Il detto “menare l’orso a Modena”, ancora oggi diffuso a cavallo tra Emilia e Toscana, sta a indicare un’impresa ardua, ai limiti dell’impossibile. Si riferisce all’impegno che, nel 1451, i contadini della Garfagnana assunsero nei confronti della Casa d’Este: condurre ogni anno a piedi un orso vivo a Modena attraversando gli Appennini, in cambio della facoltà di usufruire di talune zone boschive. Un compito talmente difficile da imporre ben presto che la consegna dell’orso venisse sostituita con la ben più agevole consegna di un cinghiale. Cfr. M. Quartu-E. Rossi, Dizionario dei modi di dire della lingua italiana, Milano, 2012.
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1. Il tema del populismo penale, ossia di un «diritto penale finalizzato al […] perseguimento di obiettivi politici a carattere populistico»[1], riceve ormai da tempo grande attenzione nella letteratura penalistica e criminologica e ha stimolato riflessioni ampie e approfondite[2].
È stato rilevato, in particolare, come la politica, per incrementare la propria popolarità, sfrutti e alimenti la tendenza della società a considerare «la giurisdizione penale come unico terreno di governo del Paese»[3].
Ciò è reso possibile principalmente da due caratteristiche specifiche del diritto penale. La prima è quella di essere naturalmente in grado, specie nel momento in cui si manifesta in forme eccezionali e smodate, di coagulare attorno a sé «un iperconsenso, anche spontaneo»[4] da parte del corpo sociale. La seconda è quella di essere un ottimo «strumento di autorappresentazione politica», che «ben si presta a mettere in scena risposte rassicuranti ad emozioni e paure, alla paura del crimine, a bisogni di sicurezza e di pena (o di vendetta?)»[5].
Queste funzioni, naturalmente, sono ancor più efficienti in un periodo storico come il nostro, che la letteratura criminologica condivisibilmente ritiene caratterizzato da forme, ampiamente irrazionali[6], di insicurezza sociale e di paura della criminalità[7].
La strumentalizzazione del diritto penale a finalità di consolidamento del consenso sociale per la classe politica, anziché ad equilibrati obiettivi di politica criminale, si traduce in un diritto penale populistico che «è per sua natura antiscientifico, in quanto alimentato esclusivamente dagli umori e dagli istinti della massa; è conflittuale, perché vive di contrapposizioni tra una comunità e i suoi nemici interni ed esterni; è ondivago, giacché l’assenza di contenuti vincolanti e di valori di riferimento consente continui mutamenti di opinioni e convinzioni; è semplificativo all’estremo, poiché si fonda su postulati elementari e indimostrati, che devono restare tali perché altrimenti si esporrebbero all’accusa di intellettualismo»[8].
2. Nonostante il comprensibile tentativo di coniare definizioni più ristrette del concetto di “populismo penale”[9], esso appare utile, a fini scientifici, anche se mantenuto all’interno di questa sua dimensione più ampia, nella quale si collocano tutte quelle scelte di politica criminale o di politica giudiziaria che mirano a carpire il consenso popolare attraverso forme di rassicurazione collettiva, anziché a tutelare, in maniera razionale, proporzionata ed effettiva, dei beni giuridici di rilevante valore.
La legislazione penale populistica, così sommariamente descritta, possiede alcune caratteristiche che ne connotano l’essenza.
In primo luogo, origina sovente da fatti di cronaca scatenanti che, amplificati dai mass-media, fungono da propulsore di un intervento politico-criminale presentato come salvifico[10].
In secondo luogo, è sospinta dal viatico di alcuni sentimenti particolarmente forti, come la rabbia, la paura e il disgusto, i quali non solo la legittimano, ma ne condizionano anche le modalità espressive a livello linguistico[11].
In terzo luogo, punta ad effetti immediati di soddisfazione e rassicurazione sociale[12], preoccupandosi solo dei benefici politici di chi la implementa e non dei costi che essa genera in termini di lesione dei diritti, squilibrio del sistema penale, irrazionalità complessiva delle scelte, sgrammaticature dogmatiche delle norme introdotte.
