Trib. Milano, Sez. specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione europea, ord. 23 febbraio 2021
Con l’ordinanza in esame il Tribunale di Milano, Sezione specializzata in materia di immigrazione, ha accolto il ricorso d’urgenza presentato da un richiedente asilo tunisino trattenuto presso il Centro di permanenza per il rimpatrio (Cpr) di via Corelli al quale, in ossequio a una consolidata prassi, era stato sottratto il proprio telefono cellulare al momento dell’ingresso nel Centro.
Il Tribunale, dopo aver appurato che l’uso dei soli telefoni fissi e di alcuni cellulari messi a disposizione dalla struttura non è sufficiente a garantire la libertà di comunicazione e il diritto di difesa degli stranieri trattenuti, ha ordinato alla Prefettura e alla Questura di Milano, nonché all’Ente gestore del Cpr di consentire al ricorrente la detenzione e l’utilizzo del proprio telefono cellulare nei limiti e secondo le modalità indicate per le visite dall’art. 7 del Regolamento unico Cie/Cpr.
La decisione del giudice e il richiamo operato dallo stesso alla lacunosità della disciplina circa i modi del trattenimento amministrativo offrono l’occasione per qualche riflessione sullo stato dell’arte di uno strumento tanto utilizzato quanto poco riformato nei suoi profili più critici.
1. Brevemente i fatti oggetto dell’ordinanza. Nei primi giorni di novembre del 2020 il ricorrente, un cittadino tunisino, sbarcato a Lampedusa, riceve un decreto di respingimento con accompagnamento forzato alla frontiera unito a un provvedimento di trattenimento presso il Cpr di Ponte Galeria a Roma. Il trattenimento viene, però, interrotto il 31 dicembre 2020 dall’intervento di una procedura medica di accertamento dell’età all’esito della quale il Giudice di pace ordina il rilascio dal Cpr e il trasferimento del giovane tunisino in un Centro di accoglienza per minori, dove rimane fino al 5 gennaio 2021 quando, a seguito della ricezione di una nota del Consolato di Tunisia attestante la sua maggiore età, il Prefetto di Roma notifica al ricorrente un nuovo decreto di espulsione con accompagnamento coatto alla frontiera mentre la Questura, stante la perdurante necessità di acquisire un documento valido per l’espatrio e di individuare un vettore disponibile, dispone il suo trattenimento nel Cpr di via Corelli a Milano. Dal Cpr milanese il ricorrente fa richiesta di protezione internazionale (che verrà però rigettata): è proprio tale circostanza, come vedremo, che gli ha consentito di rivolgersi alla Sezione specializzata del Tribunale.
Venendo ai fatti oggetto di esame, risulta che al momento dell’ingresso nel centro di via Corelli il ricorrente è stato privato del proprio telefono cellulare e, dunque, la sua libertà di corrispondenza telefonica con l’esterno è stata da quel momento in poi affidata ai pochi telefoni messi a disposizione dall’Ente (e utilizzabili in base alle disponibilità economiche del trattenuto) che però, oltre a essere utilizzabili solo sotto la sorveglianza del personale di sicurezza e per pochi minuti, non avevano accesso a internet e, soprattutto, non potevano essere fatti funzionare con le SIM personali degli stranieri.
2. Emerge dalle argomentazioni del difensore che la mancanza del telefono cellulare ha pesantemente inciso sulle vicende giudiziarie del ricorrente traducendosi nella impossibilità di avvisare il proprio difensore di fiducia della fissazione dell’udienza di convalida e nell’impossibilità di essere dallo stesso assistito durante l’audizione. Ciò ha determinato gravi violazioni del diritto alla libertà di comunicazione e della vita privata del ricorrente, nonché un danno grave al suo diritto di difesa. Il difensore, in particolare, ha evidenziato come proprio la privazione del telefono cellulare, avvenuta al momento dell’ingresso del Cpr, fosse causa dell’impossibilità di comunicazione con l’esterno e con il proprio avvocato e, soprattutto, non trovasse fondamento in alcuna norma di legge, né apparisse giustificata dalla necessità di tutelare un interesse pubblico rilevante o rispondesse a criteri di necessità e proporzionalità.
