Cass., sez. VI pen., 17 gennaio 2023-13 marzo 2023, n. 10684, Pres. Di Stefano, Rel. De Amicis, ric. Del Gaudio.
*Contributo pubblicato nel fascicolo n. 5/2023.
1. La confisca allargata – oggi prevista dall’art. 240-bis c.p., in precedenza dall’art. 12-sexies del d.l. n. 306/1992, conv. in l. 356/1992 – è un’ipotesi speciale di confisca obbligatoria, la cui applicazione si fonda essenzialmente su tre requisiti legali: i) la condanna o il patteggiamento per uno dei reati elencati all’art. 240-bis c.p.: c.d. reati-spia; ii) la titolarità o la disponibilità a qualsiasi titolo, anche per interposta persona fisica o giuridica, di denaro, beni o altra utilità in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica; iii) la mancata giustificazione da parte del condannato della provenienza lecita di quella ricchezza.
Nella sentenza in commento, la Cassazione ha avuto modo di ribadire e precisare il ruolo di un ulteriore requisito non scritto, quello della ragionevolezza temporale, in forza del quale il momento dell’acquisto di valore sproporzionato al reddito o all’attività svolta non deve essere eccessivamente distante dall’epoca di realizzazione del reato-spia.
L’occasione è stata fornita da un processo per induzione indebita ex art. 319-quater c.p. (che rientra espressamente tra i reati-spia di cui all’art. 240-bis c.p.) a carico di un funzionario pubblico operante nel settore edilizio: i giudici di legittimità hanno potuto declinare alcuni recenti approdi giurisprudenziali in tema di confisca allargata nelle peculiari dinamiche dei reati contro la P.A., esplicitando altresì quali oneri motivazionali siano posti a carico dei giudici di merito.
Ripercorreremo di seguito il contenuto della sentenza (infra, §§ 2-8), svolgendo infine alcune considerazioni volte ad apprezzarne la collocazione nel quadro di un diritto vivente che da tempo coinvolge, oltre alla Corte di cassazione, anche la Corte costituzionale, la Corte europea dei diritti dell’uomo e il legislatore dell’Unione europea (infra, §§ 9-14).
2. Brevemente i fatti da cui origina la pronuncia. Con sentenza del Tribunale di Torre Annunziata, poi confermata dalla Corte d’appello di Napoli, un funzionario capo dell’ufficio di edilizia privata del settore urbanistico del Comune di Castellammare di Stabia è stato condannato per il reato di induzione indebita di cui all’art. 319-quater c.p. alla pena di quattro anni di reclusione, all’interdizione dai pubblici uffici per cinque anni, al risarcimento dei danni in favore del Comune. Con la stessa pronuncia è stata applicata nei suoi confronti la confisca allargata di quanto in sequestro ai sensi dell’art. 240-bis c.p.
Sebbene il reato di induzione indebita oggetto di condanna risultasse commesso nel 2014, la misura ablatoria patrimoniale è stata rivolta a cespiti del condannato acquisiti sin dal 2000, in ragione della valorizzazione di profili attinenti sia alla qualifica soggettiva di pubblico ufficiale rivestita dall’imputato, sia a alla ritenuta natura non episodica ed occasionale del reato contestato.
3. Avverso tale pronuncia hanno proposto ricorso in Cassazione i difensori dell’imputato, censurando – tra l’altro – violazioni di legge e vizi della motivazione in relazione alla sussistenza dei presupposti per l’applicazione della confisca allargata. Nel ricorso si lamenta una non corretta determinazione del valore del patrimonio sequestrato e della ritenuta sproporzione, sotto plurimi profili, tra cui in particolare:
- che l’imputato avrebbe assunto a tempo pieno la funzione pubblica oggetto della contestazione solo nel 2010, avendo in precedenza svolto attività libero-professionale e di gestione patrimoniale-finanziaria, con il progressivo accumulo di una notevole capacità reddituale, del tutto idonea a giustificare il patrimonio del quale è stata poi disposta la confisca;
- che tra il 2010 e il 2014, ossia il periodo rilevante ai fini del tipo di reato per cui è intervenuta condanna, il patrimonio del nucleo familiare non avrebbe registrato alcun incremento di ordine patrimoniale, ma solo modifiche di carattere qualitativo;
- che la confisca sarebbe stata illegittimamente disposta in relazione all’intero patrimonio familiare (pari ad euro 3.425.385,27), sebbene l’esito della consulenza tecnica d’ufficio avesse indicato una sproporzione di più limitata entità (pari al complessivo importo di euro 374.920,82).