In quarto luogo, identifica molto spesso dei nemici o dei capri espiatori, meglio se già odiati dal popolo sulla base di pregressi giudizi o pregiudizi[13].
In quinto luogo, soprattutto, introduce, il più delle volte, fattispecie penali che posseggono due caratteristiche alternative: o si tratta di norme estremamente dure e repressive, che, in maniera del tutto sproporzionata e sorda ai principi costituzionali del diritto penale, invocano la “tolleranza zero”, il “buttare la chiave”, così compiacendo i più crudi impulsi retributivi e vendicatori che sono diffusi nel corpo sociale[14]; o si tratta, al contrario, di norme simboliche, tendenzialmente ineffettive[15], prive di un reale enforcement, che svolgono una funzione meramente espressiva, rassicurando i membri del corpo sociale circa il fatto che il legislatore “è dalla loro parte”, che è impegnato nella preservazione dei valori condivisi[16] e che lo fa, addirittura, con lo strumento più affilato tra le sue mani, ossia – appunto – il diritto penale[17].
Volendo sintetizzare, la prima forma di diritto penale populistico, quella irrazionalmente repressiva, richiama alla mente la celebre frase di Todorov, secondo cui «la paura dei barbari è ciò che rischia di renderci barbari»[18]; la seconda forma invece, quella del diritto penale simbolico, sembra riecheggiare il pensiero di Fassin, secondo il quale il diritto «servirebbe a tenere sotto controllo gli impulsi alla crudeltà: il logos che sublima la hybris, in qualche modo»[19].
3. Ora, quello del populismo penale è un vizio che la politica criminale manifesta ormai da tempo e che, nel corso degli anni, è andato purtroppo peggiorando, legandosi al fenomeno della «sanzionorrea», ben illustrato da Gabrio Forti[20]. La guerra condotta dalla dottrina penalistica contro questa degenerazione del sistema penale è imperitura e risulta, purtroppo, talmente ardua da apparire destinata al fallimento. Ardua e fallimentare come il compito che, nel 1451, assunsero i contadini della Garfagnana e che viene evocato nel proverbio che dà il titolo a queste note.
Questo curioso episodio storico viene qui ricordato non solo perché descrive metaforicamente l’ardua lotta al populismo penale che la dottrina quotidianamente conduce, ma anche perché una fattispecie penale recentemente introdotta, avente ad oggetto proprio gli orsi (marsicani), costituisce l’ennesimo banco di prova di questo scontro ideologico.
Ci si riferisce a un’ipotesi contravvenzionale, prevista dall’art. 6-bis del decreto-legge 10 agosto 2023, n. 105 (“recante disposizioni urgenti in materia di processo penale, di processo civile, di contrasto agli incendi boschivi, di recupero dalle tossicodipendenze, di salute e di cultura, nonché in materia di personale della magistratura e della pubblica amministrazione”), definitivamente approvato dal Parlamento lo scorso 4 ottobre 2023, ma non ancora pubblicato in Gazzetta Ufficiale[21].
Si può, allora, passare a esaminare il testo legislativo introdotto, non prima di avere evidenziato la (ormai comune) stravaganza contenutistica della norma rispetto al tema del decreto-legge. Il contrasto agli “incendi boschivi” e il fatto che gli orsi stiano normalmente nei boschi sembra, infatti, essere l’unico collegamento tra la rubrica della legge e la norma in discussione.
In particolare, dopo la lettera c) del comma 1 dell’articolo 30 della legge 11 febbraio 1992, n. 157, viene inserita una lettera c-bis), nella quale si prevede «l’arresto da sei mesi a due anni e l’ammenda da euro 4.000 a euro 10.000 per chi abbatte, cattura o detiene esemplari di orso bruno marsicano (Ursus arctos marsicanus)».
In questo modo, il legislatore prevede per l’orso marsicano pene triple rispetto a quelle previste per la generalità degli animali protetti (lett. b) e doppie rispetto a quelle previste per l’orso (in generale), per lo stambecco, per il camoscio d’Abruzzo e per il muflone sardo (lett. c).
4. Una breve analisi permette di capire come questa nuova fattispecie penale vada ad arricchire il già ampio arsenale del populismo penale, sub specie di norma simbolica del tutto ineffettiva.
