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09 Novembre 2020


D.l. 28 ottobre 2020, n. 137 e processo penale: sulla “giustizia virtuale” servono maggiore cura e consapevolezza


* Pur essendo il lavoro frutto di una riflessione congiunta, Mitja Gialuz ha redatto i §§ 6-10 e Jacopo Della Torre i §§ 1-5.

Per leggere il testo del decreto-legge (c.d. decreto ristori), clicca qui.

 

1. La pandemia da COVID-19 ha stravolto il mondo, dando vita a quella che è stata definita la crisi globale più ardua dal secondo dopoguerra[1]. Com’era inevitabile, anche il campo della giustizia ha subito un profondo «shock»[2] a causa dell’emergenza sanitaria. Il virus ha costretto i legislatori di tutto il mondo a prendere decisioni drastiche, quale quella di rinviare, specie in un primo momento, la trattazione di un gran numero di procedimenti, pur di preservare il diritto alla salute[3]. L’impossibilità di sospendere l’intera attività giudiziaria non ha, tuttavia, consentito agli ordinamenti di fermarsi qui. Essi si sono dovuti ingegnare onde trovare il modo di trattare in sicurezza quantomeno parte del carico giudiziario non rinviabile. La crisi sanitaria ha così inciso massicciamente sulle forme del “rituale giudiziario[4].

A tal proposito, non vi è dubbio che il mutamento più significativo è stato quello di aver favorito un’accelerazione repentina del percorso, già in atto da tempo, di smaterializzazione globale dell’attività giudiziaria[5], pure in ambito penale[6]. Il cambio di passo in proposito è stato radicale, sia dal punto di vista quantitativo, sia qualitativo. In plurimi Stati non ci si è infatti accontentati di ampliare la possibilità di depositare atti, documenti e istanze con modalità telematiche, ma si è informatizzata pure una serie di momenti topici del procedimento, tra cui le udienze, che hanno iniziato a essere celebrate in forma totalmente online, tramite applicativi, quali Microsoft Teams, Skype e Zoom. In breve tempo, si è così assistito all’emergere trasversale, tanto in Paesi di matrice romano-germanica[7], quanto di common law[8], dell’“embrione” di un rito criminale del tutto nuovo, perché celebrato, non più nel mondo fisico dei palazzi di giustizia, ma in quello virtuale di internet. Si tratta, evidentemente, di uno scenario che, solo fino a poco prima, poteva apparire futuristico.

 

2. Com’è noto, questo trend di «smaterializzazione diffusa»[9] del rito penale ha investito in pieno anche il nostro Paese[10]. Quantomeno nella fase più acuta della pandemia, il salto di qualità rispetto alle norme classiche in tema di dibattimento a distanza (art. 146-bis e 147-bis disp. att. c.p.p.) è stato, infatti, esponenziale, essendosi permesso non solo di svolgere in remoto, mediante applicativi telematici innovativi, una serie molto più ampia di fasi del procedimento, ma anche di celebrare vere e proprie remote hearings, con tutti i soggetti, tra cui persino il giudice, collocati in luoghi diversi dalle aule dei tribunali e delle corti. Così facendo, si è alterato pure in Italia uno dei pilastri fondamentali del rituale giudiziario, ossia la sua dimensione spazio-fisica[11], caratterizzata da una portata sacrale, dove una serie di rappresentanti della collettività ristabiliscono l’ordine violato.

Se ciò è vero, non si può tuttavia che rilevare fin da subito come la tecnica del legislatore italiano sia stata molto diversa da quella di altri suoi omologhi europei (e non solo). Mentre, infatti, in Paesi, come la Francia[12], l’Inghilterra[13] o gli Stati Uniti[14] è stato adottato, sin dai primi mesi del 2020, un compendio normativo in materia di giustizia virtuale valido per tutta la durata della crisi sanitaria, l’Italia ha scelto, fino a oggi, di attribuire alle previsioni sul punto una durata cronologicamente molto più contenuta, informatizzando il processo, in modo più o meno esteso, a seconda dell’aumentare o del ridursi del numero dei malati. Tale differente approccio – forse inevitabile nella prima fase della pandemia, quando l’Italia figurava tra i primi Stati a dover affrontare il virus – ha avuto quale effetto collaterale quello di portare allo stratificarsi di una selva, difficilmente governabile, di provvedimenti emergenziali sul punto, di cui il d.l. 28 ottobre n. 137[15] (c.d. “decreto ristori”), qui pubblicato, rappresenta soltanto l’ultimo capitolo[16].

D’altra parte, per rendersi conto delle storture che ha prodotto il susseguirsi continuo di novelle, è sufficiente ricordare come il più recente provvedimento normativo sia stato emanato a soli venti giorni di distanza dal d.l. 7 ottobre 2020, n. 125[17], il quale aveva prorogato fino al 31 dicembre 2020 la vigenza di una disposizione[18], oggi abrogata dal d.l. 137/2020, che, in quanto pensata per regolare la fase recessiva del contagio avutasi nell’estate, contemplava un’informatizzazione assai meno intensa della giustizia penale di quella che vedremo caratterizzare le norme da ultimo approvate[19]. Ciò fornisce, insomma, una precisa riprova di come il legislatore processuale nostrano abbia “navigato a vista”, trovandosi costretto a inseguire la curva pandemica. La notizia positiva è che, con il “decreto ristori”, come vedremo, questo inseguimento continuo della realtà sembra destinato a terminare.

