Cass. pen., Sez. un., 26 ottobre 2023 (dep. 23 febbraio 2024), n. 8052, pres. Cassano, rel. Silvestri
*Contributo pubblicato nel fascicolo n. 4/2024.
1. Premessa. Le Sezioni Unite della Cassazione hanno recentemente preso posizione su una questione di diritto intertemporale relativa alla disciplina della c.d. confisca allargata (art. 240-bis c.p.) che, dietro un volto apparentemente di dettaglio, cela risvolti pratici e dogmatici di non poco momento.
Il principio di diritto enunciato dalla Suprema Corte è il seguente: «Il divieto previsto dall’art. 240-bis cod. pen., introdotto dall’art. 31 legge 17 ottobre 2017, n. 161, di giustificare la legittima provenienza dei beni oggetto della confisca c.d. allargata o del sequestro ad essa finalizzato, sul presupposto che il denaro utilizzato per acquistarli sia provento o reimpiego dell’evasione fiscale, si applica anche ai beni acquistati prima della sua entrata in vigore ad eccezione di quelli acquisiti nel periodo tra il 29 maggio 2014, data della pronuncia delle Sezioni Unite n. 33451/2014 ric. Repaci, e il 19 novembre 2017, data di entrata in vigore della legge n. 161 del 2017».
Per meglio comprendere le ragioni sottese a tale decisione è utile ripercorrere sinteticamente alcune tappe essenziali dell’evoluzione normativa e giurisprudenziale che ha interessato la confisca allargata (e il sequestro ad essa prodromico) e che ha generato il dibattito giurisprudenziale sopito dalle Sezioni Unite.
2. Brevi cenni sulla confisca allargata. Può valere la pena rammentare che la confisca allargata è un’ipotesi speciale di confisca obbligatoria introdotta per la prima volta nel 1994 all’interno dell’art. 12-sexies d.l. n. 306/1992, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 48 del 1994, con cui era stata dichiarato incostituzionale l’art. 12-quinquies c. 2 del medesimo decreto, relativo al reato di «possesso ingiustificato di valori»[1]. La disciplina di tale misura ablatoria è poi confluita nell’art. 240-bis c.p.[2] e si fonda, oggi come allora, su tre requisiti legali: i) la condanna o il patteggiamento per uno dei reati elencati all’art. 240-bis c.p.: c.d. reati-spia; ii) la titolarità o la disponibilità a qualsiasi titolo, anche per interposta persona fisica o giuridica, di denaro, beni o altra utilità in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica; iii) la mancata giustificazione da parte del condannato della provenienza lecita di quella ricchezza. A tali requisiti se ne è aggiunto un quarto, di matrice giurisprudenziale, la ragionevolezza temporale, in forza del quale il momento dell’acquisto di valore sproporzionato al reddito o all’attività svolta non deve essere eccessivamente distante dall’epoca di realizzazione del reato-spia[3].
La confisca è quindi detta “allargata” o “estesa” perché ha ad oggetto non il prezzo, prodotto o profitto del reato(-spia) per cui è intervenuta la condanna penale, i quali possono essere appresi con le forme “ordinarie” di confisca penale, bensì di beni diversi aventi un valore che al momento del loro acquisto risulta sproporzionato al reddito lecito del condannato o all’attività lecitamente svolta da quest’ultimo e che, per tale ragione, la legge consente di presumere siano ulteriori proventi di origine illecita.
Tale speciale ipotesi di confisca ha peraltro un fondamento sovranazionale, essendo contemplata dall’art. 5 della direttiva 42/2014/UE e costituendo oggetto anche della “Proposta di direttiva del Parlamento e del Consiglio riguardante il recupero e la confisca dei beni” (art. 14: “Extended Confiscation”) in fase di approvazione[4].