In primo luogo, è addirittura dichiarato dal proponente il collegamento tra l’introduzione della norma e un recente fatto di cronaca, che ha ricevuto ampia eco mediatica[22]. Ci si riferisce all’uccisione con un colpo di fucile, a San Benedetto dei Marsi in Abruzzo, di un’orsa marsicana, chiamata “Amarena”[23].
In secondo luogo, la nuova incriminazione è chiaramente sostenuta da sentimenti di rabbia e disgusto, che tendono a essere realmente collettivi. Diversamente dalle istanze provenienti da talune ideologie animaliste, che mirano alla protezione di ogni animale con approccio apertamente antispecista[24] e che sono pertanto settoriali e condivise da una più o meno ampia minoranza dei cittadini, le istanze di tutela nei riguardi degli animali che suscitano sentimenti come l’affetto, la tenerezza e la compassione ricevono un livello di condivisione molto più elevato. In questo senso, il caso dell’orso risulta emblematico, poiché nei confronti di questo animale esiste una benevolenza collettiva, in parte accentuata dalla “peluchizzazione” culturale e cinematografica che costantemente riceve un animale che talvolta, come d’altronde moltissimi animali secondo natura, può divenire feroce e pericoloso per l’uomo[25]. Banalizzando, sarebbe stata molto meno popolare una fattispecie penale posta a tutela di una specie di serpente o di ratto.
In terzo luogo, la fattispecie punta, almeno nelle intenzioni (come vedremo, irrealizzate) dei proponenti, ad approntare, con immediatezza, una reazione penale “forte” nei confronti di un tipo d’autore ben identificato, ossia del nemico rappresentato da colui che disconosce i valori della vita, della salute e della libertà degli animali. Una reazione destinata a rassicurare la collettività sul fatto che l’attuale potere politico è sensibile al tema della tutela del benessere degli animali stessi.
La portata populistica della fattispecie, peraltro, si apprezza principalmente analizzando l’ultimo requisito, che ancora deve essere discusso. Quanto detto, sinora, infatti, potrebbe semplicemente disvelare una reazione meritoria del Governo e del Parlamento, i quali, a fronte di un fenomeno criminale ritenuto grave, approntano le necessarie contromisure penalistiche.
A contraddire questa ipotesi e ad aprire le porte del diritto penale populistico sta il fatto che la fattispecie in discussione, a un’analisi più attenta, si rivela meramente simbolica, priva di un reale campo di operatività e caratterizzata da evidenti incoerenze sistematiche e politico-criminali[26].
Il discorso deve necessariamente essere sintetizzato, evidenziando le più significative conferme della tesi qui avanzata.
5. Partendo dai problemi di coerenza politico-criminale, stupisce come, a fronte della declamata “emozione”, suscitata dall’uccisione dell’orsa “Amarena”, si sia deciso di intervenire sulla legge n. 157/92 in materia di caccia, ossia su una delle leggi più retrograde in materia di animali, la quale non assegna alcun valore all’animale in quanto tale, ma nasce per proteggere «quel particolare e circoscritto aspetto dell’ordine pubblico che è costituto dall’ordine venatorio»[27]. Si è persa, così, l’ennesima occasione per intervenire sulla disciplina codicistica (art. 544-bis ss. c.p.), soprattutto chiarendo, una volta per tutte, quello che in molti Paesi europei è già stato chiarito[28], ma che in Italia, sulla base della legislazione attuale, è sostenuto soltanto dalla dottrina minoritaria, ossia che l’animale è un essere senziente e che il diritto penale tutela non già il sentimento umano di pietà nei suoi confronti[29], ma l’animale “in quanto tale”[30].
Questo tradizionale (e incoerente a livello politico-criminale) fuoco di tutela riceve una duplice conferma nel dettato legislativo. In primo luogo, viene impostata un’equivalenza, altrimenti inspiegabile, tra l’uccisione e la cattura dell’animale, che vengono punite con una sanzione identica, nonostante si tratti di lesioni totalmente diverse se inquadrate nella prospettiva della tutela dell’animale. In secondo luogo, viene raddoppiata con la nuova lett. c-bis), rispetto all’orso marsicano, la pena già prevista alla lett. c) per l’orso in generale; si tratta di una scelta, criticata persino dalle associazioni animaliste[31], che discrimina tra sottospecie di ursidi e che si spiega solo sulla base delle riflessioni relative all’asserito livello di minaccia, cui va incontro la sottospecie[32].
