Cass. pen., Sez. VI, sent. 22 giugno 2023 (dep. 5 ottobre 2023), n. 40698, Pres. Fidelbo, Rel. Silvestri
1. Con la sentenza che può leggersi in allegato[1], la Sesta Sezione della Corte di Cassazione ha affrontato la questione della configurabilità del delitto di violazione degli obblighi di assistenza familiare (art. 570 c.p.) in capo al genitore naturale del figlio nato non in costanza di matrimonio; precisando il momento in cui sorge l’obbligo di procurare i mezzi di sussistenza nel caso di accertamento giudiziale della paternità (o della maternità). A questo proposito, lo anticipiamo fin d’ora, la Suprema Corte ha affermato che il genitore è obbligato sin dalla nascita nei confronti del figlio, ma è solamente dall’accertamento giudiziale definitivo dello stato di genitore che l’obbligo nasce; con la conseguenza che in mancanza di una decisione su tale status divenuta irrevocabile il reato in esame non può ritenersi configurabile.
La decisione si segnala come meritevole di interesse poiché prende le distanze dall’opposto orientamento – pur recentemente emerso in seno alla stessa giurisprudenza di legittimità – secondo il quale, come si dirà più nel dettaglio nel prosieguo, ai fini della configurazione del reato previsto dall’art. 570 c.p., l’obbligo del genitore naturale di procurare i mezzi di sussistenza al figlio minore sussiste indipendentemente dalla formale attribuzione della responsabilità genitoriale[2]. Sul punto emerge dunque un potenziale contrasto giurisprudenziale che potrebbe richiedere un futuro intervento delle Sezioni Unite.
2. Prima di procedere all’analisi delle questioni giuridiche esaminate dalla Corte, è opportuno ricostruire brevemente i fatti oggetto della decisione e il tortuoso iter giudiziario che caratterizza il caso. Invero, la descrizione della vicenda penale deve essere coordinata con quella civile, che trae origine dall’azione promossa dalla madre nell’interesse della figlia minore nata non in costanza di matrimonio e volta ad ottenere la dichiarazione giudiziale di paternità (art. 269 c.c.) nei confronti del ritenuto padre. Quest’ultimo procedimento si è concluso, sia in primo grado, sia in sede d’appello, con l’accertamento della paternità naturale, avvenuto utilizzando il test del DNA. Nelle more del giudizio di Cassazione contro la sentenza della Corte d’Appello civile, si instaurava, a carico dello stesso soggetto, un procedimento penale presso il Tribunale di Milano per violazione dell’art. 570 comma 2 n. 2 c.p. Al ritenuto padre naturale veniva contestata l’omessa corresponsione alla madre di denaro o altre utilità a titolo di mantenimento della figlia minore fin dalla nascita di quest’ultima, nonché la strenua opposizione al riconoscimento della paternità attraverso la realizzazione di una serie di condotte abusive nell’ambito del procedimento civile.
Nel procedimento penale, il Tribunale rigettava la richiesta di sospensione del processo a norma dell’art. 3 c.p.p. avanzata dalla difesa in ragione della pendenza in Cassazione dell’azione di dichiarazione giudiziale della paternità, pregiudiziale rispetto al reato contestato. In particolare, secondo il Tribunale appariva carente il requisito, richiesto dalla norma appena citata, di serietà della questione dedotta, atteso che in ben due gradi del giudizio civile era stato accertato lo status di genitore dell’imputato[3]. Quest’ultimo formulava allora istanza di sospensione del procedimento con messa alla prova, che veniva invece accolta. All’udienza di valutazione dell’esito della messa alla prova, la difesa depositava la sentenza della Cassazione civile con cui era stata annullata con rinvio la decisione della Corte d’Appello sulla dichiarazione giudiziale della paternità dell’imputato per la violazione dell’art. 273 comma 2 c.c.: nel caso concreto mancava il necessario consenso della minore ultraquattordicenne al promovimento o al proseguimento dell’azione civile. Per tale ragione, l’imputato chiedeva il proscioglimento nel merito a norma dell’art. 129 c.p.p. ovvero, nuovamente, la sospensione del processo ai sensi dell’art. 3 c.p.p. in attesa dell’esito del procedimento civile. Tuttavia, il Tribunale, valorizzando il contenuto delle decisioni non definitive emesse nel giudizio civile, che si riferivano all’esito della prova del DNA, riteneva accertata la paternità dell’imputato e pronunciava così sentenza di estinzione del reato per esito positivo della messa alla prova.
