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10 Settembre 2024


Applicazione delle pene sostitutive all’esito del giudizio di appello e consenso dell’imputato: primi problemi interpretativi al vaglio della Cassazione e brevi riflessioni sulle modifiche introdotte con il “correttivo Cartabia”

Cass. Sez. VI, sent. 20 febbraio 2024 (dep. 5 aprile 2024), n. 14035, Pres. Di Stefano, rel. Paternò Raddusa



*Contributo pubblicato nel fascicolo 9/2024. 

 

1. Nell’ambito delle innovazioni introdotte dalla “riforma Cartabia”, quella riguardante il sistema delle pene sostitutive è sicuramente tra le «più qualificanti»[1], ponendo concrete basi per la realizzazione di un sistema sanzionatorio alternativo alla tradizionale pena carceraria[2]. In particolare, tra le principali novità a livello processuale introdotte in tema di pene sostitutive, si prevede l’anticipazione alla fase di cognizione della valutazione sulla sostituzione della pena e l’inaugurazione di un inedito modello bifasico[3], di derivazione anglosassone, per l’applicazione di tale nuovo sistema sanzionatorio.

All’indomani della riforma, non sono mancati tuttavia alcuni dubbi ermeneutici sulle nuove scansioni procedurali dettate dal nuovo art. 545-bis c.p.p., sulla loro compatibilità con il giudizio di secondo grado e sull’imprescindibile requisito del consenso dell’imputato per l’applicazione delle pene sostitutive diverse dalla pena pecuniaria[4]: tema, quest’ultimo, estremamente delicato e «scivoloso»[5], su cui la dottrina non ha mancato di manifestare alcune perplessità[6].

Appare quindi di sicuro interesse la sentenza della Sesta Sezione della Corte di Cassazione qui commentata brevemente, che si sofferma proprio su tali interrogativi sorti nella prassi. Si anticipa, tuttavia, che le conclusioni raggiunte dalla Cassazione nella pronuncia annotata sono destinate a coordinarsi e a lasciare spazio alle diverse soluzioni attuate dal legislatore nel d.lgs. 19 marzo 2024 n. 31 («Disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, di attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134, recante delega al Governo per l’efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari»). L’analisi della sentenza in commento diventa così una preziosa occasione per soffermarsi anche sulle novità introdotte dal decreto correttivo[7], dando conto dei problemi applicativi risolti e dei punti critici di alcune modifiche introdotte, anche alla luce dei principi affermati dalla giurisprudenza.

 

2. Procedendo con ordine, giova anzitutto ricostruire sommariamente la vicenda processuale da cui trae origine la sentenza.

In particolare, la Corte di appello di Napoli confermava la sentenza dei giudici di primo grado, che condannava l’imputato per il reato di cui all’art. 572, comma 2, c.p. reso ai danni della moglie e del figlio. Avverso tale sentenza, la difesa dell’imputato ricorreva per Cassazione, deducendo tre diversi motivi di censura[8].

Occorre in questa sede soffermarsi sul secondo motivo di impugnazione, con il quale la difesa lamentava la violazione degli artt. 545-bis e 546 c.p.p., osservando che malgrado il difensore presente in udienza avesse chiesto l’applicazione della pena sostitutiva della detenzione domiciliare, sollecitando a tal proposito un differimento dell’udienza per munirsi di procura speciale, i giudici di secondo grado si fossero limitati a dare atto dell’assenza dell’imputato o di un suo procuratore speciale, e dunque della mancata acquisizione del consenso, rigettando la richiesta di differimento senza valutare la sussistenza dei presupposti utili alla sostituzione.

 

3. Ebbene, nella pronuncia in esame la Corte di Cassazione ritiene meritevole di accoglimento tale motivo di ricorso.

Dopo aver rammentato le modifiche intervenute con la Riforma Cartabia in tema di pene sostitutive, riferendosi in particolare al nuovo percorso processuale tracciato dall’art. 545-bis c.p.p., i giudici di legittimità procedono ad un’ulteriore, doverosa, premessa: nella vicenda giudiziaria esaminata, il giudizio di appello è stato definito con sentenza del 19 aprile 2023, dunque prima dell’entrata in vigore della riforma. La difesa dell’imputato non aveva potuto quindi formulare un apposito motivo di appello avente ad oggetto la richiesta di applicazione di una pena sostitutiva (alla data di deposito del gravame, la riforma non era ancora vigente). Tuttavia – osserva ancora la Corte – tale preclusione ben poteva essere ovviata depositando appositi motivi aggiunti, ai sensi dell’art. 585, comma 4, c.p.p. La difesa dell’imputato, invece, aveva sollecitato l’eventuale applicazione della pena sostitutiva della detenzione domiciliare solo all’udienza di discussione, in sede di conclusioni, rappresentando inoltre di non essere munita di procura speciale, e chiedendo dunque apposito rinvio al fine di ottenerne il conferimento.

Sempre in via preliminare, i giudici di legittimità osservano che l’eventuale sostituzione delle pene detentivi brevi è rimessa ad una valutazione discrezionale del giudice[9]. Tale principio, già affermato con riferimento alle “sanzioni sostitutive” disciplinate dall’originario art. 53 l. 689 del 1981, doveva ribadirsi con forza anche con riguardo alla nuova disciplina delle pene sostitutive introdotta con la Riforma Cartabia; ne deriva, naturalmente, che «la sostituzione della reclusione con una pena sostitutiva non costituisce diritto dell’imputato»[10].

 

4. Muovendo da tali premesse, la Corte di cassazione procede a distinguere e ad affrontare direttamente le tre principali questioni giuridiche emerse attraverso il ricorso dell’imputato.

La prima attiene all’opportunità, per la difesa, di avanzare la richiesta di sostituzione della pena detentiva solo con la formulazione delle conclusioni in sede di discussione, senza articolare tale sollecitazione né con l’appello né con i motivi aggiunti ex art. 585 c.p.p. A tal proposito, i giudici di legittimità danno evidenza di due diversi orientamenti giurisprudenziali da considerare per rispondere a tale quesito.

