* Riceviamo e pubblichiamo con un commento del Prof. Emilio Dolcini la proposta della Fondazione Giovanni Falcone in tema di riforma della disciplina dell'ergastolo ostativo. La proposta, inviata dalla Fondazione ai componenti della Commissione Giustizia della Camera, è stata redatta dal dott. Antonio Balsamo e dal dott. Fabio Fiorentin.
1. Le Corti esigono una riforma dell’art. 4 bis ord. penit. – Il tema dell’accesso ai benefici penitenziari, alle misure alternative alla detenzione e alla liberazione condizionale da parte del condannato per i reati elencati nell’art. 4 bis co. 1 ord. penit. è stato imposto all’attenzione del legislatore da diverse pronunce della giurisprudenza nazionale e sovranazionale che si sono succedute in anni recenti. Le questioni di compatibilità costituzionale e convenzionale avevano per oggetto, in particolare, la preclusione opposta alla possibilità di fruire di quegli istituti da parte del condannato che non collabori con la giustizia, fatti salvi i casi di collaborazione ‘impossibile’ o ‘oggettivamente irrilevante’ (art. 4 bis co. 1 bis ord. penit.): una preclusione che la legge stabilisce sulla base di una presunzione assoluta di perdurante pericolosità del condannato non collaborante, dalla quale consegue che la magistratura di sorveglianza non possa accertare in concreto se la personalità del condannato abbia conosciuto una significativa evoluzione nel corso dell’esecuzione della pena (un’eventualità che, come ha sottolineato la Corte costituzionale, non può mai essere esclusa a priori, nemmeno quando il condannato sia autore del «più orribile» dei reati[1]).
La preclusione dettata dall’art. 4 bis co. 1 ord. penit. è stata censurata, dapprima, dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, che – pronunciandosi su ergastolo ostativo e liberazione condizionale – ha condannato l’Italia per violazione del principio di umanità della pena ex art. 3 CEDU[2].
Successivamente la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 4 bis co. 1 ord. penit. in relazione all’accesso ai permessi premio da parte del condannato per reati di mafia, sia che si tratti di condannato all’ergastolo, sia di condannato alla reclusione[3]: anche la Corte costituzionale ha censurato il carattere assoluto della presunzione legale dell’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata. A seguito di tale pronuncia, il permesso premio può ora essere concesso – in assenza di collaborazione con la giustizia – a condizione che siano stati acquisiti elementi tali da escludere «non solo l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, ma anche il pericolo di un loro ripristino».
Da ultimo, la Corte costituzionale è tornata ad affrontare la questione di legittimità dell’ergastolo ostativo, sollevata con riferimento alla liberazione condizionale. In tale occasione la Corte – giungendo a conclusioni antitetiche rispetto a quelle della sentenza 9 aprile 2003, n. 135 – ha accertato (ma non dichiarato) l’illegittimità costituzionale della disciplina sottoposta al suo giudizio: a conclusione di un complesso percorso argomentativo, ha parlato di «ragioni di incompatibilità con la Costituzione attualmente esibite dalla normativa censurata»[4]. La Corte ha rinviato la trattazione nel merito della questione all’11 maggio 2022, «dando al Parlamento un congruo tempo per affrontare la materia»: ad avviso della Corte, infatti, l’esigenza di differenziare la posizione del condannato non collaborante da quella del condannato che collabora con la giustizia impone scelte che devono essere rimesse alla discrezionalità del legislatore.
2. Verso una risposta da parte del Parlamento. – A differenza di quanto è accaduto in relazione ad altre pronunce di incostituzionalità differita emanate dalla Corte[5], questa volta sembra profilarsi una pronta risposta del Parlamento al monito della Corte costituzionale: o almeno è in atto un tentativo in tale direzione, che riflette un’attenzione al tema che va oltre gli addetti ai lavori, coinvolgendo largamente l’opinione pubblica e il mondo della politica. Alla Camera dei Deputati sono state in effetti presentate, ad oggi, tre proposte di legge: in ordine di tempo, le proposte di legge hanno come primo firmatario l’una Vittorio Ferraresi, del Movimento 5 Stelle[6], la seconda Andrea Delmastro Delle Vedove, di Fratelli d’Italia[7], mentre la terza reca la (sola) firma di Vincenza Bruno Bossio, del Partito Democratico[8]. Un’ulteriore iniziativa in materia viene ora dalla Fondazione Falcone, con una proposta di cui pubblichiamo il testo in allegato.