4. La Cassazione ha ritenuto fondate le ragioni sottese a questo motivo di ricorso.
La Suprema Corte osserva infatti che la misura ablatoria ha eccessivamente esteso a ritroso l’ambito temporale dell’indagine patrimoniale, giungendo a colpire beni acquistati dall’imputato fino a quattordici anni prima della data di commissione del reato-spia, cioè il reato di induzione indebita per cui lo stesso è stato condannato: la condanna infatti riguarda un fatto del 2014, ma la confisca ha ricompreso beni acquistati dall’imputato già nel 2000.
La Corte ha ritenuto che la confisca allargata nel caso in esame potesse sì estendersi cronologicamente a ritroso, ma nei limiti del requisito della ragionevolezza temporale, così come delineato dalla giurisprudenza della Corte costituzionale e delle Sezioni unite[1].
Il rispetto di tale requisito – ricorda la Corte – esige che sussista un «collegamento di natura cronologica tra l’ingresso nel patrimonio del soggetto di ricchezza, sproporzionata ed ingiustificata nella sua origine, e l’attività criminosa presupposta», in assenza del quale si consentirebbero «applicazioni illimitate della misura ablativa con effetti fortemente pregiudicanti i diritti di proprietà e di iniziativa economica del destinatario, oltre a rendergli molto difficoltosa, se non impossibile, la dimostrazione della legittima provenienza degli incrementi patrimoniali distanziati dal reato, specie se ad esso di molti anni antecedenti».
Tale requisito, per come delineato dalla stessa giurisprudenza, impone dunque che il momento di acquisto del bene che si intende confiscare non sia talmente lontano dall’epoca di realizzazione del “reato-spia” da determinare l’irragionevolezza della presunzione di derivazione da una attività illecita, sia pure diversa rispetto a quella giudicata[2].
5. Le modalità attraverso le quali stabilire quale sia la distanza “ragionevole” tra reato-spia e acquisto del bene non sono state fissate dal legislatore, né elaborate in termini rigidi dalla giurisprudenza. Si è però precisato che la stessa va determinata in riferimento «alle caratteristiche della singola vicenda concreta e, dunque, del grado di pericolosità sociale che il fatto rivela» (Corte cost. 33/2018), sicché spetta «al giudice verificare se, in relazione a tali circostanze e alla personalità del reo, la vicenda criminosa risulti episodica ed occasionale e produttiva di modesto arricchimento, così da non corrispondere al “modello” normativo che fonda la presunzione che ricostruisce in via indiziaria la illiceità della ricchezza acquisita» (S.U. Crostella del 2021, già annotate su questa Rivista).
6. Sulla base di queste coordinate teoriche, la sentenza in commento ha ritenuto che l’arco temporale entro il quale l’indagine patrimoniale circa la sproporzione patrimoniale poteva ragionevolmente muoversi nel caso di specie doveva essere ricompresa tra il gennaio 2010 (essendo questo il momento in cui è stata assunta la specifica qualifica soggettiva di natura pubblicistica il cui abusivo esercizio ha originato la commissione del reato presupposto) e il gennaio 2014 (essendosi dispiegata dal giugno 2013 fino all’ottobre 2013 la posizione funzionale nel cui ambito è stato materialmente commesso il reato-spia).
Interessante, peraltro, è notare quali indici concreti siano stati tenuti in considerazione dalla Corte per giungere a determinare l’intervallo di ragionevolezza temporale:
- lo stato di incensuratezza dell’imputato;
- l’assenza di elementi di fatto idonei a ritenere una sua pregressa propensione alla realizzazione di analoghi reati presupposto;
- lo svolgimento anche di un’attività lavorativa autonoma fino al settembre 2010, quando l’imputato dismise l’attività liberoprofessionale ed iniziò a ricoprire la carica pubblica nel cui ambito è stato commesso il delitto-presupposto;
- l’obiettiva diversità delle funzioni amministrative da ultimo rivestite rispetto a quelle in precedenza svolte a tempo parziale contemporaneamente all’attività privata libero-professionale.
7. Ulteriori principi di diritto sui quali la Corte richiama l’attenzione dei giudici di merito che, in fase rescissoria, saranno chiamati a rinnovare il giudizio, sono quelli secondo cui, al fine di disporre la confisca allargata è necessario: a) che il carattere sproporzionato dell’acquisto sia vagliato con riferimento al reddito dichiarato o all’attività economica svolta con riferimento al momento dei singoli acquisti e non al momento dell’applicazione della misura; b) che la “giustificazione” dell’origine lecita dei beni consista nella prova della positiva liceità della loro provenienza e non in quella negativa della loro non provenienza dal reato per cui è stata inflitta condanna.