 

3. Peraltro, è stato proprio il rapido incremento dei contagi, verificatosi nel mese di ottobre, a costringere il Governo a correre ai ripari, emanando con gli artt. 23 e 24 del d.l. 137/2020 una nuova serie di previsioni in materia di giustizia penale virtuale, a cui si aggiunge anche una regola specifica volta ad adattare il lavoro della Cassazione all’emergenza sanitaria. Peraltro, l’esecutivo non ha varato regole del tutto originali, ma si è limitato a riproporre nel decreto in esame, per lo più, quanto stabilivano i commi 12 e ss. dell’art. 83 del d.l. 17 marzo 2020, n. 18 (c.d. “decreto cura Italia”), ossia le norme in tema di processo a distanza, vigenti nel periodo di maggiore gravità dell’epidemia[20]. Dopo qualche mese di pausa, hanno così visto nuovamente la luce: a) le indagini compiute con collegamenti da remoto (art. 23, comma 2, d.l. 137/2020); b) l’istituto della partecipazione delle persone detenute a qualsiasi udienza penale tramite mezzi di collegamento audiovisivi individuati dal direttore della DIGSIA, pure senza il consenso del prevenuto (art. 23, comma 4, d.l. 137/2020); c) la possibilità di celebrare una (meno nutrita) serie di udienze in forma virtuale, con tutti i soggetti, salvo il solo ausiliario giudiziario, collocati in luoghi diversi dai palazzi di giustizia (art. 23, comma 5, d.l. 137/2020); d) le camere di consiglio (anche in Cassazione) telematiche (art. 23 comma 9, d.l. 137/2020). L’immagine che emerge, insomma, da una lettura complessiva del “decreto ristori” è quella di un processo penale nuovamente del tutto (e di colpo) trasfigurato dalla pandemia, in cui una serie di atti, che vanno dalle indagini preliminari «alla deliberazione della sentenza, fino a raggiungere il procedimento innanzi alla Corte di cassazione»[21], sono stati trasferiti dal mondo fisico a quello virtuale.

Ebbene, nonostante l’impianto di fondo del provvedimento in esame non sia, per quanto qui rileva, totalmente originale, ciò non significa che lo stesso non contenga alcun profilo di novità. Tutt’al contrario: come si vedrà nei paragrafi che seguono, il d.l. 137/2020 ha sottoposto varie fasi della remote criminal justice nostrana a una serie di ritocchi di primaria importanza, il che testimonia come il legislatore emergenziale non fosse a sua volta pienamente soddisfatto della disciplina, contenuta nel decreto “cura Italia”.

 

4. Una delle novità principali del “decreto ristori” concerne il profilo della durata temporale dell’insieme di previsioni processuali speciali, introdotte dall’esecutivo per gestire la giustizia penale nel periodo della crisi sanitaria. In proposito, va preso atto che gli artt. 23, comma 1 e 24, comma 1, del d.l. 137/2020 hanno legato la scadenza di siffatte norme al termine ultimo dello stato di emergenza, attualmente fissato (dall’art. 1, comma 1, del d.l. 25 marzo 2020, n. 19) al 31 gennaio 2021. In questo modo il Governo pare aver dettato le condizioni per far valere le disposizioni eccezionali in esame fino alla conclusione definitiva della crisi sanitaria. Il richiamo al termine di cui all’art. 1 del d.l. 19/2020 sembra, infatti, rappresentare un “rinvio mobile[22] anche alle (al momento) eventuali ulteriori proroghe che lo stato di emergenza dovesse ricevere in futuro. Una precisa conferma di ciò si ricava, del resto, dalla rubrica dell’art. 23, nella quale si fa riferimento in modo espresso al fatto che le disposizioni ivi cristallizzate sono destinate a disciplinare «l’esercizio dell’attività giurisdizionale nella vigenza dell’emergenza epidemiologica da COVID-19». Del resto, in caso contrario, l’esecutivo si sarebbe limitato a indicare, come aveva fatto fino a oggi, espressamente una data di scadenza per la durata delle previsioni in questione, senza richiamare, invece, la norma dove è stabilita (e man mano prorogata a seconda delle necessità) la durata dello stato di emergenza.

Ebbene, non vi sono dubbi nell’affermare che quello appena descritto rappresenti una svolta metodologica da accogliere con favore. Grazie al d.l. 137/2020 i conditores non sono più obbligati a continuare a inseguire la curva dei contagi, essendosi cristallizzato finalmente pure nel nostro Paese un apparato normativo flessibile, in grado di consentire agli operatori del diritto di lavorare in forma telematica – e, pertanto, in massima sicurezza – fino a quando non si sarà superata la crisi. Così facendo, l’Italia si è, insomma, avvicinata all’approccio, forse meno ambizioso, ma ben più efficace, di gestione del procedimento penale nel periodo emergenziale, seguito in altri Stati europei e non solo: il che pare avere risvolti positivi, non solo in termini di efficienza, posto che gli interpreti non saranno più costretti a districarsi in una selva di atti emergenziali, ma soprattutto di migliore tutela del diritto primario alla salute di tutti coloro che sono chiamati a partecipare sulla scena del rito.

 

5. Su un piano strettamente processuale, si possono individuare diversi profili innovativi, già per quanto riguarda la disciplina delle indagini preliminari smaterializzate.

Il primo è costituito dal fatto che l’art. 23, comma 2, del d.l. 187/2020 ha consentito, non solo al pubblico ministero, ma anche alla polizia giudiziaria, di avvalersi di collegamenti da remoto per compiere atti investigativi «che richiedono la partecipazione della persona sottoposta alle indagini, della persona offesa, del difensore, di consulenti, di esperti o di altre persone». Com’è ovvio, tale ritocco costituisce una modifica significativa in termini di tutela del diritto alla salute dei soggetti chiamati a partecipare a un atto di indagine della polizia. In virtù del novum normativo, essi potranno, infatti, recarsi presso il più vicino ufficio della p.g., dotato di collegamenti da remoto, senza doversi spostare su una porzione più ampia del territorio nazionale, il che aumenterebbe senz’altro il rischio di contagio.

Per contro, sempre a livello soggettivo, il comma de quo ha autorizzato espressamente il giudice per le indagini preliminari a procedere con le modalità telematiche soltanto all’interrogatorio di garanzia, essendosi eliminato il riferimento generale a tale figura, contenuto nella disciplina previgente dell’art. 83, comma 12-quater, d.l. 18/2020[23]. Nondimeno, è bene tuttavia precisare che il decisore potrà comunque celebrare in remoto quelle udienze, cronologicamente collocate nella fase delle indagini, che rientrino nella disciplina delle virtual hearings di cui all’art. 23, comma 5, d.l. 137/2020. Si afferma un tanto, non solo perché la disposizione da ultimo citata fa riferimento in generale alla categoria delle “udienze”, senza porre alcun limite cronologico di sorta, ma anche perché la stessa disciplina in modo espresso quantomeno una categoria di udienze collocate nella fase delle indagini preliminari, ossia quelle di convalida. Di talché, pare che la modifica in questione abbia, a ben vedere, scarsa portata innovativa pratica.

