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06 Febbraio 2024


Concorso tra estorsione e turbata libertà degli incanti e nozione di danno rilevante ai fini dell’art. 629 c.p.: la parola alle Sezioni Unite

Cass. pen., Sez. VI, ord. 11 luglio 2023 (dep. 12 ottobre 2023), n. 41379, Pres. Calvanese, Rel. Pacilli



*Contributo pubblicato nel fascicolo n. 2/2024. 

 

1. Con l’ordinanza in commento, la Sesta Sezione della Corte di cassazione ha rimesso alle Sezioni Unite due questioni controverse nella giurisprudenza di legittimità: la prima, in materia di qualificazione del danno rilevante nel delitto di estorsione (art. 629 c.p.), la seconda riguardante il concorso tra quest’ultima fattispecie e il delitto di turbata libertà degli incanti di cui all’art. 353 c.p.

Ravvisata l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale sul punto, manifestatosi anche nella pendenza del giudizio a quo, la Sesta Sezione ha sollecitato dunque l’esercizio della funzione nomofilattica delle Sezioni Unite, affinché queste si esprimano, da un lato, sulla corretta qualificazione giuridica della condotta di chi, con violenza o minaccia, allontani gli offerenti da una gara nei pubblici incanti o nelle licitazioni private, dall’altro lato, sulla questione relativa alla possibilità di includere nella nozione di danno patrimoniale di cui all’art. 629 c.p. il cd. danno da perdita di chance.

 

2. Nel caso di specie, la Corte d’Appello di Napoli, con sentenza del 26 novembre 2021, ha condannato alcuni degli imputati appellanti per i delitti di turbata libertà degli incanti ed estorsione aggravata, confermando la sentenza del giudice di prime cure[1]. Così facendo, la Corte ha ritenuto che condotte violente o minacciose che determinino l’allontanamento degli offerenti nell’ambito di una gara pubblica o di una licitazione privata possano integrare, oltre che il delitto di cui all’art. 353 c.p., anche il delitto di cui all’art. 629 c.p., allorquando dalle stesse azioni criminose derivi un danno qualificabile in termini di perdita di chance connessa all’omessa presentazione di offerte di gara.

La difesa degli imputati ha quindi proposto ricorso per Cassazione, lamentando, inter alia, l’inosservanza della legge penale e il difetto di motivazione della sentenza impugnata con particolare riguardo alla nozione di danno di cui all’art. 629 c.p. Nello specifico, i difensori, richiamando il principio di necessaria offensività dell’illecito penale, hanno lamentato la mancanza di un’interpretazione tassativizzante del requisito del danno patrimoniale di cui al reato di estorsione, criticando la riconducibilità nella nozione in parola del cd. danno da perdita di chance. In particolare, a parere della difesa, la tesi sostenuta da entrambi i giudici di merito aveva trasformato il delitto di estorsione da reato di evento, inteso in senso naturalistico, a reato di pericolo concreto, così ampliando l’ambito della rilevanza penale anche ai casi in cui sia compromessa soltanto una mera aspettativa patrimoniale. Se in sede civile la perdita di un’aspettativa può fondare una pretesa risarcitoria, in sede penale, punire la compromissione di un’aspettativa significherebbe frustrare la ratio dell’art. 629 c.p., sanzionando il mero pericolo che l’azione criminosa possa aver interrotto una concatenazione di eventi dalla quale avrebbe forse potuto scaturire un arricchimento patrimoniale.

La difesa ha sostenuto inoltre che, anche a voler ritenere legittima l’interpretazione del requisito del danno accolta dai giudici di merito, non avrebbe comunque potuto ritenersi integrato il delitto di estorsione, in assenza della prova del nesso causale tra il danno subito ingiustamente e la perdita delle possibilità di arricchimento derivata dalla condotta criminosa. In altre parole, pur ammettendo che il danno di cui all’art. 629 c.p. possa manifestarsi anche nella forma della perdita di chance, è comunque necessario dimostrare che la condotta criminosa abbia causato al soggetto passivo l’impossibilità di conseguire un vantaggio patrimoniale che, in mancanza della condotta stessa, egli avrebbe ottenuto con un elevato grado di probabilità statistica. Conseguentemente, secondo i ricorrenti, nei casi simili a quello oggetto di controversia, non può essere affermata la responsabilità penale per il delitto di estorsione in mancanza di un’aspettativa patrimoniale seria.

A fronte delle censure qui compendiate e ravvisata la presenza di un contrasto giurisprudenziale sul punto, la Sesta Sezione della Corte di cassazione ha rimesso i ricorsi alle Sezioni Unite.

 

3. Nel provvedimento in commento, i giudici di legittimità hanno cura di ricostruire in primis i contorni applicativi delle fattispecie oggetto dei quesiti rimessi al supremo collegio.