3. Le incertezze interpretative sulla possibilità di giustificare l’origine dei beni mediante l’evasione fiscale. Svolta tale premessa, è agevole comprendere come la maggiore o minore estensione della facoltà, da parte del destinatario della miura, di giustificare la provenienza del patrimonio abbia un’incidenza di primario rilievo al fine di individuare quanto possa essere legittimamente sequestrato e confiscato. È sorta pertanto in dottrina e in giurisprudenza la questione interpretativa – solo successivamente risolta a chiare lettere dal legislatore nel 2017[5] – inerente alla valenza giustificativa dell’allegazione difensiva secondo cui la sproporzione patrimoniale troverebbe spiegazione nell’evasione fiscale. In altri termini, ci si è chiesti se la persona destinataria del sequestro finalizzato alla confisca allargata possa evitare l’ablazione patrimoniale adducendo che la sproporzione ravvisata dalla procura e posta a fondamento della misura ablatoria sia dovuta alla presenza all’interno del proprio patrimonio di proventi dell’evasione fiscale, così evitando ex ante il sequestro per una parte corrispondente a quei proventi o ottenendone ex post il dissequestro e la restituzione.
Si sono contesi il campo due principali orientamenti giurisprudenziali.
Un primo indirizzo negava al reo di giustificare la provenienza lecita dei beni mediante l’evasione fiscale[6], mentre un secondo, al contrario, si dimostrò incline a tener conto di tutte le fonti di produzione del patrimonio, anche laddove non dichiarate al fisco[7].
Nell’ambito di tale frattura giurisprudenziale si colloca l’intervento delle Sezioni Unite Repaci (sent. n. 33451/2014)[8], che – di fatto aderendo al secondo orientamento – avevano ritenuto che, ai fini della confisca allargata, potesse giustificarsi la provenienza del patrimonio anche riconducendo la stessa ai proventi dell’evasione fiscale.
La posizione sul punto era stata presa sul presupposto, anche, di una assunta differenza strutturale e di ratio tra la confisca “di prevenzione” (oggi prevista dall’art. 24 d.lgs 159/2011) e quella “allargata”: solo la prima, avevano sostenuto le Sezioni Unite, può avere ad oggetto anche i proventi dell’evasione fiscale, la quale, dunque, non può essere addotta a giustificazione della provenienza dei beni per evitare la confisca; non vale lo stesso per la confisca allargata che, a differenza di quanto è previsto per la confisca di prevenzione, viene ancorata solo alla sproporzione rispetto ai redditi dichiarati e all’attività economica svolta dell’assenza di giustificazione, ma non anche, in alternativa, alla esistenza di sufficienti indizi della loro provenienza da qualsiasi attività illecita.
Al netto di ogni considerazione, non pertinente in questa sede, circa la condivisibilità o meno di tale approdo, è rilevante evidenziare che la posizione assunta il 29 maggio 2014 dal supremo organo nomofilattico ha sostanzialmente costituito “diritto vivente” sino all’intervento del legislatore con la legge n. 161 del 2017, entrata in vigore il 19 novembre 2017.
In questo intervallo di tempo (dal 2014 al 2017), dunque, non solo non era vietato dalla legge, ma era stato espressamente consentito dalle Sezioni Unite, giustificare la provenienza dei beni facendo riferimento ai redditi derivanti da attività lecite non dichiarate al fisco.
4. Cambiano le carte in tavola: la legge n. 161 del 2017. A far data dal 19 novembre 2017, momento di entrata in vigore della legge n. 161/2017, è stato introdotto all’interno della previsione normativa della confisca allargata il divieto espresso per il condannato di giustificare la legittima provenienza dei beni sul presupposto che il denaro utilizzato per acquistarli sia provento o reimpiego dell’evasione fiscale. Recita infatti il nuovo inciso normativo: «in ogni caso il condannato non può giustificare la legittima provenienza dei beni sul presupposto che il denaro utilizzato per acquistarli sia provento o reimpiego dell'evasione fiscale...» (con l’ulteriore precisazione, aggiunta con il d.l. 148/2017, che resta salva l’ipotesi in cui «l’obbligazione tributaria sia stata estinta mediante adempimento nelle forme di legge»).