Escluso che al condannato non collaborante la legge possa continuare ad opporre un divieto assoluto di accesso al lavoro all’esterno, ai permessi premio, alle misure alternative e alla liberazione condizionale, la riforma dovrà individuare le condizioni in presenza delle quali tale possibilità potrà essergli offerta, affidandone la verifica – caso per caso – alla magistratura di sorveglianza.
Il ruolo della Corte costituzionale in relazione alla riforma dell’art. 4 bis ord. penit. non è comunque esaurito. Non si può escludere che la riforma si areni in Parlamento, qualora le forze politiche non trovino un punto di incontro: in tal caso la Corte costituzionale non potrà fare a meno di affrontare nel merito le questioni già portate al suo giudizio. Se invece la riforma andrà in porto, compito della Corte «sarà quello di verificare ex post la conformità a Costituzione delle decisioni effettivamente assunte»[9].
La Corte costituzionale, in ogni caso, promette di vigilare sul 4 bis: a garanzia, in primo luogo, del principio della rieducazione del condannato e della dignità della persona umana, che non può essere disconosciuta nemmeno quando si tratti del condannato per reati gravissimi.
3. La prova dell’assenza di collegamenti con la criminalità organizzata. – Il cuore della proposta della Fondazione Falcone risiede in un nuovo comma 1 sexies destinato ad inserirsi nell’art. 4 bis ord. penit.
Quale prima condizione per l’accesso del condannato non collaborante agli istituti di cui al co. 1, si richiede che «sia fornita la prova dell'assenza di collegamenti attuali del condannato o dell'internato con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva e dell'assenza del pericolo di ripristino dei medesimi». Questa formula riecheggia quanto disposto – in relazione ai permessi premio – dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 253/2019. La Corte dichiarava infatti l’illegittimità costituzionale dell’art. 4 bis co. 1 ord. penit. nella parte in cui non prevede che possano essere concessi permessi premio anche in assenza di collaborazione con la giustizia «allorché siano stati acquisiti elementi tali da escludere, sia l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, sia il pericolo del ripristino di tali collegamenti[10]»: chiarendo che cosa debba intendersi per ‘acquisizione di elementi’, la sentenza specificava in motivazione che ciò che viene posto a carico del condannato è un onere di allegazione, e non un più pregnante onere di prova[11]. Un onere della prova sembra invece discendere, a carico del condannato, dalla disposizione in esame, nella quale si parla di una «prova» che deve essere fornita: chi la dovrà fornire al magistrato di sorveglianza (o al tribunale di sorveglianza) è, evidentemente, il condannato.
4. L’«effettivo ravvedimento». – A questa prima condizione, l’art. 4 bis co. 1 sexies fa seguire l’ulteriore condizione dell’«effettivo ravvedimento» dell’interessato, un ravvedimento del quale si dice espressamente che deve essere accertato dal giudice di sorveglianza.
Il ravvedimento – di cui si sottolinea il carattere «effettivo», quale monito per il giudice – diventa dunque requisito per l’accesso del condannato a tutti gli istituti dell’art. 4 bis co. 1 ord. penit., e non più della sola liberazione condizionale. Per il lavoro all’esterno, l’art. 48 co. 1 reg. ord. penit. richiede soltanto la previsione nel programma di trattamento e l’approvazione del provvedimento di ammissione del condannato – di competenza del direttore dell’istituto – da parte del magistrato di sorveglianza[12]. Per i permessi premio, l’art. 30 ter ord. penit. richiede «regolare condotta» e assenza di pericolosità sociale. Per la semilibertà, l’art. 50 co. 4 dà rilievo ai «progressi compiuti nel corso del trattamento», e in particolare alle «condizioni per un graduale reinserimento nella società».