3. Avverso tale sentenza l’imputato ha proposto ricorso per Cassazione[4], deducendo tre diversi motivi di impugnazione. In particolare, con il primo motivo la difesa ha denunciato la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione al mancato proscioglimento per insussistenza del fatto a norma dell’art. 129 c.p.p.; con il secondo, invece, si è addotto il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta mancanza di serietà della questione pregiudiziale. Da ultimo, con il terzo motivo, l’imputato ha lamentato la violazione dell’art. 238-bis c.p.p., avendo il Tribunale di Milano utilizzato le sentenze civili non irrevocabili di riconoscimento di paternità ai fini della prova dei fatti nelle stesse accertati e non come meri documenti.
4. Ma veniamo dunque alle argomentazioni con cui la Cassazione, valutando congiuntamente i motivi di gravame, ha ritenuto fondato il ricorso dell’imputato e annullato senza rinvio la sentenza impugnata per insussistenza del fatto. Il ragionamento della Suprema Corte ha preso le mosse dal principio, ormai consolidato nella giurisprudenza civile, secondo cui i genitori naturali sono obbligati a mantenere i figli (art. 147 e 315-bis c.c.) sin dalla nascita di questi ultimi, trattandosi, come si desume direttamente dall’art. 30 comma 1 Cost.[5], di un obbligo che sussiste per il mero fatto di averli generati e prescinde dunque da qualsiasi domanda giudiziale di accertamento della genitorialità. Di conseguenza, qualora il figlio sia stato riconosciuto da uno solo dei genitori, non viene meno l’obbligo al mantenimento dell’altro genitore per il periodo anteriore alla dichiarazione giudiziale di paternità o maternità, essendo entrambi obbligati sin dalla nascita[6]. Tuttavia, e giungiamo al cuore della questione, il presupposto perché nasca l’obbligo di mantenimento è costituito dall’accertamento giudiziale definitivo dello status di genitore. Invero, come affermato da un costante orientamento della Cassazione civile, la sentenza dichiarativa della paternità (o della maternità) accerta e attribuisce, dalla sua definitività, lo status di genitore naturale e produce gli effetti del riconoscimento, comportando dunque tutti i doveri propri della procreazione, incluso quello del mantenimento, anche per il periodo anteriore all’accertamento[7]. In altre parole, è solamente con il giudicato sulla sentenza dichiarativa di accertamento della genitorialità che sorge, con efficacia retroattiva decorrente dal momento della nascita del figlio, l’obbligo del genitore naturale al mantenimento, in quanto prima di allora, «non essendovi pronuncia sullo status, manca il presupposto stesso» per l’esercizio dei diritti connessi a tale status[8].
5. I principi appena enunciati hanno consentito alla Corte di risolvere la questione giuridica della configurabilità del delitto di violazione degli obblighi di assistenza familiare per omessa prestazione dei mezzi di sussistenza (art. 570 comma 2 n. 2 c.p.) nei confronti del genitore naturale del figlio minore nato non in costanza di matrimonio, nell’ipotesi particolare in cui sia intervenuto l’accertamento giudiziale della paternità (o della maternità)[9]. A tal riguardo, un recente orientamento della giurisprudenza di legittimità aveva sancito, senza peraltro addure alcun argomento a sostegno della propria posizione, la sussistenza dell’obbligo di mantenimento indipendentemente dalla formale attribuzione della responsabilità genitoriale, affermando di conseguenza la penale responsabilità del genitore naturale anche prima dell’accertamento definitivo del suo status[10].
