Testo dell'audizione, tenuta il 22 novembre 2022, presso la Commissione Giustizia Camera, sulla proposta di testo unificato – che riunisce le proposte di legge C. 1951 Bruno Bossio, C. 3106 Ferraresi, C. 3184 Delmastro Delle Vedove e C. 3315 Paolini – recante modifiche alla legge 26 luglio 1975, n. 354, al decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, e al codice penale, in materia di divieto di concessione dei benefici penitenziari nei confronti dei detenuti o internati che non collaborano con la giustizia
Per una lettura d'insieme delle varie proposte di riforma legislativa del regime ostativo di cui all'art. 4-bis o.p., sollecitata dall'ordinanza della Corte costituzionale n. 97 del 2021, si veda il recente articolo del Prof. Emilio Dolcini anticipato in questa Rivista (spec. § 17).
Alcuni dati statistici per inquadrare la riforma. – Chi sono i destinatari della riforma in discussione? Utilizziamo i dati ufficiali del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria e le statistiche del Ministero della Giustizia.
1. Al 31 dicembre 2020, dei 1.784 ergastolani in 1.267 erano ergastolani ostativi, il 70%. Ma la riforma riguarda anche i detenuti a pena determinata uno o più delitti ostativi di prima fascia (I comma art. 4bis). Solo per fare alcuni esempi, al 30 giugno 2021, i detenuti per 416bis erano 7.408 e quelli per reati contro la pubblica amministrazione erano 8.903.
I destinatari della riforma sono quindi molte persone e, lo vedremo dopo, non potrebbe essere diversamente, leggendo insieme la sent. 253/2019 e la ord. 97/2021 della Corte costituzionale. Del resto, è la stessa riforma che espressamente estende il nuovo comma 1 bis anche ai non ergastolani quando domandano un permesso.
2. Si deve inoltre considerare il numero di ergastolani ostativi al 41bis. Al 30 giugno 2020 erano 262, il 20% del totale degli ergastolani ostativi (e il 35% dei 750 detenuti al regime detentivo differenziato).
Questo è un dato significativo poiché la permanenza in 41bis è giustificata dalla sussistenza dei collegamenti con la criminalità organizzata.
3. Rispetto all’ergastolo, negli ultimi 20 anni (2000-2019) si registrano in media 140 condanne alla pena perpetua all’anno. Un dato in crescita esponenziale, se si pensa che dal 1955 al 1974 erano 4,5 all’anno. La salita si è verificata sul finire degli anni Settanta, quando iniziarono a passare in giudicato le pene perpetue per il terrorismo, e soprattutto dalla seconda metà degli anni Novanta, quando la stessa cosa si verificò rispetto alle pene perpetue in ambito di criminalità organizzata di stampo mafioso.
Questo dato è particolarmente importante perché, ad oggi, gli anni di carcere scontati dagli ergastolani ostativi sono in media già utili per domandare il permesso premio (10 anni), non distanti da quelli utili per domandare la semilibertà (20 anni), e non manca chi ha già scontato i 26 anni di pena per la liberazione condizionale. Non esistono a tale proposito delle statistiche ufficiali, e la valutazione di cui sopra potrebbe anche essere in difetto rispetto dati reali. Tuttavia, esiste un utile confronto cui riferirsi: gli ergastolani ostativi che, “usando” la sent. 253/2019, hanno ottenuto un permesso premio, otto al 30 maggio 2021, erano in carcere uno da 20 anni, uno da 23 anni, uno da 24 anni, due da 26 anni, uno da 28 e due da 29 anni.
4. Infine, qualche ulteriore spunto empirico. L’età dei 1.784 ergastolani è particolarmente alta: in 619 tra 50-59 anni, in 541 tra 60-69 e in 154 sopra i 70 anni. Significa che il 70% degli ergastolani ha più di 50 anni. Questo dato deve essere letto insieme al numero totale di liberazioni condizionali accordate agli ergastolani. Il dato esiste dal 2008 al 2020: sono 33 le liberazioni condizionali ad ergastolani in 12 anni, a fronte di 111 decessi per sopraggiungere di morte biologica. Per ogni liberazione condizionale accordata ad un ergastolano ne sono morti tre in carcere.
Questi sono dati, non valutazioni. Così come è un dato che alla pena perpetua corrisponda automaticamente, come pena accessoria, la perdita della potestà genitoriale: il giudice della cognizione non ha alcuna possibilità di decidere altrimenti. Questa pena accessoria automatica è molto rilevante se rapportata ai dati appena riferiti.