2.1. Nelle argomentazioni della difesa le ragioni a sostegno della violazione del diritto alla difesa e della ingiustificata compressione della libertà di comunicazione sono, essenzialmente, tre. In primo luogo, la disparità di trattamento rispetto ad altri Cpr italiani (quali quelli di Gradisca e Bari) ove gli stranieri in attesa di espulsione non vengono privati del proprio telefono che possono, dunque, continuare a utilizzare durante il loro trattenimento. In secondo luogo, l’assenza di una base normativa che preveda la privazione del telefono: ad oggi assente nel testo unico in materia di immigrazione, nel Regolamento unico Cie/Cpr del 2014 e anche nel Regolamento interno del centro di via Corelli. In terzo luogo, l’assenza di una concreta esigenza di sicurezza idonea a giustificare la compressione del diritto.
Grazie allo strumento di natura cautelare dell’art. 700 c.p.c., al fine di evitare al ricorrente di subire ulteriori danni gravi e irreparabili ai suoi diritti alla libertà di comunicazione, al rispetto della vita privata e alla difesa – che avrebbero trovato nella Sezione specializzata del Tribunale il loro giudice naturale[1] – il difensore ha dunque chiesto la restituzione del telefono cellulare, custodito dall’Ente gestore del Cpr milanese.
3. Contro tali richieste il Ministero dell’Interno si è limitato a replicare, da un lato, che gli strumenti messi a disposizione dal centro e previsti dal cd. Regolamento unico CPR del 20 ottobre 2014 sono “idonei ad assicurare l’esercizio del diritto di corrispondenza con l’esterno”; dall’altro, che il mancato riferimento nelle disposizioni regolamentari alla consegna del telefono cellulare al momento dell’ingresso nel Cpr non possa costituire un argomento decisivo poiché quello contenuto nel Regolamento interno del centro è un elenco «meramente esemplificativo» di oggetti che non possono essere introdotti nel centro, corredato da una clausola finale che facendo riferimento “a quanto altro sia in grado di poter compromettere la generale incolumità e sicurezza delle persone”, ad avviso del Ministero, giustifica il divieto di disporre dei telefoni cellulari che, altrimenti, avrebbero ripercussioni “che si riverbererebbero a detrimento degli stranieri ma anche del personale del Centro e degli operatori delle Forze dell’ordine in servizio”.
4. Il Tribunale di Milano – all’esito di un giudizio di natura cautelare e, dunque, strumentale rispetto a un futuro giudizio di merito – ha accolto le richieste del ricorrente riconoscendo che il protrarsi della privazione del telefono cellulare ha concretizzato un’ingiustificata compressione del diritto alla difesa del cittadino straniero.
Il giudice, posto dinnanzi a una questione “nuova e complessa”, articola il proprio ragionamento essenzialmente lungo due direttrici: in primo luogo, con un’analisi delle fonti normative e regolamentari, ricostruisce l’esatto contenuto della libertà di corrispondenza garantita (o, meglio, da garantire) nei Cpr. In secondo luogo, verifica se le modalità e le ragioni per cui il ricorrente è stato privato del telefono cellulare nel centro di via Corelli siano rispettose di tale libertà e, quantomeno, giustificate da un’esigenza di sicurezza.
4.1. La libertà di corrispondenza nei centri di permanenza per il rimpatrio. Le fonti che disciplinano le modalità del trattenimento amministrativo sono tre: l’art. 14 del d.lgs. 286/1998 (cd. testo unico in materia di immigrazione), il suo regolamento di attuazione (ossia il d.P.R. 31 agosto 1999, n. 394) e il Regolamento recante criteri per l’organizzazione e la gestione dei centri di identificazione ed espulsione del 20 ottobre 2014 (cd. regolamento unico Cie/Cpr[2]). A questi si aggiungono poi i singoli regolamenti interni dei Cpr, la cui emanazione è compito dei Direttori della struttura in collaborazione con la Prefettura[3].
