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01 Giugno 2021


Gestione dell'emergenza pandemica e rischio penale: una ragionevole soluzione di compromesso (d.l. 44/2021)

Note a prima lettura sugli articoli 3 e 3-bis del d.l. 44/2021, convertito dalla l. 28 maggio 2021, n 76 (in G.U. n. 128 del 31 maggio 2021)



1. Gli effetti indiretti della pandemia e la risposta normativa. – Tra gli effetti indiretti che, sul piano giuridico, la diffusione del virus SARS-Cov-2 lascia in eredità vi sono alcune soluzioni normative che – seppur temporanee – incidono su un settore assai problematico della responsabilità colposa, quello legato all'attività sanitaria. Le notizie di indagini avviate in molte zone d'Italia alla ricerca di eventuali responsabilità penali per eventi avversi legati alla pandemia – oggi estesa anche alla ancora più delicata tematica della vaccinazione – hanno infatti spinto il legislatore ad affrontare una nuova (e consequenziale) emergenza nell'emergenza: evitare che medici e operatori sanitari, che per mesi hanno combattuto in prima linea e in condizioni talvolta estreme, siano travolti da un’ondata di denunce e di inchieste giudiziarie miranti a trovare colpevoli, diversi dal virus, per i decessi avvenuti durante gli ultimi mesi[1].

La risposta normativa si è tradotta, dapprima, nell'art. 3 del decreto-legge 1 aprile 2021, n. 44 (recante "Misure urgenti per il contenimento dell'epidemia da Covid-19, in materia di vaccinazioni anti Sars-CoV-2, di giustizia e di concorsi pubblici"), che ha introdotto una ipotesi di non punibilità circoscritta ai soli vaccinatori, e, quindi, nell'art. 3-bis introdotto dalla relativa legge di conversione (legge 28 maggio 2021, n. 76), che ha allargato il campo, prevedendo una limitazione della responsabilità penale di tutti gli esercenti una professione sanitaria, nell'ambito della fase emergenziale Covid-19, ai casi di colpa grave.

 

2. L'esonero da responsabilità per i vaccinatori. – Andando con ordine, come si è detto il decreto-legge n. 44, ha affrontato, nella versione originaria, solo l'ultimo – e per certi versi più eclatante – rischio, riscontrato nel contesto del piano di vaccinazione di massa messo in atto nel nostro Paese, introducendo all'art. 3 ("Responsabilità penale da somministrazione del vaccino anti Sars-CoV-2") un'ipotesi di esclusione della punibilità del personale sanitario addetto alla vaccinazione per i delitti di omicidio e lesioni personali colposi che trovano causa nella somministrazione del vaccino, a condizione che “l’uso dello stesso risulti conforme alle indicazioni contenute nel provvedimento di autorizzazione all’immissione in commercio e nelle circolari del Ministero della salute relative alle attività di vaccinazione”[2].

2.1. Si tratta di una norma nata con l'evidente obiettivo di rassicurare, durante il periodo emergenziale, il personale sanitario impiegato nell'attività di vaccinazione con riferimento ai rischi legati al possibile coinvolgimento penale in eventi avversi che dovessero verificarsi a seguito della somministrazione del vaccino. Tale esigenza, come è ben noto, si è manifestata a seguito di decessi (in numero alquanto esiguo, per la verità) avvenuti nel pieno della campagna vaccinale, accompagnati dall’aperture di inchieste delle competenti Procure (con iscrizione nel registro degli indagati di medici e infermieri che hanno somministrato le dosi), dall'ampio clamore mediatico e dalla temporanea sospensione, in via cautelare, del vaccino AstraZeneca, con rimodulazione dei destinatari già individuati. L'effetto temuto, che si è puntato a scongiurare, è stato quello di una "nuova variante" del ben noto tema della medicina difensiva, nella quale i medici, preoccupati dai rischi collegati a eventi avversi imprevedibili, avrebbero potuto scegliere di astenersi dal somministrare il vaccino, con conseguenti ricadute sui tempi del percorso di vaccinazione.

2.2. La non punibilità si fonda su tre requisiti: a) il verificarsi dell'evento morte o lesione del vaccinato; b) la sussistenza del rapporto di causalità fra la somministrazione del vaccino e i predetti eventi; c) la conformità della somministrazione alle relative regole cautelari.

Per come formulata, la norma sembra costituire una causa di esclusione della colpevolezza, che presuppone la sussistenza di un nesso eziologico (almeno a livello concausale) tra l'inoculazione e la morte o le lesioni che ne siano derivate. Nel merito, si va a incidere sul profilo colposo, escludendosi qualunque residuo margine di rimproverabilità colposa (anche grave) – qualora siano state rispettate le indicazioni contenute nei documenti menzionati – in capo ai soggetti coinvolti a vario titolo nelle attività di vaccinazione (dunque anche a coloro che sono deputati alla distribuzione e alla conservazione dei lotti e alla preparazione delle dosi). Ancor più nel dettaglio, richiamando il “provvedimento di autorizzazione all’immissione in commercio”, si fa riferimento al foglietto illustrativo ove sono contenute le informazioni inerenti alla posologia, alla conservazione, alle modalità di somministrazione e alle possibili controindicazioni. Meno preciso appare invece il rinvio alle “circolari pubblicate sul sito istituzionale del Ministero della salute relative alle attività di vaccinazione”, esponendosi, in assenza di ulteriori specificazioni sulla tipologia di prescrizioni e soprattutto sui destinatari delle stesse, al rischio di tradursi in una formula vuota e non vincolante sul piano del rispetto delle regole cautelari.