Considerazioni sulla riforma. – Mi limiterò ad evidenziare quelli che ritengo dubbi di costituzionalità non manifestamente infondati. In alcuni casi, la eventuale questione di costituzionalità potrà essere sollevata utilizzando il normale canale del giudizio incidentale, ma in altri, non lo posso negare, è possibile che si esprima direttamente la Corte costituzionale, in sede di “riapertura” del processo costituzionale il 10 maggio 2022. A tale proposito, riporto le parole con le quali si chiude l’ord. 97/2021: “compito di questa Corte sarà quello di verificare ex post la conformità a Costituzione delle decisioni effettivamente assunte”.
5. La eliminazione tout court della collaborazione impossibile, irrilevante, inesigibile. – Meditare molto bene sulla eliminazione tout court della collaborazione impossibile, irrilevante, inesigibile. Da una parte, è vero che (in parte) sono ipotesi che la Consulta ha introdotto (e il legislatore recepito) in presenza della presunzione legislativa assoluta. Dall’altra parte, è però anche vero che, rileggendo le sentenze della Consulta (306/1993: collaborazione oggettivamente irrilevante, 357/1994: limitata partecipazione al fatto, 68/1995: integrale accertamento fatti e responsabilità), appare chiaro che i non collaboratori non possono essere trattati tutti allo stesso modo.
La situazione che si potrebbe produrre oggi, se la riforma sul punto fosse confermata, è esattamente la stessa di quella che si produsse nel 1994 e nel 1995: chiamata a pronunciarsi sulla eliminazione della collaborazione impossibile, irrilevante, inesigibile, la Consulta, ancorché di fronte ora ad una presunzione legislativa relativa, potrebbe rifarsi comunque al principio di eguaglianza ex art. 3 Cost.
Se, rispetto alla collaborazione oggettivamente irrilevante, il problema era invero stato risolto direttamente dal legislatore, che in sede di conversione del d.l. 306/1992 ad opera della legge 356/1992 aveva introdotto l’eccezione della collaborazione oggettivamente irrilevante, in riferimento invece alle altre due ipotesi (limitata partecipazione al fatto e integrale accertamento dei fatti e delle responsabilità) la Consulta è intervenuta con una declaratoria di incostituzionalità espressamente riferendosi al principio di eguaglianza.
In altri termini, non appare manifestamente infondato il dubbio di costituzionalità circa la eliminazione tout court della collaborazione impossibile, irrilevante, inesigibile, in quanto lesiva del principio di eguaglianza, che non permette di trattare in modo eguale situazioni differenti.
6. Il divieto di retroattività della eliminazione della collaborazione impossibile, irrilevante, inesigibile. – In ogni caso, la eliminazione di cui al punto precedente, qualora fosse mantenuta, non potrebbe applicarsi retroattivamente a coloro che già hanno ottenuto benefici e misure alternative grazie al riconoscimento della collaborazione impossibile, irrilevante, inesigibile. Costituisce principio oramai consolidato della giurisprudenza costituzionale quello della non regressione trattamentale, ovviamente non colpevole.
Possiamo aggiungere un aspetto. Dato che la riforma non prevede alcuna disposizione volta a modulare gli effetti nel tempo, e su questo torneremo anche dopo, per coloro che già hanno ottenuto il riconoscimento della collaborazione impossibile, irrilevante, inesigibile e che hanno già ottenuto un beneficio o una misura alternativa non si possono certo applicare i nuovi limiti di pena scontata per accedere a benefici e misure. Se, rispetto al pericolo di ripristino dei collegamenti, introdotto dalla sent. 253/2019, è stata sollevata questione di costituzionalità, al fine di chiarire il dubbio circa la sua valenza anche in caso di collaborazione impossibile, irrilevante, inesigibile (Magistrato di sorveglianza di Padova, 12 aprile 2021, udienza in Corte costituzionale fissata per il 30 novembre 2021), il discorso appare molto differente per quanto riguarda i limiti di pena scontata per accedere a benefici e misure, e lo stesso per la durata della libertà vigilata.
Anche ammettendo che la nuova procedimentalizzazione disciplinata dalla riforma qui in discussione abbia valore retroattivo in riferimento a chi ha ottenuto la collaborazione impossibile, irrilevante, inesigibile e che già ha ottenuto un beneficio o una misura (evenienza da dimostrare), non si può giungere alla medesima conclusione rispetto ai limiti di pena scontata e alla durata della libertà vigilata.
Bisogna distinguere: se per i permessi premio (e il lavoro all’esterno) la Consulta (sent. 32/2020) ha escluso il divieto di retroattività ma come detto in questi casi vale comunque il divieto di regressione trattamentale non colpevole, per le misure alternative (affidamento in prova, detenzione domiciliare, semilibertà) e per la liberazione condizionale è la stessa Consulta (sempre nella sent. 32/2020) ad aver espressamente affermato il divieto di retroattività di modifiche deteriori che incidano su natura, qualità e quantità della pena.