8. Infine, nella sentenza si ribadisce il principio secondo cui la modifica apportata dalla legge n. 161/2017 al disposto dell’art. 240-bis c.p., a mente del quale il condannato per un reato-spia «non può giustificare la legittima provenienza dei beni sul presupposto che il denaro utilizzato per acquistarli sia provento o reimpiego dell’evasione fiscale», si applica anche in relazione a cespiti acquisiti prima dell’entrata in vigore della stessa. Sul punto, in linea con un orientamento consolidatosi in giurisprudenza[3], la Corte afferma che alla confisca allargata non si applica l’art. 11 disp. prel. cod. civ., secondo cui la dispone solo per l’avvenire, poiché alla stessa va riconosciuta natura di misura di sicurezza, soggetta pertanto all’art. 200, primo comma, c.p. (richiamato dall’art. 236, secondo comma, c.p.), in forza del quale le misure di sicurezza soggiacciono alla disciplina in vigore al momento della loro applicazione.
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9. Quello della “ragionevolezza temporale” è un requisito di matrice giurisprudenziale attraverso il quale si è tentato di ricondurre entro binari di legittimità costituzionale e convenzionale una misura ablatoria che – per un verso – ha dimostrato tutta la sua efficacia nel contrasto della criminalità economica, tanto da essere stata fatta oggetto di disposizioni sovranazionali (si veda la direttiva 42/2014/UE) e aver ricevuto un ampliamento del suo ambito applicativo a livello nazionale (si veda ad esempio la sua estensione a taluni reati tributari mediante l’introduzione nel 2019 dell’art. 12-ter d.lgs. 74/2000)[4], ma – per altro verso – ha attirato su di sé penetranti dubbi di compatibilità con le garanzie che devono presidiare i diritti fondamentali che tale strumento comprime pesantemente.
La ratio sottesa a tale requisito non scritto risiede sia nell’esigenza di tutela del diritto di difesa ex art. 24 Cost. e 6 CEDU – essendo la circoscrizione temporale funzionale a non estendere ad libitum la necessità di dimostrazione della legittima provenienza dei beni che si intendono confiscare, ciò che renderebbe la prova dell’origine lecita del bene particolarmente gravosa per la persona – sia nella necessità di garantire il rispetto del principio di proporzionalità nella limitazione del diritto di proprietà privata e iniziativa economica ex artt. 41, 42 Cost. e art. 1 Prot. add. CEDU, dal momento che l’accertamento presuntivo della provenienza illecita dei beni necessita di essere supportato dal requisito della delimitazione temporale degli acquisti proprio nel periodo in cui il soggetto ha commesso il reato-spia.
10. L’elaborazione pretoria del criterio della ragionevolezza temporale – forgiato su quello, analogo mutatis mutandis, della “correlazione temporale” nella confisca di prevenzione di cui al d.lgs. 159/2011 (c.d. codice antimafia)[5] – è dunque il frutto dell’acquisita consapevolezza che i requisiti previsti dalla legge (la commissione di un reato-spia, la sproporzione patrimoniale e la mancata giustificazione dell’origine lecita del patrimonio) sono da soli insufficienti a legittimare la confisca allargata.
Insufficienti perché, anche considerati cumulativamente, non appaiono in grado di dimostrare adeguatamente il thema probandum della misura ablatoria, ossia la sussistenza nel patrimonio del condannato di proventi illeciti derivanti da reati ulteriori rispetto a quello per cui è intervenuta la condanna penale.
Infatti, l’avvertita necessità del requisito della ragionevolezza temporale è sintomo del fatto che l’oggetto della confisca non è il patrimonio sproporzionato della persona in quanto tale, sebbene il tenore letterale dell’art. 240-bis c.p. possa così lasciare intendere («è sempre disposta la confisca del denaro, dei beni o delle altre utilità di cui il condannato…risulta essere titolare…in valore sproporzionato…»). Piuttosto, oggetto della confisca, sul piano sostanziale, sono i proventi illeciti generati da reati ulteriori rispetto a quello accertato nel processo penale, ma che il giudice presume siano stati commessi dal condannato.