3.1. Dapprima, si osserva che il delitto di turbata libertà degli incanti di cui all’art. 353 c.p. si inserisce nel novero dei delitti dei privati contro la pubblica amministrazione, delineando un reato comune e a forma vincolata. L’art. 353 c.p. punisce infatti “chiunque” si ingerisce nell’ambito di una procedura di gara usando violenza, minaccia ovvero mezzi variamente fraudolenti[2]. La condotta così descritta è quindi tipica soltanto laddove acceda ad una gara nei pubblici incanti o nelle licitazioni private[3]. Tuttavia, se l’avvio di una procedura di gara è ormai pacificamente ritenuto un presupposto di perfezionamento del reato, la Corte evidenzia che non rileva, invece, che le condotte di cui all’art. 353 c.p. siano poste in essere dopo la chiusura della gara, purché risultino comunque idonee a falsarne l’esito[4]. Dal momento che la condotta deve determinare, in via alternativa, l’impedimento o la turbativa dell’incanto, ovvero l’allontanamento degli offerenti dalla gara, la Corte si premura di chiarire, inoltre, che possono qualificarsi come offerenti tutti coloro che abbiano partecipato alla gara o si apprestino a farlo, nonché chi abbia la possibilità e l’intenzione di parteciparvi, pur non essendo in possesso dei requisiti a tal fine richiesti. La Cassazione prende quindi posizione sulla discussa natura giuridica del delitto in esame, ritenendo che sia da preferirsi l’orientamento che riconosce nel reato di cui all’art. 353 c.p. un reato di pericolo concreto[5]. Alla luce di quest’ultima affermazione, la turbativa d’asta può dirsi integrata tutte le volte in cui l’azione criminosa manifesti la sua idoneità ad influenzare l’esito della gara, configurando un rischio concreto di alterazione del regolare corso della procedura. La turbata libertà degli incanti è ritenuta, infine, un reato plurioffensivo e plurilesivo[6]. Non soltanto l’art. 353 c.p. rappresenta una delle disposizioni cui il legislatore affida la tutela penale della libera concorrenza, ma essa è posta altresì a presidio di beni quali il buon andamento della p.a. e la libertà di iniziativa economica privata, che si declina sotto forma di libertà di partecipare alla gara, influenzandone l’esito[7].

 

3.2. La Sesta Sezione focalizza quindi l’attenzione sulla ricostruzione degli elementi costitutivi del delitto di estorsione, qualificato, al pari della turbata libertà degli incanti, come reato comune a forma vincolata. Inserito tra i reati contro il patrimonio, pur essendo posto anche a presidio della libertà di autodeterminazione[8], l’art. 629 c.p. punisce chiunque, con violenza o minaccia, coarti l’altrui volontà per conseguire un ingiusto profitto con altrui danno. L’estorsione è quindi un reato a doppio evento, dal momento che, per la sua integrazione, è necessario che l’azione criminosa determini una coartazione dell’altrui volontà, da cui deriva all’agente un ingiusto profitto, con altrui danno patrimoniale[9]. Nel ricostruire il concetto di profitto, la Corte richiama la giurisprudenza consolidata che lo ha tradizionalmente definito come qualsiasi vantaggio, anche di tipo non economico, perseguito dall’agente. Tale vantaggio non deve essere legato ad un diritto che l’agente avrebbe potuto far valere legittimamente. Viceversa, laddove detto vantaggio consista nell’esercizio di un diritto, è necessario che lo stesso sia azionato con uno strumento antigiuridico ovvero con uno strumento legale di cui l’agente faccia però un uso distorto[10]. Con riguardo all’elemento costitutivo del danno, invece, la Corte afferma la necessità che a tale requisito sia assegnata una connotazione patrimoniale, chiarendo che con il concetto di patrimonio ci si riferisce non solo ad un insieme di beni materiali, bensì a tutti i rapporti giuridici, attivi e passivi, riconducibili ad un certo soggetto ed aventi contenuto economico[11].

Delineate le due fattispecie incriminatrici nei termini appena illustrati, la Sesta Sezione ne evidenzia quindi la diversità strutturale, con riguardo all’evento e all’elemento soggettivo. A differenza dell’estorsione, infatti, la turbativa d’asta si consuma senza che occorra la produzione di un danno e il conseguimento di un profitto. Inoltre, nell’ipotesi di cui all’art. 353 c.p., il dolo consiste nella coscienza e volontà di turbare la gara[12], mentre nel caso di cui all’art. 629 c.p., la rappresentazione e la volizione sono dirette ad usare violenza o minaccia, per costringere altri ad un facere o ad un non facere da cui derivi il conseguimento di un ingiusto profitto, a favore dell’agente, e un danno patrimoniale, a discapito del soggetto passivo[13].

 

4. Dopo aver ricostruito gli elementi costitutivi dei reati di estorsione e turbata libertà degli incanti, la Sesta Sezione passa a delimitare il perimetro della prima questione rimessa alle Sezioni Unite e relativa al possibile concorso tra i due reati in parola, affermando, in primis, la necessità di chiarire la corretta interpretazione da assegnare all’elemento costitutivo del danno nel delitto di estorsione.

 

4.1. A questo riguardo, la sentenza in commento ricorda anzitutto che la giurisprudenza è unanime nel ritenere che i delitti in parola concorrano formalmente nei casi in cui dalla condotta estorsiva derivi un danno che si manifesta nella perdita di un bene materiale[14]. Questo orientamento, pressoché indiscusso, si fonda sull’affermazione della diversa obiettività giuridica e della diversità strutturale delle fattispecie di estorsione e turbata libertà degli incanti; del resto sottolineata anche nell’ordinanza di rimessione. Gli eventi che segnano il momento consumativo dell’estorsione sono estranei alla fattispecie di cui all’art. 353 c.p., che si differenzia dalla prima anche sul piano dell’elemento soggettivo, oltre che dei beni giuridici tutelati[15]: entrambe le disposizioni contengono, infatti, elementi reciprocamente specializzanti. La turbata libertà degli incanti prevede, in via alternativa, modalità esecutive della condotta ulteriori rispetto a quelle intimidatorie e richiede, inoltre, che l’azione si inserisca nell’ambito di una procedura di gara. Diversamente, l’estorsione contempla il doppio evento del conseguimento dell’ingiusto profitto con altrui danno, estraneo al delitto di cui all’art. 353 c.p. Dalla diversità di elementi costitutivi deriva, inevitabilmente, un diverso atteggiarsi dell’ elemento soggettivo: e non potrebbe essere altrimenti, considerata la necessità che il dolo abbracci tutti gli elementi costitutivi della fattispecie.

 

4.2. Maggiormente discussa in giurisprudenza è, invece, la presenza del concorso di reati nel caso in cui manchi una deminutio patrimonii apprezzabile sul piano materiale. Con riferimento a tale ultima ipotesi, si registrano due orientamenti contrapposti, che muovono, in buona sostanza, da una diversa interpretazione della nozione di danno di cui all’art. 629 c.p.