Dunque, il legislatore del 2017 ha superato esplicitamente l’orientamento inaugurato dalle Sezioni Unite Repaci, come reso evidente anche dai lavori preparatori e, in particolare, dal Dossier del Senato collegato alla Proposta di legge n. 2134, esitata nell’approvazione della legge n. 161 del 2017.
5. Il contrasto giurisprudenziale sulla applicabilità retroattiva del novum legislativo. Nella giurisprudenza di legittimità sono emersi due diversi indirizzi in ordine all’applicabilità del divieto introdotto dalla legge n. 161 del 2017 anche ai fini della prova della legittima provenienza dei beni acquisiti anteriormente all’entrata in vigore della legge (19 novembre 2017).
a) Stando a un primo orientamento[9], la norma in questione non potrebbe trovare applicazione nei procedimenti in corso in relazione alle ricostruzioni patrimoniali relative ad anni anteriori a quello di sua introduzione, in ossequio a criteri di ragionevolezza e tutela dell’affidamento. Detta norma avrebbe natura processuale, perché introdurrebbe per il condannato un divieto probatorio destinato ad operare nel contesto dell’operazione di ricostruzione delle sue capacità economiche.
b) Per un secondo orientamento[10], invece, il divieto probatorio in questione troverebbe applicazione anche con riguardo ai beni acquisiti prima dell’entrata della legge del 2017, in ragione della natura di misura di sicurezza, ancorché atipica, della confisca allargata e, di conseguenza, del combinato disposto degli artt. 199 e 200 c.p., richiamati, quanto alle misure di sicurezza patrimoniali, dall’art. 236 c. 2 c.p.
Al fine di risolvere tale contrasto, la VI Sezione penale della Cassazione, con ordinanza del 30 marzo 2023, ha rimesso la questione alle Sezioni Unite, che si sono pronunciate con la sentenza in commento.
6. Le Sezioni Unite sposano una tesi “mediana”. Nessuno dei due contrapposti indirizzi viene tout court condiviso dalla Suprema Corte: la soluzione, racchiusa nel principio di diritto già anticipato in premessa, è infatti quella di ritenere che il nuovo divieto legislativo di giustificare la provenienza dei beni mediante l’evasione fiscale si applichi anche ai beni acquistati prima della sua entrata in vigore, con la sola eccezione di quelli acquisiti tra il 29 maggio 2014, data della pronuncia delle Sezioni Unite Repaci, e il 19 novembre 2017, data di entrata in vigore della legge n. 161 del 2017, periodo durante il quale deve trovare applicazione il più favorevole diritto (allora) vivente.
Alla base di tale decisione sta la considerazione di fondo secondo cui «le caratteristiche dell’accertamento processuale – di durata, complesso, scomposto – che caratterizzano la confisca allargata, pongono l’esigenza, al fine di risolvere la questione rimessa alla decisione delle Sezioni Unite, di individuare un principio anfibio, capace di saldare legalità sostanziale e processuale, di sterilizzare possibili effetti limitativi delle garanzie della persona, di individuare, come osservato dalla dottrina, “uno statuto dinamico di garanzia, in grado di adattarsi al mutevole fenomeno del processo”»[11].
L’iter motivazionale che ha condotto a tale decisione può essere compendiato nel modo seguente.
a) Anzitutto – confermando un orientamento giurisprudenziale ormai dominante – le Sezioni unite hanno ribadito che la confisca allargata non ha natura giuridica punitiva: sul punto viene menzionata la qualificazione operata dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 24 del 2019 secondo cui l’ablazione patrimoniale dei patrimoni di origine illecita «costituisce non già una sanzione, ma piuttosto la naturale conseguenza della loro illecita acquisizione».