Venendo, poi, al tema della sostanziale ineffettività della fattispecie, si può partire da un punto certo: la fattispecie introdotta in nulla avrebbe modificato, se preesistente, il trattamento giuridico del caso sulla base del quale essa è stata elaborata.
Rispetto all’uccisione evidentemente volontaria (e, dunque, naturalisticamente dolosa) dell’orsa Amarena, infatti, si danno esclusivamente due possibilità. O l’uccisione è giustificata da necessità di difesa, con conseguente perdita del carattere dell’antigiuridicità; circostanza che porterebbe all’assoluzione dello sparatore, tanto applicando la legge sulla caccia, quanto applicando l’art. 544-bis c.p. O l’uccisione non è giustificata e allora la fattispecie principale applicabile sarebbe, comunque, il più grave delitto di cui all’art. 544-bis c.p., che punisce chi cagiona, senza necessità, la morte di un animale e che – non a caso – è stato ipotizzato dalla Procura di Avezzano nel caso dell’orsa Amarena.
Da quest’ultimo punto di vista, infatti, deve essere ricordato come l’art. 19-ter disp. att. c.p. escluda l’applicabilità delle norme del c.p., in favore di quelle previste dalla leggi speciali in materia (tra l’altro) di caccia, solo nel caso in cui venga per intero rispettata la stessa disciplina speciale[33]; circostanza che nel caso di specie non potrebbe, comunque, dirsi avverata, essendo la caccia all’orso vietata.
Il delitto di uccisione di animale, essendo più grave[34], diverrebbe, in definitiva, onnivoro e assorbente, anche rispetto alla nuova contravvenzione.
6. Peraltro, in estremo subordine, le cose non cambierebbero nemmeno se si ritenesse sussistente un concorso di reati, anziché un concorso apparente di norme. In questo caso, infatti, la differenza di pena tra la vecchia lett. c) (che protegge l’orso in generale) e la nuova lett. c-bis) (che protegge l’orso marsicano) dell’art. 30 l. n. 157/92 verrebbe, di fatto, neutralizzata dalla circostanza che esse inciderebbero, parimenti, quale semplice aumento discrezionale sulla pena prevista per il reato più grave (ossia quello di cui all’art. 544-bis c.p.), ai sensi dell’art. 81 co. 1 c.p.
Ad onor del vero, va detto come un minimo spazio applicativo possa residuare. La nuova lett. c-bis), in particolare, potrebbe determinare un lieve aumento della pena rispetto a ipotesi connotate dalla colpa (e perciò immuni rispetto alla fattispecie delittuosa di cui all’art. 544-bis c.p.), come ad esempio nel caso di involontaria uccisione di un orso marsicano durante la caccia ad animali consentiti. Non può sottacersi, peraltro, come questo esito non faccia che confermare la natura populistica della norma. In primo luogo, infatti, queste conseguenze sanzionatorie si collocherebbero del tutto al di fuori del paradigma criminologico colpito dagli intenti che il legislatore ha comunicato alla collettività, al fine di ottenere il consenso popolare. In secondo luogo, poi, anche questa residuale ipotesi, di carattere puramente teorico, appare connotata dall’ineffettività tipica del diritto penale simbolico, se è vero che, nei repertori di giurisprudenza, non si ha notizia di sentenze relative a casi di contravvenzioni in materia di caccia contestate a titolo di colpa[35]. In terzo luogo, infine, se anche mai questa ipotesi si verificasse, si tratterebbe, prendendo come riferimento il minino edittale, di un aumento di tre mesi di arresto e 3.000 euro circa di ammenda, ossia un aumento sostanzialmente irrilevante rispetto alle conseguenze concrete che deriverebbero dall’applicazione di una semplice contravvenzione.