Secondo un primo orientamento, più restrittivo[11], in linea con quanto stabilito dalle Sezioni Unite Punzo[12], tale ultima possibilità di richiedere la sostituzione in sede di conclusioni doveva ritenersi preclusa per il difensore anche nel vigore della fase transitoria: il giudice di secondo grado poteva dunque procedere alla sostituzione della pena detentiva solo se nell’atto d’appello, o al più tardi con i motivi aggiunti, risultava formulata specifica e motivata richiesta in merito.

Un diverso indirizzo giurisprudenziale, affermatosi più di recente proprio con riguardo alle nuove pene sostitutive introdotte dalla riforma[13], evidenziava la necessità di un coordinamento dei principi affermati dalle Sezioni Unite Punzo con quanto disposto dalla specifiche disposizioni transitorie previste dalla Riforma Cartabia, che stabilivano espressamente l’applicabilità delle pene sostitutive anche all’esito del giudizio di appello senza imporre la formulazione della richiesta nei motivi del gravame.

Nelle motivazioni della sentenza, la Corte di Cassazione ritiene di aderire a quest’ultimo orientamento, osservando peraltro come tale meno rigorosa soluzione sia maggiormente in linea con l’intento del legislatore di favorire, ove possibile, un’ampia applicazione delle nuove pene sostitutive. Ritiene così tempestiva la richiesta formulata dalla difesa.

 

5. La seconda questione portata all’attenzione della Corte di Cassazione riguarda la sollecitazione in udienza dell’attivazione del meccanismo processuale di cui all’art. 545-bis da parte del difensore, in assenza dell’imputato e senza il conferimento di apposita procura speciale.

Come noto, infatti, la sostituzione della pena detentiva da parte del giudice presuppone il consenso espresso dell’imputato, eventualmente reso da un procuratore speciale: come rammentato anche dai giudici di legittimità nelle motivazioni, la necessità del consenso è da ricondursi ad una scelta «ultima e consapevole del soggetto interessato» riferita anche alle limitazioni che conseguono alla pena sostitutiva (tenendo conto invece delle diverse conseguenze dell’accesso ad una misura alternativa alla detenzione quale l’affidamento in prova al servizio sociale). Ne deriva, naturalmente, che la richiesta di sostituzione formulata unicamente dal difensore, senza che l’imputato abbia espressamente acconsentito, sia da considerarsi inammissibile.

La spinosa questione su cui si trova a decidere la Cassazione attiene però, più precisamente, ai termini di manifestazione di tale consenso. Di fatto, se da un lato non sussiste alcun dubbio sulla necessità di acquisire il consenso dell’imputato per procedere alla sostituzione della pena, dall’altro non appare altrettanto chiaro se la sollecitazione da parte della difesa in udienza debba già presupporre il consenso dell’imputato alla sostituzione (e dunque il conferimento di apposita procura speciale), a pena di inammissibilità della stessa richiesta.

Al fine di rispondere a tale quesito, la Corte ripercorre brevemente le linee essenziali del nuovo sistema bifasico ex art. 545-bis c.p.p. Come noto, secondo tale disposizione, il giudizio relativo all’applicazione della pena sostitutiva può snodarsi in due momenti distinti: il primo, da identificarsi con la decisione sulla colpevolezza dell’imputato; il secondo, eventuale, che si apre qualora non sia possibile decidere immediatamente sulla sostituzione della pena detentiva, e sia dunque necessario procedere ad ulteriori accertamenti. In questo caso, infatti, potrà essere fissata un’apposita udienza di sentencing non oltre sessanta giorni.

Secondo i giudici di legittimità, alla luce del sistema bifasico così introdotto, il procedimento applicativo previsto per le nuove pene sostitutive dovrebbe quindi presupporre un primo momento relativo alla «definizione del giudizio in termini di sussistenza e ascrivibilità del fatto all’imputato e di conseguente irrogazione di una pena, non sospesa, che non superi la soglia dei quattro anni di reclusione». In questo primo momento, inoltre, il giudice di cognizione sarebbe tenuto a verificare, in astratto, la sussistenza dei presupposti che legittimano la sostituzione della pena detentiva. Secondo la Corte, il consenso espresso dell’imputato dovrebbe presupporre la definizione di questo primo snodo processuale, anche per ragioni di ordine sistematico «legate all’esigenza di non inquinare l’accertamento della responsabilità sovrapponendo allo stesso, anticipatamente, temi che attengono alla pena da applicare». L’acquisizione del consenso diventerà invece imprescindibile per i successivi sviluppi del procedimento applicativo, che conseguono al giudizio positivo da parte del giudice di cognizione sulla sussistenza delle condizioni per la sostituzione. Secondo l’originaria formulazione dell’art. 545-bis c.p.p. (come si vedrà a breve, proprio su tale punto sono intervenute delle modifiche a seguito del c.d. “correttivo Cartabia), il giudice, se ritiene sussistenti i presupposti per la sostituzione, né da avviso alle parti e successivamente procede all’applicazione della pena sostitutiva (o fissa apposita udienza se si ritengono necessari ulteriori accertamenti). L’acquisizione di esplicito consenso dell’imputato diventa necessaria solo dopo l’avviso alle parti, all’apertura di tale «specifico ed eventuale segmento processuale».

 

6. Delineati i punti essenziali del procedimento di applicazione delle pene sostitutive ai sensi dell’art. 545-bis c.p.p., raccordando tale meccanismo processuale con la necessaria acquisizione dell’assenso dell’interessato, ai giudici di legittimità rimaneva un’ultima questione: discutere sulla possibile compatibilità del nuovo modello bifasico introdotto con la struttura propria del giudizio di appello. Anche su questo punto, infatti, non era ancora intervenuto il “correttivo Cartabia”, che come si vedrà successivamente ha il merito di «coordinare»[14] il nuovo modello di sentencing con le norme del giudizio di secondo grado.

Con riferimento a tale quesito, i giudici di legittimità ritengono che il meccanismo eventualmente bifasico di cui all’art. 545-bis possa operare anche all’esito del giudizio di appello.

