Cass. Sez. III, ud. 2.7.2020, Pres. Rosi, Est. Gai, ric. De Marco (informazione provvisoria) - Trib. Roma, ord. 18.6.2020, Giud. Foresta - Trib. Crotone, ord. 19.6.2020, Giud. Girardi
1. Da una recente informazione provvisoria (notizia di decisione n. 3/2020) si apprende che la Terza Sezione della Corte di cassazione, nell’udienza del 2 luglio 2020, ha affrontato la questione della compatibilità con l’art. 25, co. 2 Cost. della disciplina (art. 83, co. 4 d.l. n. 18/2020), introdotta a seguito dell’emergenza Covid-19, che ha previsto, con efficacia retroattiva, la sospensione del corso della prescrizione del reato. Diversamente da quanto hanno già fatto alcuni giudici di merito – v., su questa Rivista, le ordinanze dei tribunali di Siena e di Spoleto, nonché quelle dei tribunali di Crotone e di Roma, qui allegate – la Cassazione ha ritenuto di non sollevare la questione di legittimità costituzionale, che ha affrontato d’ufficio. Si legge infatti nell’informazione provvisoria che “la sospensione del corso della prescrizione prevista dall'art. 83 comma 4 del d.l. 18 marzo 2020, n. 18… non viola il principio di irretroattività delle legge penale sfavorevole di cui all'art. 25, comma 2, Cost, in quanto, premessa la natura sostanziale dell'istituto della prescrizione (Corte cost. n. 115 del 2018), la durata della sospensione, dovuta a fattore esogeno (emergenza sanitaria), ha carattere generale, proporzionato e temporaneo, così realizzando un ragionevole bilanciamento tra diritti fondamentali, nessun dei quali è assoluto e inderogabile”.
In attesa di leggere la motivazione della decisione, non possiamo esimerci da alcuni rilievi critici. La ratio decidendi è intuibile e condivisibile: evitare che un intervento normativo ragionevole – come quello che, a tutela della salute pubblica (compresa quella di magistrati, imputati e loro avvocati), ha disposto la sospensione dei procedimenti e del corso della prescrizione del reato durate il “lockdown della giustizia penale” – possa essere vanificato per effetto dell’applicazione del principio di irretroattività della legge penale sfavorevole all’agente. Senonché l’argomento utilizzato per escludere la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale è a mio parere, di per sé, incompatibile con i principi costituzionali e non può pertanto essere posto a fondamento di una interpretazione conforme a Costituzione.
Delle due l’una: o si ritiene che la garanzia dell’art. 25, co. 2 Cost. interessi una disciplina come quella in esame – e in tal caso quella garanzia andrà senz’altro riconosciuta, impedendo l’applicazione retroattiva della nuova causa sospensiva – o si ritiene invece che quella garanzia non sia applicabile nel caso di specie – e allora nulla osterà all’applicazione retroattiva della nuova causa sospensiva. La Cassazione sembra avere invece optato per una terza via: ha ritenuto in via di principio applicabile l’art. 25, co. 2 Cost., in ragione della natura “sostanziale” dell’istituto della prescrizione del reato, salvo ritenere che nel caso di specie la disposizione costituzionale sia derogabile. Il riferimento al carattere generale, temporaneo e proporzionato della misura introdotta dal legislatore dell’emergenza evoca con tutta evidenza la logica del bilanciamento che, nel diritto dei diritti umani, consente le limitazioni a diritti fondamentali, tra i quali notoriamente si annovera quello dell’irretroattività della legge penale sfavorevole.
Senonché, come ho già avuto modo di osservare in un precedente contributo pubblicato su questa Rivista – e come nota il Tribunale di Crotone, nella parte finale dell’ordinanza qui allegata –, una via d’uscita dall’impasse rappresentato dall’affermata natura sostanziale della prescrizione del reato, che preclude l’applicazione retroattiva della relativa disciplina, non può essere individuata invocando una deroga al principio di irretroattività, sorretta da pur ragionevoli motivi di emergenza sanitaria.