7. Rispetto agli scopi dichiarati, in definitiva, la nuova fattispecie appare totalmente simbolica: rassicura, infatti, la collettività promettendo istanze repressive che non può, in alcun modo, mantenere. Chi legge le notizie di stampa pensa che la fattispecie, rispetto a casi di uccisione di orsi marsicani analoghi al “caso Amarena”, introduca una tutela penale prima assente, oppure, al limite, che renda effettiva o comunque inasprisca la tutela già esistente. Si tratta di convinzioni legittimamente maturate, che si basano, tuttavia, sulla fiducia mal riposta nei confronti del legislatore penale. Ancora una volta, infatti, sembra che il legislatore, coniando questa norma «effecto absoluta» si sia detto: «non costa nulla, male che vada non produrrà nulla»[36].
In chiusura, giova ricordare che quella denunciata in queste note resta la forma meno pericolosa di populismo. La fattispecie non avrà, di fatto, alcun effetto sul sistema penale. Essa – potrebbe dirsi – rappresenta un problema più sociologico e politologico che non penalistico. Nulla a che vedere, in definitiva, con le norme iper-repressive, che costruiscono nemici e generano capri espiatori. È contro queste ultime, più che altro, che merita di essere portata avanti la difficile guerra di posizione che la dottrina da sempre conduce.
[1] G. Fiandaca, Populismo politico e populismo giudiziario, in Criminalia, 2013, p. 97.
[2] In argomento nella letteratura italiana, E. Amati, L’enigma penale. L'affermazione politica dei populismi nelle democrazie liberali, Torino, 2020; L. Violante, Populismo e plebeismo nelle politiche penali, in Criminalia, 2014, p. 197 ss.; G. Fiandaca, Populismo politico e populismo giudiziario, cit., p. 95 ss.; D. Pulitanò, Populismi e penale. Sull’attuale situazione spirituale della giustizia penale, in Criminalia, 2013, p. 123 ss.; V. Manes, Diritto penale no-limits. Garanzie e diritti fondamentali come presidio per la giurisdizione, in Quest. giust., 2019. Nella letteratura anglosassone, si vedano, ex plurimis, D. Garland, La cultura del controllo: crimine e ordine sociale nel mondo contemporaneo, Milano, 2007; N. Lacey, Populism and the Rule of Law, in 15 Annu. Rev. Law Soc. Sci., 2019, p. 79 ss.; J. Pratt, Penal Populism, London-New York, 2007.
[3] L. Violante, Populismo e plebeismo nelle politiche penali, cit., p. 199.
[4] C.E. Paliero, Consenso sociale e diritto penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1992, p. 887.
[5] D. Pulitanò, Populismi e penale, cit., p. 125.
[6] Sulle statistiche che illuminano il rapporto tra insicurezza effettiva e insicurezza percepita cfr. S. Curti, Criminologia e sociologia della devianza. Un’antologia critica, 3a ed., Milano, 2020, p. 233 ss.
[7] In tema, per tutti, R. Cornelli, Paura e ordine nella modernità, Milano, 2008; A. Ceretti-R. Cornelli, Oltre la paura. Cinque riflessioni su criminalità, società e politica, Milano; R. Bianchetti, La paura del crimine. Un'indagine criminologica in tema di mass media e politica criminale ai tempi dell'insicurezza, Milano, 2018; Z. Bauman, Il disagio della postmodernità, Milano, 2002, passim e spec. p. 26 ss.; J. Simon, Il governo della paura, Milano, 2007, passim e spec. p. 28 ss.; D. Zolo, Sulla paura. Fragilità, aggressività, potere, Milano, 2011, passim e spec. p. 74 ss.; C. Bordoni, Stato di paura, Roma, 2016, p. 129 ss.
[8] S. Seminara, Consenso sociale, populismo e diritto penale, in Giustizia insieme, 10 giugno 2020.
[9] R. Cornelli, Contro il panpopulismo. Una proposta di definizione del populismo penale, in Dir. pen. cont.-Riv. trim., 2019, p. 132 ss.
[10] M. Bertolino-G. Forti (a cura di), La televisione del crimine, Milano, 2005, passim.