Non essendosi al cospetto di una pena sostanziale, bensì – come si suole dire – di una «misura di sicurezza atipica»[12], non opera il divieto costituzionale di retroattività sfavorevole ex art. 25 comma 2 Cost.
b) Tale assunto, tuttavia, non porta ineludibilmente a concludere nel senso di una incondizionata retroattività della legge sopravvenuta, in virtù del disposto degli artt. 200 e 236 c.p.p. in materia di misure di sicurezza. Affermano infatti le Sezioni Unite che «la valenza prettamente processuale della norma introdotta con la legge n. 161 del 2017 impone di fare riferimento […] piuttosto, allo statuto intertemporale espresso dall'art. 11 delle disposizioni preliminari al codice civile, considerato un parametro valido ogni qual volta non debba farsi applicazione dei principi previsti dall’art. 25 Cost. e 2 cod. pen., ovvero 200 - 236 cod. pen.» (par. 16 del considerato in diritto).
Come noto, l’art. 11 cit. prevede che la legge non dispone che per l’avvenire e, dunque, ciascun “fatto” va tendenzialmente assoggettato al regime normativo vigente al tempo in cui si verifica (“tempus regit actum”)[13].
c) Ciò posto, il principio “tempus regit actum”, anche al di fuori della materia penale, incontra dei limiti, tra cui quello della prevedibilità: affermano infatti le Sezioni Unite che «al fine di individuare la norma processuale penale applicabile tra quelle interessate da un fenomeno successorio ovvero l’ambito applicativo di una norma processuale penale sopravvenuta, l’operatività del principio tempus regit actum può essere mitigata, temperata, in ragione della necessità di dare attuazione alle esigenze sottese ai plurimi principi di rilievo costituzionale (artt. 2, 13, 24 e 111 Cost. nonché 1, 6 Cedu) di cui si è detto, e, in particolare, alla tutela dell’affidamento dei consociati sull’assetto di una determinata base legale, stabilizzata dal diritto vivente»[14].
In questo senso, i principi espressi nella sentenza Repaci «assumono rilievo non solo per la portata chiarificatrice della base legale della fattispecie ablatoria, ma anche in ordine alla ragionevole “previsione” delle condizioni che in futuro avrebbero reso possibile superare la presunzione ed evitare la confisca»[15].
Ebbene, dal momento in cui (nel 2014) le Sezioni Unite Repaci avevano preso posizione sulla possibilità di addurre a giustificazione della sproporzione patrimoniale la provenienza da evasione fiscale, e fino a quando il legislatore non ha posto fine per tabulas a tale diritto vivente (nel 2017), ogni consociato ha potuto legittimamente fare affidamento sulla possibilità di non essere attinto dalla confisca allargata in relazione a quella parte di patrimonio che, per quanto sproporzionata al proprio reddito lecitamente dichiarato, fosse provento di evasione fiscale.
Del resto, «la necessità di individuare un principio capace di contemperare il tempus regit actum con le esigenze sottese ai principi costituzionali di cui si è detto, discende dalla stessa struttura della fattispecie ablatoria, in cui la valutazione sulla illecita accumulazione in rem è sempre temporalmente di durata, può attenere ad un segmento temporale ampio ed ha carattere scomposto. La confisca allargata, pur non avendo natura strettamente “penale”, è caratterizzata per il riferirsi ad una concatenazione di atti e fatti collocati in tempi diversi, rispetto ai quali occorre avere riguardo all’affidamento della parte di potersi difendersi “provando” al fine di superare la presunzione di illecita accumulazione»[16].
d) La prevedibilità – si afferma nella sentenza in commento – dev’essere vagliata alla luce di «una regola di stabilizzazione, quella enunciata dalle Sezioni unite, a cui va attribuita una valenza non solo “di tipo essenzialmente persuasivo”, disvelando la potenzialità semantica del testo della disposizione normativa (Corte cost., sent. n. 230 del 2012), ma che, dopo l’intervento della legge 23 giugno 2017, n. 103, ha avuto anche una valenza di precedente relativamente vincolante fino alla entrata in vigore del limite probatorio ad opera della legge n. 161 del 2017». La legge 23 giugno 2017, n. 103 cui si fa riferimento è quella che ha introdotto il comma 1-bis nell’art. 618 c.p.p. prevedendo che la Sezione semplice della Corte di cassazione, qualora ritenga di non condividere il principio di diritto formulato in una sentenza delle Sezioni Unite, “rimette” a queste ultime la decisione del ricorso. Tale previsione, affermano le Sezioni Unite, ha «introdotto, con riguardo alle sole sentenze delle Sezioni Unite, il vincolo del precedente: un vincolo relativo, in quanto limitato all’interno della sola Corte di cassazione e non operante nei confronti dei giudici di merito»[17].