Il primo di questi orientamenti individua il danno del reato di estorsione nella lesione dell’autonomia negoziale, ovvero nella lesione della libertà del singolo di regolamentare i propri interessi. In un caso come quello in esame, la lesione dell’autonomia negoziale consiste allora nella compromissione della libertà di partecipare alla gara, influenzandone l’esito. Ricostruito in questo modo il concetto di danno, ne risulta che il disvalore che viene in rilievo in simili ipotesi può ben essere integralmente assorbito dalla fattispecie di turbata libertà degli incanti, ritenuta plurioffensiva e quindi posta a presidio anche della libertà privatistica di autodeterminarsi nei rapporti negoziali. Alla luce di queste affermazioni, il rapporto tra estorsione e turbata libertà degli incanti andrebbe pertanto ricondotto ad un’ipotesi di concorso apparente di norme, risolvibile mediante il principio di specialità di cui all’art. 15 c.p. L’unica fattispecie che trova applicazione è, dunque, l’art. 353 c.p., in quanto norma speciale rispetto all’art. 629 c.p.[16].

Il secondo degli orientamenti sopra richiamati ritiene, invece, che, nel caso in cui manchi una deminutio patrimonii apprezzabile sul piano materiale, il danno del reato di estorsione possa comunque essere rappresentato dalla perdita dell’aspettativa di conseguire un vantaggio economico (cd. perdita di chance). I sostenitori di questa tesi, dunque, intendono il danno come un pregiudizio che, pur non connotato da materialità, si traduce nella perdita di valore del complessivo assetto economico del soggetto passivo. Accedendo a tale interpretazione, il danno da perdita di chance integra l’evento in senso naturalistico contemplato dal delitto di estorsione, poiché consiste comunque in una diminuzione di valore del complessivo patrimonio della vittima. Il danno di cui all’art. 629 c.p. cessa dunque di essere inteso semplicemente come evento in senso giuridico, ovverosia come offesa alla libertà negoziale, e diviene invece un risultato dell’azione apprezzabile sul piano fenomenico come il quantum valoriale di cui viene decurtato il patrimonio della vittima. In questi termini, detto danno torna ad essere un elemento differenziale tra le due fattispecie. Di conseguenza, si nega la sussistenza di un rapporto di specialità unilaterale, e quindi di un concorso apparente tra l’estorsione e la turbata libertà degli incanti, sostenendo invece che le due fattispecie concorrano formalmente. Seguendo questo orientamento si ammette allora la possibilità del concorso formale tra estorsione e turbata libertà degli incanti, ma emerge – quale ineludibile conseguenza – la necessità di soffermarsi sulla corretta definizione da assegnare al concetto di aspettativa o chance. Si delinea così la seconda questione oggetto dei quesiti rivolti alle Sezioni Unite, ovvero se nella nozione di danno patrimoniale di cui all’art. 629 c.p. rientri anche il cd. danno da perdita di chance.

 

5. Il concetto di perdita di chance nasce nella letteratura francese come precipitato del principio dell’integrale risarcimento del danno, e viene quindi trapiantato nel nostro ordinamento ad opera della giurisprudenza civile, seguita poi da quella amministrativa. Con riguardo alla questione della riconducibilità della perdita di chance alla nozione di danno rilevante ai sensi dell’art. 629 c.p., la Sesta Sezione registra due distinti indirizzi interpretativi, analogamente orientati nel senso di ritenere in astratto ammissibile l’affermazione di responsabilità per il delitto di estorsione nei casi in cui il danno consista nella perdita dell’aspettativa di conseguire un vantaggio patrimoniale.

 

5.1. Il primo indirizzo interpretativo muove dalla considerazione secondo cui il danno nel delitto di estorsione si traduce in qualsiasi riflesso negativo sull’assetto economico del soggetto passivo, sicché questo sussiste ogni volta in cui sia frustrata una qualsiasi chance, anche remota, da intendersi come mera possibilità di conseguire un vantaggio economico[17]. Le pronunce che sostengono tale orientamento non aggiungono altro quanto alla definizione del concetto di chance; salvo specificare, in alcuni casi, che la valutazione del danno patrimoniale deve formularsi ex ante e ricondursi al momento in cui il comportamento illecito è stato realizzato.

 

5.2. Il secondo indirizzo interpretativo qualifica, invece, la chance come concreta ed effettiva occasione di conseguire un determinato vantaggio economico. Tale nozione di chance è mutuata dalla letteratura civilistica che ricorre al concetto in parola per riferirsi ad “una situazione teleologicamente orientata verso il conseguimento di un’utilità o di un vantaggio, caratterizzata da una possibilità di successo presumibilmente non priva di consistenza[18]. Ci si richiama così all’etimologia della parola chance, che deriva dall’espressione latina cadentia (“il cadere dei dadi”) e che indica una buona probabilità di riuscita. Del resto, proprio nella buona probabilità di riuscita, la giurisprudenza civile individua il discrimine tra la chance risarcibile e la mera utilità sperata, quest’ultima considerata irrisarcibile. Così come da ultimo definita, la chance rappresenta un’autonoma situazione giuridica, diversa dal bene finale cui il soggetto aspira. Si tratta perciò di un’entità patrimoniale a sé stante, la cui perdita dà vita ad un danno concreto e attuale, riconducibile, secondo l’opinione dottrinale prevalente, alle categorie civilistiche del danno-emergente e del danno-evento[19].

Anche la giurisprudenza amministrativa ha ritenuto risarcibile il danno da perdita di chance, precisando altresì che si è in presenza di una situazione soggettiva tutelabile laddove il danneggiato provi che il rischio del verificarsi dell’evento sfavorevole, consistente nella mancata realizzazione della chance, sarebbe stato inferiore al 50%, in assenza della condotta illecita[20].