2.3. Si tratta di una disposizione speciale rispetto a quella prevista al secondo comma dell'art. 590-sexies c.p.; a ben vedere, infatti: i) non limita il proprio ambito operativo alle sole ipotesi di imperizia; ii) evita qualsiasi riferimento alla "adeguatezza alla specificità del caso concreto", altrimenti richiesta dal legislatore perché il sanitario possa andare esente da responsabilità penale; iii) flessibilizza il richiamo a fonti pre-date, svincolando le cautele imposte dal sistema nazionale delle linee guida e dalla formalizzazione richiesta all'art. 5 della legge 24 del 2017; iv) prescinde, in sede di accertamento, dall'indagine su regole cautelari diverse da quelle indicate espressamente, dal momento che non sarà esigibile altra condotta rispetto a quella pedissequamente conforme alle stesse, pur se l'osservanza di una norma prudenziale diversa avrebbe potuto impedire, nel caso di specie, il verificarsi dell'evento.

In quanto più favorevole, la norma assume naturalmente efficacia retroattiva, potendosi applicare, ai sensi dell'art. 2 c.p., anche a fatti commessi prima dell'entrata in vigore del decreto, purché relativi a somministrazioni effettuate "nel corso della campagna vaccinale straordinaria in attuazione del piano di cui all'articolo 1, comma 457 della legge 30 dicembre 2020, n. 178".

 

3. I limiti alla rimproverabilità colposa degli operatori sanitari. – In sede di conversione in legge – lo si è accennato – è stato introdotto l'art. 3-bis ("Responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario durante lo stato di emergenza epidemiologica da Covid-19"), a tenore del quale "durante lo stato di emergenza epidemiologica da Covid-19, dichiarato con delibera del Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020, e successive proroghe, i fatti di cui agli articoli 589 e 590 del codice penale, commessi nell'esercizio di una professione sanitaria e che trovano causa nella situazione di emergenza, sono punibili solo nei casi di colpa grave". Al secondo comma, viene specificato poi che "ai fini della valutazione del grado della colpa, il giudice tiene conto, tra i fattori che ne possono escludere la gravità, della limitatezza delle conoscenze scientifiche al momento del fatto sulle patologie da SARS-CoV-2 e sulle terapie appropriate, nonché della scarsità delle risorse umane e materiali concretamente disponibili in relazione al numero dei casi da trattare, oltre che del minor grado di esperienza e conoscenze tecniche possedute dal personale non specializzato impiegato per far fronte all'emergenza"[3].

La norma recepisce le molteplici e accorate istanze - avanzate al legislatore e al Governo dalla Federazione Nazionale dell'Ordine dei Medici (FNOMCeO) e da una parte (invero non maggioritaria) della dottrina[4] - volte a rimarcare l’esigenza di tenere conto sino in fondo delle difficoltà contestuali ed emergenziali che i professionisti sanitari, trovatisi a combattere una malattia sconosciuta, per la quale le evidenze scientifiche sono in continuo divenire e derivano per la gran parte da studi osservazionali, hanno dovuto affrontare (e stanno in gran parte ancora affrontando) nella lotta contro il virus e a far sì che la misura del rimprovero personale che può essere mosso al sanitario, durante una emergenza da pandemia, sia ragionevolmente correlata all’eccezionalità e alla difficoltà in cui versa il sistema sanitario.

 

4. (segue) il contesto emergenziale. – Per comprendere meglio la genesi della fattispecie, occorre soffermarsi in via preliminare sulle ragioni dell’intervento legislativo, partendo dal ricordare alcuni aspetti fattuali che hanno connotato il peculiare contesto delineatosi a partire dal febbraio dello scorso anno.

4.1. Anzitutto, nella fase iniziale della pandemia la diffusione a ritmo esponenziale dell’infezione e l’elevato numero di malati che avevano bisogno di cure e ricovero soprattutto nei reparti di terapia intensiva (con uso di ventilazione assistita) o di pneumologia hanno drammaticamente riproposto all'attenzione dell'opinione pubblica il limite delle risorse disponibili in termini tanto strutturali e organizzativi (numero di posti letto, disponibilità di farmaci e tecnologie) quanto soggettivi (presenza di personale medico ed infermieristico in numero sufficiente e con requisiti di specifica competenza e conseguente effettuazione di turni di lavoro massacranti)[5].

4.2. Ancora, al cospetto di evidenti deficit di organico, nel tentativo di assicurare il più esteso livello di cura ci si è trovati costretti a fare ricorso, su base volontaria, ad altri operatori sanitari disponibili nella struttura, pure se privi del necessario livello di specializzazione in relazione al tipo di attività medica prestata, i quali hanno assunto volontariamente un rischio che – sulla base dei tradizionali canoni di imputazione della responsabilità – potremmo ritenere punibile a titolo di colpa perché riconducibile alla violazione di una regola cautelare prudenziale, che dovrebbe condurre all’astenersi dall’attività.

4.3. Oltre a ciò, va considerato come, nonostante gli sforzi organizzativi e finanziari a livello statale e regionale diretti ad aumentare i posti letto disponibili in terapia intensiva (trasformando e allestendo nuovi reparti, acquistando le tecnologie necessarie, incrementando il personale, ecc.)[6], la potenza diffusiva della pandemia è stata più veloce e ha adombrato l’allarmante scenario che sugli stessi medici potesse ricadere, in certi casi, la tragica decisione, fra pazienti con diverse speranze e possibilità di sopravvivenza, su chi includere o escludere dal ricovero, dall’accesso alla terapia intensiva o alla ventilazione: in sostanza, la scelta di chi curare prima o addirittura non curare[7].