In questo modo, pur senza arrivare ad equiparare il diritto vivente alla legge, si riconosce al primo «un ruolo, una funzione che interferisce con la ragionevole prevedibilità delle decisioni future»[18].
Come si sarà intuito, dunque, il fulcro della decisione in commento risiede in una peculiare declinazione del principio di prevedibilità nella materia dell’ablazione patrimoniale.
Il canone della prevedibilità presuppone che la persona che vede inciso un proprio diritto (in questo caso la proprietà) debba poter prevedere ex ante, sulla base del diritto vivente in quel momento, se e quanto tale diritto potrà essere inciso.
Del resto, il rispetto del principio di prevedibilità ha rango costituzionale e convenzionale ed è stato di recente valorizzato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 24 del 2019 proprio in riferimento alle “confische dei beni di sospetta origine illecita”, genus nel quale vanno ricondotte sia la confisca allargata che quella di prevenzione[19].
In quell’occasione era stata tenuto ben distinto il concetto di tassatività sostanziale, relativa al thema probandum, e quello di cosiddetta tassatività processuale, concernente il quomodo della prova. Mentre il primo attiene al rispetto del principio di legalità, che sottende inevitabilmente anche la prevedibilità (insieme alla precisione e alla determinatezza), il secondo attiene invece alle «modalità di accertamento probatorio in giudizio», e rinviene il proprio statuto costituzionale nel diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost. e nel diritto a un “giusto processo” ai sensi degli artt. 111 Cost. e 6 CEDU.
Le Sezioni Unite in commento, facendo riferimento al principio di «affidamento della parte di potersi difendersi “provando”», mettono in luce come la prevedibilità sia un valore insito anche nella tassatività processuale: ciò tanto più in ipotesi come quelle in esame in cui viene in rilievo una norma che “unisce diritto e processo”, ossia che, regolando un tratto saliente del riparto dei carichi probatori e di allegazione tra accusa e difesa, finisce inevitabilmente anche per delineare l’oggetto della confisca.
A bene vedere, infatti, dietro tale “divieto probatorio” si cela di fatto l’inclusione dei proventi dell’evasione fiscale nel novero dei beni che, al pari di quelli derivanti dagli altri delitti che si presumono commessi, può essere oggetto di confisca allargata.
Ciò – per inciso – nulla ha a che vedere con l’introduzione della confisca allargata nell’ambito della disciplina penaltributaria, all’art. 12-ter d.lgs. 74/2000: con tale previsione sono stati di fatto inclusi nel novero dei reati-spia alcuni reati tributari (quelli di cui agli artt. 2, 3, 8 e 11 d.lgs- 74/2000), a condizione che abbiano raggiunto una particolare gravità esplicitata dal superamento di una soglia di imposta evasa che sia superiore a 100.000 (nel caso dei reati di cui agli artt. 3 e 11 comma 1) o 200.000 euro (nel caso dei reati di cui agli artt. 2, 8 e 11 comma 2). Questa forma di confisca non mira specificamente ad apprendere i proventi dell’evasione fiscale derivante dalla commissione di questi reati tributari – rispetto ai quali opera e già operava la confisca “ordinaria” di cui all’art. 12-bis d.lgs 74/2000 – bensì a recuperare i proventi di ulteriori diversi reati (non necessariamente di natura fiscale) che si presumono commessi in un periodo ragionevolmente congruente con quello del reato-spia tributario, ma che non sono stati oggetto di accertamento nel processo penale né tantomeno di condanna.
Degno di nota, infine, è il riferimento temporale utilizzato per vagliare la “prevedibilità” da parte della persona delle conseguenze ablatorie nei propri confronti: esso è posto nel momento di acquisto del bene e non nel momento della commissione del reato-spia.