In particolare, nelle motivazioni, la Corte distingue due possibili scenari astrattamente ipotizzabili.

Il primo si propone qualora il giudizio assolutorio reso in primo grado venga ribaltato in appello: in questo caso, sembrano non potersi ravvisare ostacoli alla piena applicazione del modello bifasico di cui all’art. 545-bis c.p.p.

Diverso è il caso in cui il giudice di appello confermi la condanna resa già in primo grado, come effettivamente avviene in questa vicenda portata all’attenzione dei giudici di legittimità. Infatti, non può negarsi che in questo caso, alla luce di un giudizio di responsabilità già definito, il difensore avrebbe potuto munirsi di procura speciale finalizzata ad esprimere il consenso all’applicazione della pena sostitutiva «già in sede di proposizione del gravame (o nella fase transitoria, al momento di formalizzazione della relativa sollecitazione)», piuttosto che chiedere al giudice, nella formulazione delle conclusioni, un apposito rinvio dell’udienza.

Tuttavia, la Corte osserva che tali considerazioni, fondate su ragioni di economia processuale, non sono bastevoli per dichiarare l’inammissibilità del ricorso proposto dal difensore.

I giudici di legittimità ribadiscono infatti come la valutazione e l’eventuale assenso dell’imputato all’applicazione di una pena sostitutiva trovi «la sua sede naturale di collocazione in un ambito successivo al giudizio sulla responsabilità e sulla stessa misura della pena irrogata, sia per non influenzare il portato di tali valutazioni prodromiche, sia per consentire all’imputato di valutare in termini di effettiva opportunità l’assenso da prestare»[15]. Tale principio, già chiarito nei passaggi motivazionali precedenti con riferimento al giudizio di primo grado, deve ribadirsi anche con riguardo al giudizio di appello[16].

 

7. In definitiva, le conclusioni raggiunte dalla Sesta sezione della Corte di Cassazione possono riassumersi nei termini seguenti.

Anzitutto, si ribadisce l’operatività del meccanismo di cui all’art. 545-bis c.p.p. anche all’esito del giudizio di appello, chiarendo però che il giudice di primo grado non potrà procedere d’ufficio alla sostituzione della pena detentiva, «in mancanza di apposito motivo (per i ricorsi disciplinati dalla novella) o di una sollecitazione in tal senso comunque rivolta dalla difesa quantomeno in sede di conclusioni (solo per quelli avvinti alla disciplina transitoria)».

Ma soprattutto, secondo i giudici di legittimità non può pregiudizialmente valutarsi inammissibile la richiesta di sostituzione della pena avanzata dal difensore in sede di conclusioni qualora non sia ancora formalmente supportata dal preventivo consenso dell’imputato, in quanto tale carenza ben può essere ovviata nel segmento processuale successivo alla definizione del gravame.

Ne deriva che, nel caso di specie, il giudice di secondo grado non poteva sottrarsi alla valutazione relativa alla sussistenza dei presupposti per l’applicazione della pena sostitutiva, procedendo, in caso di esito positivo, all’attivazione del percorso processuale di cui all’art. 545-bis c.p.p. La Corte di Cassazione annullava così la decisione del giudice di appello, al solo fine di procedere a tale giudizio.

 

***

 

8. Con la sentenza in commento, la Corte di Cassazione prova a rispondere ad alcuni dubbi interpretativi emersi alla luce delle prime applicazioni del nuovo meccanismo di sentencing introdotto dalla riforma Cartabia, interrogandosi in particolare sulla possibilità di applicare tale nuovo modello processuale anche all’esito del giudizio di appello; i pregevoli tentativi di risoluzione, nella prassi, di tali interrogativi, e le stesse conclusioni a cui perviene la Corte nella pronuncia in esame, sono destinati però a scontrarsi con le modifiche recentemente introdotte dal d.lgs. 19.3.2024 n. 31 (c.d. “correttivo Cartabia”). Il decreto correttivo ha infatti ridefinito molti aspetti del nuovo sistema delle pene sostitutive, con interventi «chirurgici»[17] ma, come si vedrà a breve, più che significativi.

 

9. Si premette che il decreto correttivo, pur intervenendo su più fronti in ambito di pene sostitutive, non ha certamente inteso mettere in discussione il principale obiettivo di favorire il ricorso a questo tipo di pene, con lo scopo più generale di deflazionare la carcerazione breve ritenuta inefficace e criminogena. Anzi, le principali modifiche apportate dal c.d. correttivo Cartabia sembrerebbero ispirate ad esigenze di semplificazione del nuovo sistema introdotto, con il fine ultimo di rafforzare ulteriormente tale alternativa sanzionatoria al carcere[18].

Tuttavia, tra le modifiche più rilevanti apportate dal decreto correttivo può trovarsi la completa riscrittura del primo comma dell’art. 545-bis c.p.p., che comporta un’importante rivisitazione del nuovo sistema bifasico originariamente introdotto dalla riforma Cartabia[19].

In particolare, secondo la formulazione originaria dell’art. 545-bis c.p.p. «subito dopo la lettura del dispositivo, il giudice, se ricorrono le condizioni per sostituire la pena detentiva con una delle pene sostitutive (…) ne dà avviso alle parti». Come evidenziato anche nella sentenza in commento, solo dopo l’avviso alle parti, in un distinto segmento processuale, diventa necessario acquisire il consenso dell’imputato alla sostituzione della pena ed il giudice, sentito il pubblico ministero, decide immediatamente sulla sostituzione oppure fissa un’apposita udienza di sentencing non oltre sessanta giorni.

Ebbene, il decreto correttivo è intervenuto in maniera sostanziale su tale nuovo sistema processuale, con modifiche volte ad evitare, ove possibile, proprio il passaggio tra due distinti momenti decisionali: quello relativo alla decisione sulla colpevolezza dell’imputato e quello concernente la decisione sulla pena da irrogare. In altre parole, il “tanto invocato” sistema bifasico[20], introdotto dalla riforma in via embrionale con riferimento all’applicazione delle pene sostitutive, ne esce “indebolito”.