[11] Sul punto, per tutti, C. de Maglie, Il rifiuto dell’alterità: il ruolo del disgusto nelle scelte di politica criminale, in Studi in onore di Carlo Enrico Paliero, Vol. I, Milano, 2022, p. 45 ss.
[12] D. Garland, La cultura del controllo, cit., p. 58.
[13] La letteratura sul tema è sconfinata. Per un inquadramento della nozione di “diritto penale del nemico” cfr., ex plurimis, T. Padovani, Diritto penale del nemico, Pisa, 2014; M. Donini, Diritto penale di lotta VS. diritto penale del nemico, in R. E. Kostoris-R. Orlandi (a cura di), Contrasto al terrorismo interno e internazionale, Torino, 2006, p. 19 ss.; Id., Il diritto penale di fronte al “nemico”, cit., p. 735 ss.; Id., Diritto penale di lotta. Ciò che il dibattito sul diritto penale del nemico non deve limitarsi a esorcizzare, in Studi sulla questione criminale, 2, 2007, p. 55 ss.; F. Mantovani, Il diritto penale del nemico, il diritto penale dell’amico, il nemico del diritto penale e l’amico del diritto penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2007, p. 470 ss.; D. Pulitanò, Lo sfaldamento del sistema penale e l’ottica amico-nemico, in Quest. giust., 2006, p. 740 ss.; L. Ferrajoli, Il “diritto penale del nemico” e la dissoluzione del diritto penale, in Quest. giust., 2006, p. 797 ss.; G. Losappio, Diritto penale del nemico, diritto penale dell'amico, nemici del diritto penale, in Ind. pen., 2007, p. 51 ss.; E. R. Zaffaroni, Alla ricerca del nemico: da Satana al diritto penale cool, in E. Dolcini-C. E. Paliero (a cura di), Studi in onore di Giorgio Marinucci. I. Teoria del diritto penale. Criminologia e politica criminale, Milano, 2006, 757 ss.; ID., El enemigo en el derecho penal, Madrid, 2006.
[14] Sul «bisogno di punire» e sul «paradigma vendicatorio» della pena, per tutti, C. E. Paliero, Il sogno di Clitennestra: mitologie della pena. Pensieri scettici su modernità e archeologia del punire, in Riv. it. dir. proc. pen., 2018, p. 447 ss. e spec. p. 505 ss. Vd. anche, da ult., R. Bartoli, Giustizia vendicatoria, giustizia riparativa, costituzionalismo, in Studi in onore di Carlo Enrico Paliero, Vol. II, Milano, 2022, p. 527 ss.
[15] Sul concetto di effettività vd., per tutti, C.E. Paliero, Il principio di effettività del diritto penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1990, p. 430 ss. A p. 437 l’Autore spiega come il concetto di “effettività” abbia senso solo a condizione «che il diritto penale sia concepito come strumento di controllo sociale, non come criterio di affermazione rituale, “sanzione” in senso etimologico, di valori etici, religiosi, o anche soltanto ideologici. In questa seconda ipotesi, infatti, il problema dell’effettività non si porrebbe nemmeno».
[16] Nella propria ricostruzione (C.E. Paliero, Il principio di effettività del diritto penale, cit., p. 539) Paliero, richiamando Kindermann, definisce questo tipo di legislazione come «legislazione penale simbolica-alibi», volta «non a tutelare realmente i beni giuridici di una collettività, ma “a rafforzare la fiducia dei consociati nel governo in carica o più in generale nello Stato (...): il cittadino deve avere la sensazione che ‘i responsabili’ hanno ‘la situazione in pugno’ e, se questo non è proprio il caso, ut aliquid fieri videatur”».