4.4. Tra gli ulteriori snodi critici, va segnalato il rilievo cruciale assunto nel contesto pandemico dall’impiego di farmaci sottoposti a sperimentazione e off label (o fuori etichetta o fuori scheda tecnica); può darsi ormai per acquisito, infatti, come la nuova patologia sia stata affrontata, nella prima fase, curandone i sintomi attraverso l’impiego di medicinali commercializzati per altre indicazioni, resi disponibili ai pazienti, pur in assenza di indicazione terapeutica specifica per il Covid-19, sulla base di evidenze scientifiche spesso limitate o comunque non accreditate in termini incontroversi; al contempo, è altrettanto risaputo come, per fronteggiare l’emergenza, si sia fatto un “uso compassionevole” del presidio farmacologico, ricorrendo a prodotti in fase di sperimentazione (è il caso, fra gli altri, del “Remdesivir”, molecola sperimentale pensata e testata dall’americana Gilead per combattere il virus Ebola e ora allo studio per il trattamento di Covid-19)[8]. Ebbene, risalta immediatamente il ventaglio di potenziali responsabilità connesse agli effetti avversi derivanti dalla somministrazione che può ricadere sul medico curante, al quale in definitiva è stata rimessa la scelta contingente di quali farmaci adottare per la cura del Covid-19 (previa autorizzazione del direttore sanitario del nosocomio che ha preso in carico il paziente)[9].

4.5. In questa situazione, allora, era agevole immaginare un rischio ulteriore per gli operatori sanitari, legato agli eventi avversi verificatisi nell’ambito dell’emergenza epidemiologica e ai risvolti di un consenso solo parzialmente completo (anche in termini di inappagante valutazione, in termini di proporzionalità, dei benefici attesi dalla somministrazione rispetto alle controindicazioni e agli effetti collaterali, con somministrazioni para-sperimentali che si possano rivelare pregiudizievoli per la salute). La ricaduta immediata che si paventava era che, profilandosi negli operatori sanitari la preoccupazione per la propria incolumità giudiziaria, potesse – nell’immediato e in prospettiva – prevalere la tentazione di atteggiamenti autocautelativi, improntati a una sorta di medicina difensiva dell’emergenza, a discapito di quello slancio volontaristico che li aveva resi, nella prima fase dell'emergenza, eroi ampiamente celebrati[10].

 

5. (segue) l'inadeguatezza dell'art. 590-sexies c.p. e la resistenza giurisprudenziale alla misura soggettiva della colpa. – Le possibili cause di tali rischi vanno ricostruite anche sul piano normativo e giudiziario, iniziando col ricordare il peso rivestito dal cortocircuito massmediatico che – non da ora – trasforma ogni iscrizione nel registro degli indagati (che nel caso degli operatori sanitari riguarda tendenzialmente tutti i soggetti potenzialmente coinvolti nell'evento avverso) da atto di garanzia a condanna anticipata.

5.1. Dal punto di vista normativo, va vagliata l’adeguatezza a fronteggiare la complessità della situazione appena descritta dell’art. 590-sexies c.p., introdotto nel codice penale con la legge 8 marzo 2017, n. 24 (c.d. legge Gelli-Bianco) e "rivisitato", in senso ulteriormente restrittivo, dalle Sezioni unite penali della Cassazione nella sentenza Mariotti del febbraio 2018. In questo ambito, l’esonero di responsabilità per colpa dell'operatore sanitario è: a) circoscritto alle fattispecie di omicidio e lesioni colposi; b) limitato alle sole ipotesi di imperizia non grave, riferibile all'atto esecutivo; c) ancorato al rispetto di linee guida accreditate o buone pratiche clinico-assistenziali consolidate; d) subordinato in ogni caso a un preventivo vaglio di adeguatezza delle raccomandazioni contenute in siffatte linee guida alle specificità del caso concreto.

È sin troppo evidente come questa ristretta area di non punibilità colposa fosse (e per molti versi sia ancora oggi) inidonea rispetto alle contingenze emergenziali nelle quali il personale sanitario è stato chiamato a operare nel contrasto al Covid-19 (a maggior ragione nell'ambito di un percorso off label o compassionevole). Ciò in quanto: i) non vi sono linee guida sufficientemente accreditate o pratiche consolidate a cui legare il giudizio di rimproverabilità (vista la novità della patologia e la sostanziale mancanza, allo stato, di affidabili evidenze terapeutiche); ii) le ipotesi di colpa (non punibili) da considerare nell’emergenza non possono essere limitate ai soli casi di imperizia non grave realizzati nella fase esecutiva, ma devono essere estese anche agli episodi di negligenza o di imprudenza non gravi (si pensi al difetto di attenzione derivante dal dover lavorare per molte ore consecutive, con ritmi massacranti o con insufficiente personale medico-infermieristico specializzato); iii) potrebbe esservi la necessità di esonerare da responsabilità penale gli operatori sanitari non solo per omicidio e lesioni colposi ma anche per epidemia colposa causata – nella fase iniziale – dalla mancanza di mezzi di protezione individuale o da un non adeguato isolamento dei pazienti derivante dalla incessante affluenza di malati al pronto soccorso.

5.2. Va aggiunto come, sul versante giurisprudenziale, in queste ipotesi non si possa fare un ragionevole affidamento sulla sola potenzialità ‘salvifica’ della c.d. misura soggettiva della colpa. Si tratta di una categoria certamente capace – in linea teorica – di fornire un adeguato strumento di valutazione delle emergenze ‘contestuali’ e personali, legate alle difficoltà contingenti in cui l’operatore sanitario è chiamato a svolgere la propria attività di cura e assistenza. Questo tipo di accertamento fa leva sull’applicazione, anche in sede penale, della clausola generale contenuta all’art. 2236 c.c., che, in presenza di “problemi tecnici di speciale difficoltà” della prestazione professionale, limita la responsabilità del prestatore d’opera ai soli casi di dolo e colpa grave. Tuttavia, la giurisprudenza penale in ben poche occasioni vi ha effettivamente fatto ricorso in ambito sanitario, finendo per degradare la disposizione civilistica da canone valutativo a mera clausola di stile, sotto la rassicurante – ma poco appagante sul piano della declinazione pratica – formulazione di "regola di esperienza cui il giudice può attenersi nel valutare l'addebito di imperizia quando il caso specifico sottoposto all'esame del sanitario imponga la soluzione di problemi di speciale difficoltà".