Ciò che nella logica della legge sull’ordinamento penitenziario è il punto di approdo (solo eventuale) di un percorso che si snoda attraverso l’esecuzione della pena, per il condannato non collaborante diventa un presupposto ineludibile per l’accesso ad ogni ‘beneficio’. Quel condannato deve ‘bruciare le tappe’: rescissi i rapporti con la criminalità organizzata, deve trovarsi subito nelle condizioni che – dopo oltre vent’anni anni dall’inizio dell’esecuzione – legittimerebbero la liberazione condizionale. Si porta così all’estremo il carattere deteriore della sua condizione rispetto a quella di ogni altro condannato a pena detentiva.
Rammento quanto, in relazione alla peculiare forma di ergastolo di cui all’art. 58 quater co. 4 ord. penit.[13], la Corte costituzionale affermava nella sentenza n. 149/2018: «L’appiattimento ad un’unica e indifferenziata soglia… per l’accesso a tutti i benefici penitenziari indicati nel primo comma dell’art. 4 bis ord. penit. si pone… in contrasto con il principio – sotteso all’intera disciplina dell’ordinamento penitenziario in attuazione del canone costituzionale della finalità rieducativa della pena – della “progressività trattamentale e flessibilità della pena” (sentenza n. 255 del 2006; in senso conforme, sentenze n. 257 del 2006, n. 445 del 1997 e n. 504 del 1995), ossia del graduale reinserimento del condannato all’ergastolo nel contesto sociale durante l’intero arco dell’esecuzione della pena»[14]. Un’affermazione che ha una portata più ampia rispetto alla questione di legittimità esaminata dalla Corte in quella sede e che proietta, ora, ombre di incostituzionalità sulla disciplina contenuta nella proposta della Fondazione Falcone.
Dopo aver enunciato il criterio dell’«effettivo ravvedimento», la proposta della Fondazione Falcone individua alcuni possibili indicatori di tale condizione. Il primo è la «valutazione critica della… precedente condotta» da parte del condannato: una formula che opportunamente traduce in termini ‘laici’, secondo un auspicio ricorrente in dottrina[15], lo stesso concetto di ravvedimento, depurandolo dalle sue connotazioni eticizzanti. Tale riformulazione del ravvedimento è sostanzialmente in linea, d’altra parte, con la giurisprudenza di legittimità sull’art. 176 c.p.[16]
Il giudice di sorveglianza terrà conto, poi, delle «iniziative» del condannato «a favore delle vittime, sia nelle forme risarcitorie che in quelle della giustizia riparativa»: una scelta non solo razionale, ma anche coerente con la crescente valorizzazione che la giustizia riparativa (in senso stretto e in senso lato) sta conoscendo nel sistema, anche nell’ambito della recentissima riforma Cartabia della giustizia penale[17].
Un terzo indicatore di ravvedimento viene infine individuato nel «contributo» fornito dal condannato «alla realizzazione del diritto alla verità». Questa formula echeggia documenti delle Nazioni Unite, l’organizzazione di Stati che celebra ogni anno la “Giornata internazionale per il diritto alla verità sulle gravi violazioni dei diritti umani e per la dignità delle vittime”. Tuttavia, il nesso tra la disposizione in esame e le iniziative ONU sul diritto alla verità sembra alquanto remoto, dal momento che tali iniziative riguardano – mi sembra – violazioni dei diritti umani perpetrate da Stati, e non da individui, nonché la memoria di persone che – come Oscar Romero, arcivescovo di San Salvador[18]– hanno sacrificato la vita per la tutela di quei diritti nei confronti di crimini di Stato.
Alla lettura della disposizione in esame, può sorgere il dubbio è che il «contributo alla realizzazione del diritto alla verità» nella proposta della Fondazione Falcone sia una sorta di surrogato della collaborazione con la giustizia, per quanto blando e dai contorni sfumati.
5. Le «dettagliate informazioni» di cui deve disporre il giudice. – La proposta della Fondazione Falcone interviene poi sul secondo comma dell’art. 4 bis ord. penit., modificando la disciplina delle fonti da cui il magistrato o il tribunale di sorveglianza possono acquisire «dettagliate informazioni» ai fini della concessione dei benefici di cui al co. 1.
Entrano in scena: il procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto ove ha sede il tribunale che ha emesso la sentenza; nel caso di detenuti sottoposti al regime previsto dall’art. 41 bis, il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo; il comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica competente in relazione al luogo dove il detenuto risiede (in luogo del comitato provinciale competente in relazione al luogo di detenzione del condannato). Per contro, non si prevede la presenza nel comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica del direttore dell’istituto penitenziario in cui il condannato è detenuto. Tra le fonti di dettagliate informazioni, anche nella proposta della Fondazione Falcone rimane il questore (art. 4 bis co. 2).