Nel caso dei nuovi limiti di pena per accedere ai benefici e alle misure e nel caso della nuova durata della libertà vigilata, pertanto, si deve concludere che la eliminazione della collaborazione impossibile, irrilevante, inesigibile non può avere alcun effetto retroattivo nei confronti di chi ne ha già ottenuto il riconoscimento e ha ottenuto benefici e misure: tanto per i condannati all’ergastolo quanto per quelli a pena temporanea si continuano ad applicare i precedenti limiti di pena per accedere a benefici e misure e lo stesso vale per la durata della libertà vigilata (la sent. 32/2020 è stata confermata dalla 183/2020 e ad oggi “estesa” anche alle pene accessorie da Cass., VI sez., 40538/2021, ud. 18.10.2021).
7. I condannati a pena determinata e il divieto di retroattività. – Occorre verificare la sorte dei condannati a pena determinata, i quali, una volta dovesse entrare in vigore la riforma, chiedano un beneficio (diverso dal permesso) o una misura alternativa. Bisogna distinguere due ipotesi.
La prima riguarda i condannati per fatti commessi dopo l’entrata in vigore della riforma. In questo caso, lo scenario è il seguente: i condannati a pena determinata, se chiedono un permesso, seguono il nuovo comma 1 bis e l’aumento della metà di pena per domandarlo, mentre se chiedono un altro beneficio o una misura alternativa devono “solo” attendere di aver scontato il periodo di detenzione aumentato della metà (sul quale vedi dopo rispetto all’avverbio “effettivamente” e in riferimento alla semilibertà).
La seconda ipotesi invece riguarda i condannati per fatti commessi prima dell’entrata in vigore della riforma. Come è noto, il d.l. 152/1991 aveva previsto una specifica disposizione (art. 4), secondo la quale gli aumenti di pena scontata per accedere ai benefici e alle misure (permessi, lavoro all’esterno, semilibertà, liberazione condizionale) “si applicano esclusivamente nei confronti dei condannati per delitti commessi dopo la data di entrata in vigore del presente decreto”. Stiamo parlando degli aumenti di pena per i condannati a pena determinata, poiché il d.l. 152/1991 sugli ergastolani e i limiti di pena da scontare per benefici e misure non interveniva (e quindi rimanevano dieci, venti e ventisei, rispettivamente, per benefici, semilibertà e liberazione condizionale). Lo vedremo dopo, per le pene determinate, gli aumenti erano da un quarto alla metà per i benefici e dalla metà ai due terzi per la semilibertà e la liberazione condizionale.
La riforma qui in discussione nulla dice sul regime intertemporale. Allo stato, pertanto, non resta che fare applicazione della giurisprudenza costituzionale già richiamata sul divieto di retroattività di misure peggiorative, capaci di modificare natura, qualità e quantità della pena (e questo significa affermare il divieto di retroattività in termini generali, per ogni pena, perpetua e determinata, e per ogni beneficio e misura, tranne il permesso e il lavoro all’esterno). Tuttavia, si pone un problema e riguarda proprio i condannati a pena determinata.
Se appare plausibile sostenere che gli aumenti di pena da scontare per accedere a benefici e misure alternative non possano avere valenza retroattiva, in quanto modificano la quantità di pena da scontare per domandare benefici e misure alternative – e questo riguarda ergastolani e detenuti a pena determinata (ad eccezione del permesso e del lavoro all’esterno, come detto esclusi dalla sent. 32/2020 ma contemplati dal d.l. 152/1991 quanto a divieto di retroattività – il problema si pone per i detenuti a pena determinati, ai quali, quando non richiedono un permesso, la riforma (nel nuovo comma 1bis) non dedica alcuna previsione. La riforma, rispetto al nuovo comma 1 bis, si riferisce solo alla richiesta di permesso. Ma cosa succede se la richiesta è di altro beneficio o di altra misura alternativa?
L’unica disciplina applicabile è quella prevista nel I comma dell’art. 4 bis, la quale non di meno contiene ancora (allo stato) la presunzione legislativa assoluta. Da questo punto di vista, è necessario uno specifico intervento del legislatore, considerando che la sent. 253/2019 ha già dichiarato incostituzionale, in riferimento alla richiesta di permesso, la presunzione legislativa assoluta anche in riferimento ai reati puniti con pena temporanea (e non solo con l’ergastolo). Il non collaborante detenuto a pena determinata, che non domanda un permesso ma un altro beneficio o una misura alternativa, si troverebbe di fronte solo la presunzione legislativa assoluta: si dovrebbe allora sollevare la questione di costituzionalità, chiedendo alla Corte di estendere il portato della 253/2019 anche agli altri benefici e alle misure (esattamente così è avvenuto per l’affidamento in prova al servizio sociale: Tribunale di sorveglianza di Perugia, 23 settembre 2021).