Si può osservare come, oltretutto, questa impostazione, quand'anche fosse accolta, sconterebbe in ogni caso il limite del riferimento alla sola imperizia, mentre – come si è visto –– in questi casi non possono non assumere rilievo (anche) ipotesi di negligenza e imprudenza[11].

5.3. L'esigenza di un intervento normativo – lo si è ricordato - era stata sottolineata già a ridosso dell'esplosione della pandemia[12], muovendo dalla presa d'atto di trovarsi al cospetto di una situazione emergenziale in cui – per le ragioni sin qui evidenziate, che rendono difficile quel che di regola in condizioni ordinarie è facile e che abbattono le normali capacità di risposta anche per patologie diverse dal Covid-19, a fronte dello scompaginamento delle tradizionali modalità e priorità di intervento – non appare possibile pretendere dal medico il rispetto delle cautele ordinariamente esigibili.

In questa direzione sembravano orientate alcune proposte discusse in sede di conversione in legge del decreto-legge n. 18 del 2020; la mancata convergenza, in sede politica, sull’opportunità di estendere l’esenzione di responsabilità anche al settore civile e soprattutto con riferimento ai vertici amministrativi e gestionali delle strutture sanitarie aveva tuttavia impedito l’approvazione della proposta, trasformata in un ordine del giorno che ha impegnato il Governo ad avviare un Tavolo di lavoro per approfondire il tema nei suoi vari aspetti, coinvolgendo rappresentanti del Governo, dei gruppi parlamentari, delle regioni e delle province autonome, dell’Ordine dei medici e di altre categorie direttamente chiamate in causa[13].

Nello stesso senso, peraltro, la questione era stata affrontata anche dal Comitato Nazionale di Bioetica, che, nel già richiamato parere reso l’8 aprile 2020, ha riconosciuto, al § 4.2, come – al cospetto delle “limitate risorse sanitarie disponibili durante l’emergenza, in termini tanto strutturali che organizzativi, incluso un organico spesso sottodimensionato, sia negli ospedali che nel territorio”; dell’esigenza di “dover lavorare per molte ore consecutive, con ritmi massacranti, a volte anche con dispositivi di protezione inadeguati, con un alto rischio di infettarsi e persino di morire” (corroborato dai numerosissimi decessi degli operatori sanitari); dell’incertezza scientifica che caratterizza la novità dell’attuale emergenza pandemica (nel combattere il contagio da Covid-19 si opera in assenza di linee guida consolidate, di buone pratiche clinico-assistenziali riconosciute come tali dalla comunità scientifica, di evidenze terapeutiche); della preoccupante “proliferazione di contenziosi giudiziari nei confronti dei professionisti della salute nel contesto dell'attuale emergenza pandemica” – “vada presa in considerazione l'idea di limitare eventuali profili di responsabilità professionale degli operatori sanitari in relazione alle attività svolte per fronteggiare l'emergenza Covid-19”.

 

6. La norma ad hoc: l'art. 3-bis della legge n. 76 del 2021. – Ebbene, l'art. 3-bis, introdotto in sede di conversione del decreto-legge n. 44, recepisce quasi in toto le istanze poc’anzi sottolineate, muovendosi all’interno di un ben definito campo di applicazione, funzionalmente connesso alla gestione del rischio Covid-19 e temporalmente limitato al perdurare dell’emergenza sanitaria. Prevede una causa di esclusione della punibilità della colpa "non grave" (derivante non solo da imperizia, dunque, ma anche da negligenza e imprudenza) per i fatti di omicidio e lesioni causalmente riconducibili proprio al contesto emergenziale messo in luce, improntata su due elementi: a) la limitazione della responsabilità penale degli operatori sanitari alle sole ipotesi di colpa grave, di qualunque matrice colposa (oltre all’imperizia, dunque, anche condotte connotate da negligenza e imprudenza); b) l’introduzione di una definizione orientativa di colpa grave, nella quale sono elencati gli indici in base ai quali il giudice deve operare l'accertamento (sottratto quindi alla sua assoluta discrezionalità).

6.1. La disposizione incontra un limite temporale, connesso alla sua natura di norma temporanea: è infatti destinata a trovare applicazione "durante lo stato di emergenza epidemiologica da SARS-Cov-2, dichiarato con delibera del Consiglio dei Ministri del 31 gennaio 2020 e successive proroghe" (dunque, allo stato, sino al 31 luglio 2021). Come nel caso dell'art. 3 per i vaccinatori, trattandosi di norma di favore, troverà applicazione anche ai fatti commessi, sempre nel periodo emergenziale, prima dell’entrata in vigore del decreto. A tal fine, appare utile precisare che, per potere beneficiare del più propizio regime di imputazione colposa, nel periodo emergenziale dovrà ricadere la condotta e non l'evento, che ben potrà verificarsi in un momento successivo alla conclusione di tale periodo. Sul tempus commissi delicti nei c.d. reati a evento differito, del resto, sono intervenute, di recente, anche le Sezioni unite, ribadendo come "in tema di successione di leggi penali, a fronte di una condotta interamente posta in essere sotto il vigore di una legge penale più favorevole e di un evento intervenuto nella vigenza di una legge penale più sfavorevole, deve trovare applicazione la legge vigente al momento della condotta[14].

Il perimetro applicativo presenta un ulteriore limite, per così dire, oggettivo-funzionale, dal momento che la norma è circoscritta ai soli fatti di cui agli articoli 589 e 590 c.p. (non dunque ad altre ipotesi di reato, come l'epidemia colposa) commessi durante lo stato di emergenza, nell’esercizio di una professione sanitaria e che trovino causa nella situazione emergenziale; tale connessione causale (che ha superato il riferimento meramente cronologico al periodo pandemico contenuto in talune proposte alternative) consente opportunamente di ricomprendere non solo gli eventi relativi a patologie Covid-correlate, ma anche quelli relativi a patologie non Covid-correlate, purché causate o aggravate dall’abbassamento dei livelli assistenziali in ragione del carattere prioritario accordato al contrasto alla pandemia. L'elemento cruciale, in buona sostanza, è rappresentato dall'incidenza del contesto emergenziale sul regolare modus operandi degli operatori sanitari, incidenza da prendere in considerazione ai fini della pretesa di conformità alle cautele doverose e dunque del livello esigibile di rimproverabilità colposa.