Anche alla luce della giurisprudenza appena richiamata, chi si pone nel solco del secondo orientamento ha quindi osservato che, pur essendo astrattamente ammissibile includere la perdita di chance nella nozione di danno rilevante, ai sensi dell’art. 629 c.p., ciò non vale per ogni tipo di aspettativa. Diversamente da quanto osservato in precedenza, dunque, a parere dei sostenitori del secondo indirizzo interpretativo illustrato, non rientreranno nella nozione di danno esaminata le mere aspettative, bensì soltanto le chance sorrette da un’elevata probabilità di successo. Nell’ambito di una procedura di gara, pertanto, solo in presenza di un’elevata probabilità di aggiudicazione potrà ritenersi configurato il danno del delitto di estorsione e potrà quindi conseguentemente affermarsi la presenza del concorso delle figure delittuose in esame.   

 

6. Con l’ordinanza in commento, dunque, la Sesta Sezione della Corte di cassazione rimette alle Sezioni Unite due questioni controverse in materia di concorso tra estorsione e turbata libertà degli incanti e danno rilevante ai sensi dell’art. 629 c.p., giudicando tali questioni tra di loro strettamente connesse. In particolare, la Sesta Sezione chiede alle Sezioni Unite: “se sia configurabile, oltre al reato di cui all’art. 353 cod. pen., anche quello di estorsione nella condotta di chi, con violenza o minaccia, allontani gli offerenti da una gara nei pubblici incanti o nelle licitazioni private”, nonché “se nella nozione di danno patrimoniale di cui all’art. 629 cod. pen. rientri anche la perdita dell’aspettativa di conseguire un vantaggio economico”.

Quanto al primo quesito e limitatamente ai casi in cui manchi una deminutio patrimonii apprezzabile sul piano materiale, si contendono il campo due diversi orientamenti. Da un lato, chi configura un concorso apparente di norme tra l’estorsione e la turbata libertà degli incanti, ritenendo che la seconda fattispecie assorba in sé l’intero disvalore del fatto criminoso quando il danno del delitto di estorsione consista nella lesione dell’autonomia negoziale, bene giuridico già tutelato dalla turbativa d’asta. Dall’altro lato, invece, chi ritiene che l’estorsione e la turbata libertà degli incanti stiano tra loro in rapporto di concorso formale, in ragione degli elementi di diversità strutturale delle due fattispecie.

Quanto al secondo quesito rimesso alle Sezioni Unite, esso attiene anzitutto alla riconducibilità nella nozione di danno contemplata dall’art. 629 c.p. del cd. danno da perdita di chance. Tra coloro che affermano tale riconducibilità, vi è poi chi riconosce rilevanza ad ogni tipo di chance e chi invece ritiene che soltanto le chance sorrette da un’elevata probabilità di successo possano integrare il requisito del danno di cui al delitto di estorsione.

 

***

 

7. A parere di chi scrive, va in primis sottolineato che l’incertezza sulla giusta definizione da assegnare al concetto di chance si ripercuote sulla nozione di danno rilevante ai fini dell’art. 629 c.p. e di conseguenza incide anche sulla risoluzione della questione relativa al possibile concorso tra estorsione e turbata libertà degli incanti. La giurisprudenza prevalente affida, infatti, al criterio di specialità la soluzione delle eventuali ipotesi di concorso apparente di norme[21], postulando un giudizio di confronto tra fattispecie da compiersi in astratto. Tale giudizio abbraccia necessariamente tutti gli elementi costitutivi dei reati in esame[22], tanto che, nel caso di specie, non è possibile sciogliere il nodo del concorso tra i delitti di estorsione e turbativa d’asta, prescindendo dalla definizione di quello che è uno degli elementi costitutivi del reato di cui all’art. 629 c.p., l’altrui danno appunto. I quesiti formulati dalla Sesta Sezione sono pertanto tra loro interdipendenti, risultando il secondo – relativo alla nozione di danno rilevante ai sensi dell’art. 629 c.p. – addirittura pregiudiziale rispetto al primo – che riguarda invece il concorso tra i delitti in parola –, come emergerà dalle riflessioni che seguono.

 

7.1. In relazione al primo dei quesiti rimessi all’attenzione delle Sezioni Unite, pare utile anzitutto precisare che il tema del concorso tra i reati di cui agli artt. 353 e 629 c.p. si pone limitatamente ai casi in cui il reo allontani gli offerenti da una gara nei pubblici incanti o nelle licitazioni private usando un mezzo intimidatorio. Soltanto laddove l’agente adoperi violenza o minaccia vengono in rilievo, infatti, quelle particolari modalità esecutive della condotta suscettibili di rilevare anche ai sensi dell’art. 629 c.p. Venendo, quindi, alle possibili soluzioni della questione de qua – concernente il rapporto tra l’estorsione e la turbata libertà degli incanti, nel caso in cui manchi un danno consistente in una deminutio patrimonii apprezzabile sul piano materiale –, sembra potersi osservare che l’ipotesi più accreditata sia quella che esclude il concorso apparente di norme, ritenendo dunque che l’estorsione e la turbativa d’asta stiano tra loro in rapporto di concorso formale. Un simile assunto si giustifica in ragione della diversa obiettività giuridica e della diversità strutturale delle due fattispecie, del resto evidenziata a chiare lettere anche dalla Sezione remittente. D’altra parta, la giurisprudenza dominante, perché si possa riconoscere un’ipotesi di concorso apparente di norme, richiede che le disposizioni incriminatrici siano avvinte da un rapporto di specialità unilaterale e in astratto[23], il che senz’altro non accade per la turbativa d’asta e l’estorsione. Piuttosto, nel caso in esame, le due norme sono legate da un rapporto di specialità bilaterale o reciproca, dal momento che ciascuna di esse presenta degli elementi specializzanti rispetto all’altra. Si pensi alle modalità esecutive alternative rispetto a quelle intimidatorie contemplate dall’art. 353 c.p.[24], ovvero al fatto che detta condotta deve inserirsi nell’ambito di una procedura di gara, creando il pericolo che la stessa sia turbata. O ancora al doppio evento del conseguimento di un ingiusto profitto con altrui danno contemplato dalla fattispecie di cui all’art. 629 c.p.