Limitando l’attenzione al tema della libertà di comunicazione – unico profilo oggetto di esame nell’ordinanza in commento – il testo unico del 1998 (sola fonte di rango legislativo), all’art. 14 co. 2 prevede che lo straniero in attesa di espulsione sia trattenuto “con modalità tali da assicurare la necessaria assistenza e il pieno rispetto della sua dignità” e che “è assicurata in ogni caso la libertà di corrispondenza anche telefonica con l’esterno”. Qualche precisazione in più è contenuta nel d.P.R. 31 agosto 1999, n. 394, ossia il regolamento esecutivo del testo unico, il cui articolo 21 co. 1 chiarisce che “Le modalità del trattenimento devono garantire, nel rispetto del regolare svolgimento della vita in comune, la libertà di colloquio all’interno del centro e con visitatori provenienti dall’esterno, in particolare con il difensore che assiste lo straniero, e con i ministri di culto, la libertà di corrispondenza, anche telefonica, ed i diritti fondamentali della persona fermo restando l’assoluto divieto per lo straniero di allontanarsi dal centro”. Il comma 3, poi, aggiunge che proprio “allo scopo di assicurare la libertà di corrispondenza anche telefonica, con decreto del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, sono definite le modalità per l’utilizzo dei servizi telefonici, telegrafici e postali, nonché i limiti di contribuzione alle spese da parte del centro”.
Il cd. Regolamento unico Cie/Cpr del 20 ottobre 2014 (che ha natura di circolare amministrativa emanata dal Ministero dell’Interno) si compone di quattordici articoli ed è stato emanato proprio con l’obiettivo di assicurare regole e livelli di accoglienza uniformi all’interno dei centri di detenzione amministrativa. Sempre con riferimento al tema delle comunicazioni con l’esterno, l’art. 4 del Regolamento attribuisce all’Ente gestore il compito di garantire una serie di servizi, tra i quali rientrano le comunicazioni telefoniche con l’esterno “a mezzo di apparecchi telefonici fissi installati nel Centro in luoghi di libero accesso agli stranieri e in un numero non inferiore a un apparecchio per quindici persone”. Sempre al fine garantire il concreto utilizzo di tali strumenti, il Regolamento prevede che allo straniero sia consegnata al momento dell’ingresso – prima della convalida del provvedimento – una tessera telefonica da utilizzare secondo le modalità fissate nell’art. 21 co. 3 del d.P.R. 394/1999[4].
Come già accennato, accanto a queste disposizioni valide in tutto il territorio nazionale, in ogni centro trova poi applicazione un regolamento interno il cui scopo precipuo è quello di integrare il Regolamento ministeriale adattandolo, secondo le indicazioni della Prefettura, alle specifiche esigenze gestionali di ogni realtà. Con riguardo al Cpr di via Corelli, nel momento in cui il Tribunale milanese si è pronunciato, l’art. 12 del regolamento ricalcava in sostanza l’art. 4 del Regolamento del 2014 aggiungendo solo che “come misura temporanea, in attesa dell’installazione di una rete fissa per le telefonate, ovvero quando non sia possibile usufruire della rete fissa per motivi tecnici, verranno utilizzati telefoni cellulari messi a disposizione dei cittadini stranieri tramite richiesta agli operatori presenti in turno” e che lo straniero trattenuto, servendosi unicamente dei telefoni messi a disposizione dal centro, potrà “utilizzare la propria sim telefonica per effettuare chiamate fino ad esaurimento del credito”, eventualmente ricaricabile con il pocket money accumulato.
Alla luce di tali disposizioni legislative e regolamentari, il Tribunale milanese non ha dubbi circa la estendibilità anche all’interno del Cpr delle garanzie a presidio della libertà di corrispondenza, diritto fondamentale riconosciuto dall’art. 15 della Costituzione e richiamato da tutte le fonti che disciplinano il trattenimento amministrativo.