Mentre è senz’altro apprezzabile che il pubblico ministero che ha seguito il processo possa fornire un contributo di conoscenze anche in fase esecutiva, non altrettanto può dirsi, a mio avviso, per l’esclusione della voce del direttore dell’istituto penitenziario. Non giova, poi, alla speditezza del procedimento l’eliminazione delle disposizioni che, nella versione vigente dell’art. 4 bis ord. penit., prevedono che il giudice decida entro trenta giorni dalla richiesta di informazioni (evidentemente, tra l’altro, anche nel caso in cui la richiesta non abbia avuto seguito) (art. 4 bis co. 2 e co. 2 bis).
Va sottolineato che le informazioni fornite dalle procure non sono vincolanti per il giudice: vincolano il giudice – nella proposta della Fondazione Falcone come nel diritto vigente – solo nel caso in cui segnalino collegamenti in atto con la criminalità organizzata (art. 4 bis co. 3 bis).
Il quadro della proposta della Fondazione Falcone si completa con l’art. 4 bis co. 2 ter, che introduce un catalogo di obblighi o divieti che possono essere imposti all’atto della concessione dei benefici del co. 1: l’obbligo o il divieto di permanenza in uno o più comuni o in un determinato territorio; il divieto di svolgere determinate attività o di avere rapporti personali che possono occasionare il compimento di altri reati o ripristinare rapporti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva; l’obbligo di adoperarsi in iniziative di contrasto alla criminalità organizzata.
La sfera applicativa di tale disposizione è molto ampia, comprendendo tutte le misure di cui all’art. 4 bis co.1 ord. penit.: dunque, dal lavoro all’esterno alla liberazione condizionale (a proposito della quale, si pone un problema di coordinamento tra la disposizione dell’art. 4 bis co. 2 ter ord. penit. – come formulato dalla proposta della Fondazione Falcone – e l’art. 230 co. 1 n. 2 c.p., che prevede l’applicazione della libertà vigilata al condannato ammesso alla liberazione condizionale[19]). Va peraltro rilevato che gli obblighi e i divieti di cui all’art. 4 bis co. 2 ter ord. penit. possono – non devono – essere disposti: la decisione in proposito è rimessa alla discrezionalità del giudice di sorveglianza.
6. Attuare o neutralizzare le indicazioni della Corte costituzionale? – La riforma dell’art. 4 bis ord. penit. alla quale la Corte costituzionale ha chiamato il legislatore deve guardarsi dalla tentazione di ‘sterilizzare’, nella sostanza, quanto disposto dalla Corte con l’ordinanza n. 97/2021, piegandosi al timore che la nuova disciplina possa essere avvertita dalla pubblica opinione come un abbassamento della guardia di fronte alla criminalità organizzata.
Tra le proposte di riforma dell’art. 4 bis ord. penit. sin qui presentate in Parlamento, mentre la proposta Bruno Bossio appare in ampia sintonia con le indicazioni della Corte costituzionale[20], le proposte Ferraresi e Dalmastro Delle Vedove tendono piuttosto a ridimensionare quelle indicazioni, in nome di esigenze di contrasto alla criminalità organizzata considerate prioritarie anche nella fase di esecuzione della pena: un tratto, quest’ultimo, da cui non è immune la stessa proposta della Fondazione Falcone. È in ogni caso positivo il contributo che ne deriva alla riflessione in corso tra esponenti della politica, della magistratura e dell’accademia penalistica: una riflessione che quanto più sarà ampia e approfondita, tanto più promette di approdare ad un’equilibrata e consapevole scelta finale.
[1] Corte cost. 21 giugno 2018, n. 149, punto 7 del Considerato in diritto.
[2] Corte Edu, Sez. I, 13 giugno 2019, Viola c. Italia.
[3] Corte cost. 23 ottobre 2019, n. 253.
[4] Corte cost., ord. 11 maggio 2021, n. 97, punto 11 del Considerato in diritto.