Ben altro rilievo assume, invece, un ulteriore ritocco, il quale è costituito dal fatto che l’ultima parte del primo periodo dell’art. 23, comma 2, del “decreto ristori” ha attribuito il potere al difensore della persona sottoposta alle indagini, «quando l’atto richiede la sua presenza», di opporsi al compimento dell’atto di indagine mediante collegamenti audio-visivi. Quella appena menzionata rappresenta una garanzia del tutto inedita di particolare importanza per gli indagati, che si sono visti così riconoscere il diritto di ottenere lo svolgimento “fisico” di una serie di atti d’indagine particolarmente delicati, tra cui in primis l’interrogatorio. In proposito, è, peraltro, bene precisare che il Governo, mediante tale aggiunta, non ha affatto compiuto una scelta di politica normativa singolare[24]. Tutt’al contrario: in tal modo esso si è avvicinato a quanto fatto in altri ordinamenti esteri – come, ad esempio, quello federale statunitense[25] – che, sulla base di un bilanciamento tra diritto alla salute e garanzie difensive meno pendente sul primo valore, hanno subordinato anche nel periodo pandemico lo svolgimento delle norme sul procedimento a distanza all’assenso del prevenuto.

Se ciò è vero, va comunque rilevato come la previsione in questione sia affetta quantomeno da due punti oscuri.

In prima battuta, ci si riferisce al fatto che la stessa è formulata, già sul piano testuale, in modo tutt’altro che cristallino, non essendo chiaro se la stessa possa operare soltanto allorquando sia la persona indagata a dover partecipare in prima persona all’atto, oppure anche laddove sia solo il suo difensore a essere chiamato ad assistervi[26]. Da un punto di vista letterale, infatti, la locuzione «quando l’atto richiede la sua presenza» può riferirsi tanto al soggetto della fase precedente (ossia il difensore dell’indagato), quanto al termine collocato immediatamente innanzi alla stessa (ossia, per l’appunto, la persona sottoposta alle indagini). Per di più, anche nel caso in cui si propenda per la prima soluzione, non è neppure scontato stabilire che cosa l’esecutivo abbia voluto intendere con la locuzione “quando l’atto richiede la sua presenza”. L’utilizzazione da parte del verbo “richiedere” all’indicativo potrebbe, infatti, far propendere per la tesi per cui la norma de qua operi soltanto nel caso in cui la partecipazione dell’avvocato del prevenuto sia per forza obbligatoria, il che restringerebbe di molto l’ambito di applicazione della stessa, la quale, ad esempio, potrebbe operare in ipotesi quali quella dell’art. 350, comma 3, c.p.p., ma non per una pluralità di altri atti investigativi. Per contro, però, la circostanza per cui il legislatore emergenziale non abbia utilizzato nell’art. 23, comma 2, d.l. 137/2020 locuzioni quali “quando è necessaria la sua presenza”, come, invece, fa il codice Vassalli allorquando vuole cristallizzare fattispecie in cui l’atto deve sempre compiersi con l’assistenza contestuale di un legale, potrebbe, invece, portare a preferire un’esegesi diversa, secondo cui l’avvocato sia titolare del diritto di opposizione anche laddove egli abbia una semplice facoltà di assistere all’atto di indagine. Tra le varie esegesi possibili, ci pare preferibile quella in grado di consentire la “massima espansione delle garanzie” del prevenuto, ossia la lettura secondo cui la frase “quanto l’atto richiede la sua presenza” sia riferita all’avvocato dell’indagato e che la stessa non operi soltanto nelle fattispecie di assistenza difensiva necessaria. Ciò nonostante, non si può che auspicare che il Parlamento, in sede di conversione del d.l. 137/2020, dipani tale dubbio, dal momento che lo stesso è in grado di ampliare o ridurre in modo radicale l’ambito di operatività della previsione in questione.

Un ulteriore profilo di incertezza riguarda, invece, la sussistenza o meno di tale potere di opposizione degli avvocati anche laddove i loro assistiti si trovino in vinculis. Si afferma un tanto, dal momento che la previsione in esame prevede che l’intervento di tali categorie di individui alle indagini in remoto avvenga «con le modalità» stabilite dal comma 4 dell’art. 23 d.l. 137/2020, ossia la norma generale che regola la partecipazione alle udienze tramite collegamenti audiovisivi delle persone detenute. Ebbene, il problema consiste nel fatto che l’appena menzionato comma 4 non stabilisce in alcun modo un analogo diritto di opposizione all’utilizzo delle modalità di collegamento a distanza.

Anche a questo riguardo, sono, pertanto, possibili letture del tutto eterogenee della previsione de qua.

Da un lato, si potrebbe ritenere che il richiamo al comma 4 dell’art. 23 dia vita a una disciplina speciale, in grado di far venir meno pure il diritto di opposizione del legale dell’assistito[27]; il che potrebbe giustificarsi alla luce dell’obiettivo, certamente perseguito dai conditores con il provvedimento in commento, di limitare al massimo la circolazione del virus negli istituti di pena. Del resto, proprio al fine di raggiungere tale scopo (indubbiamente meritorio), il menzionato comma 4 ha espresso un chiaro favor per la partecipazione a distanza, in ogni caso possibile, di una lunga schiera di soggetti privati della libertà personale (tra cui sono stati aggiunti espressamente, in modo innovativo, anche i fermati e gli arrestati), abrogando il dettato dell’art. 222, comma 9, del d.l. 34/2020, il quale prevedeva, per contro, quale requisito di operatività proprio il consenso delle parti (e quindi anche del prevenuto).

Da un altro lato, invece, una conclusione diversa potrebbe essere fondata sulla formulazione letterale dell’art. 23, comma 2. A un’analisi attenta, ci si renderà, infatti, conto di come esso rinvii soltanto “alle modalità” di cui al comma 4 del medesimo articolo, sembrando, pertanto, riferirsi unicamente al quomodo e non all’an dello svolgimento dell’atto di indagine in remoto. Com’è ovvio, propendendo per tale lettura si arriverebbe al risultato di ritenere che la previsione generale del primo periodo dell’art. 23, comma 2, la quale proclama anche il diritto di opposizione del legale dell’indagato, operi anche nei confronti dei soggetti in vinculis.