Siamo abituati, nell’ambito della materia penale, a guardare al tempo in cui è stata tenuta la condotta criminosa, per il semplice motivo che è quel momento ad assumere rilievo per valutare se l’imputato avrebbe potuto prevedere le conseguenze sanzionatorie che scaturiranno propria condotta. Ciò in quanto la sanzione è una conseguenza logica di quel fatto antigiuridico e il reato rappresenta il thema probandum e decidendum del processo penale.
Viceversa, intendendo la confisca non tanto come una sanzione del fatto-reato commesso, bensì – utilizzando di nuovo una locuzione impiegata dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 24 del 2019 e ripresa oggi dalle Sezioni Unite – la «naturale conseguenza» dell’origine illecita dei beni, è logico che il momento di riferimento per vagliare la “prevedibilità” sia proprio quello dell’ingresso di quei beni nel patrimonio del soggetto.
La confisca ha ad oggetto beni di origine illecita e, dunque, il thema probandum e decidendum del procedimento volto all’applicazione della confisca è proprio l’origine illecita dell’arricchimento[20], mentre il reato-spia assurge a mero indizio che, unitamente alla sproporzione, innesca il meccanismo presuntivo su cui si fonda la misura ablatoria in esame: in altri termini la commissione del reato-spia ha una valenza processuale-probatoria, più che sostanziale, e non è la causa diretta dell’effetto ablatorio, in quanto – come già detto – i beni appresi con la confisca allargata non sono proventi di quel reato-spia, bensì hanno (si presume abbiano) una diversa origine illecita.
[1] Sulla fattispecie incriminatrice in esame, si vedano, ex multis, Di Giovine, Antichi schemi e nuove prospettive nella lotta alla criminalità organizzata. Dall’art. 708 c.p. all’art. 12-quinquies d.l. 8 giugno 1992, n. 306, in Riv. it. dir. proc. pen., 1994, p. 117 ss.; Mucciarelli, Commento all’art. 12 quinquies D.L. 8/6/1992, n. 306 (Antimafia), in Leg. pen., 1993, p. 158 ss.; Paladino, Brevi osservazioni sul delitto di possesso ingiustificato di valori (art. 12 quinquies comma 2 l. 7 agosto 1992, n. 356), in Riv. trim. dir. pen. econ., 1993, p. 343 ss.
[2] Come noto, l’art. 240-bis, con cui si chiude il Libro I del codice penale, prevede attualmente che «nei casi di condanna o di applicazione della pena su richiesta a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale, per taluno dei delitti previsti [dalla disposizione medesima] è sempre disposta la confisca del denaro, dei beni o delle altre utilità di cui il condannato non può giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica».
[3] Cfr. Corte cost., sent. 21 febbraio 2018, n. 33, Pres. Grossi, Est. Modugno, annotata su Dir. Pen. cont.; Cass., Sez. un., sent. 25 febbraio 2021 (dep. 15 luglio 2021), n. 27421, Pres. Cassano, est. Boni, ric. Crostella e al., annotata su questa Rivista.
[4] Cfr. in questa Rivista, Maugeri A. M., La proposta di una nuova direttiva per la confisca dei beni: l’armonizzazione e l’actio in rem contro il crimine organizzato e l’illecito arricchimento, 3 aprile 2024; e Finocchiaro S., La confisca senza condanna nello spazio europeo: mentre a Bruxelles è in cantiere una nuova direttiva, a Strasburgo l’Italia è sotto esame nel ricorso “Cavallotti”, 7 novembre 2023.
[5] La legge 17 ottobre 2017, n. 161 ha infatti modificato l’art. 12-sexies d.l. 306/1992 (poi confluito nell’attuale art. 240-bis c.p.) – così come l’art. 24 d.lgs 159/2011 – inserendo un esplicito riferimento all’impossibilità per il proposto di giustificare la legittima provenienza dei beni adducendo che il denaro utilizzato per acquistarli sia provento o reimpiego di evasione fiscale.