[5] In proposito, può vedersi, fra molti, L. Risicato, L’incostituzionalità riluttante dell’ergastolo ostativo: alcune note a margine di Corte cost., ordinanza n. 97/2021, in Riv. it. dir. proc. pen., 2021, p. 665 ss.
[6] Proposta di legge d’iniziativa dei deputati Ferraresi, Bonafede e altri, Modifiche all'articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di concessione dei benefìci penitenziari e di accertamento della pericolosità sociale dei condannati per taluni gravi delitti, nonché delega al Governo in materia di accentramento della competenza del magistrato e del tribunale di sorveglianza per i giudizi riguardanti i detenuti o internati sottoposti al regime previsto dall'articolo 41-bis, comma 2, della medesima legge, presentata l’11 maggio 2021, AC 3106, www.camera.it. Per alcune considerazioni critiche su tale proposta di legge, cfr. E. Dolcini, L’ordinanza della Corte costituzionale n. 97 del 2021: eufonie, dissonanze, prospettive inquietanti, in questa Rivista, 25 maggio 2021, § 11.
[7] Proposta di legge d’iniziativa dei deputati Delmastro Delle Vedove, Butti e altri, Modifiche agli articoli 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, e 2 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, in materia di concessione di benefìci penitenziari e di accertamento della pericolosità sociale nei confronti dei detenuti o internati, presentata il 30 giugno 2021, AC 3184, www.camera.it.
[8] Proposta di legge d’iniziativa della deputata Bruno Bossio, Modifiche agli articoli 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, e 2 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, in materia di revisione delle norme sul divieto di concessione dei benefìci penitenziari nei confronti dei detenuti o internati che non collaborano con la giustizia, presentata il 2 luglio 2019, AC 1951, www.camera.it.
[9] Corte cost., ord. 11 maggio 2021, n. 97, punto 11 del Considerato in diritto. Cfr. in proposito Ergastolo ostativo e pena costituzionale: una nota dell’Associazione Antigone, www.antigone.it: la nota mette in guardia il legislatore contro il rischio che una nuova disciplina solo formalmente aderente alle indicazioni venute dalla Corte costituzionale con l’ord. n. 97/2021 e con la sent. n. 253/2019 apra «la strada a più drastiche pronunce della Corte che ne accertino l'illegittimità costituzionale».
[10] A proposito del pericolo del ripristino di collegamenti con la criminalità organizzata, vanno rammentate le serie perplessità manifestate dalla dottrina, sia in quanto tale criterio è stato introdotto ex novo dalla Corte costituzionale nell’esercizio di una discutibile funzione para-legislativa, sia in quanto appare suscettibile di tradursi, se preso alla lettera, in una sorta di probatio diabolica. In questo senso, tra gli altri, M. Bortolato, Il futuro rientro nella società non può essere negato a chi non collabora, ma la strada è ancora lunga, in Dir. pen. proc., 2020, p. 635 ss.; F. Gianfilippi, Ergastolo ostativo: incostituzionalità esibita e ritardi del legislatore. Prime note all’ordinanza 97/2021, in Questione giust., 27 maggio 2021, www.questionegiustizia.it; G. Giostra, Verso un’incostituzionalità prudentemente bilanciata? Spunti per una discussione, in G. Brunelli, A. Pugiotto, P. Veronesi (a cura di), Il fine e la fine della pena. Sull’ergastolo ostativo alla liberazione condizionale, Atti del Seminario, Ferrara, 25 settembre 2020, www.forumcostituzionale.it, p. 37 ss., in particolare p. 45; A. Pugiotto, Dopo la sentenza di accoglimento (che verrà), ivi, p. 213 ss., in particolare p. 215 s. Cfr. inoltre Ergastolo ostativo e pena costituzionale: una nota dell’Associazione Antigone, cit., nella quale si sottolinea che «una legge che ponesse a carico del condannato non collaborante prove estremamente difficili se non impossibili rischierebbe di esporre il nostro Paese ad una nuova serie di ricorsi e probabilmente di condanne» da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo.