[17] Sulla legislazione penale simbolica vd. ancora C.E. Paliero, Il principio di effettività del diritto penale, cit., p. 537 ss. Inoltre, sull’uso simbolico del diritto penale e sulla differenza tra diritto penale “simbolico” e diritto penale “promozionale” o “trasformativo” cfr. A Corda, The Transformational Function of the Criminal Law: in Search of Operational Boundaries, in 23 New Crim. Law Rev., 2020, p. 609 ss. e la bibliografia ivi citata. L’Autore esclude espressamente il diritto penale simbolico dalle forme lecite di promozione di determinati valori sociali attraverso il diritto penale. Nella letteratura italiana, cfr. anche, ex plurimis, A. Baratta, Funzioni strumentali e funzioni simboliche del diritto penale. Lineamenti di una teoria del bene giuridico, in Studi in memoria di Giovanni Tarello, vol. II, Milano, 1989, p. 19 ss.; S. Bonini, Quali spazi per una funzione simbolica del diritto penale?, in Ind. pen., 2003, p. 491 ss.; F. Schiaffo, Le minime ragioni della legislazione penale simbolica: la criminalità mediata, in Crit. dir., 2010, p. 127 ss.; AA.VV., La società punitiva, populismo, diritto penale simbolico e ruolo del penalista, in Dir. pen. cont., 21 dicembre 2016.
[18] T. Todorov, La paura dei barbari. Oltre lo scontro delle civiltà, Milano, 2009, p. 16.
[19] D. Fassin, Punire. Una passione contemporanea, Milano, 2018, Cap. II.
[20] G. Forti, La cura delle norme. Oltre la corruzione delle regole e dei saperi, Milano, 2018, pp. 124, 134 s., che mostra la crisi di effettività dell’attuale sistema penale e l’affievolimento della sua forza normativa dipendano tanto dalla «sanzionorrea» del nostro ordinamento giuridico, quanto dalla successiva divaricazione tra sanzione minacciata e sanzione eseguita.
[21] Sul d.l. 105/23 cfr. F. Lazzeri, Convertito in legge, con modificazioni, il d.l. 105/23: novità in materia di intercettazioni, incendio boschivo, ambiente e 231, in questa Rivista., 5 ottobre 2023.
[22] Si leggono a p. 27 s. delle trascrizioni della seduta del 21 settembre 2023 delle Commissioni Riunite I (Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni) e II (Giustizia) le seguenti parole dell’on. Pagano, firmatario dell’emendamento che ha introdotto la fattispecie in discussione: «In accordo con il presidente della regione Abruzzo, dopo l'emozione suscitata dall'uccisione dell'orsa Amarena, ha quindi deciso di presentare la proposta emendativa in esame che volta ad aumentare le pene nel caso di abbattimento, cattura o detenzione di esemplari di orso bruno marsicano, introducendo questa sottospecie di orso bruno – che si ciba prevalentemente di miele e di ciliegie e che ha un carattere non aggressivo – come specie a sé stante tra quelle protette».
[23] Il fatto è riportato sostanzialmente da tutte le testate giornalistiche in data 1° settembre 2023.
[24] Il termine specismo viene introdotto nel dibattito negli Anni Settanta dallo psicologo britannico Richard Ryder, che lo modella sulle nozioni tradizionali di razzismo, sessismo ecc. (cfr. R. D. Ryder, Victims of Science. The Use of Animals in Research, 2nd ed., London, 1983, p. 1 ss. e spec. p. 5: «uso il termine ‘specismo’ per descrivere la discriminazione che è praticata dall’uomo nei confronti delle altre specie e per tracciare un parallelismo con il razzismo. Specismo e razzismo sono entrambe forme di pregiudizio che si basano sulle apparenze».
[25] Il fenomeno dell’eccessiva umanizzazione degli animali è stato esplorato dalla letteratura filosofica specialmente in relazione agli animali domestici. Si veda, ex plurimis, T. GAZZOLO, Diritto e divenire-animale, in Pol. dir., 2012, p. 713: «non c’è alcuna “liberazione” dell’animale, del “divenire-animale”. Al contrario, c’è piuttosto un sempre ininterrotto “divenire-uomo”, una “ominizzazione” dell’animale: l’animale è un oggetto familiare, a cui ci si rivolge con affetto, confidenza. L’animale viene privato di animalità, per divenire un semplice oggetto luttuoso, «emozionale», un “oggetto d’affezione”. Il diritto non tutela l’animale, ma la persona che ha “addomesticato” l’animale entro un rapporto umano».