E’ pacifico infatti, nella giurisprudenza costituzionale, che il principio di irretroattività ex art. 25, co. 2 Cost. è un principio “assolutamente inderogabile” (così, ad es., Corte cost. n. 394/2006). Leggi eccezionali e temporanee – come quelle adottate per fronteggiare un’epidemia – possono derogare il diverso principio di retroattività della lex mitior, come stabilisce l’art. 2, co. 5 c.p. Solo quel diverso principio, infatti, è derogabile nei limiti della ragionevolezza (cfr., tra le molte, Corte cost. n. 394/2006). Il principio di irretroattività in malam partem non tollera invece deroghe: è un fondamentale e irrinunciabile principio di civiltà del diritto che “erige un bastione a garanzia dell’individuo contro possibili abusi da parte del potere legislativo” (così Corte cost. n. 32/2020). E tra i possibili abusi, da sempre, vi è proprio il pretesto di fronteggiare questa o quella emergenza. Aprire una breccia, oggi, mette a rischio la tenuta del principio, un domani.
Quanto diciamo è vero anche nella prospettiva del diritto internazionale: non è infatti un caso che l’art. 15 Cedu annoveri il nullum crimen nulla poena sine previa lege (art. 7 Cedu), tra i diritti che non ammettono deroghe nemmeno “in caso di guerra o in caso di altro pericolo pubblico che minacci la vita della nazione”. La conclusione è pertanto obbligata: il carattere inderogabile del principio di irretroattività della legge penale preclude un possibile bilanciamento, in nome dell’emergenza, con altri principi di rango costituzionale, compreso quello di ragionevolezza.
Stupisce pertanto la decisione della Cassazione, che nell’escludere la non manifesta infondatezza, sul presupposto di un bilanciamento di diritti costituzionalmente garantiti, sembra invero sostituirsi alla Corte costituzionale in un’operazione, peraltro, inammissibile.
2. Chi reputi ragionevole consentire l’applicazione retroattiva della sospensione del corso della prescrizione del reato, disposta con l’art. 83, co. 4 d.l. n. 18/2020, deve invero vagliare la percorribilità di strade diverse, compatibili con i principi costituzionali e convenzionali. In questa direzione, due recenti ordinanze qui pubblicate in allegato – rispettivamente, del Tribunale di Roma e del Tribunale di Crotone, nel sollevare alcune questioni di legittimità costituzionale dell’art. 83, co. 4 d.l. n. 18/2020, per contrasto con l’art. 25, co. 2 Cost. – attesa la ritenuta non manifesta infondatezza delle questioni stesse – sollecitano una rimeditazione della natura processuale – e non già sostanziale – della disciplina della sospensione del corso della prescrizione del reato e, in particolare, dell’art. 159, co. 1 c.p.
Entrambe le ordinanze, in particolare, hanno sollevato questione di legittimità costituzionale ritenendo non percorribile, perché contraria al diritto vivente, una possibile interpretazione conforme a Costituzione dell’art. 159 c.p. Ai sensi della citata disposizione, il corso della prescrizione è sospeso, “oltre che nei casi” previsti (cause sospensive tipizzate dallo stesso art. 159 c.p.), “in ogni altro caso in cui la sospensione del procedimento o del processo penale…è imposta da una particolare disposizione di legge”. Orbene, l’art. 83 d.l. n. 83/2020 altro non ha fatto se non configurare una nuova ipotesi di sospensione del processo penale, dalla quale consegue la sospensione della prescrizione del reato. Il Tribunale di Roma, in particolare, argomenta in modo persuasivo le ragioni per le quali l’art. 159 c.p. potrebbe ritenersi compatibile con l’art. 25, co. 2 Cost. Senza mettere in discussione la fondamentale natura sostanziale dell’istituto della prescrizione del reato, il Tribunale di Roma osserva come “non tutte le norme che disciplinano la prescrizione del reato sono soggette al principio di irretroattività di cui all’art. 25, co. 2 Cost.” e ritiene che le norme relative al regime della sospensione della prescrizione abbiano natura processuale: “l’istituto della sospensione della prescrizione appare del tutto slegato [dalla ratio] di garanzia [dell’art. 25, co. 2 Cost.], essendo piuttosto correlato a situazione propria del processo penale. L’art. 83, co. 4 d.l. n. 83/2020 avrebbe pertanto dato luogo a una successione di norme processuali, ‘coperta’ dall’art. 159 c.p., rispetto alla quale non opererebbe l’art. 25, co. 2 Cost. Il fenomeno – osserva il Tribunale di Roma – non è dissimile da quello verificatosi dopo l’introduzione dell’istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato, che ai sensi dell’art. 159 c.p. comporta la sospensione del corso della prescrizione: “nessuno dubita” che l’istituto sia applicabile ai fatti pregressi e che la sospensione della prescrizione, ad esso correlata, pure operi in relazione ai fatti stessi.