Nella decisione in commento il Supremo Collegio si è invece discostato da tale indirizzo, statuendo che il genitore è senz’altro obbligato sin dalla nascita nei confronti del figlio, ma è solamente dall’accertamento giudiziale definitivo del suo status che l’obbligo nasce e può dunque integrarsi il reato previsto dall’art. 570 c.p.[11]. In definitiva, a giudizio della Corte, prima della formazione del giudicato sulla dichiarazione giudiziale di genitorialità, che produce effetti retroattivi decorrenti dalla nascita del figlio, il delitto di violazione degli obblighi di assistenza familiare non è configurabile, in quanto manca l’accertamento definitivo dello status di genitore naturale del soggetto attivo del reato, elemento oggettivo del fatto di reato[12].
6. La Corte ha dunque fatto applicazione nel caso di specie dei principi appena enunciati, annullando senza rinvio la sentenza del Tribunale di Milano. Secondo il Supremo Collegio, in seguito all’annullamento, da parte della Cassazione civile, della sentenza della Corte d’appello con la quale era stata dichiarata la paternità dell’imputato, lo status di genitore naturale non poteva dirsi definitivamente accertato. Cionondimeno, il Tribunale penale di Milano, da un lato, ha ritenuto di non sospendere il procedimento a norma dell’art. 3 c.p.p. in attesa dell’esito del giudizio civile, dall’altro lato, non ha neppure proceduto ad un accertamento autonomo dello status di genitore. Al fine di provare la paternità dell’imputato, si è quindi avvalso solamente del contenuto delle sentenze di merito non ancora definitive emesse nel procedimento civile di accertamento della paternità[13]. In conclusione, secondo la decisione in commento, la mancanza di una statuizione irrevocabile relativa allo status di genitore emessa all’esito del processo civile, nonché il difetto di un autonomo accertamento sul punto nel processo penale, determina l’insussistenza di uno dei presupposti necessari ai fini della configurabilità del delitto di violazione degli obblighi di assistenza familiare. Per questa ragione, la decisione impugnata è stata annullata senza rinvio per insussistenza del fatto, atteso che, secondo la Corte di Cassazione, il Tribunale di Milano avrebbe dovuto pronunciare una sentenza di proscioglimento nel merito a norma dell’art. 129 c.p.p.
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7. I principi enunciati dal Supremo Collegio nella sentenza in commento meritano a nostro parere accoglimento. In particolare, la soluzione qui prospettata ci pare in grado di rispondere all’esigenza, che informa l’intero ordinamento, di certezza dei rapporti giuridici. Da questo punto di vista, si comprende l’adesione della Cassazione ai principi espressi dalla giurisprudenza civile, secondo la quale l’obbligo di mantenimento trova la sua ragione giustificatrice nello status di genitore che, una volta accertato con sentenza definitiva, produce effetti retroattivi decorrenti dal momento della nascita del figlio; difettando prima di allora, in assenza di una pronuncia sullo status, il presupposto stesso per la nascita di tale obbligo[14]. Invero, oltre ad assicurare una soluzione coerente con la giurisprudenza in materia civile, la decisione in esame – da cui consegue la configurabilità del reato previsto dall’art. 570 c.p. solamente in seguito ad una statuizione irrevocabile sullo status – appare ragionevole, poiché, diversamente opinando, si pretenderebbe il mantenimento e si irrogherebbe dunque una sanzione penale nei confronti di un soggetto il cui status di genitore non risulta ancora certo. Va inoltre tenuto in considerazione che l’opposto orientamento giurisprudenziale, dal quale la Corte ha qui preso le distanze, non era sostenuto da alcun argomento: seppur esso riteneva correttamente sussistente l’obbligo di procurare i mezzi di sussistenza sin dalla nascita del figlio[15], da ciò ne desumeva acriticamente – e, a nostro avviso, irragionevolmente – la configurabilità del delitto indipendentemente dalla definitiva attribuzione della responsabilità genitoriale, pregiudicando quelle esigenze di coerenza e, soprattutto, di certezza del diritto appena evidenziate.
Oltre a ciò, la soluzione ermeneutica prospettata dalla decisione in commento appare altresì coerente con l’ormai consolidato indirizzo della Cassazione penale secondo cui, anche nel caso di disconoscimento della paternità, lo status di genitore naturale viene meno solamente in seguito alla formazione del giudicato sulla sentenza civile che accoglie la domanda. Prima di tale momento permane, invece, l’obbligo di corrispondere i mezzi di sussistenza al figlio e risulta dunque configurabile il reato di cui all’art. 570 c.p.[16].