4.2. L’(in)adeguatezza delle modalità previste dal Centro per la fruizione della libertà di corrispondenza. Così pacificamente riconosciuta la libertà di corrispondenza all’interno del Cpr, il giudice è dunque passato a interrogarsi su quanto accaduto nel caso concreto, valutando se l’effettiva privazione del telefono cellulare del ricorrente, da un lato, fosse prevista da una qualche disposizione legislativa o regolamentare e, dall’altro lato, se tale compressione del suo diritto fosse giustificata da un’esigenza di sicurezza.
Con riguardo al primo quesito il Giudice agevolmente osserva che in nessuna delle fonti che disciplinano il trattenimento amministrativo si fa menzione di uno specifico divieto di detenzione ed uso del telefono cellulare personale. Al più si rinvengono indicazioni relative ad oggetti che, per motivi di ordine pubblico, sicurezza e incolumità delle persone non possono essere portati nel Centro, ma devono essere custoditi dall’Ente e riconsegnati al momento dell’uscita dal Centro. È quasi superfluo dire che tra questi ‘oggetti proibiti’ non viene mai menzionato il telefono cellulare che, dunque, viene sottratto agli stranieri al momento dell’ingresso in assenza di ogni base giuridica[5]. Oltre all’assenza di un espresso divieto, anche la previsione di liste di oggetti potenzialmente pericolosi per la sicurezza e l’incolumità delle persone all’interno del centro sembra al giudice non giustificare in maniera adeguata la limitazione dell’uso e della detenzione del telefono cellulare. Usando le parole dell’ordinanza, il cellulare “rappresenta ormai uno strumento essenziale per permettere una libertà di corrispondenza che si sviluppi in tutte le direzioni consentite”, ossia che consenta allo straniero privato della libertà in attesa di espulsione di prendere contatto con tutti i soggetti che avrebbe diritto di incontrare[6] durante la permanenza nel centro, in primis il difensore. Richiamiamo ancora le chiare parole della sentenza sul punto: “è davvero difficile che possano bastare apparecchi, fissi o portatili, indistintamente presenti nel Centro: basti pensare che le funzioni di memoria e di rubrica del cellulare sono, nel contenuto, del tutto personali per ogni singolo soggetto e ormai necessarie per rendere efficace il rintracciamento delle singole persone, a maggior ragione in una struttura nella quale anche il mezzo cartaceo risente di importanti limitazioni, stante l’impossibilità, per evitarne un pericoloso uso improprio, di una libera disponibilità di penne e matite[7]”.
4.3. Un ultimo ostacolo (superabile). Nell’ordinanza l’unica concreta obiezione che sembra prospettarsi all’utilizzo del cellulare personale da parte dei trattenuti riguarda il rischio che la presenza di telefoni cellulari (o, più correttamente di smartphones) interferisca con quanto stabilito dall’art. 6 del Regolamento unico del 2014, laddove vieta in via generale ogni ripresa video-fotografica o registrazioni audio all’interno della struttura, in un’ottica di tutela della riservatezza del personale in servizio e degli stranieri stessi.
La soluzione proposta per far fronte a questo ostacolo è, in sintesi, l’applicazione all’art. 6 della medesima ratio che informa il successivo articolo 7 in materia di visite e colloqui[8]: anche l’uso del telefono non dovrà essere privo di limiti (come del resto non sono prove di limiti nemmeno le visite) ma dovrà avvenire in spazi e tempi preventivamente individuati, nonché sotto una ‘vigilanza discreta’ tale da non limitare il diritto alla riservatezza e con un obbligo di restituzione dell’apparecchio personale all’ente gestore al termine del suo utilizzo.