Come abbiamo detto poco sopra, la tesi prevalente in giurisprudenza esclude che la specialità bilaterale possa ricondursi nel novero del principio di specialità di cui all’art. 15 c.p. Accedendo alla tesi opposta, invece, si potrebbe ritenere integrata nel caso in esame un’ipotesi di concorso apparente di norme, in forza del rapporto di specialità reciproca che lega le due fattispecie. Alla stessa conclusione, potrebbe giungersi, altresì, invocando la presenza di un rapporto di specialità in concreto tra le norme di cui agli artt. 353 e 629 c.p., quantomeno limitatamente ai casi in cui il danno dell’estorsione non si traduca in una deminutio patrimonii apprezzabile sul piano materiale. Questa diversa impostazione consentirebbe di superare quella sovrapposizione tra turbamento della gara e danno patrimoniale, che spesso si verifica nella realtà fattuale, proprio nei casi in cui il danno dell’estorsione non venga a consistere nella perdita di un bene materiale. È quanto accade, ad esempio, nel caso portato all’attenzione della Sesta Sezione, in cui, in buona sostanza, le condotte violente o minacciose azionate dagli imputati determinano l’unico effetto di impedire la partecipazione degli altri offerenti alla gara. In concreto, la mancata partecipazione degli altri offerenti alla gara integra, al contempo, il turbamento della gara stessa e il verificarsi dell’evento del danno di cui al delitto di estorsione, qualificato proprio in termini di perdita di chance connessa all’omessa presentazione di offerte di gara. In presenza di tali circostanze ammettere il concorso formale tra l’estorsione e la turbata libertà degli incanti, per difetto di specialità unilaterale e astratta, rischia, in effetti, di comportare una violazione del ne bis in idem sostanziale. Del resto, le stesse Sezioni Unite apportano talvolta dei correttivi alla specialità unilaterale e astratta, recuperando criteri valutativi e sostanzialistici che sembrano richiamare la specialità in concreto o la specialità bilaterale[25].

A voler seguire quest’ultima ricostruzione si ricade, tuttavia, nella critica tradizionalmente mossa agli orientamenti che estendono il principio di cui all’art. 15 c.p. alle ipotesi della specialità bilaterale o in concreto. In particolare, emerge la difficoltà di individuare la norma speciale meritevole di prevalenza sull’altra. Tanto la specialità in concreto, quanto la specialità bilaterale, postulano infatti la prevalenza della norma che risulta “più speciale” rispetto all’altra, ovverosia che è connotata da un numero maggiore di elementi di specialità. Ferme le incertezze che derivano dall’applicazione di un siffatto criterio di individuazione, nel caso oggetto di esame, la norma dotata di un numero maggiore di elementi di specialità sembrerebbe essere quella di cui all’art. 353 c.p. Una simile soluzione causa allora un cortocircuito nel sistema, nella misura in cui consente che condotte astrattamente idonee ad integrare il delitto di estorsione siano punite meno gravemente per il solo fatto di essere realizzate nell’ambito di una procedura di gara, e pur a fronte della natura plurioffensiva del delitto di cui all’art. 353 c.p.

 

7.2. Quest’ultima considerazione osta anche all’applicazione del diverso principio di assorbimento o consunzione, quantomeno laddove si individui la norma assorbente nell’art. 353 c.p. Difatti, secondo la giurisprudenza prevalente in materia di assorbimento, la consunzione va negata quando il legislatore ha previsto per il reato che andrebbe assorbito una sanzione più grave, posto che il trattamento sanzionatorio è l’unico elemento oggettivo che può confermare il giudizio di valore postulato dal principio di assorbimento[26]. Oltre a ciò, pare assai arduo ritenere che tra la turbata libertà degli incanti e l’estorsione intercorra quel rapporto di compresenza necessaria o molto frequente, che giustifica il ricorso al principio dell’assorbimento a parere dei suoi stessi fautori.

 

7.3. La soluzione preferibile, a parere di chi scrive, resta dunque quella che ammette il concorso formale tra il delitto di turbata libertà degli incanti e quello di estorsione. Sebbene tale soluzione non consenta di valorizzare l’unitarietà del fatto e del suo disvalore, la sua considerazione può comunque essere recuperata in sede applicativa in forza del regime del cumulo giuridico. A conferma di questa lettura, si richiama una recente pronuncia delle Sezioni Unite in materia di concorso tra il delitto di estorsione e un’altra delle fattispecie cui il codice penale affida la tutela penale della concorrenza, quello di cui all’art. 513 bis c.p. (illecita concorrenza con minaccia o violenza)[27]. In tal caso, pur a fronte di elementi di reciproca specialità tra le due fattispecie, le Sezioni Unite hanno sancito l’ammissibilità di un concorso formale tra le stesse, facendo leva sulla loro diversa collocazione sistematica e sui diversi beni giuridici protetti.

 

7.4. Venendo quindi al secondo quesito rimesso all’attenzione delle Sezioni Unite, si è già detto che la sua definizione è dirimente per comprendere quando possa dirsi integrato l’elemento del danno di cui al delitto di estorsione e se quest’ultimo delitto possa concorrere con quello di cui all’art. 353 c.p. Come già osservato, tale questione non si estende al caso in cui dalla condotta criminosa derivi un danno che consiste nella perdita di un bene materiale, relativamente al quale la giurisprudenza ritiene pressoché pacifico il concorso formale tra estorsione e turbativa d’asta. Questa ipotesi del resto è l’unica che non pone dubbi circa la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi di entrambi i reati, specie del danno contemplato dal delitto di estorsione.