6.2. Come si è visto, il secondo comma dell’art. 3-bis dà rilievo ad alcuni parametrinon esclusivi e dunque ampliabili e integrabili sul piano interpretativo – di valutazione del grado della colpa. Vengono in particolare individuati tre diversi fattori – ricorrenti nella situazione emergenziale correlata a una nuova malattia con portata epidemica – che possono concorrere a escludere la gravità della colpa.

Il riferimento è, in particolare: a) alla limitatezza delle conoscenze scientifiche al momento del fatto sulle patologie da SARS-CoV-2, che può incidere sull'individuazione tanto dell'esatto quadro patologico quanto, e conseguentemente, delle più appropriate terapie (si pensi alla ricordata somministrazione farmacologica off label); b) alla scarsità delle risorse umane e materiali concretamente disponibili in relazione al numero dei casi da trattare, che può riflettersi sull'adeguata gestione e cura dei pazienti; c) al minore grado di esperienza e conoscenze tecniche possedute dal personale non specializzato impiegato per far fronte all'emergenza, che si riverbera sulla misura soggettiva di rimproverabilità; in tale caso, la mancanza di una adeguata specializzazione, da parte del sanitario chiamato a prestare servizio nel contesto emergenziale (ad es., nei reparti Covid), non potrà essere valutata alla stregua degli stessi indici di gravità della colpa per assunzione valevoli in contesti non emergenziali.

L’esplicitazione degli indici di valutazione della colpa grave – momento qualificante della novità – consente una ragionevole uniformità nell'accertamento giudiziale, senza tuttavia compromettere una diversa modulazione della risposta in sede applicativa, che possa tenere conto delle peculiari circostanze del caso concreto; al contempo, permette di attenuare il timore che il passare del tempo faccia 'dimenticare' la situazione così particolare in cui i medici sono stati chiamati a operare, contribuendo meritoriamente a sterilizzare la pericolosa tendenza applicativa a valorizzare la logica del senno del poi nella valutazione delle condotte degli operatori sanitari.

 

7. Per concludere. – Prima di chiudere, alcune brevi precisazioni. Non appare corretto – a differenza di quanto emerge nel dibattito pubblico – parlare, rispetto alla norma approvata, di scudo penale, termine che lascia in qualche modo trasparire l’idea di un privilegio a tutela di colpevoli altrimenti indifendibili e comunque sembra sottendere un latente pregiudizio nei confronti della magistratura, ritenuta non in grado di fare buon governo delle ordinarie categorie penalistiche e di vagliare l'effettiva commissione di fatti penalmente rilevanti; andrebbe piuttosto richiamata e valorizzata l'opportunità – meritoriamente concretizzatasi nella fattispecie in commento - di una norma di buon senso e di garanzia, a tutela di chi sta operando - in condizioni critiche, di estrema difficoltà e di incertezza scientifica - a tutela della salute pubblica.

A ben vedere, si è al cospetto di un intervento che appare, per un verso, del tutto coerente con la disciplina di esonero della responsabilità penale da somministrazione del vaccino, di cui sopra s'è detto (trattandosi di situazioni per molti versi assimilabili, sul piano della minore rimproverabilità soggettiva nel bilanciamento con l'esigenza di salvaguardare la salute pubblica), e, per altro verso, in grado di svincolarsi dai ‘tradizionali’ dubbi legati a una disciplina di maggiore favore per la classe medica sul piano della compatibilità con i principi costituzionali: sotto il profilo della ragionevolezza e dell’uguaglianza declinate in senso sostanziale, un siffatto regime – diretto a calibrare la novità, l'eccezionalità e l'abnormità dell'impegno dei medici e la caratura dei rischi (anche per la loro salute) affrontati, onde evitare di trattare in modo uguale situazioni palesemente diverse trova giustificazione nelle oggettive peculiarità del contesto emergenziale, oltre che nella difficoltà e nella pericolosità dell’attività sanitaria che, nel momento considerato, non appare comparabile con altre attività professionali, prive di analogo significato sociale e non implicanti, a loro volta, rischi e responsabilità così gravi per la vita o l’incolumità delle persone. D'altro canto, non può non considerarsi come la limitazione dell'esonero da responsabilità ai soli casi di colpa lieve consente di assicurare la tutela giudiziaria nei casi di dolo e colpa grave (non giustificabile, cioè, neppure nel contesto emergenziale), rispetto ai quali non sarebbe accettabile l'esclusione della responsabilità.

Una volta finita l’emergenza, da un tale intervento – che già oggi, seppure espressamente limitato alla situazione emergenziale, può rappresentare un utile riferimento interpretativo e orientativo per il più ampio parametro della responsabilità colposa di cui all'art. 590-sexies c.p., rimarcando la necessità che il giudice prenda sul serio i fattori emergenziali – se ne potrà trarre ulteriore beneficio in termini di generale ripensamento dello statuto penale della responsabilità colposa in ambito sanitario, riflettendo, da un lato, sull’esportabilità di una clausola definitoria generale di colpa grave che tenga esplicitamente conto dei c.d. fattori contestuali e, dall’altro, sui confini applicativi da riassegnare alla non punibilità di cui all’art. 590-sexies c.p. oltre gli angusti limiti della sola imperizia lieve nella fase esecutiva.