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5. A qualche mese di distanza da questa ordinanza, la Prefettura è intervenuta modificando, da un lato, l’art. 12 del Regolamento interno del Cpr di via Corelli e, dall’altro, adottando l’allegato 1 al Regolamento. Ad oggi, dunque, si prevede all’art. 12 co. 4 che «[…] Il trattenuto, per effettuare telefonate, può servirsi delle cabine installate presso il Centro, ovvero del proprio telefono cellulare, o di telefoni cellulari comuni messi a disposizione dal Gestore, osservando le modalità indicate nell’allegato disciplinare. Lo straniero, se in possesso di denaro proprio, potrà acquistare tessere telefoniche e/o credito telefonico […]». Nell’allegato, poi, si specifica che la possibilità di accedere al telefono cellulare di proprietà, oltre a dover essere subordinata a un preavviso all’oscuramento della telecamera, è limitata a precise fasce orarie (dalle 15.00-19.00 di ogni giorno), e al tempo strettamente necessario ad effettuare le telefonate.
Se con questi interventi è stato prontamente dato seguito agli ordini presentati in sede cautelare dal Tribunale, con uno sguardo d’insieme sulla vicenda, è agevole riconoscere, però, le persistenti lacune del sistema e la precarietà della soluzione individuata[9].
5.1. In primo luogo, sono evidenti le lacune normative circa i modi in cui avviene la privazione della libertà personale degli stranieri nei Cpr. Indagando le fonti che oggi disciplinano il trattenimento amministrativo si fa evidente la mancanza di una fonte legislativa che, in ossequio a quanto richiesto dall’art. 13 della Costituzione per ogni forma di privazione della libertà, disciplini in maniera organica e completa le modalità di trattenimento amministrativo. L’estensione, infatti, dell’art. 13 al trattenimento nei centri pre-espulsivi è una diretta conseguenza della sua intrinseca afflittività – per usare le parole della Corte costituzionale[10] – e del suo indubbio collocamento tra quelle altre restrizioni della libertà personale che la Costituzione affianca alla detenzione penale e assoggetta alla riserva di legge.
Al pari di quel che avviene con l’ordinamento penitenziario, dunque, una legge dovrebbe prevedere in maniera chiara e uniforme i modi del trattenimento amministrativo. Invece, ad oggi, le fonti – richiamate anche dal Tribunale milanese – sono plurime e di rango inadeguato. Al di là delle estremamente scarne indicazioni contenute nell’art. 14 del testo unico in materia di immigrazione (d.lgs. 286/1998) – che, occupandosi principalmente di prevedere i casi in cui il trattenimento dei migranti in attesa di espulsione è possibile, si limita a indicare che lo straniero venga trattenuto con modalità tali da assicurare la necessaria assistenza ed il pieno rispetto della sua dignità – il cuore della disciplina delle modalità di trattenimento è contenuto in due fonti di rango non primario: il Regolamento di attuazione del testo unico (ossia il d.P.R. 31 agosto 1999, n. 394) e il Regolamento recante criteri per l’organizzazione e la gestione dei centri di identificazione ed espulsione del 20 ottobre 2014 (cd. Regolamento unico Cie/Cpr). Pur riscontrando l’assenza di una base normativa per la privazione del telefono cellulare, il giudice del caso in esame non ha esteso le proprie considerazioni anche all’adeguatezza delle fonti, di fatto ritenendole idonee a disciplinare la materia. Tuttavia, al di là dell’effettivo contenuto di questi strumenti, la loro natura regolamentare non solo ne esclude la possibilità di impugnazione davanti al giudice costituzionale ma risulta in aperto contrasto con la stessa Costituzione che, lo ripetiamo, chiede che sia sempre una legge a disciplinare la compressione di un diritto fondamentale come la libertà personale.
Da questa prospettiva, pur salutando positivamente la scelta di recepire con una modifica al regolamento interno le indicazioni contenute nell’ordinanza in esame (e di non limitarsi, dunque, alla restituzione del cellulare al solo ricorrente), suscita perplessità, in primo luogo, l’inerzia del legislatore nazionale che, ancora una volta non dà indicazioni più precise in merito ai modi e, in secondo luogo, la mancata modifica del collegato articolo 6 (effetti personali e deposito) del regolamento interno, pur richiamato dal giudice, alla luce del quale continua a non essere prevista la consegna del telefono cellulare al momento dell’ingresso. Da ultimo, la scelta di oscurare le videocamere dei telefoni personali dei migranti risulta in aperto contrasto con quanto invece suggerito dal Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà che, in un recente Rapporto sulle visite effettuate nei Cpr tra il 2009 e il 2019, si era espresso a favore dell’estensione dell’utilizzo degli strumenti di videochiamata sperimentati durante l’emergenza sanitaria[11].