[11] Cfr. Corte cost. 23 ottobre 2019, n. 253, punto 9 del Considerato in diritto. Un’inversione dell’onere della prova, in relazione ai permessi premio, veniva stabilita dalla Corte costituzionale soltanto «se le informazioni pervenute dal comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica depongono in senso negativo»: in tal caso, affermava la Corte, «incombe sullo stesso detenuto non il solo onere di allegazione degli elementi a favore, ma anche quello di fornire veri e propri elementi di prova a sostegno».
[12] Sui problemi interpretativi e applicativi posti da tale disciplina, cfr. G. Santalucia, M. R. Marchetti, in Della Casa, G. Giostra (a cura di), Ordinamento penitenziario commentato, VI ed., 2019, sub art. 21, p. 344 s.
[13] Su tale forma di ergastolo, e sulla sentenza con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 58 quater co. 4 ord. penit. per contrasto con gli artt. 3 e 27 co. 3 Cost., può vedersi E. Dolcini, Dalla Corte costituzionale una coraggiosa sentenza in tema di ergastolo (e di rieducazione del condannato), in Dir. pen. cont., 18 luglio 2018.
[14] Da ultimo, in tema di «flessibilità della pena» e di «progressività trattamentale», quale «ratio essendi del modello epistemologico attraverso il quale il trattamento individualizzato tende ad approdare al finalismo rieducativo della pena», cfr. F. Siracusano, Affidamento in prova al servizio sociale del condannato, per reati diversi da quelli di “ambito mafioso”, non collaborante con la giustizia: un’altra questione, circa la tenuta del modello preclusivo imposto dall’art. 4-bis comma 1 ord. penit., approda al sindacato della Corte costituzionale, in questa Rivista, 26 ottobre 2021.
[15] Cfr. E. Dolcini, A. Della Bella, Per un riordino delle misure sospensivo-probatorie nell’ordinamento italiano, in E. Dolcini, A. Della Bella (a cura di), Le misure sospensivo-probatorie. Itinerari verso una riforma, 2020, p. 357.
[16] Cfr., ad es., G. Marinucci, E. Dolcini, G.L. Gatta, Manuale di dir. pen., pt. gen., X ed., 2021, p. 821 ss.
[17] Cfr. G.L. Gatta, Riforma della giustizia penale: contesto, obiettivi e linee di fondo della ‘legge Cartabia’, in questa Rivista, 15 ottobre 2021, in particolare p. 20, e ivi il testo della l. 27 settembre 2021, n. 134, Delega al Governo per l'efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari.
[18] «Era la sera del 24 marzo 1980 quando Oscar Arnulfo Romero (1917-1980), arcivescovo di San Salvador, celebrava la Messa nella cappella dell’ospedale per malati terminali, dove viveva, per essere sempre vicino ai poveri. Uno sparo lo colpì sull’altare mentre consacrava l’ostia. Morì qualche minuto più tardi, all’età di 63 anni. La vigilia, in un’omelia in cattedrale, monsignor Romero aveva chiesto ai militari di non uccidere, anche se questo avesse significato disobbedire agli ordini. Il Paese era in preda a una terribile guerra civile, che avrebbe fatto 80.000 mila morti su quattro milioni di abitanti, segnata dalla presenza di una destra sanguinaria che finanziava gli “squadroni della morte” per assassinare gli oppositori»: così Mons. Romero, un martire per la pace. Diede voce ai poveri a El Salvador, 13 ottobre 2018, www.ceinews.it.
[19] La Corte costituzionale, nell’ordinanza n. 97/2021, al punto 9 del Considerato in diritto, prevedeva in via ipotetica «l’introduzione di prescrizioni peculiari che governino il periodo di libertà vigilata» del condannato ammesso alla liberazione condizionale.
[20] Il punto nodale della proposta di legge Bruno Bossio risiede in un’aggiunta all’art. 4 bis co. 1 bis ord. penit. che individua un’ulteriore ipotesi, accanto a quelle della collaborazione impossibile e della collaborazione oggettivamente irrilevante, nella quale i benefici di cui al co. 1 possono essere concessi al condannato non collaborante: si tratta dei «casi in cui risulti che la mancata collaborazione non escluda il sussistere dei presupposti, diversi dalla collaborazione…, che permettono la concessione dei benefìci citati». Resta fermo che devono essere stati «acquisiti elementi tali da escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva». Nulla si dice, invece, circa il pericolo di ripristino di tali collegamenti.