In quest'ottica - avanzando qualche spunto conclusivo de iure condendo -, si potrebbe rendere stabile il riferimento ai fattori ‘contestuali’ ed ‘emergenziali’ (tra i quali, non solo il numero di pazienti contemporaneamente coinvolti e gli standard organizzativi della singola struttura in rapporto alla gestione dello specifico rischio clinico, ma anche la volontarietà della prestazione, il tempo a disposizione per assumere decisioni o agire, l'oscurità del quadro patologico o il grado di atipicità, eccezionalità o novità della situazione e dunque pure la necessità di fare ricorso a somministrazioni off label) e ragionare sul peso da attribuire, in una situazione di incertezza scientifica, al rispetto di linee guida anche se non accreditate o di buone pratiche clinico-assistenziali non ancora consolidate.

 

[1] Nell'ambito dell'ampia bibliografia sui diversi profili di rilevanza giuridica legati all'emergenza Covid-19, si segnalano, nella specifica prospettiva affrontata nel testo, in particolare i contributi di F. Palazzo, Pandemia e responsabilità colposa, in questa Rivista, 26 aprile 2020; R. Bartoli, Il diritto penale dell’emergenza “a contrasto del coronavirus”: problematiche e prospettive, ivi, 24 aprile 2020; Id., La responsabilità colposa medica e organizzativa al tempo del coronavirus. Fra la "trincea" del personale sanitario e il "da remoto" dei vertici politico-amministrativi, ivi, fasc. 7/2020, 85 ss.; G.M. Caletti, Emergenza pandemica e responsabilità penali in ambito sanitario. Riflessioni a cavaliere tra “scelte tragiche” e colpa del medico, ivi, fasc. 5/2020, p. 12 ss.; E. Penco, Esigenze e modelli di contenimento della responsabilità nel contesto del diritto penale pandemico, ivi, 15 febbraio 2021; A. Bernardi, Il diritto penale alla prova della Covid-19, in Dir. pen. proc., 2020, p. 441 ss.; C. Brusco, Covid-19: la responsabilità degli operatori sanitari e l'applicazione del principio di esigibilità della condotta, in Giudice donna, fasc. 1/2020; M. Caputo, La responsabilità penale degli operatori sanitari ai tempi del Covid-19. La gestione normativa dell'errore commesso in situazioni caratterizzate dall'emergenza e dalla scarsità di risorse, in G. Forti (a cura di), Le regole e la vita. Del buon uso di una crisi, tra letteratura e diritto, Vita e pensiero, Milano, 2020, p. 109 ss.; A. Castaldo - F. Coppola, Lo scudo (dei medici), la spada (delle Procure). La riforma mancata della colpa medica da coronavirus, in Quotidiano giuridico, 15 aprile 2020; C. Cupelli, Emergenza Covid-19: dalla punizione degli “irresponsabili” alla tutela degli operatori sanitari, in questa Rivista, 30 marzo 2020; A. Gargani, La gestione dell'emergenza Covid-19: il "rischio penale" in ambito sanitario, in Dir. pen. proc., 2020, p. 887 ss.; G. Losappio, Responsabilità penale del medico, epidemia da "Covid-19" e "scelte tragiche" (nel prisma degli emendamenti alla legge di conversione del d.l. c.d. "Cura Italia"), in Giurisprudenza penale web, n. 4/2020; L. Scaramellini, Palliativi e cure effettive: interventi proposti e proposte di intervento in tema di responsabilità penale degli esercenti le professioni sanitarie, ivi, n. 4/2020; L. Risicato, La metamorfosi della colpa medica nell'era della pandemia, in Discrimen, 25 maggio 2020.

[2] A prima lettura, F. Furia, Lo "scudo penale" alla prova della responsabilità da inoculazione del vaccino anti SARS-CoV-2", in Arch. pen., n. 1/2021; P. Piras, La non punibilità per gli eventi dannosi da vaccino anti Covid-19, in questa Rivista, 23 aprile 2021; E. Penco, "Norma-scudo" o "norma-placebo"? Brevi osservazioni in tema di (ir)responsabilità penale da somministrazione del vaccino anti Sars-Cov 2, ivi, 13 aprile 2021; G. Amato, Scudo penale per i vaccinatori che somministrano le dosi. La responsabilità penale, in Guida dir., n. 16/2021, p. 47 ss.; N. Rossi, Sanitari: è possibile uno "scudo penale" più efficace dell'attuale?, in Quest. giust., 10 aprile 2021; A. Natalini, Scudo penale per i vaccinatori: c'è la norma (che però già delude gli operatori), in NT+Diritto, 1 aprile 2021.

[3] Sulla novità, in sede di primo commento, cfr. anche P. Piras, Lo scudo penale Covid-19: prevista la punibilità solo per colpa grave per i fatti commessi dai professionisti sanitari durante l'emergenza pandemica, in questa Rivista, 1 giugno 2021.

[4] Sia consentito il rinvio a C. Cupelli, Emergenza Covid-19: dalla punizione degli “irresponsabili” alla tutela degli operatori sanitari, in questa Rivista, cit.

[5] Sullo squilibrio tra necessità e risorse disponibili, cfr., tra i vari contributi, G. Facci, La medicina delle catastrofi e la responsabilità civile, in Resp. civ. e prev., 2020, p. 708 ss.; per una puntuale disamina dell'emergenza sanitaria e degli strumenti previsti nell'ordinamento italiano per fronteggiare le epidemie, anche in rapporto alle conseguenti limitazioni dei diritti fondamentali, v. M. Gnes, in Le misure nazionali di contenimento dell'epidemia da Covid-19, in Giorn. dir. amm., 2020, p. 282 ss. Sull'attribuzione da parte del Governo tramite decretazione d'urgenza di nuovi poteri emergenziali destinati a fronteggiare l'emergenza sanitaria e sulla legittimità delle conseguenti limitazioni della libertà personale, v., nella prospettiva amministrativistica, F. Spanicciati, Covid-19 e l'emersione di un sistema amministrativo parallelo, in Giorn. dir. amm., 2020, p. 305 ss.