5.2. In secondo luogo, alla mancanza di una fonte legislativa che disciplini in maniera organica e completa i modi del trattenimento, si affianca la difficoltà (o forse impossibilità) di individuare una via giurisdizionale di ricorso contro quanto previsto da queste fonti o rispetto alla loro mancata implementazione da parte degli enti gestori o delle amministrazioni pubbliche. Si tratta, in sostanza, della inaccettabile assenza di un ricorso giurisdizionale che consenta a tutti i migranti privati della libertà in attesa della loro espulsione di veder riconosciuti i propri diritti. Dal momento, infatti, che il ricorso ex art. 700 c.p.c. ha una natura strumentale rispetto a un futuro giudizio di merito, la possibilità di ricorrere a questo strumento risulta limitata solo a chi tra i trattenuti nel Cpr risulta essere un richiedente asilo: gli unici nei confronti dei quali la Sezione specializzata del Tribunale, dal 2018, ha competenza. Per tutti gli altri migranti trattenuti (i cd. migranti economici) la via per far valere la violazione di un proprio diritto inerente alle condizioni di trattenimento è tutt’altro che lineare. Se per le questioni inerenti i requisiti per la convalida o la proroga del trattenimento è competente il Giudice di Pace, nessun giudice, togato od onorario, ha la competenza per vagliare concrete modalità in cui avviene il trattenimento dei migranti economici (la netta maggioranza) nei CPR: non il Giudice di Pace, non il Tribunale, né tantomeno la Cassazione la cui competenza residuale sui provvedimenti de libertate è, ancora una volta, limitata a questioni formali attinenti ai presupposti stessi del trattenimento.
Anche con riguardo allo strumento dell’art. 700 c.p.c., non mancano le criticità. Basti ricordare l’efficacia vincolante solamente tra le parti della pronuncia cautelare. Infatti, se l’Ente non avesse spontaneamente deciso di prevedere nel proprio regolamento interno la possibilità di utilizzo del telefono cellulare personale, l’ordinanza del giudice avrebbe vincolato quest’ultimo a consentire l’utilizzo del telefono al solo ricorrente. Ciò, ovviamente, con pesanti ricadute in termini di (dis)parità di trattamento nei confronti degli altri stranieri trattenuti la cui unica possibilità sarebbe stata quella di ricorrere a loro volta al giudice. Ben diverse sarebbero le conseguenze in presenza di un ricorso giurisdizionale effettivo di più ampia portata che consentisse un sindacato dell’autorità giudiziaria sulle condizioni di detenzione e sulla corretta attuazione dei modi del trattenimento, al pari di quanto avviene con la magistratura di sorveglianza nei casi di privazione della libertà di tipo penale.
5.3. Non ha colmato questo evidente vulnus di tutela giurisdizionale nemmeno la procedura di reclamo al Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale introdotta dal legislatore con il d.l. 130/2020, conv. in l. 173/2020 con cui, per la prima volta, si è prevista la possibilità per i migranti trattenuti in un Cpr di presentare un reclamo, scritto od orale, al Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà. Ciò che manca a questo nuovo strumento, infatti, è il carattere giurisdizionale poiché si tratta di un reclamo a un organo – il Garante – che, quand’anche verificata la fondatezza delle istanze sollevate dallo straniero, può solo limitarsi a formulare delle raccomandazioni non vincolanti all’amministrazione interessata.
Resta, dunque, ancora priva di risposta l’espressa richiesta di previsione di un ricorso di tipo giurisdizionale avanzata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nel noto caso Khlaifia c. Italia in cui il nostro Paese, ormai sei anni fa, è stato condannato ai sensi dell’art. 13 della CEDU per l’assenza di un idoneo ricorso giurisdizionale per le persone sottoposte a forme di trattenimento amministrativo.