La sproporzione patrimoniale serve solo, sul piano processuale-probatorio, a consentire tale presunzione: cioè funge da indizio che, unito agli ulteriori indizi rappresentati dalla mancata giustificazione e dalla commissione di un reato-spia, permette di svolgere il ragionamento inferenziale che conduce alla prova (indiretta) della provenienza criminosa dell’arricchimento che la misura intende colpire.
Il fatto che l’acquisto ingiustificatamente sproporzionato sia avvenuto in un momento ragionevolmente vicino alla data di commissione di quel reato – la c.d. “ragionevolezza temporale” appunto – è ciò che rende i tre indizi previsti dalla legge idonei a dimostrare la commissione di ulteriori reati lucrogenetici da parte del condannato[6].
Del resto, il reato per cui è intervenuta condanna può effettivamente essere una “spia” dell’origine delittuosa dell’arricchimento ingiustificatamente sproporzionato solo a condizione che l’arricchimento sia avvenuto in un periodo ragionevolmente vicino alla data di commissione di quel reato.
11. La vicinanza cronologica alla data di commissione del reato, peraltro, rappresenta un limite non solo rispetto ad acquisti precedenti al reato-spia, ma anche rispetto ad acquisti successivi. Come hanno chiarito le Sezioni unite Crostella del 2021, se di regola il giudice, della cognizione o dell’esecuzione, può disporre la confisca allargata di beni acquisiti dal condannato fino alla data della sentenza di condanna di primo grado, oppure d’appello in caso di riforma della precedente assoluzione, è tuttavia possibile che il giudice stesso, facendo applicazione del canone della “ragionevolezza temporale”, ritenga di individuare un limite anteriore rispetto alla condanna, in particolare quando quest’ultima intervenga a grande distanza di tempo dalla commissione del reato-spia.
In senso solo apparentemente derogatorio rispetto a tali limiti, peraltro, si ammette la confisca di beni pervenuti anche in data successiva alla sentenza di condanna o successiva a quanto desumibile in forza del requisito della “ragionevolezza temporale”: ciò quando sia offerto congruo riscontro probatorio del fatto i cespiti siano frutto del reimpiego di mezzi finanziari acquisiti in un momento antecedente alla sentenza stessa, oppure si tratti di denaro o di altri strumenti di investimento mobiliare, preesistenti alla sentenza e solo in seguito scoperti o rinvenuti, ossia di beni che si sarebbe potuto confiscare nel processo di cognizione[7]. Si tratta quindi solamente di un temperamento al requisito della ragionevolezza temporale, che anziché smentirlo ne ribadisce la piena operatività e la sopra indicata ratio.
12. Al medesimo fine di corroborare in senso garantistico i presupposti legali della confisca allargata, la giurisprudenza si era peraltro già mossa in due ulteriori direzioni, entrambe capaci di saldarsi in modo coerente con il criterio della ragionevolezza temporale[8].
La prima, consolidatasi a seguito dell’ormai risalente pronuncia delle Sezioni Unite Montella[9], è quella di richiedere un accertamento della sproporzione in relazione all’acquisto di ogni singolo bene di cui quel patrimonio si compone, anziché in riferimento al patrimonio come complesso unitario. Il giudice, nell’operare il raffronto con il reddito e le attività economiche svolte, è chiamato non già a una valutazione globale e omnicomprensiva del patrimonio della persona, ma deve fare riferimento al momento dei singoli acquisti e al valore dei beni di volta in volta entrati a far parte del patrimonio del soggetto.
Si tratta di un principio all’evidenza coerente con quello della ragionevolezza temporale. Quest’ultima, infatti, presuppone che sia individuato il determinato acquisto di beni che la confisca intende neutralizzare. Una volta individuato, è del tutto logico che la valutazione sulla sproporzione avvenga in relazione a quel determinato acquisto e alla situazione patrimoniale della persona in essere in quel tempo.