Con riferimento ai casi in cui manchi una diminuzione del valore complessivo del patrimonio connotata da materialità, invece, deve anzitutto osservarsi che la letteratura prevalente tende ad escludere che il danno di cui all’art. 629 c.p. possa consistere nella mera lesione dell’autonomia negoziale del soggetto passivo, in ragione della plurioffensività dell’estorsione[28].

In accordo con tale letteratura, dovrebbe dunque abbandonarsi, a parere di chi scrive, quell’orientamento richiamato supra al § 4.2, che, individuando il danno dell’estorsione nella lesione dell’autonomia negoziale, giunge a sostenere che tra l’estorsione e la turbativa d’asta intercorra un rapporto di specialità tale da fondare un concorso apparente di norme. Il superamento di questo orientamento si giustifica anche alla luce delle considerazioni che seguono. A rigore, infatti, i sostenitori di tale indirizzo interpretativo non considerano che il danno di cui al delitto di estorsione sia tradizionalmente inteso in termini di pregiudizio patrimoniale, non potendo perciò riferirsi soltanto ad una lesione dell’autonomia negoziale, di per sé connaturata alla costrizione dell’altrui volontà. In realtà, la lesione dell’autonomia negoziale rappresenta un diverso elemento costitutivo della fattispecie di cui all’art. 629 c.p.[29], che consiste nell’offesa ad uno dei beni tutelati dalla norma incriminatrice. Pertanto, chi individua il danno dell’estorsione nella lesione dell’autonomia negoziale sembra erroneamente equiparare il concetto di evento inteso in senso naturalistico con quello di offesa ad uno dei beni tutelati dalla norma incriminatrice. In tal modo, tuttavia, si rischia di duplicare inutilmente il concetto di offesa (in concreto), che già rappresenta un elemento costitutivo del fatto penalmente rilevante, oggetto di un accertamento a sé stante. Del resto, è proprio la patrimonialità del danno inteso come evento in senso naturalistico che rappresenta uno dei principali elementi differenziali tra l’estorsione e la turbata libertà degli incanti ed è chiaro che tale elemento differenziale rischia di venire meno se si accoglie una nozione di danno patrimoniale talmente ampia da ricomprendere anche pregiudizi che di fatto si risolvono nella mera lesione dell’autonomia negoziale e che, in quanto tali, attengono ad un diverso piano d’analisi[30].

 

7.5. Il riferimento al carattere patrimoniale del danno è, quindi, essenziale anche per definire se la perdita di chance possa rilevare ai fini dell’art. 629 c.p. Sul punto, si tratta anzitutto di capire se il delitto di estorsione possa dirsi integrato anche in presenza di un danno cd. indiretto, che non derivi cioè direttamente da un atto dispositivo[31], e, in particolare, nei casi in cui detto danno consista nella perdita di un’aspettativa di conseguire un vantaggio economico[32]. In secondo luogo, laddove si ammetta che il danno dell’estorsione possa consistere nella perdita di un’aspettativa, si tratta di chiarire quale tipo di aspettativa rilevi ai sensi dell’art. 629 c.p. e se tanto una chance seria quanto una mera utilità sperata possano rivestire il carattere della patrimonialità.

A voler seguire l’elaborazione offerta dalla giurisprudenza civile, a sua volta accolta da quella amministrativa, si dovrebbe sostenere il carattere patrimoniale della sola chance “seria”. Soltanto una chance “seria”, infatti, costituisce un’entità patrimoniale a sé stante, la cui perdita dà vita ad un pregiudizio che consiste in un danno concreto e attuale. Tuttavia, l’adozione di questa nozione di chance, da un lato, non consente di giungere ad una definizione univoca di danno patrimoniale, specie in ragione delle difficoltà connesse all’individuazione delle sole chance “serie”, dall’altro, rischia di incidere anche su altri orientamenti giurisprudenziali, che, sempre in materia di estorsione, già danno rilevanza al concetto di aspettativa, senza però attribuirvi connotati particolari in termini di serietà e fondatezza[33].

In definitiva, ritenere che il danno del delitto di estorsione sia integrato anche nel caso di perdita di una mera utilità sperata rischia di tradursi nell’adesione ad una concezione troppo lata di patrimonio. Dall’altro lato, però, includere nella nozione di danno patrimoniale rilevante ai fini dell’art. 629 c.p. soltanto la chance “seria”, in ciò richiamando le conclusioni cui è già giunta la giurisprudenza civile[34], rischia di aprire la strada all’ulteriore problema di elaborare dei criteri che consentano di provare quando, in concreto, una chance è sorretta da una elevata probabilità di successo.

Entrambe le soluzioni si prestano quindi a generare incertezze interpretative, lesive tanto del principio di legalità, sub specie di precisione e determinatezza, quanto dei principi di conoscenza e conoscibilità della legge penale e di prevedibilità delle decisioni, che pure rivestono un rilievo primario, specie nel sistema convenzionale di tutela dei diritti. Non ci resta, perciò, che auspicare un intervento chiarificatore delle Sezioni Unite, che superi i dubbi fin qui messi in luce, a partire da quello riguardante la delimitazione dei confini del concetto di danno di cui all’art. 629 c.p.

 

 

 

[1] Diversamente opinando rispetto ai giudici della cognizione, in precedenza, il Tribunale del riesame aveva invece annullato la misura cautelare disposta per i fatti di causa, assumendo che in un caso di tal genere non fosse integrato il requisito del danno patrimoniale costitutivo del reato di estorsione.