[6] Ampio il dibattito suscitato dall'analisi del reticolo dei provvedimenti normativi succedutisi a seguito dell’esplosione dell’emergenza; senza pretesa di esaustività, si rinvia agli sforzi di ricostruzione sistematica compiuti da M. Luciani, Il sistema delle fonti del diritto alla prova dell'emergenza, in Rivista AIC, 10 aprile 2020 e alle riflessioni critiche di M. Belletti, La confusione nel sistema delle fonti ai tempi della gestione dell'emergenza da Covid-19 metter a dura prova gerarchia e legalità, in Osservatorio AIC, 28 aprile 2020 e F. Sorrentino, Riflessioni minime sull'emergenza coronavirus, in Costituzionalismo.it, fasc. 1/2020, p. 130 ss.; per una verifica su possibilità e limiti (temporali o di contenuto), alla luce della Costituzione, per decreto-legge e legge di conversione di introdurre norme derogatorie rispetto alle previsioni costituzionali, F.S. Marini, Le deroghe costituzionali da parte dei decreti-legge, in Federalismi.it. Osservatorio emergenza Covid-9, n. 1, 13 marzo 2020. Tra i penalisti, si sofferma sulle varie misure adottate dalle autorità competenti, comprese quelle contenute nei DPCM e nelle ordinanze regionali e sindacali, C. Ruga Riva, La violazione delle ordinanze regionali e sindacali in materia di coronavirus: profili penali, in questa Rivista, 24 marzo 2020.

[7] Emblematica, sul punto, l'incertezza determinata dalla contrapposizione tra la SIAARTI (Società Italiana di Anestesia, Anelgesia, Rianimazione e Terapia Intensiva) e il CNB (Comitato Nazionale per la Bioetica); la prima, infatti, ha pubblicato, il 6 marzo 2020, le “Raccomandazioni di etica clinica per l’ammissione a trattamenti intensivi e per la loro sospensione in condizioni eccezionali di squilibrio tra necessità e risorse disponibili”, nelle quali non si escludeva la possibilità di fare ricorso a “criteri di accesso alle cure intensive (e di dimissione) non soltanto strettamente di appropriatezza clinica e di proporzionalità delle cure, ma ispirati anche a un criterio il più possibile condiviso di giustizia distributiva e di appropriata allocazione di risorse sanitarie limitate”, condizioni che potrebbero anche rendere necessario “porre un limite di età all'ingresso in terapia intensiva”, in una logica che privilegi la “maggiore speranza di vita”. Di contro, poco più di un mese dopo, l’8 aprile 2020, il Comitato Nazionale per la Bioetica, nel parere “Covid-19: la decisione clinica in condizioni di carenza di risorse e il criterio del ‘triage in emergenza pandemica’”, ha invece scelto una strada diversa, fissando il “criterio clinico” come il “più adeguato” per scegliere come allocare le risorse a disposizione in una situazione di emergenza come quella legata al virus, ritenendo ogni altro criterio “eticamente inaccettabile” e indicando altresì tre condizioni che devono soprassedere al triage in emergenza: “la preparedness (predisposizione di strategie di azione nell’ambito della sanità pubblica, in vista di condizioni eccezionali, con una filiera trasparente nelle responsabilità), l’appropriatezza clinica (valutazione medica dell’efficacia del trattamento rispetto al bisogno clinico di ogni singolo paziente, con riferimento alla urgenza e gravità del manifestarsi della patologia e alla possibilità prognostica di guarigione, considerando la proporzionalità del trattamento) e l’attualità, che inserisce la valutazione individuale del paziente fisicamente presente nel pronto soccorso nella prospettiva più ampia della comunità dei pazienti, con una revisione periodica delle liste di attesa”. Successivamente, a fine ottobre 2020, è stato elaborato dalla stessa SIAARTI e dalla Federazione Nazionale dell'Ordine dei Medici (FNOMCeO) un documento comune nell'ambito del quale si prevede, “nel caso in cui lo squilibrio tra necessità e risorse disponibili persista", di dare la precedenza per l’accesso ai trattamenti intensivi a chi potrà ottenere un concreto, accettabile e duraturo beneficio”, con l'invito ad applicare “criteri rigorosi, quali: gravità quadro clinico, comorbilità, stato funzionale pregresso, impatto sulla persona dei potenziali effetti collaterali , conoscenza di espressioni di volontà precedenti nonché la stessa età biologica, la quale non può mai assumere carattere prevalente”. Poco dopo (20 novembre 2020), è stata messa a punto, dalla SIAARTI e dalla Società Italiana di Medicina Legale e delle Assicurazioni (SIMLA), una prima stesura di possibili linee guida per il triage Covid, sulle quali è stata aperta dall’Istituto Superiore di Sanità una pubblica discussione sul sito del Sistema nazionale linee guida; la versione definitiva del documento, dal titolo "Decisioni per le cure intensive in caso di sproporzione tra necessità assistenziali e risorse disponibili in corso di pandemia di COVID-19”, è stata quindi pubblicata il 13 gennaio 2021 ed è consultabile online (https://snlg.iss.it/wp-content/uploads/2021/01/2021_01_13__LINEE-GUIDA_DECISIONI-CURE-INTENSIVE_Def.pdf). Sul dibattito scaturito dal contenuto delle raccomandazioni SIAARTI poc'anzi richiamate, si vedano, con varietà di posizioni, G. Razzano, Riflessioni a margine delle raccomandazioni SIAARTI per l'emergenza Covid-19, fra triage, possibili discriminazioni e vecchie DAT: verso una rinnovata sensibilità per il diritto alla vita?, in Rivista AIC, fasc. 3/2020, p. 107 ss.; S. Rossi, Società del rischio e scelte tragiche al tempo del coronavirus, ivi, p. 246 ss.