La seconda direzione è invece stata tracciata dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 33 del 2018, che ha precisato (ed esteso) gli oneri valutativi del giudice in relazione alla idoneità probatoria del reato-spia a fungere da indizio della commissione di ulteriori reati lucrogenetici, i cui proventi la confisca allargata intende apprendere. In quella sentenza la Corte costituzionale era investita di una questione di legittimità costituzionale dell’art. 12-sexies d.l. 306/1992 (poi confluito nell’art. 240-bis c.p.) nella parte in cui include il delitto di ricettazione tra i reati per i quali è prevista l’applicazione della confisca allargata: i giudici rimettenti ritenevano che il meccanismo presuntivo sotteso a tale misura ablatoria fosse legittimo solamente in relazione a delitti usualmente perpetrati “in forma quasi professionale” e che si pongono come fonte ordinaria di un illecito accumulo di ricchezza. La Corte, pur dichiarando infondata la questione, tenne a precisare che il giudice conserva “la possibilità di verificare se, in relazione alle circostanze del caso concreto e alla personalità del suo autore – le quali valgano, in particolare, a connotare la vicenda criminosa come del tutto episodica ed occasionale e produttiva di modesto arricchimento – il fatto per cui è intervenuta condanna esuli in modo manifesto dal ‘modello’ che vale a fondare la presunzione di illecita accumulazione di ricchezza da parte del condannato”[10].
In questo modo il meccanismo presuntivo su cui si regge la confisca allargata è stato ulteriormente corroborato in termini garantistici, attraverso un’interpretazione orientata della norma, in base alla quale essa non andrebbe applicata laddove il reato per cui è intervenuta condanna presenti in concreto delle caratteristiche tali da convincere il giudice che quello sia stato un episodio delittuoso isolato.
Questa interpretazione appare coerente con l’assunto secondo cui il reato deve essere in concreto “spia” di ulteriori condotte delittuose produttrici di profitti illeciti e non appare in contrasto con il tenore letterale dell’art. 240-bis c.p. Vero è che la dizione per cui la confisca “è sempre disposta…”, configurando un’ipotesi di confisca obbligatoria, potrebbe far sospettare che non siano consentiti tali margini di discrezionalità in capo al giudice. Tuttavia, ci sembra un sospetto infondato, per la semplice ragione che la discrezionalità che tale interpretazione assegna al giudice non incide sulla valutazione di opportunità o meno di applicare la misura, bensì sull’accertamento dei suoi presupposti applicativi.
In altri termini, una volta che sia stata raggiunta la prova – ancorché indiretta, perché retta sul meccanismo presuntivo anzidetto – che nel patrimonio della persona vi siano proventi derivanti da reati ulteriori a quello oggetto di condanna, il giudice deve sempre disporre la confisca. Ma la valutazione circa il raggiungimento di tale prova non può che essere condotto dal giudice nell’ambito dei suoi consueti poteri discrezionali: se il reato oggetto di condanna è tale da non permettere al ragionamento presuntivo su cui si fonda la misura di raggiungere un sufficiente grado di persuasività, la confisca può non essere (e non deve essere) applicata, per il semplice fatto che non risultano integrati i presupposti in base ai quali scatta l’obbligatorietà della confisca.
Una logica affine a quella seguita dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 33 del 2018 è stata accolta anche dalla Corte EDU nella sentenza 13 luglio 2021, Todorov e altri c. Bulgaria che, confrontandosi con la disciplina di una ipotesi di confisca dell’ordinamento bulgaro per molti versi simile alla confisca allargata italiana, ha rinvenuto una violazione dell’art. 1 Prot. n. 1 CEDU in ragione – tra l’altro – dell’estrema ampiezza dei reati-presupposto contemplati dalla normativa bulgara, non tutti caratterizzati da una idoneità a generare redditi illeciti. La considerazione per cui, tra i reati-presupposto contestati, figurassero anche delitti che non potevano aver generato redditi illeciti rende evidente, agli occhi dei giudici di Strasburgo, come la confisca bulgara si reggesse su di una presunzione di commissione di ulteriori reati, presunzione però non sorretta da alcuna specifica evidenza[11].
13. Tutti questi sforzi giurisprudenziali, come sarà ormai chiaro, hanno in comune l’intento di corroborare il meccanismo probatorio di cui si compone l’accertamento giurisdizionale finalizzato all’applicazione della confisca allargata.
Quel che però non si è detto, e che ancora non ha trovato una risposta soddisfacente in giurisprudenza, è quale sia la soglia di convincimento che il giudice deve raggiungere circa la sussistenza dei presupposti applicativi della misura: in altre parole, qual è lo standard probatorio richiesto?
Non v’è dubbio, infatti, che lo standard relativo al reato-spia sia quello dell’oltre ogni ragionevole dubbio, posto che esso viene accertato nell’ambito di un normale processo penale. Meno scontato è quale sia quello relativo agli ulteriori requisiti applicativi della misura e quindi, più in generale, quello necessario a disporre la confisca allargata.