Altrimenti, l’altra possibilità è che la Corte stessa, in sede di “ripresa” del processo costituzionale il 10 maggio 2022, decida direttamente per la incostituzionalità della riforma, nella parte in cui non prevede che si possano concedere altri benefici diversi dal permesso e le misure alternative anche in assenza di collaborazione con la giustizia. Non sembra un’ipotesi da scartare: la sent. 253/2019, per dichiarare incostituzionale la presunzione legislativa assoluta, utilizza tra gli altri l’argomento secondo il quale il decisivo ruolo assegnato alla collaborazione snatura i caratteri tipici dell’esecuzione della pena, immettendo una sorta di scambio tra informazioni utili a fini investigativi e conseguente possibilità di accedere al normale percorso di trattamento (§ 8.1). I “caratteri tipici dell’esecuzione della pena” e il “normale percorso di trattamento” riguardano sicuramente tutti i detenuti, indipendentemente dalla pena che scontano, ergastolo o pena determinata.
Si consideri del resto quanto accaduto rispetto al “vecchio” comma 4 dell’art. 58-quater, che prevedeva, in caso di sequestro di persona a scopo di estorsione con morte del sequestrato, la possibilità di accedere a tutti i benefici e alle misure (esclusa la liberazione condizionale) solo dopo aver scontato effettivamente 26 anni di pena (torneremo dopo sull’avverbio effettivamente). La sent. 149/2018 della Corte ha dichiarato la incostituzionalità in riferimento al caso di un condannato alla pena perpetua, affermando (§ 9) che il legislatore doveva intervenire per “individuare gli opportuni rimedi” alle disparità di trattamento riguardanti i condannati a pena determinata. Il legislatore non è intervenuto e con la successiva sent. 173/2021 la Corte non ha potuto fare altro, se non dichiarare incostituzionale la disciplina anche in riferimento ai detenuti a pena determinata, e l’Avvocatura dello Stato non intervenne nel giudizio dal quale è scaturita la seconda sentenza.
In definitiva, partendo dal presupposto che l’aumento dei limiti di pena per accedere a benefici e misure non possa avere effetto retroattivo, se si eccettuano i permessi e il lavoro all’esterno (come detto comunque ricompresi nel divieto di retroattività dal d.l. 152/1991), per quanto riguarda invece la procedura di cui al comma 1 bis, introdotto dalla riforma, è necessario che il legislatore intervenga per permettere anche ai detenuti a pena determinata, in caso di richiesta di beneficio diverso dal permesso o di misura alternativa, di non sottostare alla precedente presunzione legislativa assoluta.
8. La certezza della esclusione dell’attualità dei collegamenti e del pericolo di ripristino. – Sulla certezza di escludere l’attualità dei collegamenti e del pericolo di un loro ripristino solo una considerazione. A parte il fatto che la legge 11/2002 ha escluso la certezza, scelta poi confermata dalla legge 38/2009 (che convertiva con modifiche il d.l. 11/2009), resta che al massimo si può arrivare ad un elevato grado di probabilità soggettiva, mai alla certezza oggettiva: questa seconda è esclusa perché esiste in positivo la possibilità di dimostrare al giudice la non attualità dei collegamenti e il non pericolo di ripristino. Esiste un problema di tenuta logica della previsione sulla certezza della esclusione, e basta riferirsi per fare alcuni esempi al tempo trascorso dai fatti e dall’inizio detenzione, alla mancata proroga del 41bis, alla dissoluzione del sodalizio criminale, allo scarso significato delle informative ripetitive di informazioni datate, all’assenza di procedimenti posteriori alla carcerazione e ad altro.