Da ultimo, ci preme sottolineare l’opportunità che, in pendenza di un’azione civile di dichiarazione giudiziale della genitorialità, pregiudiziale e rilevante, per quanto si è detto, rispetto alla configurabilità del reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare, il giudice penale sospenda il processo a norma dell’art. 3 c.p.p. in attesa del giudicato sulla sentenza civile[17]. Tale soluzione eviterebbe di addivenire, in mancanza di un accertamento definitivo dello status di genitore, ad una sentenza di proscioglimento per insussistenza del fatto, come accaduto nel caso di specie.
[1] Cass. pen., Sez. VI, sent. 22 giugno 2023 (dep. 5 ottobre 2023), n. 40698, Pres. Fidelbo, Rel. Silvestri, in Dejure.
[2] Cfr. Cass. pen., Sez. VI, sent. 10 ottobre 2018 (dep. 7 marzo 2019), n. 10091, in Dejure; Cass. pen., Sez. VI, sent. 19 novembre 2014 (dep. 19 dicembre 2014), n. 53123, in Dejure.
[3] Cfr. Cass. pen., Sez. VI, sent. 22 giugno 2023 (dep. 5 ottobre 2023), n. 40698, cit.
[4] È pacifico che l’imputato possa impugnare la sentenza di estinzione del reato per esito positivo della messa alla prova al fine di ottenere un più favorevole proscioglimento nel merito. Sul punto, cfr. L. Bartoli, La sospensione del procedimento con messa alla prova, Padova, 2020, p. 333 s.
[5] Cfr. Cass. civ., Sez. I, sent. 19 giugno 2013 (dep. 22 novembre 2013), n. 26205, in Dejure.
[6] Cfr. ibidem, in cui la Corte osserva incisivamente che «il diritto del figlio ad essere educato e mantenuto (artt. 147 e 148 cod. civ.) è, in conclusione, eziologicamente connesso esclusivamente alla procreazione». Sul piano civilistico ne consegue, come corollario, il diritto di regresso, secondo le norme vigenti nei rapporti tra condebitori solidali, del genitore che ha provveduto in via esclusiva al mantenimento del figlio nei confronti dell’altro genitore giudizialmente dichiarato tale; così, ex multis, Cass. civ., Sez. I, ord. 20 gennaio 2023 (dep. 28 marzo 2023), n. 8762, in Dejure; Cass. civ., Sez. I, ord. 19 maggio 2022 (dep. 25 maggio 2022), n. 16916, in Dejure; Cass. civ., Sez. I, sent. 25 settembre 2006 (dep. 3 novembre 2006), n. 23596, in Dejure.
[7] Cfr., ex multis, le decisioni richiamate supra, nota 6, nonché Cass. civ., Sez. VI, sent. 11 dicembre 2014 (dep. 16 febbraio 2015), n. 3079, in Dejure.
[8] Così, Cass. civ., Sez. I, sent. 25 settembre 2006 (dep. 3 novembre 2006), n. 23596, cit. Secondo la Corte, «pare evidente che sino al momento in cui si forma il giudicato in ordine alla domanda di accertamento della paternità o maternità naturale, non sorge lo status di figlio naturale e quindi difetta il presupposto per l'esercizio delle azioni che a tale status si riconnettono». In termini analoghi, Cass. pen., Sez. VI, sent. 22 giugno 2023 (dep. 5 ottobre 2023), n. 40698, cit.