Al riguardo, alcune indicazioni possono trarsi dalle fonti sovranazionali e, in particolare, dalla Direttiva 42/2014/UE, la quale all’art. 5 disciplina poteri estesi di confisca che ricalcano nella sostanza il modello italiano della confisca allargata. Tale norma richiede che l’autorità «sia convinta che i beni in questione derivino da condotte criminose». Il significato del concetto di “convinzione” è esplicitato al considerando n. 21 della direttiva stessa: «ciò non significa che debba essere accertato che i beni in questione derivano da condotte criminose» in quanto «gli Stati membri possono disporre, ad esempio, che sia sufficiente che l’autorità giudiziaria ritenga, in base ad una ponderazione delle probabilità, o possa ragionevolmente presumere, che sia molto più probabile che i beni in questione siano il frutto di condotte criminose piuttosto che di altre attività». “In tale contesto”, prosegue il considerando n. 21, «l’autorità giudiziaria deve considerare le circostanze specifiche del caso, compresi i fatti e gli elementi di prova disponibili in base ai quali può essere adottata una decisione di confisca estesa. Una sproporzione tra i beni dell’interessato e il suo reddito legittimo può rientrare tra i fatti idonei ad indurre l’autorità giudiziaria a concludere che i beni derivano da condotte criminose»[12].
Dunque, lo standard probatorio richiesto dalla direttiva è quello della ponderazione delle probabilità. Si consente cioè di disporre la confisca quando – servendosi all’uopo anche di presunzioni, purché ragionevoli (come la sproporzione patrimoniale rispetto al reddito) – si ritenga “molto più probabile” (“substantially more probable” nella versione inglese, “nettement plus probable”, in quella francese) che i beni siano di origine criminosa piuttosto che di origine lecita.
Si tratta di uno standard collocabile a metà strada tra quello penalistico dell’oltre ogni ragionevole dubbio (rispetto al quale è indubbiamente inferiore) e quello civilistico del “più probabile che non”, il quale viene rafforzato da un avverbio (“molto” o “substantially” o “nettement”)[13].
Eppure la possibilità di accontentarsi di uno standard inferiore a quello necessario per irrogare una pena sembra evidentemente implicare la necessità che tale confisca non possieda, nella sostanza, natura giuridica punitiva.
14. Proprio in riferimento alla natura giuridica della confisca, i principi ribaditi nella sentenza in commento sembrano offrire ulteriori spunti di riflessione. Invero, l’operare sinergico di tutti gli accorgimenti giurisprudenziali sopra richiamati – mirando a porre degli argini all’estensione del quantum confiscabile attraverso questo strumento ablatorio – sembra puntare allo scopo di evitare che la misura assuma connotati punitivi, ossia di evitare che essa colpisca il patrimonio della persona per un valore superiore a quello dell’arricchimento di origine criminosa[14].
L’assunzione di connotati punitivi da parte della confisca in esame segnerebbe, infatti, la sua illegittimità costituzionale e convenzionale.
Invero, se a tale confisca si riconoscesse natura punitiva essa rischierebbe di risolversi o in una pena pecuniaria sproporzionata rispetto al reato presupposto accertato nel processo penale, e dunque illegittima al metro del combinato disposto degli artt. 3 e 42 Cost.[15], in quanto andrebbe a cumularsi alle pene principali e accessorie irrogate e anche alla confisca penale “ordinaria” prevista per quel reato e sarebbe del tutto scollegata sia dalla gravità concreta di quel reato sia dal lucro che esso ha generato; oppure in una pena senza condanna, o meglio senza alcun accertamento diretto della commissione dei reati i cui proventi quella confisca mira ad apprendere, in violazione della presunzione di innocenza di cui all’art. 27, comma 2, Cost.: il mero dato formale che la confisca venga applicata all’esito di un processo penale e a seguito di una condanna non può offuscare il dato sostanziale per cui tale misura rappresenterebbe una reazione sanzionatoria non già rispetto al reato accertato nel processo, bensì ad altri ulteriori reati che si presumono commessi, rispetto ai quali nessun processo è stato svolto e nessuna condanna penale è intervenuta.
Escludere che tale confisca si risolva in una pena mascherata sembra dunque di primaria importanza per assicurare che la stessa mantenga legittima cittadinanza nel nostro ordinamento[16].