A ogni modo, sebbene in questo caso la formulazione testuale dell’art. 23, comma 2, d.l. 137/2020, sembri far propendere più chiaramente per la seconda lettura possibile del dettato normativo, è comunque auspicabile che il Parlamento risolva anche tale profilo di indeterminatezza, valutando se prediligere da questa prospettiva la tutela del diritto alla salute, oppure i diritti difensivi.

 

6. Chiarito un tanto, è bene precisare che il “decreto ristori” non ha innovato l’istituto delle investigazioni in remoto sotto altri profili, limitandosi a confermare le scelte già operate dal previgente d.l. 18/2020.

In prima battuta, su un piano soggettivo, il Governo ha continuato a non dettare alcuna previsione in tema di indagini difensive da remoto. Nonostante il silenzio della disciplina speciale, pare che il dettato testuale degli artt. 391-bis e 391-ter c.p.p. sia sufficientemente ampio (non facendo la stessa riferimento a luoghi fisici predefiniti) da ritenere che anche i legali possano avvalersi di strumenti come Skype o Teams al fine di assumere elementi di prova dichiarativi. D’altra parte, tale esegesi estensiva del dettato codicistico presenta l’indiscutibile vantaggio di risultare costituzionalmente orientata, poiché in grado di evitare una sperequazione irragionevole tra poteri del pubblico ministero e dei soggetti privati, di dubbia compatibilità con il principio di parità delle parti.

In secondo luogo, il d.l. 137/2020 si è limitato – esattamente come il d.l. “cura Italia” – ad autorizzare in generale la pubblica accusa e la polizia giudiziaria a svolgere investigazioni a distanza, senza stabilire nel dettaglio quali atti possano essere effettivamente compiuti con tali modalità. Ebbene, la mancanza di un’indicazione tassativa in proposito non pone problemi in una serie di casi facili: si allude a quelli certamente compatibili con la dimensione virtuale – si pensi alle indagini volte ad acquisire elementi di prova dichiarativi – o a quelli chiaramente incompatibili, come, ad esempio, gli atti che richiedono un’apprensione fisica su persone o cose. Diverso è il discorso per le fattispecie più difficili. I problemi si pongono, più precisamente, per quegli atti di indagine – come le ispezioni o l’individuazione – che, pur non risultando ontologicamente incompatibili con l’utilizzo di modalità a distanza, rischiano però di essere assai meno affidabili se svolti in forma telematica. Ebbene, la mancanza di un divieto normativo in proposito porta a ritenere che l’art. 23, comma 2, d.l. 187/2020 autorizzi in astratto l’autorità a compiere pure tali indagini in remoto; il che, peraltro, non toglie che gli operatori giudiziari (e in particolari i decisori) debbano sempre compiere una valutazione particolarmente stringente in concreto con riguardo all’attendibilità di siffatte investigazioni, ove siano effettivamente svolte in remoto.

È infine degno di nota che il “decreto ristori” abbia confermato quanto già stabilito in precedenza dal d.l. 18/2020 per quanto concerne le modalità di svolgimento delle indagini da remoto. Esso, infatti, si è limitato, per un verso, ad autorizzare il direttore della DIGSIA a individuare i collegamenti da utilizzare per svolgere tali attività, e, per altro verso, a prevedere che le persone chiamate a partecipare a distanza, ove non si trovino in vinculis, debbano fisicamente recarsi negli uffici della polizia giudiziaria per il compimento dell’atto. Anche in questo caso, inoltre, il legislatore emergenziale ha cristallizzato il diritto dell’indagato di consultarsi in modo riservato con il proprio avvocato; soggetto, quest’ultimo, a cui è stato consentito di scegliere tra partecipare allo svolgimento dell’atto d’indagine dal proprio studio legale, oppure dal luogo di collocazione del proprio assistito.

A ben vedere, questa scelta conservativa sui “luoghi del collegamento in indagini” suscita molteplici perplessità.

Per un verso, il comma 2 dell’art. 23 obbliga gli indagati liberi a recarsi per forza presso gli uffici della polizia giudiziaria per il compimento degli atti di indagine a distanza che richiedano la loro presenza, mentre il comma 5 della medesima disposizione autorizza, invece, il prevenuto non in vinculis a partecipare alle udienze anche dallo studio del difensore, che ne accerta l’identità. Ebbene, si fatica a comprendere il senso di questa differenziazione.

Per altro verso, pare insensato imporre a tutti i soggetti, chiamati a partecipare ad atti di indagini in remoto, di recarsi fisicamente nei commissariati o nelle questure. Un obbligo così stringente non sembra, infatti, ragionevole, né dal punto di vista della tutela del diritto di cui all’art. 32 Cost., visto che pure la salute degli ufficiali e agenti di polizia deve essere salvaguardata esattamente come quella dell’autorità giudiziaria, né sotto il profilo strettamente identificativo, dal momento che, salvo casi eccezionali, è ben possibile comunque provvedere ad accertare le generalità del dichiarante. Alla luce di ciò, è auspicabile che, anche da questa prospettiva, il Parlamento ponga rimedio a questa incongruenza, autorizzando, quantomeno in determinate ipotesi, i soggetti privati (non detenuti) a partecipare agli atti di indagine anche da luoghi diversi dagli uffici della p.g.

 

7. Pure con riguardo alla disciplina delle udienze virtuali, di cui all’art. 23, comma 5, del d.l. 137/2020, il Governo ha realizzato un (confuso) mix tra regole innovative e già sperimentate in precedenza.

Sul piano della struttura generale della norma, l’esecutivo ha riproposto lo schema di fondo dell’art. 83, comma 12-bis, d.l. 18/2020. Di talché, la previsione in esame si compone, ancora una volta: a) di una regola generale, volta a stabilire in presenza di quali soggetti possono essere svolte udienze totalmente virtuali (primo periodo dell’art. 23, comma 5); b) di una seconda parte, dedicata alle modalità operative delle udienze in questione (periodi da secondo a quinto dell’art. 23, comma 5); c) di alcune norme speciali, volte a regolare più nel dettaglio l’istituto in esame (sesto periodo dell’art. 23, comma 5).