In particolare, ai sensi del rinnovato primo comma dell’art. 545-bis c.p.p., «il giudice, se ritiene che ne ricorrano i presupposti, sostituisce la pena detentiva con una delle pene sostitutive (…)». Il modello bifasico trova dunque la sua operatività solo ove il giudice non abbia già tutti gli elementi per decidere.

Le ragioni che hanno portato ad un ridimensionamento dell’udienza di sentencing sono molteplici. Da un lato, emerge con forza l’intenzione di semplificare la procedura applicativa delle pene sostitutive, anche alla luce delle critiche più volte sollevate al modello bifasico di cui all’art. 545-bis c.p.p., che secondo molti avrebbe comportato (in via paradossale, se si vedono le esigenze di efficienza che hanno ispirato la riforma) notevoli perdite di tempo[21]. D’altro lato, il decreto correttivo sembra voler “spianare la strada” ad una più ampia applicazione del nuovo sistema sanzionatorio, facendo sì che la sostituzione della pena detentiva possa avvenire senza una necessaria interlocuzione delle parti sul punto (ma mantenendo il requisito del consenso dell’imputato), attribuendo al giudice della cognizione un ruolo ancor più incisivo ed affiancando il più possibile le pene sostitutive alle tradizionali pene carcerarie, con lo scopo di «emancipare e svincolare la risposta sanzionatoria dal carcere»[22].

Eppure, le modifiche introdotte dal “Correttivo Cartabia” sul modello bifasico ex art. 545-bis c.p.p., al di là delle condivisibili intenzioni del legislatore, non sono del tutto prive di insidie a livello pratico.

Ricollegandosi alle considerazioni appena esposte con riferimento al primo comma dell’art. 545-bis c.p.p., così come modificato dal decreto correttivo, l’eliminazione dell’”avviso” alle parti e la conseguente esclusione, in prima battuta, del contraddittorio sulla sostituzione della pena, potrebbe avere effetti opposti e quasi “paradossali” da quelli auspicati dalla riforma. Di fatto, configurando la “decisione immediata” sulla sostituzione della pena come “la regola”[23], e considerando l’interlocuzione tra le parti come un passaggio da aprirsi eventualmente, qualora non sia possibile decidere immediatamente, appare evidente il rischio (già evidenziato in dottrina) che il giudice «per risparmiare sui suoi tempi, effettui un implicito vaglio negativo»[24], con conseguente totale «annichilimento» del contraddittorio sul punto[25]. A tali modifiche operate dal decreto correttivo, volte al raggiungimento di una maggiore efficienza del sistema, sarebbero stati forse preferibili interventi volti a favorire una maggiore collaborazione tra il giudice della cognizione e i servizi forniti sul territorio dall’ufficio di esecuzione penale esterna: interventi dunque rivolti, in direzione opposta, ad un rafforzamento ulteriore del modello bifasico. Ciò avrebbe consentito di rendere più accurata ed individualizzata la decisione del giudice della cognizione, a cui la riforma Cartabia ha restituito il delicato ruolo, in questo ambito, di «giudice della pena»[26].

Ma le modifiche che rilevano soprattutto in questa sede, anche alla luce dei problemi interpretativi sollevati nella sentenza in commento, riguardano la delicata questione della manifestazione del consenso da parte dell’imputato alla sostituzione della pena detentiva[27].

Nella formulazione originaria dell’art. 545-bis c.p.p., l’avviso alle parti previsto al primo comma era subordinato ad un «mero vaglio astratto di ammissibilità»[28] da parte del giudice: di conseguenza, se la pena detentiva irrogata risultava essere non superiore a quattro anni, e non sussistevano condizioni soggettive ostative alla sostituzione, doveva necessariamente aprirsi una fase di discussione sull’opportunità di applicare la pena sostitutiva. Come indicato nell’originaria disposizione normativa, ed evidenziato dalla giurisprudenza di legittimità anche nella sentenza in esame, era proprio questa la “sede naturale” della manifestazione dell’assenso dell’imputato.

L’eliminazione dell’avviso alle parti operato dal decreto correttivo fa sorgere dunque un ulteriore dubbio interpretativo, già messo in luce dalla dottrina[29]: quando deve essere manifestato il consenso?

Le modifiche introdotte dal decreto correttivo, che favoriscono la sostituzione immediata della pena detentiva ed indeboliscono il modello bifasico di cui all’art. 545-bis c.p.p., lasciano intravedere la via auspicata – sebbene non l’unica designata[30] – dal legislatore: la manifestazione del consenso dovrebbe avvenire, preferibilmente, nel corso dell’udienza di discussione. In questo modo, infatti, il giudice potrebbe già disporre, in camera di consiglio, di tutti gli elementi necessari per procedere immediatamente all’applicazione della pena sostitutiva.

Tuttavia, ai sensi del rinnovato art. 545-bis c.p.p., rimane salva la possibilità di manifestare il consenso anche in un momento successivo: di fatto, «quando non è possibile decidere immediatamente», si apre una fase interlocutoria tra le parti, dove potrà essere «acquisito, ove necessario, il consenso dell’imputato», e a seguito della quale il giudice procederà all’integrazione del dispositivo. Tale opportunità, secondo una parte della dottrina[31], è da considerarsi però un’eccezione alla “regola” prevista dal primo periodo del comma 1 dell’art. 545-bis c.p.p.

Una soluzione di tal tipo, sebbene mossa da condivisibili esigenze di semplificazione e di maggiore speditezza del meccanismo processuale, non convince pienamente. Si ritengono infatti maggiormente condivisibili proprio le considerazioni dei giudici di legittimità nella sentenza annotata, che nell’allinearsi al dettato normativo originariamente formulato con la riforma Cartabia, evidenziano come il consenso dell’imputato dovrebbe presupporre la definizione del giudizio sulla colpevolezza dell’imputato anche per «ragioni di ordine sistematico»: in particolare, si ritiene che, manifestando il consenso in una fase antecedente a quella dell’irrogazione della pena detentiva, si rischierebbe di «inquinare l’accertamento della responsabilità sovrapponendo allo stesso, anticipatamente, temi che attengono alla pena da applicare». Ed ancora, nelle motivazioni della sentenza in esame, i giudici di legittimità ribadiscono come l’assenso dell’imputato debba manifestarsi «in un momento successivo al giudizio sulla responsabilità e sulla stessa misura della pena irrogata, sia per non influenzare il portato di tali valutazioni prodromiche, sia per consentire all’imputato di valutare in termini di effettiva opportunità l’assenso da prestare».

