Corte d'assise di Brescia, sent. 17 luglio 2019, n. 4, est. Ardenghi e Corvi
1. Con la sentenza n. 4 del 17 luglio 2019, la Corte d’Assise di Brescia affronta la questione della competenza territoriale per il delitto di associazione per delinquere di cui all’art. 416 c.p. in relazione, tra l’altro, al delitto di cui all’art. 270 quinquies.1 c.p., ossia al finanziamento di condotte con finalità di terrorismo. La decisione risolve il problema facendo corretta applicazione delle coordinate interpretative fornite dalla giurisprudenza di legittimità più recente sul punto ed offrendo spunto per ripercorrere una questione processuale oggetto di un vivace dibattito giurisprudenziale.
2. Nell’occasione la Corte è stata chiamata a giudicare tredici imputati su ben diciassette distinti capi d’imputazione. Ed in particolare, gli imputati erano tutti membri di un’associazione per delinquere ex art. 416 c.p. (in relazione all’art. 3, l. 146/06, art. 131 ter l. 385/93, art. 648 bis e 648 ter.1 c.p. e art. 270 quinquies.1 c.p.), operante nell’area della provincia di Como, volta alla realizzazione di un indefinito programma delittuoso. Tra i reati-fine di quest’associazione, effettivamente eseguiti da singoli imputati o da loro sottogruppi, sotto il vincolo della continuazione con il delitto associativo, vi è stato in primis l’esercizio abusivo dell’attività di prestazione di servizi di pagamento (art. 131 ter, l. 385/93) mediante il sistema c.d. hawala, sistema creditizio originario e tuttora praticato negli stati mediorientali. Esso si basa su una rete di intermediari associati (c.d. hawaladar) e fornisce un servizio di raccolta, custodia e pagamento di denaro contante, la compensazione ed il trasferimento di debiti e crediti, nonché l’intermediazione nel cambio di valuta verso il pagamento di un corrispettivo determinato in misura percentuale. La rete di intermediari diffusa negli Stati di origine e di destinazione del denaro consente, mediante un sistema di crediti e di compensazioni, il trasferimento del denaro mediante operazioni dematerializzate. Agli imputati sono altresì addebitati i reti-fine di riciclaggio di denaro in Stati terzi (648 bis c.p.), di autoriciclaggio (648 ter.1 c.p.) mediante impiego in attività speculative di natura finanziaria ed economiche di fondi provenienti da precedente attività di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina sulla c.d. rotta balcanica, nonché il finanziamento di condotte con finalità di terrorismo (art. 270 quinquies.1 c.p.) mediante la raccolta e la messa a disposizione di denaro contante destinato ad essere utilizzato da gruppi jihadisti salafiti.
3. La difesa degli imputati si incentrava precipuamente sull’eccezione di incompetenza territoriale della Corte d’Assise di Brescia, affermando la giurisdizione del Giudice comasco in base all’art. 9 co 2 c.p.p., ossia in base al criterio della residenza degli imputati. La contrapposta tesi della Procura sosteneva, viceversa, la competenza della Corte adita in base al criterio di cui all’art. 9 co 3 c.p.p. consistente nel luogo ove è avvenuta per prima l’iscrizione della notizia di reato, applicabile in base all’asserita impossibilità di determinare il locus commissi delicti, criterio base ex art. 8 c.p.p., per l’attività di trasferimento del denaro dematerializzata, considerata quale oggetto dell’attività associativa delittuosa.
4. La Corte con la sentenza in esame non ha condiviso la ricostruzione della pubblica accusa, accogliendo l’eccezione di incompetenza formulata dalla difesa, seppur in base a motivi diversi. L’impianto motivazionale del provvedimento è incentrato specificamente sull’individuazione della competenza per il reato associativo di cui all’ art. 416 c.p. in quanto si tratta del delitto comune a tutti gli imputati ed in quanto, essendo qualificabile come delitto più grave tra quelli imputati, attrae per connessione la competenza territoriale sugli altri reati-fine ai sensi degli artt. 12 e 16 c.p.p. Tale connessione sussiste in virtù del criterio di cui all’art. 12 lett. b) c.p.p., ossia per il vincolo di continuazione riconosciuto sussistente tra delitto associativo e reati-fine (si osservi che, a dispetto di un risalente orientamento contrario, è ormai pacifica la configurabilità del medesimo disegno criminoso tra associazione e reati-fine). La possibilità di applicare il criterio di connessione per vincolo di continuazione tra più reati, che è criterio letteralmente indicato dal codice nel caso di reato monosoggettivo, nell’ipotesi presente nella quale pluralità di delitti è addebitata non ad un solo imputato ma a più imputati in concorso (e quindi in caso di reati plurisoggettivi eventuali) sussiste solo, secondo la Corte di Cassazione[1], ove il medesimo disegno criminoso sia comune a tutti i partecipi, condizione verificatasi nel caso di specie ove tutti i coimputati hanno partecipato al reato più grave. Entrambe le condizioni, quindi, sono riconosciute sussistenti dalla Corte bresciana.