Non vi è dubbio che la presunzione legislativa di pericolosità, anche se divenuta ora relativa, comporti un diverso funzionamento rispetto alle ordinarie presunzioni legislative, vincibili con “prova” contraria. La diversificazione esiste sin dal decreto legge 152/1991 che ha introdotto l’art. 4 bis. Detto questo, prevedere, come fa la riforma, la necessità di escludere “con certezza” attualità e pericolo di ripristino non sembra corretto. Il problema è la specificità delle allegazioni, nel senso che gli elementi di fatto prospettati nella domanda devono avere una efficacia indicativa, anche in chiave meramente logica e non rappresentativa, essendo sufficiente la pertinenzialità. Il richiedente, in altri termini, deve illustrare gli elementi fattuali che abbiamo concreta portata antagonista sul piano logico rispetto al fondamento della presunzione relativa di pericolosità. Ma proprio questo induce a ritenere erroneo il riferimento adoperato nella riforma alla “certezza” della esclusione dell’attualità e del pericolo di ripristino. Si veda, per una corretta interpretazione del contenuto delle allegazioni, in riferimento all’attualità e al pericolo di ripristino, la sent. 33743 della I sez. della Cassazione, udienza 14 luglio 2020, con la quale il giudice di legittimità ha concluso nel senso sopra indicato partendo da una attenta lettura della sent. 253/2019 della Corte costituzionale (e le opzioni argomentative della Cassazione qui condivise non si riferiscono al problema della inammissibilità, visto che sono avanzate in chiave ricostruttiva della sent. 253/2019).
9. L’estensione automatica delle misure di prevenzione del codice antimafia. – Sulla previsione della estensione automatica delle misure di prevenzione del codice antimafia, nel momento in cui il giudice concede i benefici, è vero che queste misure, anche se esistenti per indiziati, andrebbero ad applicarsi a condannati ai quali ascriversi una presunzione di pericolosità relativa; non di meno, è proprio la concessione dei benefici che si deve basare sull’assenza di attualità dei collegamenti e del loro ripristino.
Sarebbe quindi meglio non imporre al giudice di applicare sempre e comunque le misure del codice antimafia, ma dare al giudice la possibilità di farlo (non quindi “applica” ma “può applicare”); in questo modo, il giudice potrebbe valutare caso per caso: ogni automatismo è contrario alla individualizzazione della decisione, che tutela tanto la persona quanto la collettività, insieme certo allo stesso compito del giudice.
10. I nuovi limiti di pena “effettivamente” da scontare per domandare i benefici e le misure. – La previsione dell’avverbio “effettivamente”, riferito ai nuovi limiti di pena per accedere ai benefici e alle misure, apre lo spazio ad una questione di costituzionalità non manifestamente infondata. Che poi possa essere la Corte costituzionale ad affrontarla direttamente il 10 maggio 2022 o se sarà invece necessaria una nuova questione di costituzionalità è un’altra faccenda.
Il dubbio di costituzionalità relativo all’avverbio “effettivamente” non è manifestamente infondato per due ragioni. Da un lato, vi è un chiaro contrasto con la sent. 274/1983 della Consulta, la quale ha esteso la riduzione di pena ottenuta con la liberazione anticipata anche agli ergastolani, al fine di domandare la liberazione condizionale, sul presupposto che anche per gli ergastolani, così come per tutti i detenuti a pena temporanea, la riduzione di pena ottenuta con la liberazione anticipata è un istituto che attua l’art. 27, III c., Cost.; ancora più chiara sul punto la sent. 149/2018, la quale, richiamando le sentt. 186/1995 e 276/1990 e la stessa sent. 274/1983, parla della liberazione anticipata come di un “potente stimolo” di partecipazione al programma rieducativo che “costituisce diretta attuazione del precetto costituzionale di cui all’art. 27, III c., Cost.”.
Dall’altro lato, appare irragionevole, quindi in contrasto anche con l’art. 3 Cost., la esclusione per tipologia di reato della possibilità di contare i giorni ottenuti con la liberazione anticipata (mai peraltro automatici) al fine di detrarli dal periodo dopo il quale è possibile domandare i benefici e la semilibertà.
Non vi sono alternative: o si elimina la liberazione anticipata dall’ordinamento o la si mantiene per tutti, ma la prima opzione non sembra percorribile proprio perché la liberazione anticipata “costituisce diretta attuazione” del III comma dell’art. 27 Cost.
11. Gli aumenti di pena da scontare per domandare benefici e misure. – Sugli aumenti di pena per chiedere i benefici e le misure, il legislatore ha un margine di intervento ampio, sempre che le scelte non risultino irragionevoli, quindi in violazione dell’art. 3 Cost.
Questo è però lo scenario che si prefigura nel caso degli ergastolani in riferimento alla parificazione del tempo da scontare per domandare tanto la semilibertà quanto la liberazione condizionale. Se oggi sono, rispettivamente, 20 e 26 anni, con la riforma diventano 30 anni in entrambi i casi. La violazione dell’art. 3 Cost. è evidente, poiché si trattano in modo eguale situazioni differenti (semilibertà e liberazione condizionale), con effetti peraltro già fortemente censurati dalla Consulta nella sent. 149/2018 (sopra richiamata), la quale si era confrontata con un caso del tutto simile, visto che nel caso di specie (sequestro di persona a scopo di estorsione con morte del sequestrato) all’ergastolano era permesso domandare la semilibertà esattamente scontato lo stesso periodo richiesto per domandare la liberazione condizionale, ossia 26 anni.