Ebbene, mentre le modalità operative di svolgimento delle virtual hearings sono rimaste esattamente le stesse rispetto al passato, la prima e l’ultima parte del comma hanno subito significative modifiche.

In primo luogo, il d.l. 137/2020 ha sensibilmente ridotto l’ambito di operatività generale dell’istituto, eliminando il riferimento agli ufficiali e agenti di p.g., agli interpreti, ai periti e ai consulenti dal novero dei soggetti in cui presenza possono essere tenute vere e proprie virtual hearings. Pertanto, in linea di principio, le udienze penali possono oggi compiersi in forma virtuale, indipendentemente dalla volontà delle parti, soltanto laddove esse «non richied[a]no la partecipazione di soggetti diversi dal pubblico ministero, dalle parti private, dai rispettivi difensori e dagli ausiliari del giudice». Si tratta di un’innovazione che pare chiaramente orientata allo scopo di consentire tendenzialmente lo svolgimento in remoto, in linea di principio, di un novero di udienze caratterizzate da un contenuto non istruttorio.

La seconda innovazione consiste, invece, nel fatto che il d.l. 137/2020 ha inserito le udienze preliminari nel novero di quelle che possono tenersi a distanza soltanto con il consenso delle parti. Quest’ulteriore marcia indietro fornisce un’altra riprova dell’atteggiamento (almeno in parte) più cauto assunto del Governo nei confronti della smaterializzazione dell’attività d’udienza, rispetto a quello che aveva tenuto nell’arco cronologico che va da inizio aprile a fine giugno.

Il vero e proprio punctum dolens del nuovo art. 23, comma 5, d.l. 137/2020 sta, però, nell’ultima parte della norma, la quale è stata riscritta in modo ancor più involuto rispetto alla disciplina previgente. La stessa stabilisce, infatti, che «le disposizioni di cui al presente comma non si applicano alle udienze nelle quali devono essere esaminati testimoni, parti, consulenti o periti, nonché alle discussioni di cui agli articoli 441 e 523 del codice di procedura penale e, salvo che le parti vi consentano, alle udienze preliminari e dibattimentali». Ebbene, sin da una prima lettura, ci si renderà conto di come tale previsione sia profondamente oscura, già solo per il fatto che essa richiama due categorie di soggetti – ossia i testimoni e i consulenti tecnici – che già sulla base del primo periodo del comma 5 non dovrebbero poter essere sentiti in alcun caso in udienze virtuali. A ogni modo, l’aspetto più complicato è capire il valore da attribuire al consenso delle parti. Provando a riscrivere la disposizione, se ne ricavano tre norme speciali rispetto alla prima parte del comma 5, che riguardano la possibilità di utilizzare le udienze virtuali: a. le disposizioni sulle udienze virtuali non si applicano alle udienze nelle quali devono essere esaminati testimoni, parti, consulenti o periti; b. le disposizioni sulle udienze virtuali non si applicano alle udienze di discussione di cui agli articoli 441 e 523 c.p.p.; c. le disposizioni sulle udienze virtuali non si applicano alle udienze preliminari e dibattimentali, salvo che le parti vi consentano.

Ricondurla a senso è davvero arduo. Non è, infatti, chiaro se la volontà delle parti possa avere una portata tale da autorizzare o meno il giudice a tenere in forma smaterializzata pure le udienze preliminari e dibattimentali destinate all’assunzione di testimoni, parti, consulenti o periti, oppure quelle di discussione finale di cui agli articoli 441 e 523. Si tratta evidentemente di un quesito quantomai delicato: è, del resto, ovvio che a seconda della risposta che si ritenga possibile fornire allo stesso, l’area di operatività delle virtual hearings nostrane è in grado di estendersi o meno ad alcune categorie di udienze – quali, ad esempio, quelle dibattimentali di rito direttissimo – di importanza primaria nell’attuale contingenza.

Ebbene, alcuni indici sistematici/testuali portano a propendere per la tesi più ampia[28].

Per le udienze di discussione, un decisivo argomento in favore di tale lettura può desumersi dal comma 9 dell’art. 23, il quale specifica che nei procedimenti penali le disposizioni sulle camere di consiglio virtuali «non si applicano alle deliberazioni conseguenti alle udienze di discussione finale svolte con il ricorso a mezzi di collegamenti da remoto». Orbene, posto che per attribuire un senso alla regola da ultimo citata è necessario ritenere che sia possibile celebrare in forma smaterializzata delle udienze di discussione finale, è evidente che la volontà delle parti debba avere una portata autorizzativa a tal fine.

Anche con riferimento alla udienze istruttorie, è il c.d. “argomento economico[29], ossia della non ridondanza del legislatore, a indicare come preferibile la lettura secondo cui il consenso delle parti sarebbe idoneo a consentire lo svolgimento anche di udienze virtuali istruttorie. Più in particolare, a far propendere per tale esegesi, è, per un verso, il richiamo al rispetto del canone del contraddittorio (locuzione da intendersi evidentemente in senso forte, visto che la previsione in esame tutela già autonomamente l’effettiva partecipazione delle parti e, quindi, il senso debole del canone de quo), contenuto nel secondo periodo del comma 5, che altrimenti sarebbe privato di utilità precettiva; e, per un altro, il menzionato divieto di sentire in udienze virtuali “testimoni” e “consulenti”, racchiuso nella prima delle tre norme eccezionali di cui al sesto periodo della medesima disposizione, che, in caso contrario, sarebbe a sua volta del tutto insensato, in quanto già desumibile dalla norma generale del primo periodo del comma 5.

A ogni modo, non si può che auspicare che il Parlamento riformuli completamente la disciplina delle udienze virtuali, eliminando gli evidenti punti oscuri da cui è affetta, frutto della progressiva stratificazione normativa e di mal riusciti compromessi politici, volti ad accontentare, in modo salomonico, tanto l’avvocatura, quanto la magistratura. In tempo di pandemia, servirebbero meno compromessi e più fermezza nel tutelare il bene fondamentale della salute dei cittadini.