[9] La questione non ha finora attratto l’interesse della dottrina. Gli Autori che più di recente si sono occupati del reato in esame ne ammettono la configurabilità non solo nei confronti del genitore naturale del figlio riconosciuto o giudizialmente dichiarato tale, ma altresì, con motivazioni pressoché analoghe a quelle che si rinvengono in giurisprudenza, di quello del figlio non ancora riconosciuto o giudizialmente dichiarato tale ovvero non riconoscibile, ritenendo pertanto che l’obbligo di mantenimento sussista in ogni caso sin dalla nascita del figlio. Tuttavia, gli stessi Autori non si interrogano sulla necessità che lo status di genitore naturale venga definitivamente accertato perché tale obbligo nasca e il delitto possa dunque configurarsi. Cfr. T. Delogu, sub art. 570, in G. Cian, G. Oppo, A. Trabucchi (a cura di), Commentario al diritto italiano della famiglia. Diritto penale. Volume VII, Padova, 1995, p. 512, secondo il quale il fondamento della tutela penale ai figli non riconosciuti deve essere rinvenuto, in primo luogo, nell’art. 30 comma 1 Cost., «che prevede la responsabilità dei genitori verso i figli solo per averli procreati, indipendentemente dallo status che ad essi competa». Nello stesso senso, cfr. F. Fierro Cenderelli, La violazione degli obblighi di assistenza familiare, Padova, 2007, p. 201 ss.; R. Carrelli Palombi, La violazione degli obblighi di assistenza familiare, Milano, 2008, p. 28 ss. e p. 86 s.; P. Zagnoni Bonilini, Violazione degli obblighi di assistenza familiare, in A. Cadoppi (a cura di), Trattato di diritto penale. Parte speciale. VI, Torino, 2009, p. 537.
[10] Cfr. le decisioni citate supra, nota 2.
[11] Cfr. Cass. pen., Sez. VI, sent. 22 giugno 2023 (dep. 5 ottobre 2023), n. 40698, cit.
[12] Nonostante il tenore letterale dell’art. 570 c.p., che utilizza il pronome «chiunque», è pacifico che il delitto di violazione degli obblighi di assistenza familiare sia un reato proprio, realizzabile solamente da chi si trova in una delle relazioni giuridiche previste dalla norma. Cfr. per tutti, R. Carrelli Palombi, La violazione degli obblighi di assistenza familiare, cit., p. 25.
[13] Peraltro, come dedotto dall’imputato con il terzo motivo di ricorso, la Corte ha rilevato altresì che, a norma dell’art. 238-bis c.p.p., le sentenze non ancora irrevocabili pronunciate nei procedimenti civili non sono utilizzabili ai fini della prova dei fatti nelle stesse accertati. Invero, richiamando il proprio orientamento (Cass. pen., Sez. V, sent. 21 novembre 2019 (dep. 2 gennaio 2020), n. 15, in Dejure), il Supremo Collegio ha osservato che tali sentenze possono essere utilizzate come prova «limitatamente alla esistenza della decisione e alle vicende processuali in esse rappresentate, ma non ai fini della valutazione delle prove e della ricostruzione dei fatti oggetti di accertamento in quei procedimenti».
[14] Si rinvia alle sentenze citate supra, note 6 e 7.
[15] Questo principio era già stato affermato in tempi meno recenti da Cass. pen., Sez. VI, sent. 16 dicembre 2004 (dep. 28 febbraio 2005), n. 7552, in CED.
[16] Così, da ultimo, Cass. pen., Sez. VI, sent. 15 gennaio 2020 (dep. 28 febbraio 2020), n. 8144, in Dejure. Peraltro, diversamente dal caso di accertamento giudiziale della genitorialità, secondo la giurisprudenza il disconoscimento opera ex nunc, con la conseguenza che non costituisce una questione pregiudiziale rispetto all’accertamento del reato; cfr. sul tema P. Pittaro, Violazione degli obblighi di assistenza familiare e disconoscimento di paternità, in Famiglia e Diritto, 2008, fasc. 12, p. 1148 ss. Parimenti, la Cassazione ha sostenuto la configurabilità del delitto previsto dall’art. 570 c.p. fino al momento in cui la sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio diviene efficace nell’ordinamento italiano (Cass. pen., Sez. VI., sent. 7 novembre 2006 (dep. 22 dicembre 2006), n. 42248, in Dejure).
[17] Cfr. F. Fierro Cenderelli, La violazione degli obblighi di assistenza familiare, cit., p. 204 s., che non manca di rilevare come, qualora le prove della filiazione siano addotte per la prima volta nel processo penale, spetterà al giudice procedere ad un autonomo accertamento in via incidentale a norma dell’art. 2 c.p.p. In giurisprudenza, cfr. Cass. pen., Sez. VI, sent. 28 marzo 2012 (dep. 26 aprile 2012), n. 15952, in Dejure.