Non solo. Tra la riforma qui in discussione e il caso trattato dalla Corte con la sent. 149/2018 esiste un’altra somiglianza. Con la riforma si potrebbe domandare la liberazione condizionale prima della semilibertà, visto che non estende l’avverbio “effettivamente” ai nuovi 30 anni di pena scontata per domandare la liberazione condizionale. E questo “sovverte irragionevolmente” la logica gradualista della progressività trattamentale (sono parole della Corte nella sent. 149/2018, § 5).
Per restare alla questione dell’ergastolo e alla parificazione dei 30 anni per la semilibertà e la liberazione condizionale, esiste solo una alternativa: introdurre in modo esplicito un tempo di pena scontata, dopo il quale si può domandare la semilibertà, che si collochi tra quello chiesto per i permessi e quello per la liberazione condizionale (se si vogliono mantenere gli aumenti per il permesso, da 10 a 15 anni e per la liberazione condizionale, da 26 a 30, il margine è ampio, dai 16 ai 29).
Chiarito questo punto, una nota sugli aumenti di pena da scontare in sé considerati. Il permesso per gli ergastolani sarebbe domandabile dopo 15 anni (peraltro, nell’ottica della riforma, effettivamente scontati, il che abbiamo visto essere di dubbia costituzionalità). Si consideri che ad esempio in Germania i 15 anni sono il periodo scontato dopo il quale si può domandare la liberazione condizionale. Ma non è (solo) questo il punto.
A regime, i nuovi limiti di pena da scontare per accedere ai benefici (per delitti ostativi di prima fascia e i nuovi aggiunti grazie al richiamo dell’art. 51 commi 3 bis e 3 quater cpp) sono tutti aumentati della metà, tranne i 26 anni per la liberazione condizionale in caso di ergastolo, che diventano 30 anni. Il risultato è però alquanto irragionevole in riferimento alla semilibertà.
I permessi e gli altri benefici oggi si chiedono (per delitti ostativi) scontata la metà della pena determinata, comunque con il tetto massimo dei 10 anni. Esempi: condanna a 8 anni, il permesso si chiede scontati 4 anni, con la riforma sarebbero 6 anni; condanna a 10 anni, il permesso si chiede scontati 5 anni, con la riforma sarebbero 7 anni e mezzo; condanna a 12 anni, il permesso si chiede a 6 anni, con la riforma a 9 anni. L’aumento, in sé considerato, non crea irragionevolezze.
Non così può dirsi per la semilibertà che oggi si chiede (per delitti ostativi) scontati i due terzi di pena. Vediamo gli esempi: se la pena è di 12 anni, la semilibertà si chiede oggi scontati 8 anni, che diventano 12 in caso andasse a regime la riforma (che vuole un aumento della metà); la stessa situazione in caso di 15 anni di pena: la semilibertà oggi si chiede scontati 10 anni, con la riforma, che chiede un aumento della metà, si arriva a 15 anni.
Se, come vuole la riforma, si aggiunge la metà ai due terzi di pena scontata, lasciando in disparte la questione dell’effettivamente scontata, il risultato è che per la semilibertà si arriva per forza ad un risultato irragionevole.
Una sola ulteriore nota. Il decreto legge 152/1991, che come detto ha introdotto l’art. 4bis, aveva già previsto una diversa soglia di pena scontata per accedere ai benefici, alla semilibertà e alla liberazione condizionale. In caso di non collaborazione la soglia per i permessi era portata da un quarto alla metà (aumento del 25%), mentre quella della semilibertà (e della liberazione condizionale) dalla metà a due terzi (aumento del 16%). La riforma qui in discussione, pertanto, aumenta (della metà, quindi del 50%) soglie di pena che già erano state a suo tempo aumentate, e vale la pena di ricordare che il decreto legge del 1991 non introduceva alcuna presunzione legislativa assoluta. Lo vedremo in conclusione, ma la domanda va posta subito: per quale motivo il legislatore di oggi, con la riforma in discussione, dovrebbe aumentare in questo modo le soglie di pena da scontare per benefici e misure? Non certo perché si modificano le soglie di pena da scontare per i collaboranti, che rimangono invariate. E nemmeno perché è caduta la presunzione assoluta di pericolosità, visto che gli aumenti di pena del legislatore del 1991 sono stati posti in essere senza alcuna presunzione assoluta di pericolosità legata alla non collaborazione. In altro modo: si torna al regime ostativo del 1991 ma perché aumentare di nuovo (e in misura molto maggiore) soglie di pena già allora aumentate?