Senonché, secondo il Tribunale di Roma (analoga tesi è sostenuta dal Tribunale di Crotone), l’interpretazione prospettata “presuppone una ricostruzione differenziata della natura delle norme che disciplinano la prescrizione del reato che non trova riscontro nel diritto vivente per come costantemente interpretato dalla giurisprudenza di legittimità e costituzionale in materia di prescrizione”. Ritenendo per tale ragione preclusa la via dell’interpretazione conforme a Costituzione, la questione è stata rimessa alla Corte costituzionale.
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3. In un contributo pubblicato su questa Rivista – al quale rinvio – ho cercato, con il sostegno di autorevole dottrina, nonché della giurisprudenza straniera e sovranazionale, di mostrare come modifiche in peius del regime della prescrizione del reato, intervenute prima che il relativo termine sia maturato – è esattamente questo il nostro caso, presupponendo la sospensione un termine non ancora spirato – siano compatibili con i principi del sistema perché – questo è il punto – estranee alla ratio di garanzia dell’art. 25, co. 2 Cost. Ciò, si noti, a prescindere dalla natura, sostanziale o processuale, della disciplina relativa alla prescrizione del reato.
In un contesto nel quale, piaccia o meno, il dibattito ruota attorno all’affermata natura sostanziale della prescrizione del reato, pacifica nella giurisprudenza costituzionale, e verosimilmente non sconfessabile, dopo la vicenda Taricco, occorre tuttavia vagliare la percorribilità di altre vie che pure conducano all’esito, ragionevole, di consentire con effetto retroattivo la sospensione del corso della prescrizione, imposta dall’emergenza sanitaria. In tal direzione, le ordinanze del Tribunale di Roma e di Crotone, qui annotate, sembrano molto interessanti nella misura in cui, come si è detto, sollecitano una rilettura dell’art. 159, co. 1 c.p., disposizione di rilievo cruciale.
La tesi secondo cui l’art. 159, co. 1 c.p. consentirebbe la sospensione del corso della prescrizione, in relazione ai procedimenti per fatti commessi prima del d.l. n. 18/2020, presuppone: a) la natura mobile del rinvio operato dall’art. 159 c.p. (lo osserva, acutamente, la citata ordinanza del Tribunale di Roma); b) la compatibilità con il principio di irretroattività in malam partem del meccanismo dell’art. 159 c.p., una volta che il rinvio in esso contenuto sia concepito, per l’appunto, come rinvio mobile, che si riferisce pertanto anche alle leggi, future, che dispongano, dopo la commissione del fatto, la sospensione del procedimento o del processo penale. A tale ultimo proposito, decisiva sarebbe, per il Tribunale di Roma e per quello di Crotone, la natura processuale delle disposizioni richiamate attraverso il rinvio, che però troverebbe un ostacolo nel diritto vivente.
4. Per ragioni che ho espresso nel citato lavoro (ivi, al § 7, al quale rinvio), a me pare che vi siano argomenti per sostenere la natura processuale della disciplina relativa alla sospensione del corso della prescrizione e, pertanto, per ritenere ammissibile l’interpretazione conforme a Costituzione prospettata dalle ordinanze in commento.