Quale natura giuridica, in positivo, essa debba possedere è poi problema ulteriore. Come si è visto, la sentenza in commento ne assume la natura di misura di sicurezza patrimoniale e ne fa discendere, tra l’altro, l’inapplicabilità del principio di irretroattività della legge penale. Si tratta però di una qualificazione che, per quanto in linea con un ormai decennale orientamento giurisprudenziale, sembra destare consistenti perplessità. Non è ovviamente possibile affrontare adeguatamente in questa sede anche tale vexata quaestio, sulla quale sia qui consentito un rinvio a quanto ho potuto esporre in un lavoro monografico nel quale auspico un ripensamento dell’istituto in termini né punitivi né di misura di sicurezza, bensì come confisca “civile” con effetti meramente ripristinatori in senso “autore-centrico”, dotato di una natura giuridica che accomuni, sotto questo punto di vista, confisca allargata e confisca di prevenzione[17].
[1] Corte cost., sent. 21 febbraio 2018, n. 33, Pres. Grossi, Est. Modugno, annotata su Dir. Pen. cont.; Cass., Sez. un., sent. 25 febbraio 2021 (dep. 15 luglio 2021), n. 27421, Pres. Cassano, est. Boni, ric. Crostella e al., annotata su questa Rivista.
[2] Questo aspetto viene ben sottolineato dalla menzionata sentenza n. 33 del 2018. Sul punto vengono richiamate Cass., sez. I pen., 16 aprile 2014, n. 41100; Cass., sez. IV pen, 7 maggio 2013, n. 35707; Cass., sez. I pen., 11 dicembre 2012, n. 2634; Cass., sez. IV pen., 16 gennaio 2014, n. 12734; Cass., sez. I pen., 5 febbraio 2001, n. 11049.
[3] Cass., sez. II pen., 12 gennaio 2022, n. 6587; Cass., sez. II pen., 4 novembre 2021 (dep. 2022), n. 1555.
[4] Sull’introduzione della confisca allargata in materia penaltributaria cfr. ad esempio M. Lanzi, La confisca «in casi particolari», o “per sproporzione” post delictum, in Cadoppi-Canestrari-Manna-Papa (diretto da), Diritto penale dell’economia, Torino 2020.
[5] Il requisito è stato valorizzato in particolare dalle Sezioni unite: Cass., Sez. Un. Pen., 26 giugno 2014 (dep. 2 febbraio 2015), n. 4880, Spinelli, con nota – tra gli altri – di V. Maiello, La confisca di prevenzione dinanzi alle Sezioni Unite: natura e garanzie, in Dir. pen. proc., 2015, p. 722 ss.; e di A. Cisterna, La confisca emessa nell’ambito del procedimento di prevenzione continua a essere assimilata alle misure di sicurezza, in Guida dir., n. 18/2015, p. 76; e di A. M. Maugeri , Una parola definitiva sulla natura della confisca di prevenzione? Dalle Sezioni Unite Spinelli alla sentenza Gogitizde della Corte EDU sul civil forfeiture (in relazione alla confisca di prevenzione), in Riv. it. dir. proc. pen., 2015, p. 945; e di Fr. Mazzacuva, Le Sezioni Unite sulla natura della confisca di prevenzione: un'altra occasione persa per un chiarimento sulle reali finalità della misura, in Dir. pen. cont., Riv. Trim., n. 4/2015; nonché di M. Di Lello Finuoli, «Tutto cambia per restare infine uguale». Le Sezioni Unite confermano la natura preventiva della confisca ante delictum, in Cass. pen., 2015, p. 3520 ss.
[6] Cfr. par. 11 del ‘considerato in diritto’ della sentenza n. 33 del 2018, ove si afferma che «[i]l momento di acquisizione del bene non dovrebbe risultare…talmente lontano dall’epoca di realizzazione del “reato spia” da rendere ictu oculi irragionevole la presunzione di derivazione del bene stesso da una attività illecita, sia pure diversa e complementare rispetto a quella per cui è intervenuta condanna».
[7] In riferimento alla confisca allargata, già prima delle S.U. Crostella, v. Cass., sez. I pen., 23 gennaio 2018, n. 9984; Cass., sez. I pen., 12 aprile 2019, n. 22820, ma anche Cass., sez. I pen., 17 maggio 2019, n. 35856; Cass., sez. I pen., 6 giugno 2018, n. 36499. Con riferimento alla confisca di prevenzione, mutatis mutandis cfr. Cass., sez. VI pen., 6 settembre 2021-7 ottobre 2021, n. 36421; Cass., sez. V pen., 23 novembre 2020-14 gennaio 2021, n. 1543; e Cass., sez. II pen., 13 marzo 2018-27 marzo 2018, n. 14165, con nota di B. Rossi, Le condizioni per l’applicabilità della confisca dei beni degli appartenenti ad associazioni mafiose, in Cass. pen., 2018, n. 7-8, p. 2382 ss. e D. Albanese, Confisca di prevenzione: smussato il requisito della ‘correlazione temporale’, in Dir. pen. cont., n. 4/2018, p. 193 ss.