 

8. Un ulteriore profilo su cui auspicabilmente il legislatore dovrà cambiare passo in sede di conversione del d.l. 137/2020 è quello della pubblicità delle udienze virtuali. Com’è noto, infatti, fin dal primo periodo della pandemia, le forze politiche si sono trincerate nel nostro Paese dietro la previsione di cui all’art. 472, comma 3, c.p.p., che permette di celebrare a porte chiuse il dibattimento per motivi di igiene pubblica, senza dar vita ad alcuna forma compensativa volta ad assicurare comunque una tutela di tale canone nell’ambito della giustizia smaterializzata[30]. Figlio di quell’art. 423 del codice Rocco che, probabilmente per il ricordo della tragedia vissuta anche in Italia a causa della “spagnola” nel 1918, faceva esplicito riferimento alla diffusione di «morbi epidemici o di altre malattie contagiose», l’art. 472 c.p.p. è stato richiamato anche dall’art. 23, comma 3, del “decreto ristori”. Come se a cent’anni dalla tragedia della pandemia da “spagnola” la soluzione fosse allontanare il pubblico dalle aule di giustizia.

Per contro, è bene precisare che all’estero sono state seguite a questo proposito strade assai più virtuose. Ci si riferisce, più precisamente, al fatto che in altri ordinamenti, tanto di tradizione di common law, come quello inglese[31] o nordamericano[32], quanto di civil law, quale, ad esempio, il sistema spagnolo[33], si è cercato di preservare il canone di pubblicità esterna anche nell’ambito delle remote hearings, autorizzando la trasmissione in streaming delle stesse. L’esperienza straniera dimostra, insomma, che, in linea di principio, i processi a distanza, con alcuni specifici accorgimenti, possono diventare ancor più accessibili al pubblico di quelli “fisici”. Se un tanto è vero, è possibile pervenire in proposito a un’affermazione netta: non è il processo penale a distanza a essere incompatibile con il canone di pubblicità, ma il modo (superficiale) in cui il nostro legislatore ha regolato sul punto tale istituto. Ebbene, preso atto di un tanto, non resta che auspicare che il Parlamento si avveda di tale significativo difetto della disciplina nostrana. Giova ribadirlo: le strade per assicurare una tutela adeguata del canone dell’open justice anche nel peculiare contesto in esame sono diverse e non tutte particolarmente complicate: per fare ciò, è possibile consentire la trasmissione almeno di alcune udienze in streaming o, perlomeno, su schermi posizionati nei palazzi di giustizia. Così facendo, si potrebbe ovviare anche in Italia a una delle principali alterazioni del classico rituale giudiziario, causate dalla pandemia, rappresentata dal fatto che lo stesso, nelle sue fasi topiche, come il dibattimento, si svolge storicamente davanti al pubblico[34], nel cui nome – non bisogna mai dimenticarlo – la giustizia viene esercitata.

 

9. Giunti a questo punto, è bene precisare che uno degli aspetti senz’altro più meritevoli del d.l. 187/2020 è quello di aver accelerato sul versante del processo telematico, imprimendo una smaterializzazione massiccia anche dal punto di vista del deposito di atti, documenti e istanze, come avevano richiesto in modo congiunto le Camere penali e alcune importanti Procure italiane[35].

Di questo aspetto si occupa, più in particolare, l’art. 24 del provvedimento in esame, a cui vanno aggiunte alcune delle norme speciali in materia di giudizio in cassazione, contenute, invece, nel comma 8 dell’art. 23 dello stesso atto. Per quanto concerne quest’ultimo, è sufficiente ricordare che il Governo ha stabilito in generale che: a) il procuratore generale formula le sue richieste con atto spedito alla cancelleria della Corte a mezzo di posta elettronica certificata; b) la cancelleria invia con lo stesso mezzo le conclusioni delle parti; c) entro il quinto giorno antecedente l’udienza, le parti possono presentare con atto scritto, inviato alla cancelleria della corte a mezzo di posta elettronica certificata, le conclusioni; d) le parti e il procuratore generale possono chiedere tramite posta elettronica certificata di trattare oralmente le cause, entro il termine perentorio di venticinque giorni liberi prima dell’udienza.

Più complesso, invece, è il discorso con riguardo all’art. 24 del d.l. 187/2020, il quale va affrontato da due punti di vista diversi.

In primo luogo, è degno di nota il fatto che l’art. 24, comma 1, del “decreto ristori” abbia reso obbligatorio – ancora una volta per un lasso di tempo tarato sulla durata dell’emergenza sanitaria – il deposito virtuale (attraverso un portale del processo penale telematico, individuato con provvedimento della DIGSIA) delle memorie, dei documenti, richieste ed istanze indicate dall’articolo di cui all’art. 415-bis, comma 3, c.p.p.[36] Così facendo, il legislatore ha, in buona sostanza, introdotto una disciplina speciale più rigida rispetto a quella recentemente introdotta – senza alcun limite cronologico di riferimento, e, pertanto, in via definitiva – all’art. 221, comma 11, del d.l. 34/2020, il quale autorizza (ma non obbliga) il deposito telematico dei medesimi atti.

Non è però tutto. Va, infatti, ricordato che il comma 4 dell’art. 24 del “decreto ristori” ha permesso (in generale e pertanto anche ai difensori) il deposito tramite PEC astrattamente di qualsiasi atto, documento o istanza. Alla luce di ciò, non vi sono dubbi nell’affermare che il “decreto ristori” ha fatto compiere un salto di qualità esponenziale al processo penale telematico nostrano, anche rispetto a quanto era stato previsto dal d.l. 18/2020, il quale si era limitato a digitalizzare (agli artt. 83, commi 12.quater.1 e quater.2) una serie assai più esigua di provvedimenti. Così facendo, i conditores hanno evidentemente voluto sperimentare nella prassi alcune delle innovazioni, prima ventilate soltanto in astratto in proposte normative, quali, ad esempio, il d.d.l. C. 2435[37].