[8] Va anche ricordato, in proposito, come l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), con una circolare emanata il 6 aprile 2020, da un lato abbia fornito ai clinici elementi utili ad orientare la prescrizione e a definire, per ciascun farmaco utilizzato, un rapporto fra i benefici e i rischi sul singolo paziente con riferimento all’uso off label di medicinali in commercio in Italia e, dall’altro, per quanto concerne l’uso compassionevole, abbia adottato procedure straordinarie e semplificate per la presentazione e l’approvazione delle sperimentazioni e per la definizione delle modalità di adesione agli studi e di acquisizione dei dati; tutto ciò, in attuazione di quanto originariamente previsto all’art. 17, co. 5 dal decreto-legge 17 marzo 2020 n. 18, abrogato e sostituito dall’art. 40 del decreto-legge n. 23 del 2020, con il quale è stato inoltre istituito un Comitato etico unico nazionale (individuato nel comitato etico dell’Istituto Nazionale Spallanzani di Roma), chiamato a provvedere alla valutazione delle sperimentazioni cliniche dei medicinali per uso umano e dei dispositivi medici per pazienti con Covid-19 e a esprimere il parere nazionale, anche sulla base della preventiva valutazione della Commissione Tecnico Scientifica (CTS) dell’AIFA, sulle sperimentazioni cliniche dei medicinali per uso umano, degli studi osservazionali sui farmaci, dei programmi di uso terapeutico compassionevole per pazienti con Covid-19. In dottrina, sui molteplici profili della tematica, cfr., in un approccio integrato con le scienze mediche, i vari contributi apparsi da ultimo nel volume collettaneo La sperimentazione tra etica e diritto in tempi di pandemia, a cura di A. Capuano - C. Cupelli - M. Militerni, Napoli, 2021.

[9] Il medico, che resta l’unico responsabile della scelta di usare quel determinato farmaco off label, dovrà ad esempio fornire la più esaustiva e minuziosa informazione al paziente sulla mancanza di alternative terapeutiche, sui rischi e sui benefici della terapia, sul motivo dell’utilizzo fuori etichetta e sui risultati delle sperimentazioni, ove presenti. Va sottolineato, in proposito, il peculiare statuto rivestito in queste ipotesi dal consenso informato: l’elevata e media tossicità dei farmaci off label e il rischio di complicanze richiedono infatti, per tutte le terapie “fuori indicazioni” e a utilizzo empirico, la valorizzazione di un ancor più appropriato consenso informato, che metta in luce le specifiche condizioni di emergenza e la necessità, per il clinico, di prendere decisioni mediche senza supporti di bibliografia o linee guida. Come è evidente, fornire la “dettagliata spiegazione” imposta dall'art. 1 della legge n. 219 del 2017 rappresenta un compito tutt'altro che agevole, proprio in ragione delle incertezze terapeutiche che impediscono di indicare in modo completo e minuzioso le fasi della cura che il paziente si troverà ad affrontare; per di più, continuano a mancare riferimenti specifici alle caratteristiche che il consenso deve rivestire nel caso in cui riguardi proprio l’utilizzo di farmaci fuori etichetta. A ciò va anche aggiunto che un paziente affetto da Covid-19, particolarmente suggestionato da informazioni allarmanti e contraddittorie in termini di mortalità, potrà essere indotto a prestare il consenso a una sperimentazione ritenendo erroneamente che si tratti invece di un trattamento standardizzato.

[10] Nella situazione attuale, come fa notare F. Palazzo, Pandemia e responsabilità colposa, cit., "poiché la paura indotta dalle epidemie è storicamente e antropologicamente una di quelle che più sconfina nel panico, è del tutto comprensibile che riaffiorino tendenze dirette a placare l'ansia con la ricerca di responsabili"; senonché, sottolinea G. Forti, Coronavirus, la tentazione del capro espiatorio e le lezioni della storia, in Diritto penale e uomo, fasc. 6/2020, p. 35, "lo sfoderare troppo precocemente e disinvoltamente il diritto accusatorio verso qualcuno, individuo, categoria o gruppo sociale, ha poi come effetto di attivare atteggiamenti difensivi, in quanto tali più protesi a negare le responsabilità che a contribuire alla identificazione dei termini del problema di cui non di rado il presunto 'colpevole' è il miglior interprete e conoscitore. Si tratta di una dinamica ben illustrata dall'odierna scienza dell'organizzazione, che anche il mondo della giustizia farebbe bene a tener presente. Del resto, l'annosa e gravissima piaga della c.d. medicina difensiva - ma il difensivismo rischia di diventare, se non è già diventato, "categoria dello spirito" e motore universale dell'agire individuale e sociale - basterebbe a documentare i costi morali e materiali di un approccio bellicoso e vendicativo alle situazioni critiche".

[11] Un'accurata ricostruzione delle possibili soluzioni che, in applicazione dei principi generali e della disciplina vigente, consentirebbero di evitare eccessi punitivi nei confronti degli esercenti le professioni sanitarie, anche in assenza di norme ad hoc, A. Gargani, La gestione dell'emergenza Covid-19: il "rischio penale" in ambito sanitario, cit., p. 890 ss.

[12] Sia consentito il rinvio a C. Cupelli, Emergenza Covid-19: dalla punizione degli “irresponsabili” alla tutela degli operatori sanitari, cit.

[13] Da quel che risulta, tale gruppo di lavoro aveva sostanzialmente proposto al decisore politico tre possibili opzioni di intervento: i) una scriminante ad hoc (sul modello dello stato di necessità e/o dell'adempimento del dovere) per la fase emergenziale; ii) una norma che, lasciando impregiudicata la questione della responsabilità civile, escluda la rilevanza di tutti i fatti colposi, punendo solo quelli dolosi; iii) sempre lasciando impregiudicato il profilo legato alla responsabilità civile, una causa di esonero da responsabilità per tutti i fatti colposi (siano cioè derivanti da imprudenza, negligenza o imperizia) purché non ascrivibili a colpa grave, accompagnata da una definizione di gravità della colpa.

[14] Cass., Sez. un., 19 luglio 2018 (dep. 24 settembre 2018), n. 40986, in Cass. pen., 2019, p. 76 ss.