[2] L’elencazione tassativa delle particolari modalità esecutive della condotta che assumono rilevanza penale rende la turbata libertà degli incanti un reato a condotta vincolata, cfr. sul tema R. Pasella, Sub Art. 353 c.p., in Codice Penale Commentato, a cura di E. Dolcini, G.L. Gatta, Wolters Kluwer, 2021, p. 1401. Parte della dottrina sostiene però che si tratti di una fattispecie a forma libera, valorizzando il riferimento all’uso di “altri mezzi fraudolenti” contenuto all’art. 353 c.p., sulla base dell’assunto secondo cui il legislatore avrebbe affidato a tale riferimento la selezione in via residuale di tutte le condotte in concreto idonee a falsare l’esito della gara. Si veda sul punto R. Bartoli, M. Pelissero, S. Seminara, Diritto Penale. Lineamenti di Parte Speciale, Giappichelli, 2021, p. 604.

[3] Sui contorni della nozione di “gara nei pubblici incanti o nelle licitazioni private”, si rinvia a N. Madìa, I “nebulosi” confini della nozione di “gare nei pubblici incanti o nelle licitazioni private” enucleata dall’art. 353 c.p.: tra eccessi “espansionistici” e tendenze “restrittive”, in Cass. pen., 2015, pp. 1362 ss.

[4] Cfr. Cass. pen., Sez. II, 21 aprile 2017, n. 28388, Leo e altri, Rv. 270338-01; Cass. pen., Sez. II, 4 maggio 2018, n. 34746, Porcari e altro, Rv. 273550-01. Si vedano pure Cass. pen., Sez. VI, 21 marzo 2003, n. 25705, CED 225934; Cass. pen., Sez. VI, 12 dicembre 2005, n. 11628, CED 233686; Cass. pen., Sez. VI, 5 aprile 2012, n. 18161, CED 252638; Cass. pen., Sez. VI, 14 ottobre 2016, n. 653, CED 269525; Cass. pen., Sez. VI, 9 novembre 2017, n. 57251, CED 271727.

[5] Cfr. Cass. pen., Sez. VI, 1° marzo 2023, n. 12333, Valentino, Rv. 284572-01; Cass. pen., Sez. VI, 11 marzo 2013, n. 12821, Adami, Rv. 254906-01; Cass. pen., Sez. VI, 24 aprile 2013, n. 28970, Sonn, Rv. 255625-01; Cass. pen., Sez. VI, 27 settembre 2013, n. 41365, Murgolo, Rv. 256276-01. In senso difforme, si veda Cass. pen., Sez. VI, 8 luglio 2014, n. 40304, Libardi, n.m.

[6] Cfr. Cass. pen., Sez. II, 26 gennaio 2006, n. 4925, Piselli, Rv. 233346-01. Sulla natura plurioffensiva del reato di turbata libertà degli incanti si esprime anche ex multis Cass. pen., Sez. VI, 27 marzo 2007, n. 20621, CED 236618, sancendo la possibilità di riconoscere la posizione processuale di parte offesa a tutti coloro che hanno partecipato alla gara. In senso contrario, v. Cass. pen., Sez. VI, 26 febbraio 2013, n. 11031, CED 255724; Cass. pen., Sez. VI, 10 maggio 2017, n. 28266, CED 270321, ove si ritiene che l’unico soggetto passivo del reato di turbata libertà degli incanti sia la p.a., conseguentemente negando che il privato sia legittimato a proporre opposizione avverso la richiesta di archiviazione.

[7] Cfr. R. Pasella, Sub Art. 353 c.p., in Codice Penale Commentato, cit. Più ampiamente sul punto N. Madia, La tutela penale della libertà di concorrenza nelle gare pubbliche, Jovene, 2012, pp. 15 ss.

[8] Sulla natura plurioffensiva del delitto di estorsione, cfr. ex multis C. Baccaredda Boy, Sub Art. 629 c.p., in Codice Penale Commentato, cit.; R. Bartoli, M. Pelissero, S. Seminara, Diritto Penale. Lineamenti di Parte Speciale, cit., p. 354.

[9] La coazione psicologica della vittima è considerata un evento intermedio tra la condotta dell’agente e gli eventi del conseguimento dell’ingiusto profitto con altrui danno. Sul punto C. Baccaredda Boy, S. Lalomia, I delitti contro il patrimonio mediante violenza, in Trattato di Diritto Penale Parte Speciale, diretto da G. Marinucci, E. Dolcini, Cedam, 2010, vol. VIII, p. 569.

[10] Cfr. Cass. pen., Sez. II, 17 novembre 2005, n. 29563, Calabrese, Rv. 234963-01; Cass. pen., Sez. II, 31 marzo 2008, n. 16658, Colucci, Rv. 239780-01, secondo cui il profitto è “qualsiasi vantaggio, non solo di tipo economico, che l’autore intenda conseguire e che non si collega ad un diritto, ovvero è perseguito con uno strumento antigiuridico o con uno strumento legale ma avente uno scopo tipico diverso”. In proposito si cita anche una recente sentenza delle Sezioni Unite che ha confermato un’interpretazione molto ampia dell’elemento dell’ingiusto profitto, ancorché con riferimento al diverso delitto di cui all’art. 624 c.p. (cfr. Cass., Sez. Un., 25 maggio 2023, n. 41570).

[11] Sul punto, ex multis, F. Antolisei, Manuale di Diritto Penale. Parte Speciale, I, XV ed. (aggiornata da C.F. Grosso), Giuffrè, 2008, p. 279.

[12] Cfr. Cass. pen., Sez. VI, 14 ottobre 2016, n. 653, CED 269526.

[13] Cfr. ex multis Cass. pen., Sez. II, 17 marzo 2004, n. 18380, CED 229048.

[14] Cfr. Cass. pen., Sez. II, 27 ottobre 2016, n. 4936, CED 268987; Cass. pen., Sez. II, 17 febbraio 2017, n. 11979, CED 269560. Nella specie, il danno del delitto di estorsione si traduceva in un atto di disposizione patrimoniale consistente nel consegnare una somma di denaro, come compenso dell’astensione dalla partecipazione alla gara ovvero della rinuncia all’aggiudicazione definitiva.