Ebbene, la fase del rito che senz’altro potrà maggiormente giovarsi di tale – positivo – cambio di passo del Governo è indubbiamente quella delle impugnazioni[38]. Com’è noto, infatti, pure nel periodo di vigenza dell’art. 83 del d.l. 18/2020 la Cassazione aveva negato la possibilità di presentare un gravame tramite posta elettronica certificata, adducendo a sostegno di questa tesi restrittiva la mancanza di una base legale espressa per tale attività[39]. Ebbene, la nuova previsione, avendo una formulazione talmente ampia da ricomprendere al suo interno anche il genus delle impugnazioni, pare aver finalmente colmato tale criticabile lacuna normativa, con tutto ciò che ne consegue in termini di facilitazione del lavoro degli avvocati.

 

10. In conclusione, merita porre in rilievo che, per assicurare una disciplina più equilibrata del processo virtuale occorre la consapevolezza che ci troviamo dinnanzi a un vero e proprio cambiamento di paradigma. Il legislatore non lo ha colto: ogni volta che si è trovato di fronte a un incremento dei contagi tale da rendere impossibile la celebrazione dei processi in presenza si è limitato a trasferire il nostro attuale procedimento su Zoom. Ciò appare, per certi versi, comprensibile: se ci si trova improvvisamente in assenza di gravità si tende inevitabilmente a reiterare i gesti naturali, con risultati un po’ goffi. Poi via via si prendono le misure. Allora, forse è venuto il momento di provare a liberarci anche noi della forza di gravità: fuor di metafora, dobbiamo provare ad affrancarci dalla dimensione della fisicità del processo e lavorare senza pregiudizi ideologici per rimodulare nel nuovo contesto le garanzie fondamentali del giusto processo previste dalla Costituzione e dalle Carte internazionali. In questo percorso il legislatore deve essere evidentemente accompagnato, nella consapevolezza che, di fronte alla tragedia della pandemia – che peraltro non appare così passeggera come la si immaginava nella prima metà dell’anno – disponiamo di strumenti tecnologici in continua evoluzione che, se utilizzati in modo consapevole ed equilibrato, potrebbero aiutarci a costruire un procedimento penale migliore di quello attuale, in grado di garantire in modo concreto ed effettivo – intanto nella fase dell’emergenza, ma magari, in misura ridotta, anche una volta terminata – il diritto di accesso al giudice dei prevenuti e delle vittime di reato e la ragionevole durata del processo.

 

 

[1] Cfr. A. Guterres, This is a time for science and solidarity, in www.un.org, 14 aprile 2020.

[2] L’espressione è di S. Lorusso, Il cigno nero del processo penale, in questa Rivista, 11 maggio 2020.

[3] Si veda, sul punto, il documento dell’International Commission of Jurists, The Courts and COVID-19, in www.icj.org, 5 maggio 2020.

[4] Sulle quali, cfr. il fortunato saggio di A. Garapon, Del giudicare. Saggio sul rituale giudiziario, Milano, 2007. Nella dottrina italiana, cfr. E. Amodio, Estetica della giustizia penale. Prassi, media, fiction, Milano, 2016.

[5] In proposito, cfr. il portale Remote Courts Worldwide (reperibile al seguente link), creato da uno dei maggiori esperti britannici del tema della giustizia a distanza, ossia il Prof. R. Susskind, autore, tra l’altro, della recente monografia Online Courts and The Future of Justice, Oxford, 2019.

[6] V., ad esempio, la mappa, predisposta dall’associazione a tutela dei diritti umani Fair Trials, in cui si descrive la reazione al virus avuta da ordinamenti giuridici di tutto il mondo, reperibile al seguente link.

[7] Ad esempio in Spagna: cfr., in proposito, M. Jimeno-Bulnes, Commentary: iProcess-Judicial emergency in Spain during the COVID-19 crisis, in www.fairtrials, 16 giugno 2020 e J. Marca Matute, Juicios virtuales en tiempos del coronavirus, in www.diariolaley.laleynext.es, 1o settembre 2020.

[8] Ciò vale, solo per fare due esempi, tanto per il sistema giuridico inglese (cfr., al riguardo, W. Hays – A. du Sautoy, Criminal Justice in the Time of a Pandemic, in Judicial Review, 13 agosto 2020; HHJ L. Wood, The Coronavirus Act 2020 and its impact in the Crown Court, in Archbold Review, 2020, n. 4, p. 4), quanto per quello nordamericano (J.I. Turner, Remote Criminal Justice, in www.papers.ssrn.com, 8 ottobre 2020).

[9] L’efficace espressione è tratta da S. Lorusso, Il cigno nero, cit.

[10] La letteratura sul punto è molto vasta. Si vedano, tra i molti, senza alcuna pretesa di completezza, E. Amodio – E.M. Catalano, La resa della giustizia penale di fronte alla bufera del contagio, in questa Rivista, 5/2020, p. 267; L. Giordano, Il processo penale a distanza ai tempi del coronavirus, in Dir. pen. proc., 2020, p. 920; E. Iuliano, L’aberrante espansione delle videoconferenze: tra vecchie questioni e attuali problematiche, in Arch. pen. Web, 2020, n. 1; S. Lorusso, Il cigno nero, cit.; V. Maiello, La smaterializzazione del processo penale e la distopia che diventa realtà, in Arch. pen. Web, 2020, n. 1; E.M. Mancuso, La dematerializzazione del processo al tempo del COVID-19, in Giur. pen. Web., 2020, n. 5; O. Mazza, Distopia del processo a distanza, in Arch. pen. Web., 2020, n. 1; S. Napolitano, Dall’udienza penale a distanza all’aula virtuale, in questa Rivista, 7/2020, p. 25; L. Poniz, Il processo da remoto: la strana battaglia contro uno strumento, in Giur. pen. Web, 2020, n. 5; S. Recchione, L’oralità (ir)rinunciabile nel processo penale, in www.giustiziainsieme.it, 3 giugno 2020; V. Manes – L. Petrillo – G. Saccone, Processo penale da remoto: prime riflessioni sulla violazione dei principi di legalità costituzionale e convenzionale, in Diritto di difesa, 6 maggio 2020; G. Santalucia, La tecnica al servizio della giustizia penale. Attività giudiziaria a distanza nella conversione del decreto “cura Italia”, in www.giustiziainsieme.it, 10 aprile 2020.

[11] Circa il ruolo fondamentale rivestito dallo “spazio” all’interno del “rituale giudiziario”, cfr. A. Garapon, Del giudicare, cit., p. 7 s.