12. La liberazione per gli ergastolani da 26 a 30 anni. – Rimarrebbe da dire sull’aumento da 26 a 30 anni per gli ergastolani in sede di domanda di liberazione condizionale. In chiave comparata, questo aumento porterebbe l’Italia in cima agli Stati del Consiglio d’Europa per numero di anni da scontare prima di poter domandare la liberazione condizionale. E se la Corte di Strasburgo è vero che non ha ancora fissato un limite massimo, se non quello di 40 anni, in sé contrario all’art. 3 CEDU, è però anche vero che i 30 anni della riforma si allontanano in modo significativo dai 25 anni che la Corte indica come tempo da prendere in considerazione, riferendosi allo Statuto della Corte Penale Internazionale (CPI).
A questo proposito, il legislatore italiano è impegnato nella implementazione delle previsioni dello Statuto della CPI. Se dovessero rimanere i 30 anni per gli ergastolani condannati per delitti ostativi, il risultato sarebbe che questa soglia temporale sarebbe più alta dei 25 anni di pena scontata che i condannati alla pena perpetua dalla CPI devono attendere per poter domandare, alla stessa CPI, la early release.
Basti un esempio per comprendere la irragionevolezza: una persona condannata all’ergastolo per crimini contro l’umanità e genocidio può domandare la early release dopo 25 anni, una persona condannata all’ergastolo per un omicidio aggravato con il riconoscimento dell’aggravante di cui all’art. 7 potrebbe domandare la liberazione condizionale dopo 30 anni.
13. Incentivare la collaborazione. – Infine, una considerazione di politica costituzionale. L’ord. 97/2021 dice in modo esplicito che se la Corte dichiarasse immediatamente la incostituzionalità dell’ergastolo ostativo, senza limitarsi ad accertarla, il risultato potrebbe essere deleterio perché non si darebbe spazio a tipiche scelte di politica criminale, di spettanza del legislatore (§ 9, cpv 6, 9). In particolare, si potrebbero determinare disarmonie e contraddizioni nella complessiva disciplina di contrasto alla criminalità organizzata, nonché “minare il rilievo che la collaborazione con la giustizia continua ad assumere nell’attuale sistema”.
Da questo punto di vista, la riforma qui in discussione sembra rispondere alla preoccupazione della Consulta incentrandosi unicamente su un determinato “incentivo” alla collaborazione, che sarebbero in sostanza gli aumenti di pena da scontare per accedere a benefici e misure alternative nel caso di non collaborazione. Questa è una scelta di politica criminale, da valutare in un’ottica di un diritto penale costituzionalmente orientato, a mente del quale la collaborazione è incentivabile (in via diretta) con premi più che (in via indiretta) con aggravi di varia natura. Si rileggano, a tale proposito, le chiare parole della Consulta nella sent. 253/2019, in specie il § 8.1: “un conto è l’attribuzione di valenza premiale al comportamento di colui che, anche dopo la condanna, presti una collaborazione utile ed efficace, ben altro è l’inflizione di un trattamento peggiorativo al detenuto non collaborante”.
Anche per questo, apparirebbe opportuno anche un intervento “diretto” sulla collaborazione con la giustizia. Al 31 dicembre 2020, erano nel sistema di protezione 1.007 collaboratori, ai quali sommare 3.776 famigliari. In media da 6 anni, ma il 20% da 10 anni. Si consideri che il 40% dei famigliari è minorenne e di questi il 20% è in età prescolastica (6 anni).
Indubbiamente, è necessario un intervento che aumenti le risorse umane e professionali: si consideri che esistono solo tre psicologi per tutte le persone rientranti nel sistema protezione, che sono 5.015, poiché ai collaboratori e famigliari si devono aggiungere i 55 testimoni di giustizia e i loro 177 famigliari (sempre dati al 31 dicembre 2020). Anche se le motivazioni sono differenti, un altro dato non può che far riflettere: dal 2016 alla fine del 2020 non si è avuto alcun cambio di generalità (e si consideri che il documento di copertura non è mai obbligatorio). Anche l’assegno di mantenimento stabilito in termini tabellari non sempre è adeguato alle diverse specificità dei diversi casi. Gli interventi non sono solo questi, ma quello che dovrebbe ispirare questa parte della riforma è la necessità di aumentare la individualizzazione del trattamento dei collaboratori di giustizia.