[6] Cfr., ad esempio, Cass. pen., sez. II, 28 settembre 2011 (dep. 13 ottobre 2011), n. 36913 e Cass. pen, sez. I., 10 giugno 1994 (dep. 23 agosto 1994), n. 2860, nonché, meno esplicitamente, Cass. pen, sez. II pen., 14 giugno 2011 (dep. 19 agosto 2011), n. 32563; Cass. pen., sez. I, 24 febbraio 2012 (dep. 23 marzo 2012), n. 11473.
[7] In questo senso, Cass. pen, sez. I, 5 novembre 2013 (dep. 27 febbraio 2014), n. 9678; Cass. pen., sez. VI, 15 dicembre 2011 (dep. 1 giugno 2013), n. 21265; Cass. pen, sez. VI, 28 novembre 2012 (dep. 21 dicembre 2012), n. 49876; Cass. pen., sez. I, 22 gennaio 2013 (dep. 8 febbraio 2013), n. 6336; Cass. pen, sez. III, 20 febbraio 2013 (dep. 3. maggio 2013), n. 19095; Cass. pen., sez. VI, 31 maggio 2011, n. 29926; nonché, in senso sostanzialmente conforme, Cass. pen., sez. VI, 14 novembre 1997 (dep. 1 aprile 1998), n. 4458. In particolare, in un arresto giurisprudenziale riconducibile a questo secondo indirizzo, si precisava esplicitamente che “[…] ove le fonti di produzione del patrimonio siano identificabili, siano lecite, e ne giustifichino la titolarità in termini non sproporzionati ad esse, è irrilevante che tali fonti siano identificabili nei redditi dichiarati a fini fiscali piuttosto che nel valore delle attività economiche che tali entità patrimoniali producano, pur in assenza o incompletezza di una dichiarazione dei redditi. Diversamente si verrebbe a colpire il soggetto, espropriandosene il patrimonio, non per una presunzione di illiceità, in tutto o in parte della sua provenienza ma per il solo fatto dell’evasione fiscale; condotta, questa, che all’evidenza non può dirsi riconducibile allo spirito e alla ratio dell’istituto in questione […]” (Cass. pen., sez. VI, 31 maggio 2011, n. 29926)
[8] Cass. pen., Sez. Un., 29 maggio 2014 (dep. 29 luglio 2014), n. 33451, Repaci, in Cass. pen., 2015, p. 958 ss., con nota di Zizanovich R., La confisca di prevenzione e il requisito della sproporzione tra beni posseduti ed attività economiche del proposto; in Dir. pen. cont., 23 settembre 2014, con nota di Trinchera T., La sentenza delle Sezioni Unite sulla rilevanza dei redditi non dichiarati al fisco ai fini della confisca di prevenzione; e in Dir. pen. proc., 2014, p. 1282 ss., con annotazione di Montagna M.
[9] Cass., sez. I, n. 1778 del 11/10/2019, dep. 2020, Ruggieri, Rv. 278171-01; Cass., sez. III, n. 11599 del 16/12/2021, Avolio; Cass., sez. V, n. 46782 del 04/10/2021, Russo; Cass., sez. I, n. 37287 del 03/06/2021, Pioggia; Cass., sez. VI, n. 23243 del 09/03/2021, Passarelli.
[10] Cass., sez. II, n. 6587 del 12/01/2022, Cuku, Rv. 282690-01; Cass., sez. II, n. 15551 del 04/11/2021, dep. 2022, Gallace, Rv. 283384-01.
[11] Cfr. par. 16 del “considerato in diritto”.
[12] Cfr. par. 7 del “considerato in diritto”: la costante giurisprudenza della Corte di cassazione, che si condivide, ha affermato che "ci si trova dinanzi ad una misura di sicurezza atipica con funzione anche dissuasiva, parallela all'affine misura di prevenzione antimafia introdotta dalla legge 31 maggio 1965, n. 575".