[15] Cfr. Cass. pen., Sez. II, 25 settembre 2003, n. 45625, CED 227157; Cass. pen., Sez. II, 26 gennaio 2006, n. 4925, CED 233346, ove, in particolare, si ritiene che i due reati siano distinguibili sotto il profilo dell’elemento soggettivo; Cass. pen., Sez. II, 27 febbraio 2008, n. 12266, CED 239753; Cass. pen., Sez. II, 25 novembre 2011, n. 44388, a commento della quale si veda A. Ferretti, Avvocato estorce e turba le aste: sì al concorso formale, in Dir. giust., 2011, pp. 375 ss.

[16] Questa tesi pare in realtà essere stata sostenuta da un’unica pronuncia di legittimità, cfr. Cass. pen., Sez. VI, 3 marzo 2004, n. 19607, Del Regno, Rv. 228964-01.

[17] Cfr. Cass. pen., Sez. II, 27 aprile 2016, n. 41433, Caliendo, n.m.; Cass. pen., Sez. V, 16 febbraio 2017, n. 18508, Fulco e altri, Rv. 270209-01.

[18] Cfr. ex multis Cass. civ., Sez. III, 7 agosto 2023, n. 24050, Rv. 668589-01.

[19] Cfr. Cass. civ., Sez. VI, 26 gennaio 2022, n. 2261.

[20] Cfr. ex multis C.d.S., Sez. II, 20 maggio 2019, n. 3217; C.d.S., Sez. VI, 7 febbraio 2002, n. 686.

[21] È quanto sostenuto dalla giurisprudenza prevalente a partire dal 2005, quando si è ritenuto che l’unico criterio utilizzabile per la soluzione del concorso apparente di norme fosse appunto quello di specialità, in quanto maggiormente conforme al principio di legalità (cfr. sul punto Cass., Sez. Un., 20 dicembre 2005, n. 47164).

[22] In tal senso, Cass., Sez. Un., 28 ottobre 2010, n. 1235, che richiede “un confronto strutturale tra le fattispecie astratte, mediante la comparazione degli elementi costitutivi che concorrono a definire le fattispecie stesse”, cfr. sul punto G. Marinucci, E. Dolcini, G.L. Gatta, Manuale di Diritto Penale. Parte Generale, XI ed., 2022, p. 617.

[23] Nello specifico, per ritenere sussistente un rapporto di specialità unilaterale e in astratto tra due norme, si richiede che, in esito ad un raffronto strutturale tra le due fattispecie, tutti gli elementi presenti in una siano altresì richiamati nell’altra, che contiene poi ulteriori elementi specializzanti. Soltanto in queste ipotesi, si ammette l’applicazione di un’unica norma, quella che contiene gli elementi specializzanti e che pertanto si qualifica come norma speciale.

[24] Sulle modalità alternative di aggressione di cui all’art. 353 c.p., si veda G. Donati, La turbata libertà degli incanti tra logiche d’autore e principio di offensività, in questa Rivista, 21 dicembre 2022.

[25] Si pensi, ad esempio, alla questione relativa ai rapporti tra la truffa aggravata ai danni dello Stato e la frode fiscale (cfr. Cass., Sez. Un., 28 ottobre 2010, n. 1235)

[26] Cfr. Cass., Sez. Un., 9 maggio 2001, n. 23427.

[27] Cfr. Cass., Sez. Un., 28 aprile 2020, n. 13178. Per un approfondimento sul punto si veda S. Bernardi, Le Sezioni Unite chiariscono il concetto di “atti di concorrenza” nel delitto di cui all’art. 513-bis c.p., in questa Rivista, 12 maggio 2020.

[28] Cfr. ex multis R. Bartoli, M. Pelissero, S. Seminara, Diritto Penale. Lineamenti di Parte Speciale, cit.; C. Baccaredda Boy, S. Lalomia, I delitti contro il patrimonio mediante violenza, cit.

[29] V. sul punto C. Baccaredda Boy, S. Lalomia, I delitti contro il patrimonio mediante violenza, cit.

[30] Si pensi al concetto di danno in re ipsa elaborato in tema di estorsione cd. contrattuale (cfr. Cass. pen., Sez. VI, 14 marzo 2001, n. 10463, richiamata da C. Baccaredda Boy, S. Lalomia, I delitti contro il patrimonio mediante violenza, cit., p. 580).

[31] Cfr. sul punto F. Antolisei, Manuale di Diritto Penale. Parte Speciale, cit.; C. Baccaredda Boy, S. Lalomia, I delitti contro il patrimonio mediante violenza, cit., nonché R. Bartoli, M. Pelissero, S. Seminara, Diritto Penale. Lineamenti di Parte Speciale, cit., p. 359.

[32] In tal senso, sembra già orientata la giurisprudenza di legittimità quando ammette la connotazione patrimoniale del danno derivato dalla condotta estorsiva nei casi in cui detta condotta sia diretta ad ottenere la desistenza dall’esercizio di un’azione giudiziaria (cfr. ex multis Cass. pen., Sez. II, 12 luglio 2013, n. 43769, Ventimiglia, Rv. 257303-01) ovvero la rinuncia ad un’aspettativa nell’ambito di rapporti di lavoro (cfr. ex multis Cass. pen., Sez. II, 20 febbraio 2019, n. 8477, Scialpi, Rv. 275613-01; in senso difforme, Cass. pen., Sez. II , 04 ottobre 2018 , n. 21789).

[33] Si rinvia a quanto richiamato alla nota precedente.

[34] Questa soluzione, del resto, sembrerebbe essere imposta, trattandosi di nozione di derivazione privatistica, cfr. sul punto Cass., Sez. Un., 25 maggio 2011, n. 37954, Orlando, Rv. 250975-01.