, § 28, Jamil, § 31, Kafkaris, § 142, et M. c. Allemagne, § 120, tous précités). La gravité de la mesure n’est toutefois pas décisive en soi, puisque de nombreuses mesures non pénales de nature préventive peuvent avoir un impact substantiel sur la personne concernée (Welch, précité, § 32, et Van der Velden c. Pays-Bas (déc.), no 29514/05, CEDH 2006XV).

[12] Corte EDU, Grande Camera (GC), 8 giugno 1976, Engel c. Olanda.

[13] Corte EDU, Galan c. Italia, cit. § 85-88; Corte EDU, Miniscalco c. Italia, cit., § 64-66.

[14] Si legge testualmente nella pronuncia relativa al caso Galan c. italia, § 85,  che “la Cour fait d’abord observer que les rapports explicatifs de la loi no 190/2012 et du décret législatif no 235/2012 indiquent explicitement que l’objectif de la lutte contre l’illégalité et la corruption (…). Le choix de la condamnation définitive pour des délits prédéfinis comme base justifiant l’interdiction d’exercer des fonctions électives (avec le préalable de l’incandidabilità) reposait sur la volonté du législateur de se fonder sur des critères abstraits. Cette condamnation correspond à une inaptitude fonctionnelle irrévocable de la personne condamnée, le but étant de préserver le bon fonctionnement et la transparence de l’administration, et également la libre prise de décision des organes électifs”.

[15] Corte EDU, Galan c. Italia, cit. § 89-91; Corte EDU, Miniscalco c. Italia, cit., § 67-69.

[16] Corte cost. 16 dicembre 2016, n. 276, cit. La Consulta si era pronunciata su altri profili di illegittimità costituzionale della legge Severino escludendo ogni profilo di contrasto tra la disciplina introdotta nel 2012 ed i parametri costituzionali evocati dai giudici remittenti con la sentenza n. 236 del 2015. Cfr. Corte cost. 19 novembre 2015, n. 236, in Dir. pen. cont., 4 dicembre 2015, con scheda di M.E. Cognizzoli ed in Cass. pen., 2016, 559 ss., con nota di M. Gambardella, 1884 ss.

[17] La Corte richiama quanto posto in luce nella sentenza della Corte costituzionale del 2016, ove si legge che:  “scopo della misura della sospensione (...) è, nelle intenzioni del legislatore, esclusivamente quello di tutelare la pubblica funzione, (...) al fine di sottrarre l'ufficio a dubbi sulla onorabilità di chi lo riveste che potrebbero metterne in discussione il prestigio e pregiudicarne il buon andamento”; cfr. Corte cost. 16 dicembre 2016, n. 276, cit., par. 5.6.1 del "considerato in diritto".

[18] Corte EDU, Galan c. Italia, cit. § 92-93.

[19] Corte EDU, Galan c. Italia, cit. § 96, in cui si legge testualmente che “l’inaptitude à exercer le mandat de député et la perte du droit de se porter candidat aux élections ont eu pour le requérant des conséquences sur le plan politique. Toutefois, cela ne saurait suffire à les qualifier de sanctions de nature pénale d’autant plus que le droit de vote sous le volet actif n’a pas été touché”; Corte EDU, Miniscalco c. Italia, cit., § 72.

[20] Corte EDU, Galan c. Italia, cit. § 102-136; Corte EDU, Miniscalco c. Italia, cit., § 85-102.

[21] Testualmente in Corte EDU, Miniscalco c. Italia, cit., § 99: “La Cour considère que, dans ce contexte national, l’application immédiate de l’interdiction de se porter candidat aux élections régionales est cohérente avec le but affiché par le législateur, c’est-à-dire écarter des procédures électorales les personnes condamnées pour des délits graves et protéger ainsi l’intégrité du processus démocratique. La Cour accepte le choix du législateur italien, qui a pris comme base, pour l’application de l’interdiction, la date à laquelle la condamnation pénale devient définitive et non la date de la commission des faits poursuivis”.

[22] Corte EDU, Galan c. Italia, cit. § 128-136.

[23] Corte EDU, Galan c. Italia, cit. § 142-154.