5. Stabilita la competenza unitaria per i reati oggetto d’imputazione, la Corte individua il criterio di competenza territoriale applicabile al reato associativo, individuato come il reato che attrae la competenza sugli altri capi d’imputazione. Il ragionamento argomentativo parte dalla pacifica e condivisibile constatazione che I criteri suppletivi dettati dall’art. 9 c.p.p., invocati dalla tesi accusatoria, sono applicabili solo sussidiariamente, cioè ove sia dimostrata l’impossibilità di applicare il criterio base, costituito dal locus commissi delicti ex art. 8 c.p.p. In particolare, essendo il reato associativo un reato permanente, è necessario valutare l’applicabilità della disposizione speciale di cui al comma 3 dell’art. 8, secondo il quale la competenza si radica nel luogo di inizio della consumazione.
6. La chiave di volta dell’impianto motivazionale è, pertanto, la determinazione del luogo (e quindi del momento) di inizio della consumazione nel reato associativo, questione sulla quale sono ravvisabili diversi orientamenti giurisprudenziali[2] finalizzati all’individuazione della competenza territoriale. Essi sono raggruppabili in quattro distinte tesi.
– Preliminarmente, è necessario evidenziare come la giurisprudenza sia costante nell’escludere la tesi, talvolta prospettata, che il luogo di consumazione dei reati-fine determini automaticamente il luogo di commissione del reato associativo, in quanto essi sono strutturalmente estrani al reato associativo.
– Per un primo orientamento, c.d. nozionistico, la competenza territoriale sul delitto associativo si determina in base al luogo in cui l’associazione si è costituita[3] o, secondo alcuni arresti, ove sono visibili i segni di manifestazione dai quali desumere la costituzione presuntivamente[4]. Segni di manifestazione tra i quali sono annoverabili i reati-fine, i quali, in quanto estranei alla struttura del reato associativo, rilevano esclusivamente quali indici presuntivi del luogo di costituzione. Si può osservare che in tale seconda prospettazione il criterio, sebbene teoricamente ancorato alla genesi dell’associazione è, nella sua applicazione pratica, più vicino al secondo gruppo di criteri, basati sull’effettività ed illustrati nei successivi punti.
– Per un secondo orientamento, basato per l’appunto come i successivi su di una ratio di effettività, il criterio di determinazione ella competenza territoriale è ravvisabile nel luogo in cui l’associazione ha iniziato concretamente ad operare[5]. Alcuni arresti lo specificano nel luogo in cui concretamente diviene percepibile esteriormente per la prima volta, in base ad elementi sintomatici, a prescindere dalla commissione di un reato-fine, il quale può rilevare tuttalpiù come indice sintomatico da valutare nel più ampio quadro probatorio fornito dalle risultanze investigative.
– Per un terzo orientamento, l’inizio esecuzione è collocabile presuntivamente nel luogo ove avvengono la programmazione, l’ideazione e la direzione dell’associazione[6], salvo che il grado di complessità dell’organizzazione ed il suo frazionamento sul territorio nazionale ed all’estero non rendano impossibile tale individuazione, nel qual caso sono applicabili i criteri sussidiari di cui all’art 9 c.p.p.
– Per un quarto ed ultimo orientamento[7], è ammissibile una valutazione mista, basata sugli indici già elaborati dalla giurisprudenza, e quindi congiuntamente sulla valutazione del luogo di conclusione del pactum sceleris, del luogo dove inizia a manifestarsi l’attività e del luogo ove effettivamente l’organizzazione opera, tenendo conto: a) che la punibilità dell’associazione richiede un minimum indefettibile costituito da una struttura organizzativa anche scarna ma efficiente all’ipotetica realizzazione del programma delittuoso, e che, pertanto, oltre al mero pactum sceleris, per avere un inizio di consumazione è necessario che tale struttura, seppur allo stato embrionale, sia già formata ed operativa; b) che la condotta tipica del reato associativo consiste nella pianificazione ed organizzazione del programma criminoso, ed è altro (è un prius) rispetto alla realizzazione dei reati-fine, irrilevanti, se non quali indici sintomatici, nella collocazione spaziale dell’associazione.