I medesimi dubbi interpretativi vengono condivisi anche in dottrina, che a tal proposito evidenzia come la soluzione proposta dal decreto correttivo possa «stridere con il diritto di difesa, perché si costringe l’avvocato ad anticipare nella fase di discussione sulla responsabilità una volontà che attiene alla tipologia di pena»[32]. Anche questa modifica operata dal correttivo, quindi, potrebbe rivelarsi una modifica dagli effetti “paradossali”: il difensore, piuttosto che munirsi fin da subito di procura speciale e manifestare il consenso alla sostituzione della pena prima della definizione del giudizio, potrebbe, per ragioni di strategia difensiva, non procedere con tale richiesta in primo grado, riservandosi di avanzare la richiesta direttamente nell’atto di appello in caso di condanna dell’imputato. Anche qui, in altre parole, il rischio è quello di andare in una direzione opposta rispetto alle reali e pregevoli intenzioni del legislatore di favorire un’ampia applicazione del nuovo sistema sanzionatorio introdotto, dato che il consenso dell’imputato rimane condizione imprescindibile per la sostituzione.

 

10. Un altro aspetto di fondamentale rilevanza su cui è intervenuto il decreto correttivo riguarda il coordinamento della disciplina prevista dall’art. 545-bis c.p.p. con il giudizio di appello.

Proprio la mancanza di tale raccordo aveva portato i giudici di legittimità, come nel caso qui esaminato, ad interrogarsi sulla compatibilità del nuovo modello bifasico con il giudizio di secondo grado. Il “correttivo Cartabia” ha dunque il merito di dare finalmente risposta a tale quesito, disciplinando all’art. 598-bis c.p.p. la procedura applicativa delle pene sostitutive in questa fase processuale.

Con riferimento al giudizio di appello, la prima questione che il legislatore doveva chiarire – discussa anche nella sentenza annotata – riguardava l’opportunità di applicare d’ufficio le pene sostitutive in mancanza di apposito motivo di ricorso. A tal proposito, nel nuovo comma 1-bis dell’art. 589-bis c.p.p., attraverso l’incipit «fermo quanto previsto dall’articolo 597»[33], ci si allinea a quanto affermato dalle Sezioni Unite Punzo[34]. In particolare, si ribadisce che il giudice di secondo grado non può applicare le sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi nel caso non risulti formulata alcuna specifica richiesta con riguardo a tale punto. A tale conclusione non sembrano potersi sollevare obiezioni, in quanto perfettamente in linea con il principio devolutivo dell’appello di cui all’art. 597, comma 5, c.p.p.[35]

Il correttivo Cartabia interviene anche sul tema della manifestazione del consenso nel giudizio di appello, disciplinando compiutamente diverse ipotesi che possono prospettarsi all’interprete, e considerando anche in questo caso l’udienza di sentencing meramente eventuale.

In particolare, l’art. 589-bis c.p.p. distingue l’ipotesi di rito cartolare non partecipato (art. 598-bis, comma 1, c.p.p.) dall’ipotesi di rito partecipato (art. 598-bis, commi 2, 3 e 4, c.p.p.).

Nella prima ipotesi (che si precisa, è divenuta ormai “la regola”[36]), il consenso potrà essere espresso «fino a quindici giorni prima dell’udienza». Nella seconda, invece, il consenso alla sostituzione della pena detentiva potrà essere espresso sino alla data dell’udienza, ai sensi del comma 4-bis dell’art. 598-bis c.p.p.

Anche qui, dunque, la via delineata dal legislatore si rivela essere la manifestazione dell’assenso dell’imputato prima della definizione del giudizio, in maniera che il giudice possa procedere immediatamente alla sostituzione. Anzi, in questi casi, diversamente da quanto si prevede all’art. 545-bis c.p.p., nel caso in cui il consenso non venga espresso prima della definizione del giudizio di secondo grado, nei termini sopra indicati, non vi sarà nemmeno la possibilità di acquisirlo successivamente. Di fatto, l’art. 598-bis c.p.p., diversamente dall’art. 545-bis c.p.p., non contempla l’eventuale apertura di una fase interlocutoria immediatamente successiva, ma stabilisce che qualora «pur essendo acquisito il consenso» non sia possibile decidere immediatamente, il giudice proceda direttamente alla fissazione dell’apposita udienza di sentencing.

Tuttavia, nel caso in cui, «per effetto della decisione sull’impugnazione», venga applicata dal giudice di appello una pena non superiore a quattro anni (caso previsto dal comma 4-ter dell’art. 598-bis c.p.p.), l’applicazione delle pene sostitutive all’esito del giudizio di appello segue scansioni procedurali diverse da quelle appena descritte.

Anzitutto anche in questa ipotesi, ove ricorrano i presupposti, il giudice dovrà procedere alla sostituzione immediata della pena detentiva.

Il caso descritto dal comma 4-ter ammette però la possibilità di acquisire il consenso in un momento successivo alla celebrazione dell’udienza: in particolare, «se è necessario acquisire il consenso dell’imputato, la corte deposita il dispositivo ai sensi del comma 1, quarto periodo, assegna all’imputato il termine perentorio di quindici giorni per esprimere il consenso, e fissa udienza, non oltre trenta giorni, senza la partecipazione delle parti. In tal caso, il processo è sospeso». A questo punto, se il consenso dell’imputato viene acquisito, «all’udienza la corte integra il dispositivo»; in caso negativo, «lo conferma».

Infine, anche nell’ipotesi di cui al comma 4-ter si prevede l’opportunità di fissare un’apposita udienza di sentencing «quando, pur essendo acquisito il consenso, non è possibile decidere immediatamente».