6. Provando a tirare le fila di questa vicenda, al di là dell’esito favorevole per il ricorrente cui ha condotto l’ordinanza in esame, proprio decisioni come questa mettono a nudo l’inadeguatezza dell’intero sistema e la necessità di un suo ripensamento. Da un lato, infatti, il richiamo alle fonti fatto dal giudice mostra la consapevolezza del legislatore del Testo unico circa l’importanza della libertà di corrispondenza anche telefonica per uno straniero privato della libertà e colpito da un provvedimento di espulsione. Dall’altro lato, però, le stesse fonti nulla dicono sull’uso di un telefono cellulare personale (né consentendolo né vietando la sua detenzione o il suo utilizzo) lasciando, di fatto, ai regolamenti dei singoli centri la scelta sull’esatto contenuto di un diritto fondamentale. Se a questa situazione si sommano la difficoltà nel rivolgersi a un organo giudiziario per ottenere la tutela dei propri diritti durante la privazione della libertà personale – come normalmente avviene con la magistratura di sorveglianza in caso di detenzione penale – il quadro si fa ancora più cupo.
Data, altresì, la chiara intenzione del legislatore di proseguire la strada del trattenimento amministrativo – e, anzi, di potenziarne l’utilizzo nonostante le aspre critiche della società civile e della dottrina – diventa imprescindibile una seria rivisitazione dei contenuti di questo strumento, che per una volta non incida solo sulla durata del trattenimento ma prenda atto delle molteplici ricadute della detenzione amministrativa sui diritti e sulle vite dei migranti.
[1] La previsione di Sezioni Specializzate in materia di immigrazione e protezione internazionale si deve al d.l. 17 febbraio 2017, n. 13, conv. in l.13 aprile 2017, n. 46.
[2] La denominazione di Centri permanenza per il rimpatrio (CPR) si deve all’art. 19 d.l. 17 febbraio 2017, n. 13 conv. con modif., in l. 13 aprile 2017, n. 46. In precedenza, tali centri prendevano il nome di Centri di identificazione ed espulsione (CIE).
[3] v. art. 6 co. 3 dello Schema di capitolato di appalto per la fornitura di beni e servizi relativi alla gestione e zl funzionamento del Centro di permanenza per il rimpatrio di cui all’art. 14 d.lgs. 286/1998 presso la struttura demaniale sita in via Corelli 28, Milano, con capienza di 84 posti.
[4] Ai sensi dell’art. 12 del Regolamento interno di via Corelli e dell’art. 4 lett. g del Regolamento unico Cie/Cpr, l’Ente gestore inoltre provvede alla fornitura di un buono economico pari al valore di 5 euro (cd. pocket money) ogni due giorni spendibile all’interno del centro per le spese quali bolli postali, schede telefoniche, spuntini alimentari, bibite analcoliche, sigarette, libri, riviste, giornali, ecc., in conformità a quanto previsto nel contratto di appalto per la gestione del centro.
[5] Riportano le liste degli oggetti proibiti sia l’art. 4 del Regolamento unico del 2014 che l’art. 6 del Regolamento interno di via Corelli. In entrambi gli articoli citati gli oggetti menzionati sono: strumenti atti ad offendere, compresi specchi, rasoi, occhiali da sole, accendini, fiammiferi, materiale infiammabile, cinture, bretelle, sciarpe ed affini e quanto altro sia in grado di poter compromettere la generale incolumità e sicurezza delle persone.
[6] La disciplina delle visite è prevista dagli artt. 16, 17 e 18 del Regolamento interno, nonché in via generale dagli artt. 6 e 7 del Regolamento unico Cie/Cpr.
[7] Cfr. art. 6 Regolamento interno e art. 4 Regolamento unico Cie/Cpr.