[8] Del resto, pervicaci critiche venivano mosse in dottrina al meccanismo presuntivo sotteso alla confisca allargata (e di prevenzione), proprio in ragione del carattere “neutro” del concetto di sproporzione, in quanto inidoneo, di per sé, a dimostrare l’origine delittuosa del bene, perché esso è muto circa la derivazione del patrimonio da attività criminali. Sul punto cfr. A. Balsamo, V. Contrafatto, G. Nicastro, Le misure patrimoniali contro la criminalità organizzata, Giuffrè, Milano, 2010; nonché Mangione A., La misura di prevenzione patrimoniale fra dogmatica e politica criminale, Padova, 2001; nonchè V. N. D’ascola, Il progressivo sdoppiamento della confisca come risposta dell’ordinamento al fatto-reato e come strumento di controllo delle manifestazioni sintomatiche di pericolosità, in La giustizia patrimoniale penale a cura di Bargi-Cisterna, all’interno di Diritto e procedura penale, collana diretta Gaito-Romano-Ronco-Spangher, I, p. 173 ss..; Mazza O., La decisione di confisca dei beni sequestrati, in di Furfaro S., Misure di prevenzione, in Diritto e procedura penale, collana diretta da Gaito-Romano-Ronco-Spangher, 2013, p. 480 ss.
[9] Cass., Sez. Un. Pen., 17 dicembre 2003 (dep. 2004), n. 920, Montella.
[10] Corte cost., sent. n. 33 del 2018, par 11, ultimo capoverso, del ‘considerato in diritto’.
[11] Cfr. Corte Edu, sentenza 13 luglio 2021, Todorov e altri c. Bulgaria, par. 206 e 210.
[12] È di questo avviso, seppur in senso critico, A. M. Maugeri, La Direttiva 2014/42/UE relativa alla confisca degli strumenti e dei proventi da reato nell’Unione europea tra garanzie ed efficienza: un “work in progress”, in Dir. pen. cont., 19 settembre 2014, p. 316 s.
[13] Vi è dunque una qualche analogia rispetto allo standard della “clear and convincing evidence” – noto agli ordinamenti di common law, primo fra tutti quello statunitense, nell’ambito della disciplina della civil forfeiture: sul punto si rinvia a quanto abbiamo già osservato in S. Finocchiaro, Confisca di prevenzione e civil forfeiture, cit., p. 355 ss.
[14] Riteniamo infatti che il criterio per identificare la natura della confisca – di questa come di altre misure ablatorie patrimoniali – è rappresentato dai suoi effetti sostanziali sulla sfera giuridico-patrimoniale della persona, i quali dipendono dal quantum confiscabile, ossia dal valore dei beni che costituiscono oggetto della confisca.
[15] Sono questi, infatti, i parametri costituzionali che vengono in rilievo in relazione al principio di proporzionalità delle pene pecuniarie o delle misure ablatorie patrimoniali con carattere punitivo: cfr. Corte cost. n. 112 del 2019, con nota tra gli altri di R. Acquaroli, La confisca e il controllo di proporzionalità: una buona notizia dalla Corte costituzionale, in Dir. pen. proc., fasc. 2/2020, p. 197 ss.
[16] Cfr. F. Viganò, Riflessioni sullo statuto costituzionale e convenzionale della confisca “di prevenzione” nell’ordinamento italiano, in Paliero -Viganò-Basile-Gatta (a cura di), La pena, ancora: tra attualità e tradizione. Studi in onore di Emilio Dolcini, Milano, Giuffrè, 2018, p. 885 ss.
[17] Cfr. S. Finocchiaro, Confisca di prevenzione e civil forfeiture, cit., p. 391 ss. Potenzialmente, peraltro, la medesima natura giuridica potrebbe coinvolgere – più in generale – ogni ipotesi di confisca dei proventi illeciti: al riguardo, infatti, condividiamo la tesi ben espressa da T. Trinchera, Confiscare senza punire? Uno studio sullo statuto di garanzia della confisca della ricchezza illecita, Giappichelli, Torino, 2020.