Da ultimo, si dà evidenzia di un «analogo intervento di coordinamento»[37] sull’art. 599-bis c.p.p. in tema di «concordato anche con rinuncia ai motivi di appello». In particolare, le innovazioni introdotte dal correttivo precisano che l’accordo possa riguardare anche la sostituzione della pena detentiva e che, nell’ipotesi di applicazione della pena sostitutiva, «si applicano le disposizioni dell’art. 598-bis c.p.p., ma il consenso dell’imputato è espresso, a pena di decadenza, nel termine di quindici giorni prima dell’udienza» (art. 599-bis, comma 1, c.p.p.).

Alle innovazioni del decreto correttivo sopra sinteticamente analizzate va riconosciuto il merito di aver colmato le evidenti lacune in tema di applicazione delle pene sostitutive all’esito del giudizio di appello, delineando così un modello bifasico compatibile con le caratteristiche proprie del giudizio di secondo grado. Tali lacune avevano infatti condotto ad un conflitto in seno alla giurisprudenza di legittimità sulle modalità ed i termini entro cui fosse possibile avanzare la richiesta di accesso alle pene sostitutive, conflitto di cui si dà evidenza anche nella sentenza annotata[38].

Vale la pena soffermarsi, brevemente, sulla distinzione operata dal legislatore tra la disciplina di cui all’art. 1-bis e 4-bis dell’art. 598-bis c.p.p., nonché in tema di concordato ex art. 599-bis c.p.p., e quella di cui al comma 4-ter dell’art. 598-bis c.p.p., che prevede il caso in cui «per effetto della decisione sull’impugnazione» venga applicata una pena detentiva astrattamente sostituibile.

Di fatto, sembrerebbe che nel primo caso il legislatore, per ragioni di economia processuale, abbia delineato come unica strada percorribile la manifestazione del consenso prima della definizione del giudizio (entro quindici giorni prima dell’udienza, nel caso di cui all’art. 1-bis dell’art. 598-bis e dell’art. 599-bis, comma 1; sino alla data dell’udienza, nel caso di cui al 4-bis dell’art. 598-bis). Ciò non sorprende: anche la stessa giurisprudenza di legittimità, nella sentenza in commento, aveva osservato che in effetti «alla luce di un giudizio di responsabilità già definito», il difensore potrebbe munirsi di procura speciale finalizzata ad esprimere il consenso all’applicazione della pena sostitutiva «già in sede di proposizione del gravame (o nella fase transitoria, al momento di formalizzazione della relativa sollecitazione)». Le esigenze di maggiore efficienza del sistema, anche in questo caso, alla fine hanno prevalso.

Pare altrettanto condivisibile la diversa scelta operata al comma 4-ter dell’art. 598-bis, ove si prevede il differente caso in cui «l’eventualità sostitutiva si schiude solamente con la pronuncia di secondo grado»[39]. In questo caso, infatti, pare opportuno concedere l’opportunità di esprimere il consenso alla sostituzione in un momento successivo, per consentire all’imputato di «valutare in termini di effettiva opportunità l’assenso da prestare»[40]. L’assegnazione di un termine perentorio di quindici giorni, e la relativa fissazione di un’apposita udienza da tenersi entro trenta giorni, ha il chiaro scopo di favorire la sostituzione della pena detentiva in questi casi, ma ha anche il merito di delineare in questo caso uno “spazio specificamente riservato” alla manifestazione del consenso, come auspicato anche nella sentenza in commento, superando così del tutto i dubbi interpretativi legittimamente sollevati dalla giurisprudenza.

 

 

 

[1] Così M. Pelissero, Una riforma tra obiettivi ambiziosi e resistenze di sistema, in Riv. it. dir. proc. pen., 2023, 2, p. 708.

[2] Sul tema, cfr. più in generale G. Fidelbo, Una riforma coraggiosa rivolta a ridurre la centralità della pena detentiva carceraria, in Riv. it. dir. proc. pen., 2023, 2, pp. 679 ss.; R. Bartoli, Punire in libertà: le nuove pene sostitutive, in Riv. it. dir. proc. pen., 2023, 4, pp. 1399 ss.; M. Arbotti, Al di là del monologo carcerocentrico: le nuove pene sostitutive nella riforma Cartabia, in Diritto di Difesa, 2022, 4, p. 757; A. Abbagnano Trione, Il sistema delle pene sostitutive e il favor libertatis, in Proc. pen. giust., 2023, 3, pp. 757 ss.

[3] Tale modello bifasico non era comunque del tutto estraneo al nostro ordinamento, in quanto ravvisabile nel rito celebrato davanti al giudice di pace, ai sensi dell’art. 33 d.lgs. 28 agosto 2000 n. 274.

[4] Con riferimento a tale requisito, è necessario specificare che l’art. 5 d.lgs. 31/2024 (decreto correttivo di cui si discuterà meglio, successivamente, nel contributo) ha modificato l’art. 58 l. 689/1981 relativo al “Potere discrezionale del giudice nell’applicazione e nella scelta delle pene sostitutive”, introducendo un terzo capoverso in cui si dà evidenza dell’imprescindibile condizione del consenso dell’imputato per l’applicazione delle pene sostitutive diverse dalla pena pecuniaria («le pene sostitutive della semilibertà, della detenzione domiciliare e del lavoro di pubblica utilità possono essere applicate solo con il consenso dell’imputato, espresso personalmente o a mezzo di procuratore speciale»).

[5] In questi termini, G. De Santis, La scommessa delle nuove pene sostitutive, in Riv. it. dir. proc. pen., 2023, 2, p. 703.

[6] Per alcuni commenti critici alla necessità del consenso da parte dell’imputato per l’applicazione della pena sostitutiva, cfr. G. De Santis, La scommessa delle nuove pene sostitutive, cit., p. 702; R. Bartoli, Punire in libertà: le nuove pene sostitutive, cit., p. 1417; P. Gaeta, Ragionando su alcuni ossimori della riforma delle pene sostitutive, in Riv. it. dir. proc. pen., 2023, 2, p. 574; L. Risicato, La riforma delle pene sostitutive tra molti pregi e qualche asimmetria, in Riv. it. proc. pen., 2023, 2, p. 592.