7. Secondo la Corte d’assise di Brescia, nel caso in esame, sebbene non sia conoscibile il luogo in cui è stato stipulato il pactum sceleris, il luogo di inizio della consumazione è determinabile in base alla giurisprudenza della Corte di Cassazione, secondo la quale il luogo di commissione del reato di associazione per delinquere è il luogo in cui il sodalizio si è radicato e la struttura organizzativa ha iniziato ad essere concretamente operativa, a prescindere dal luogo in cui è stato siglato il pactum sceleris. Nel caso di attività diffuse sul territorio esso coincide, prosegue la Corte, con il luogo ove è realizzato il minumum di attività di mantenimento della situazione antigiuridica, cioè ove sono programmate, ideate e dirette le attività[8], mentre risultano irrilevanti i luoghi di commissione dei delitti-fine.
In punto di fatto tale individuazione della sede dell’attività criminosa è possibile secondo la Corte territoriale in quanto è noto il centro di interessi e di attività ove opera l’associazione, mentre l’attività di trasferimento immateriale del denaro è il fatto costitutivo del delitto-fine, e nulla ha a che vedere con l’attività associativa, in quanto il reato associativo di cui all’art. 416 c.p., come è noto, costituisce un delitto associativo puro, che incrimina l’attività associativa in sé, a prescindere dall’effettiva commissione di reati che restano autonomamente incriminabili.
Si può osservare che, quindi, la Corte adotta un criterio misto, il quale tiene conto sia dell’inizio dell’attività criminosa che dell’effettivo svolgimento di attività di direzione propria dell’associazione per delinquere, ritenendo invece del tutto irrilevante, singolarmente considerato, sia il luogo ove è stato stipulato il pactum sceleris sia il luogo di commissione dei reati-fine. In tal modo la Corte adotta una soluzione teoricamente complessa, in quanto afferente a tesi differenti, seppur condensate nel c.d. criterio misto, oggi dominante.
8. Infine, la Corte prende posizione anche su un’altra interessante ed attuale questione procedurale, ossia sul verificarsi della decadenza dall’eccezione di incompetenza in caso di rigetto della richiesta di rito abbreviato condizionato, dopo la novella introdotta dalla l.103/17 la quale, introducendo il comma 6 bis all’art. 438 c.p.p., espressamente prevede la decadenza dalle eccezioni di nullità relative ed intermedie in caso di richiesta di rito abbreviato. La norma fa riferimento alla mera richiesta di giudizio abbreviato in continuità con la giurisprudenza di legittimità che riconduceva l’effetto decadenziale non solo al caso di accoglimento dell’istanza ma anche al suo rigetto. Tale effetto decadenziale si verifica, secondo la giurisprudenza di legittimità[9], in caso di mera richiesta di rito abbreviato, a prescindere dal suo accoglimento, in quanto l’imputato ha espresso un’incondizionata volontà di procedere a giudizio rinunciando alla prerogativa difensiva dell’udienza preliminare ove la questione di competenza può e deve essere discussa. Tuttavia, non è stato ancora affrontato dalla giurisprudenza di legittimità l’eventuale effetto preclusivo determinato dalla presentazione di un’istanza di abbreviato condizionato, dopo la novella del 2017. La Corte ritiene che l’effetto decadenziale non si verifichi in tale ipotesi poiché l’imputato non effettua un’incondizionata rinuncia alla prerogativa difensiva dell’udienza preliminare ed in quanto il rigetto dell’istanza avviene sulla base di una valutazione discrezionale circa l’opportunità rispetto alle esigenze di economia processuale. Queste osservazioni inducono la Corte a ritenere irragionevole l’effetto preclusivo prospettato dall’accusa.
[1] In tema si veda Cass., Sez. II, sent. n. 17090/17.
[2] In tema è illuminante la ricostruzione effettuata da Cass., Sez. II, Sent. 39895/15.
[3] In tal senso si veda Cass., Sez. IV, sent. n. 35229/05.
[4] In tal senso Cass., Sez. II, sent. n. 26285/09.
[5] in tal senso Cass., Sez. III, sent. n. 24263/07.
[6] Accolto da Cass., Sez. I, 25/11/1996 Rv. 206261 e, più di recente, da Cass., sent. n. 17353/09.
[7] L’enunciazione del criterio misto è riportata in Cass., Sez. III, sent. n. 35578/16, ove si dà, peraltro, atto dell’andamento ondivago della giurisprudenza e sono anche brevemente riassunte le diverse tesi giurisprudenziali.
[8] Sul punto si veda Cass., Sez. I, sent. 20908/15, nonché la già citata Cass. Sez. III, sent. n. 35578/16.
[9] In tema si veda Cass., Sez. Un. sent. n. 27996/12.