[13] La regola “tempus regit actum” ha posto senz’altro molteplici dubbi applicativi non ignorati dalle Sezioni Unite. Quanto alla nozione di actus, ad esempio, ci si è chiesti se esso coincida con l’intero procedimento o con i singoli atti da compiere all’interno del processo: prevale la seconda interpretazione atteso che, altrimenti, tutti i processi pendenti continuerebbero ad essere regolati sempre e soltanto dalle norme vigenti alla sua instaurazione e il principio generale diverrebbe quindi quello della efficacia differita delle nuove norme, in contrasto con la disposizione dell'art. 11 delle preleggi. Quanto alla nozione di tempus, si è invece osservato che non tutte le regole probatorie riguardano il procedimento probatorio unitariamente considerato, atteso che, quando la norma sopravvenuta è diretta solo a disciplinare diversamente le modalità di ammissione o di assunzione della prova, ovvero le condizioni di validità di determinati mezzi di prova, l’oggetto (l’atto) a cui riferire il principio intertemporale è costituito dalla singola attività istruttoria. Cfr. Cass., Sez. Un., n. 4265 del 25/02/1998, Gerina, Rv. 210199-01; Cass., Sez. Un., n. 10086 del 13/07/1998, Citaristi, Rv. 211192.
[14] Così, par. 17 del “considerato in diritto”.
[15] Così, par. 9 del “considerato in diritto”.
[16] Così, par. 18 del “considerato in diritto”.
[17] È stato peraltro già chiarito come la portata vincolante del precedente debba essere riconosciuta, come nel caso di specie, anche alle decisioni delle Sezioni Unite intervenute precedentemente all'entrata in vigore della nuova disposizione, posto che il valore di “precedente” è identificabile con la peculiare fonte di provenienza della decisione, indipendentemente dalla collocazione temporale di quest'ultima (Cass., Sez. Un., n. 36072, del 19/04/2018, Botticelli, Rv. 273549-01).
[18] Così, par. 12 del “considerato in diritto”.
[19] Corte cost., sent. 24 gennaio 2019 (dep. 27 febbraio 2019), n. 24, con nota, tra gli altri, di Basile F., Mariani E., La dichiarazione di incostituzionalità della fattispecie preventiva dei soggetti “abitualmente dediti a traffici delittuosi”: questioni aperte in tema di pericolosità, in DisCrimen, 2019; Grasso G., Le misure di prevenzione personali e patrimoniali nel sistema costituzionale, in Sist. pen., 14 febbraio 2020; Maiello V., La prevenzione ante delictum da pericolosità generica al bivio tra legalità costituzionale e interpretazione tassativizzante, in Giur. cost., fasc. 1/2019, p. 332; Id., Gli adeguamenti della prevenzione “ante delictum” nelle sentenze costituzionali nn. 24 e 25, in Dir. pen. e proc., 2020, fasc. 1, p. 107 ss; Manna A., La natura giuridica delle misure di prevenzione tra diritto amministrativo e diritto penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2, 2020, p. 1064 ss.; Maugeri A. M.-Pinto de Albuquerque P., La confisca di prevenzione nella tutela costituzionale multilivello: tra istanze di tassatività e ragionevolezza, se ne afferma la natura ripristinatoria (C. cost. 24/2019), in Sist. pen., 29 novembre 2019; Mazzacuva Fr., L’uno due dalla Consulta alla disciplina delle misure di prevenzione: punto di arrivo o principio di un ricollocamento sui binari costituzionali?, in Riv. it. dir. proc. pen., 2015, p. 987 ss.; Pelissero M., Le misure di prevenzione, in DisCrimen, 13 febbraio 2020; Della Ragione L., Le misure di prevenzione nello specchio del volto costituzionale del sistema penale, in DisCrimen, 20 aprile 2020; e, volendo, di Finocchiaro S., Due pronunce della corte costituzionale in tema di principio di legalità e misure di prevenzione a seguito della sentenza de Tommaso della Corte Edu, in Dir. pen. cont., 4 marzo 2019.
[20] Sul punto cfr. anche le perspicue considerazioni, seppur riferite alla confisca di prevenzione, svolte da Albanese D., Cosa giudicata e confisca di prevenzione, Giuffrè, in corso di pubblicazione, in ptc. cap. VI.