[7] V. Correttivi alla riforma Cartabia: pubblicato in GU il testo del d.lgs. 19 marzo 2024, n. 31, in questa Rivista, 21 marzo 2024; per un commento sulle modifiche operate dal decreto, cfr. L. Agostino, Le prime correzioni alla “riforma Cartabia”: il d.lgs. 31/2024 tra interventi di “microchirurgia” e alcune modifiche di più ampio respiro, in Leg. pen., 15.5.2024.

[8] Per completezza, si specifica che con il primo motivo l’imputato denunciava «nullità della sentenza perché il decreto di citazione in appello non sarebbe stato notificato al difensore», mentre con il terzo motivo si contrastava la «valutazione resa nel denegare le generiche e nel confermare la pena irrogata, attestatasi oltre il minimo». Entrambe le censure appena prospettate, tuttavia, sono state dichiarate inammissibili dai giudici di legittimità.

[9] Valutazione che, come precisato dalla Corte, anche con riferimento all’applicazione delle pene sostitutive «deve essere condotta con l’osservanza dei criteri di cui all’art. 133 c.p. prendendo in esame, tra l’altro, le modalità del fatto per il quale è intervenuta condanna e la personalità dell’imputato».

[10] Cfr. §8 del “considerato in diritto” della sentenza in commento.

[11] Cass., sez. VI, 27 settembre 2023, n. 41313, A.M.C., in C.E.D. Cass., 285708.

[12] Cass., sez. un., 19.1.2017, n. 12872, Punzo, in Cass. pen., 2023, 11, p. 3729, con nota di L. Ludovici, Sui limiti alla concessione in appello delle sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi, ove si afferma che il giudice di appello non ha il potere di applicare di ufficio le sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi se nell’atto di appello non risulta formulata alcuna specifica e motivata richiesta al riguardo, dal momento che l’ambito di tale potere è circoscritto alle ipotesi indicate dall’art. 597, comma 5, c.p.p., costituendo queste ultime un’eccezione alla regola del principio devolutivo dell’appello.

[13] Cfr. Cass., sez. VI, 10.5.2023, n. 33027, A.P., in Cass. pen., 2023, 11, p. 3729, come segnalato nel §9.2 del “considerato in diritto” della sentenza in commento. In linea con tale orientamento, v. anche Cass., Sez. II, 1 marzo 2024, n. 12991, Generali, in C.E.D. Cass., 286017; Cass., sez. IV, 21 gennaio 2024, n. 4934, Skrzyszewski, in C.E.D., Cass., 285751; Cass., Sez. VI, 21 novembre 2023, n. 3992, Z., in C.E.D., Cass., 285902.

[15] V. il §10.2.3 del “considerato in diritto” della sentenza in commento.

[16] In particolare, cfr. il §10.2.3 del “considerato in diritto” della sentenza, in cui si specifica che «anche in appello, infatti, l’attualità del consenso, anche se prestato in precedenza, dipenderà non tanto dal confermato giudizio di responsabilità (che ne funge da ovvio presupposto logico), ma soprattutto dalla misura della pena detentiva da sostituire, eventualmente ridotta in esito al parziale accoglimento del gravame. Aspetti, per forza di cose successivi (non solo alla proposizione del gravame ma anche) alla definizione del giudizio di secondo grado, in esito alla quale, dunque, una volta verificata la insussistenza di fattori oggettivi preclusivi, viene di fatto a replicarsi il sistema bifasico dettato dall’art. 545 bis c.p.p. in tutti i suoi tratti costitutivi, compresa l’acquisizione del consenso o della procura speciale in tal senso conferita al difensore, che, in coerenza, ben possono mancare al momento di formulazione della relativa sollecitazione».

[17] Così D. Bianchi, Il Decreto Correttivo in materia di pene sostitutive: interventi ragionevoli, semplificazioni eccessive e occasioni mancate, in Leg. pen., 4.6.2024, p. 1.

[18] Per un approfondimento sul sistema delle pene sostitutive come fondamentale alternativa al carcere, cfr. R. Bartoli, Punire in libertà: le nuove pene sostitutive, in Riv. it. dir. proc. pen., 2023, 4, pp. 1399 ss.

[19] Per un alcuni commenti critici sul ripensamento dell’udienza di sentencing di cui all’art. 545-bis c.p.p., cfr. M. Gialuz, Osservazioni sui correttivi alla riforma Cartabia tra rettifiche condivisibili, qualche occasione perduta ed alcune sbavature, in questa Rivista, 29.1.2024.

[20] In questi termini, E. A. A. Dei Cas, Sentencing inglese e prospettive di un processo bifasico in Italia: potenzialità e insidie di un mutamento a lungo invocato, in Arch. pen., 3.3.2022, dove si evidenzia come nel nostro ordinamento, in passato, sia stata più volte proposta l’introduzione di un modello processuale bifasico simile a quello anglosassone.

[21] In tal senso, v. D. Bianchi, Il Decreto Correttivo in materia di pene sostitutive: interventi ragionevoli, semplificazioni eccessive e occasioni mancate, cit., p. 8.

[22] Così R. Bartoli, Punire in libertà: le nuove pene sostitutive, cit., p. 1406.

[23] Cfr. ancora D. Bianchi, Il Decreto Correttivo in materia di pene sostitutive: interventi ragionevoli, semplificazioni eccessive e occasioni mancate, cit., p. 8.

[24] M. Gialuz, Osservazioni sui correttivi alla riforma Cartabia tra rettifiche condivisibili, qualche occasione perduta ed alcune sbavature, cit., §2.2.

[25] D. Bianchi, Il Decreto Correttivo in materia di pene sostitutive: interventi ragionevoli, semplificazioni eccessive e occasioni mancate, cit., p. 5.

[26] Sul tema, cfr. G. L. Gatta, Il giudice di cognizione torna ad essere giudice della pena: una prima condanna alla detenzione domiciliare sostitutiva, in questa Rivista, 24 gennaio 2023; v. anche G. Nicolò, Pene sostitutive: disallineamenti e ingerenze tra cognizione ed esecuzione, in Cass. pen., 2023, 12, pp. 4359 ss.