A ben vedere, tuttavia, esiste a mio parere una via ancor più diretta per escludere l’operatività del divieto di cui all’art. 25, co. 2 Cost., senza mettere in discussione la natura sostanziale della disciplina della prescrizione del reato. Decisivo è il testo dell’art. 159, co. 1 c.p.: se anche il legislatore dell’emergenza non avesse previsto espressamente la sospensione del corso della prescrizione del reato, questa sarebbe conseguita, per l’appunto, dal disposto dell’art. 159 c.p., che fa discendere automaticamente la sospensione della prescrizione dalla sospensione del procedimento o del processo, disposta per legge (con una legge della quale, naturalmente, si tratterà di vagliare come di consueto la ragionevolezza, fuori discussione, a me pare, nel caso di specie).
Se questa premessa, che muove dalla natura mobile del rinvio di cui all’art. 159, co. 1 c.p., è corretta, ne consegue che, considerato che l’art. 159 c.p. è norma vigente al tempo del commesso reato, e che il d.l. n. 18/2020 si è limitato a introdurre una causa sospensiva, integrando la predetta disposizione codicistica, il principio di irretroattività della legge penale non è violato: l’autore poteva prevedere, al momento del fatto, che il legislatore, per una qualche ragione, avrebbe potuto disporre la sospensione del procedimento o del processo penale, con conseguente sospensione del corso della prescrizione.
In altri termini, il rinvio mobile contenuto nell’art. 159, co.1 c.p. può essere valorizzato anche da chi non intenda negare la natura tutta e sempre sostanziale della disciplina della prescrizione del reato e, pertanto, la sua attrazione nella sfera dell’art. 25, co. 2 Cost. La garanzia della prevedibilità della disciplina stessa – della conseguenza negativa rappresentata da un allungamento del termine di prescrizione, per effetto di una possibile sospensione del procedimento o del processo penale, disposta per legge – è assicurata proprio dal fatto che, al tempo del commesso reato, era in vigore l’art. 159 c.p.
Sembra, insomma, che stiano emergendo nella giurisprudenza argomenti che potrebbero essere sviluppati e valorizzati dalla Corte costituzionale, un domani, nel contesto di una possibile sentenza interpretativa di rigetto, che indichi all’interprete la via di una interpretazione conforme a Costituzione che, senza dare ingresso a inammissibili deroghe all’art. 25, co. 2 Cost., faccia salve le ragioni della sospensione della prescrizione, dettate dall’emergenza sanitaria, senza stravolgere i principi del sistema e arretrare le garanzie fondamentali, dove operanti.
5. Prima di concludere, una notazione finale. E’ sconcertante, leggendo le ordinanze di merito qui allegate, apprendere che entrambe si riferiscono a fatti (rispettivamente, di ricettazione e di tentata estorsione) commessi nel 2010: dieci anni fa! In entrambi i casi, a citazione a giudizio risale al 2013: in sette anni la giustizia penale non è stata in grado di celebrare il giudizio di primo grado. Nel motivare la rilevanza delle questioni sollevate, i giudici a quibus osservano come la prescrizione sarebbe maturata se il legislatore non avesse previsto la sospensione del relativo corso, in ragione dell’emergenza sanitaria in atto. Lungi dal trovare giustificazione nel disinteresse dello Stato per l’accertamento di fatti e responsabilità, la prescrizione del reato rappresenterebbe la sanzione per l’incapacità della giustizia penale di definire il processo in tempi ragionevoli: una sanzione che, però, colpirebbe anche le vittime (in un caso, la vittima di una richiesta del ‘pizzo’), che da dieci anni aspettano una risposta alla loro domanda di giustizia. Conoscere e comprendere le cause dalla patologica lentezza del processo, in vicende come quelle oggetto delle citate ordinanze, è necessario per intraprendere qualsiasi efficace percorso di riforma del processo penale.