[8] Art. 7 – Modalità per lo svolgimento delle visite. È necessario che i visitatori (esclusi quelli elencati al comma 1 dell’art. 6) all’atto dell’accesso alla struttura, siano sottoposti ad accurato controllo anche con l’utilizzo di apparecchiatura metal-detector fissa, ovvero con analoghi apparecchi portatili, al fine di evitare l’introduzione abusiva di armi o strumenti atti ad offendere.
Tutti i visitatori devono essere muniti di documenti di identificazione e, se stranieri, del permesso di soggiorno in corso di validità, devono essere registrati su apposito registro custodito dal responsabile del dispositivo di vigilanza del Centro e devono rispettare gli orari stabiliti.
I colloqui devono avvenire in spazi o locali preventivamente individuati, evitando un eccessivo affollamento della struttura che possa comprometterne la sicurezza.
[…]
La vigilanza, nel corso dei colloqui riservati, dovrà essere discreta ed effettuata con modalità tali da non limitare il diritto alla riservatezza in modo da garantire la sicurezza dei visitatori e degli stessi stranieri.
Al termine di ogni incontro, il personale di vigilanza procede al controllo di sicurezza degli stranieri prima del loro rientro nelle aree, al fine di verificare l’eventuale possesso di strumenti atti ad offendere o altri oggetti vietati.
La violazione delle regole stabilite nel presente regolamento o la rilevazione di condotte finalizzate esclusivamente a vanificare la finalità del trattenimento e/o creare turbative per l’ordine e la sicurezza pubblica, segnalate formalmente dalla Questura alla Prefettura, determineranno la perdita dell’autorizzazione all’accesso.
[9] Sul punto si veda anche il confronto tra la Prefettura e alcune associazioni milanesi raccolto da ASGI
[10] Si veda a tal proposito la sentenza C. cost. n. 105/2001
[11] Proprio in tale Rapporto si legge: «La libertà di corrispondenza telefonica è uno dei principi essenziali del trattenimento stabiliti dalla legge ed è strettamente correlata al diritto di difesa, di mantenimento dei vincoli familiari e in generale di comunicazione con il mondo esterno, rimanendo totalmente estranea alla detenzione amministrativa qualsiasi esigenza di isolamento da esso. Pur trattandosi di una garanzia fondamentale, le modalità con cui ne viene garantito l’esercizio risultano, tuttavia, estremamente disomogenee e divengono spesso fonte di criticità soprattutto relativamente alla prassi di requisizione dei telefoni cellulari personali. A tal proposito, si rammenta che il più volte citato Regolamento unico dei Cie, pur prevedendo con un elevato grado di dettaglio gli oggetti non ammessi all’interno dei settori detentivi suscettibili di requisizione al momento dell’ingresso, non include esplicitamente tra gli effetti vietati i telefoni cellulari personali. L’impossibilità di mantenere la disponibilità dei dispositivi mobili di proprietà dei cittadini stranieri trattenuti appare, pertanto, una limitazione non conforme alla lettera della norma, ingiustificata rispetto alle finalità della detenzione amministrativa […]. Tenendo conto della possibile durata del trattenimento, delle limitazioni di spostamento sul territorio nazionale correlate alla contingenza pandemica e comunque delle specificità di un’utenza in contatto con il mondo esterno prevalentemente, quando non esclusivamente, tramite sistemi di comunicazione telematica, andrebbe, al contrario, aumentata la capacità di relazione attualizzando l’espressione ‘libertà di corrispondenza, anche telefonica’, mediante la previsione in tutti i Cpr di forme di accesso alla rete Internet per l’utilizzo di programmi di posta elettronica e sistemi di videochiamata (facoltà, peraltro, possibile negli Istituti penitenziari)». Infine, nella formulazione delle raccomandazioni, il Garante auspica che: «trovi piena ed effettiva attuazione la previsione di libertà di corrispondenza telefonica, prevista dall’articolo 14, comma 2 del T.U. Imm., garantendo alle persone straniere trattenute la possibilità di ricevere telefonate e di effettuare chiamate senza limitazioni anche attraverso l’ausilio di sistemi di videochiamata, così come già sperimentato in alcuni Centri in occasione dell’emergenza pandemica».