[27] Su tale questione, cfr. Relazione del Massimario relativa al decreto legislativo 19 marzo 2024, n. 31 recante disposizioni integrative e correttive del d.lgs. 150/2022, cit., p. 38.

[28] In questo senso M. Gialuz, Osservazioni sui correttivi alla riforma Cartabia tra rettifiche condivisibili, qualche occasione perduta ed alcune sbavature, cit., §2.2, in cui si osserva che «si doveva in sostanza valutare solo l’assenza delle condizioni soggettive ostative alla sostituzione, di cui all’art. 59 legge n. 689/1981»; non sono mancate tuttavia opinioni contrastanti. Nella stessa sentenza in commento, al §10.2, si osserva che l’originario meccanismo processuale di cui all’art. 545-bis c.p.p. «presuppone la verifica da parte del giudice della sussistenza delle condizioni che ne legittimano l’applicazione, atteso che, se queste si ritengono a monte radicalmente insussistenti (ad esempio per la presenza di dati già acquisiti che ai sensi dell’art. 133 c.p. portino ad un giudizio prognostico negativo) il percorso bifasico di cui all’art. 545-bis c.p.p. non verrà neppure attivato, dovendosene, semmai, dare conto in motivazione». A proposito di tale dubbio interpretativo, cfr. P. Gaeta, Ragionando su alcuni ossimori della riforma delle pene sostitutive, cit., p. 581, in cui, in merito al passaggio relativo all’avviso alle parti contenuto nell’originario art. 545-bis c.p.p., si osserva che tale espressione «può essere intesa o come algida verifica oggettiva di formali presupposti, legati essenzialmente all'entità della pena in concreto irrogata, dunque: astratta possibilità di disporre la sostituzione; ovvero come “meritevolezza” ritenuta in concreto da parte del giudice».

[29] M. Gialuz, Osservazioni sui correttivi alla riforma Cartabia tra rettifiche condivisibili, qualche occasione perduta ed alcune sbavature, cit., §2.2

[30] Come evidenziato anche nella Relazione del Massimario relativa al decreto legislativo 19 marzo 2024, n. 31 recante disposizioni integrative e correttive del d.lgs. 150/2022, cit., p. 37, il comma 1 del rinnovato art. 545-bis c.p.p. prevede comunque l’ipotesi in cui il giudice non possa decidere immediatamente per mancata acquisizione del consenso dell’imputato, o perché si ritiene che quello già espresso non sia più attuale (in considerazione del tempo trascorso dalla sua manifestazione). In questi casi, «il giudice, subito dopo la lettura del dispositivo, sentite le parti, acquisito, ove necessario, il consenso dell’imputato, integra il dispositivo indicando la pena sostitutiva con gli obblighi e le prescrizioni corrispondenti e provvede ai sensi del comma 3, ultimo periodo» dell’art. 545-bis.

[31] D. Bianchi, Il Decreto Correttivo in materia di pene sostitutive: interventi ragionevoli, semplificazioni eccessive e occasioni mancate, cit., p. 7.

[32] M. Gialuz, Osservazioni sui correttivi alla riforma Cartabia tra rettifiche condivisibili, qualche occasione perduta ed alcune sbavature, cit., §2.2.

[33] Cfr. Relazione del Massimario relativa al decreto legislativo 19 marzo 2024, n. 31 recante disposizioni integrative e correttive del d.lgs. 150/2022, cit., p. 39: «ossia ferma l’impossibilità per il giudice di appello di procedere d’ufficio alla sostituzione della pena».

[34] Sul punto, v. G. Biondi, L’applicazione delle pene sostitutive di pene detentive brevi nella fase di cognizione del processo penale, in questa Rivista, 2024, 2, p. 130; v.  anche R. G. Bricchetti, Gli interventi correttivi di coordinamento della disciplina in appello dell’udienza camerale non partecipata (e del concordato con rinuncia ai motivi) con la condanna a pena sostitutiva, in R. Bartoli – G. L. Gatta – V. Manes (a cura di), Riforma Cartabia. Le modifiche al sistema sanzionatorio penale, Giappichelli, 2024, pp. 101 ss.

[35] A tal proposito, v. ancora le considerazioni di G. Biondi, L’applicazione delle pene sostitutive di pene detentive brevi nella fase di cognizione del processo penale, cit., p. 131, ove, prima delle modifiche operate dal decreto correttivo, si segnalava già che l’applicazione delle pene sostitutive all’esito del giudizio di secondo grado «va necessariamente coordinata con quello che era e resta un principio cardine del giudizio di appello, e cioè la sua natura di giudizio devolutivo, salvo le eccezioni previste dal comma 5 dell’art. 597 c.p.p.».

[36] C. Forte, Dal Coronavirus alla Cartabia: il rito cartolare in appello, in questa Rivista, 11 aprile 2024, §2.

[37] Relazione del Massimario relativa al decreto legislativo 19 marzo 2024, n. 31 recante disposizioni integrative e correttive del d.lgs. 150/2022, cit., p. 40.

[38] Cfr. il §9.1 del “considerato in diritto” della sentenza in commento. V. inoltre Relazione del Massimario relativa al decreto legislativo 19 marzo 2024, n. 31 recante disposizioni integrative e correttive del d.lgs. 150/2022, cit., p. 40, in cui si osserva che «il correttivo non sposa alcuno degli indirizzi giurisprudenziali finora registratisi, giacché il termine ultimo per chiedere la pena sostitutiva (non è né quello del termine di presentazione dei motivi, anche aggiunti, né quello dell’udienza di discussione ma) è sino alla data dell’udienza fissata per la trattazione del giudizio di seconde cure».

[39] Così M. Cecchi, Rinnovate scansioni procedurali per l’applicazione delle pene sostitutive, in Penale. Diritto e procedura, 17.6.2024, p. 9, a cui si rimanda per ulteriori considerazioni sulle modifiche apportate dal decreto correttivo.

[40] V. il §10.2.3 del “considerato in diritto” della sentenza annotata.