[26] Va segnalato subito come nessuno dei temi in seguito trattati sia preso in considerazione dal Dossier del Servizio Studi di Senato e Camera, relativo al d.l. 105/23 e reperibile in Sist. pen., 5 ottobre 2023.
[27] G. D. PISAPIA, Esercizio abusivo di caccia e sua repressione penale, in Riv. it. dir. pen., 1941, p. 89.
[28] Da ult., a seguito del riconoscimento del principio di tutela del benessere animale sancito dall’Articolo 13 TFUE e dopo i precedenti legislativi di Regno Unito, Germania, Francia, Portogallo e altri Paesi, è intervenuta la Spagna con le leggi n. 17/2021 e 3/2023, rispettivamente in ambito civile e penale, le quali riconoscono un nuovo statuto giuridico degli animali come esseri viventi dotati di sensibilità ed estendono la tutela penale precedentemente limitata agli animali domestici.
[29] Espongono questa tesi maggioritaria, tra gli altri, F. D’Alessandro, sub art. 544-ter c.p., in Commentario breve al codice penale, 6a ed., a cura di Forti-Seminara-Zuccalà, Padova, 2017, p. 1777; V. Napoleoni, sub art. 544-bis, in Codice penale. Rassegna di giurisprudenza e di dottrina, a cura di Lattanzi-Lupo, Vol. IV, Libro II, Milano, 2022, p. 1450; G.L. Gatta, sub art. 544-bis c.p., in Codice Penale Commentato, 5a ed., diretto da Dolcini-Gatta, Vol. III, Milano, 2021, p. 591.
[30] Sul punto sia consentito il rinvio a F. Fasani, L’animale come bene giuridico, in Riv. it. dir. proc. pen., 2017, p. 710 ss. Condividono questa tesi minoritaria C. RUGA RIVA, Il “sentimento per gli animali”: critica di un bene giuridico (troppo) umano e (comunque) inutile, in Leg. pen. (web), 13 maggio 2021; ID., Killing me softly. Quale è il bene giuridico tutelato nella fattispecie di maltrattamento di animali?, in www.lexambiente.it - RTDPA, 4, 2020, p. 79 ss. Per una soluzione simile cfr. anche A. MASSARO, I reati “contro gli animali” tra aspirazioni zoocentrichee ineliminabili residui antropocentrici, in Cultura e diritti, 1/2, 2018, p. 83 s.
[31] Si veda il comunicato del 27 settembre 2023 dell’Ente Nazionale Protezione Animali (ENPA) all’indirizzo internet http://www.enpa.it/it/91911/cnt/i-fatti/uccisione-orsi-inasprimento-sanzioni-enpa-misure-d.aspx.
[32] Il dato è indirettamente confermato dall’approfondimento sugli orsi bruni marsicani contenuto nel già citato Dossier del Servizio Studi di Senato e Camera (retro, nt. 28).
[33] Su questo complesso punto sia consentito il rinvio, anche per i riferimenti dottrinali e giurisprudenziali, a F. Fasani, La selezione e la graduazione dell’ingiusto nella tutela penale degli animali. Tecniche normative e bilanciamento degli interessi politico-criminali, in Jus-Online, 5/2020, p. 129 ss.
[34] Al di là della curiosa, quanto incongruente, circostanza che la pena detentiva della nuova contravvenzione appaia più elevata rispetto a quella del delitto codicistico (da 6 mesi a 2 anni di arresto la contravvenzione; da quattro mesi a due anni di reclusione il delitto), non può essere scordato che il delitto, per giurisprudenza pacifica è sempre da ritenere più grave della contravvenzione, poiché «il giudizio di maggior gravità discende direttamente dalle scelte del legislatore» (Cass. pen., Sez. II, sent. n. 49007 del 16 settembre 2014).
[35] Esiste, invero, una sentenza della Corte di Cassazione che riconosce un’ipotesi di esercizio illegale della caccia a titolo di colpa. In quel caso, peraltro, l’errore riguardava la determinazione dei confini territoriali di un parco nazionale (Cass. pen., Sez. III, sent. n. 5489 del 26 gennaio 2005, in C.E.D. Cassazione).
[36] C.E. Paliero, Il principio di effettività del diritto penale, cit., p. 443.