[12] Cfr., rispettivamente, gli artt. 2 e 5 dell’ordonnance no 2020-303 del 25 marzo 2020, portant adaptation de règles de procédure pénale sur le fondement de la loi n° 2020-290 du 23 mars 2020 d'urgence pour faire face à l'épidémie de covid-19.

[13] Il riferimento va alle sections 53-56, nonché alle schedules 23-26 del “Coronavirus Act 2020” del 25 marzo 2020. Sulla durata temporale di tali previsioni (prefissata per un periodo di due anni) cfr. la section 89 dell’Act.

[14] V. la section 15002 del cd. “Cares Act” del 27 marzo 2020.

[15] Per un primo commento all’atto in esame, v. M. Agostini – M. Petrini, Decreto legge Ristori, le disposizioni emergenziali per l’esercizio della attività giurisdizionale, in www.giustiziainsieme.it, 30 ottobre 2020; A. Marandola, Il “pacchetto giustizia” del D.L. Ristori: nuove misure per limitare gli effetti pandemici nelle aule di giustizia, in Il Penalista, 30 ottobre 2020; G. Pestelli, D.l. 137/2020 (c.d. Ristori): i nuovi interventi sulla procedura penale e l’ordinamento penitenziario, in www.qg.leggiditalia.it, 30 ottobre 2020;

[16] In sintesi, possono identificarsi quattro macro insiemi di fonti emergenziali nostrane in tema di processo penale a distanza. Il primo, che ha regolato la materia de qua dai primi giorni di marzo alla fine di aprile, è rappresentato da un trittico di decreti legge, ossia i d.l. 2 marzo 2020, n. 9, 8 marzo 2020, n. 11 e 17 marzo 2020, n. 18 (inteso nella sua versione originaria). Il secondo è costituito dalla l. 24 aprile 2020, n. 27 (di conversione del citato d.l. 18/2020), dal d.l. 30 aprile 2020, n. 28 e dalla l. 25 giugno 2020, n. 70; fonti che hanno disciplinato il processo a distanza fino al 30 giugno 2020. Il terzo – operante nel periodo della tarda estate fino agli ultimi giorni di ottobre – è composto dalla l. 17 luglio 2020, n. 77, la quale ha introdotto all’art. 221 del d.l. 19 maggio 2020, n. 34 un comma 9, dedicato al tema in esame, nonché dal d.l. 7 ottobre 2020, n. 125. Infine, il quarto è stato inaugurato proprio dal d.l. 137/2020.

[17] Al riguardo, v. F. Caroleo, La proroga delle disposizioni emergenziali in materia di giustizia (d.l. 7 ottobre 2020, n. 125). Una scheda, in www.giustiziainsieme.it, 9 ottobre 2020.

[18] Ci si riferisce all’art. 221, comma 9, del d.l. 19 maggio 2020, n. 34.

[19] Difatti, l’art. 221, comma 9, d.l. 34/2020 si occupava soltanto di soggetti detenuti, richiedendo il consenso delle parti per l’attivazione del collegamento da remoto e stabiliva, inoltre, che le udienze dovessero comunque tenersi «con la presenza del giudice, del pubblico ministero e dell’ausiliario del giudice nell’ufficio giudiziario».

[20] Sulle quali cfr., in particolare, S. Lorusso, Il cigno nero, cit.

[21] Cfr. S. Lorusso, Il cigno nero, cit.

[22] In questo senso, v. anche G. Pestelli, D.l. 137/2020, cit.

[23] Fanno notare tale cambiamento anche M. Agostini – M. Petrini, Decreto legge Ristori, le disposizioni emergenziali, cit.

[24] In senso fortemente critico con riguardo a tale innovazione, cfr., invece, G. Pestelli, D.l. 137/2020, cit.

[25] Il rinvio va, in particolare, alla section 15002 (4) del già menzionato CARES Act.

[26] Sembra propendere per tale soluzione G. Pestelli, D.l. 137/2020, cit.

[27] Questa tesi è avallata da G. Pestelli, D.l. 137/2020, cit.

[28] In senso contrario, cfr., invece, G. Pestelli, D.l. 137/2020, cit.

[29] Su tale criterio interpretativo, v., per tutti, G. Tarello, L’interpretazione della legge, Milano, 1980, p. 371.

[30] In senso giustamente critico sul punto, v. S. Lorusso, Processo penale e bit oltre l’emergenza, in Proc. pen. giust., 2020, p. 1006 e O. Mazza, Giustizia all’angolo: 7 domande sulla fase 2 e sul dopo. Dialogo della Camera penale di Brescia con l’Avv. Prof. Oliviero Mazza, in Diritto di difesa, 28 giugno 2020, p. 13.

[31] V. la schedule 25 del Coronavirus Act.

[32] Cfr. United States Courts, Judiciary Provides Public, Media Access to Electronic Court Proceedings, in www.uscourts.gov, 3 aprile 2020.

[33] Si veda, in particolare, l’art. 15 della ley 18 settembre, n. 3, de medidas procesales y organizativas para hacer frente al COVID-19 en el ámbito de la Administración de Justicia.

[34] V., al riguardo, A. Garapon, Del giudicare, cit., p. 96.

[35] Cfr. Unione delle Camere Penali Italiane, Covid e giustizia penale: le proposte UCPI al Ministro della Giustizia e il documento condiviso con le più importanti procure italiane, in www.camerepenali.it, 27 ottobre 2020.

[36] Pare utile ricordare che l’art. 24, comma 2, d.l. 137/2020 autorizza il Ministro della giustizia a indicare anche ulteriori atti per cui sarà possibile il deposito mediante il portale del processo penale telematico.

[37] In proposito, si consenta il rinvio a M. Gialuz – J. Della Torre, Il progetto governativo di riforma della giustizia penale approda alla camera: per avere processi rapidi (e giusti) serve un cambio di passo, in questa Rivista, 4/2020, p. 152 s.

[38] Per un’richiamo alla giurisprudenza restrittiva tradizionale della suprema Corte sul punto, v. ancora M. Gialuz – J. Della Torre, Il progetto governativo, cit., p. 154.

[39] Cfr., ad esempio, Cass., sez. I, 25 giugno 2020, n. 25792, in DeJure.