Se l’ottica del legislatore è solo quella di “incentivare” la collaborazione utilizzando la “clava” dell’aumento dei limiti di pena da scontare in assenza di collaborazione, il rischio è quello di guardare solo ad un aspetto della questione, che, peraltro, nella realtà, può assumere più o meno importanza. Non va dimenticato che la scelta di collaborare, sempre nella realtà, avviene molto spesso prima della sentenza di condanna, allorquando, più che i problemi dei limiti di pena scontata per accedere a benefici e misure, ciò che conta è la entità della pena stessa. Ed anche fossero i limiti di pena, non sembra semplice (o alle porte) un ulteriore intervento del legislatore, partendo dal fatto che è già previsto che si possa accedere in deroga ai normali limiti, compresi quelli per la liberazione condizionale, fissati a 10 anni. Per questo sarebbe opportuno un intervento del legislatore sul sistema protezione collaboratori, proprio per dare seguito alla preoccupazione della Corte sul “destino” della collaborazione, una volta caduta la presunzione legislativa assoluta.
14. La nuova durata della libertà vigilata per gli ergastolani non collaboranti.
La riforma porta da cinque a dieci anni la libertà vigilata in caso di ergastolani non collaboranti. Si tratta di un inasprimento stabilito per titolo di reato (esplicito il richiamo ai delitti di cui al I comma dell’art. 4bis) e del quale non fa menzione la Consulta nell’ord. 97/2021, ove, per giustificare con alcuni esempi la scelta di non intervenire immediatamente con la dichiarazione di incostituzionalità, si fa riferimento alla “introduzione di prescrizioni che governino il periodo di libertà vigilata del soggetto” (§9, corsivo aggiunto).
Si ammetta comunque la possibilità per il legislatore di intervenire anche sulla durata della libertà vigilata, evenienza non prodottasi con il d.l. 152/1991, resta il fatto che l’essenza stessa della libertà vigilata è quella di controllare la condotta del soggetto liberato e insieme favorirne il reinserimento sociale, scopi che, entrambi, richiedono la possibilità per il Tribunale di individualizzarne tanto le prescrizioni quanto la durata.
Pertanto, non appare manifestamente infondato il dubbio di costituzionalità, nella misura in cui la riforma non prevede la possibilità di disporre la libertà vigilata, rispetto agli ergastolani non collaboranti, entro un limite massimo di dieci anni. Del resto, per l’ergastolano ostativo, se ammesso alla liberazione condizionale, oltre ad aver accertato il sicuro ravvedimento, il Tribunale ha escluso (con “certezza” per la riforma) sia l’attualità dei collegamenti sia il loro ripristino, evenienza, questa seconda, fondamentale per il discorso sulla libertà vigilata. Anche se in riferimento alle pene accessorie e non alle misure di sicurezza, la giurisprudenza della Consulta merita attenta considerazione, visto che si valorizzano proporzionalità e individualizzazione proprio “contro” la fissità di talune pene accessorie (sent. 222/2018).
Prevedere una durata sempre e comunque fissa di dieci anni non permette in alcun modo al Tribunale di intervenire in senso individualizzante, qualora fosse necessario disporre la libertà vigilata per un tempo minore, ma anche laddove fosse necessario imporla per un tempo maggiore. Trattare in modo eguale situazioni differenti lede il principio costituzionale di eguaglianza.
Il dubbio di costituzionalità non appare pertanto manifestamente infondato. Se la libertà vigilata ha lo scopo di controllare la condotta del soggetto liberato, e di favorirne il reinserimento sociale, la sua determinazione temporale in misura fissa frustra tanto il primo quanto il secondo scopo. Ed appare altresì irragionevole, se questi (e non altri) sono gli scopi della libertà vigilata, disporla per i condannati a pena determinata per tutto il tempo della pena inflitta e per gli ergastolani (non collaboranti) necessariamente per un numero fisso di anni, aumentati da cinque a dieci. Dato che non sarebbe praticabile la libertà vigilata perpetua, perché non permette la detrazione della liberazione anticipata, l’unica possibilità (alternativa alla fissità) è disporla “fino a dieci anni”. La domanda da porsi è la seguente: la pena perpetua obbliga alla fissazione di un “numero” apposito di anni per la libertà vigilata agli ergastolani, ma quale tra le due alternative possibili è più costituzionalmente orientata, quella che prevede la durata fissa o quella che ne stabilisce una durata individualizzata? Onde evitare nel minimo un “monito” della Consulta e nel massimo una dichiarazione di incostituzionalità, il legislatore dovrebbe valutare di modificare la fissità della libertà vigilata, prevedendo che il Tribunale la disponga “fino a dieci anni”.