C. eur. dir. uomo, Sez. I, Contrada c. Italia (n. 4), 23 maggio 2023
1. La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, in sezione semplice, ha emesso il 23 maggio 2024 una sentenza riguardante Bruno Contrada, ex alto funzionario di polizia e direttore aggiunto dei servizi segreti civili italiani (SISDE), in merito all'intercettazione delle sue conversazioni telefoniche e alla perquisizione del suo domicilio. Si tratta della quarta volta che Contrada si rivolge alla Corte EDU[1].
Il ricorrente ha lamentato la violazione della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo in relazione a due provvedimenti giudiziari adottati nell’ambito di un’indagine per omicidio rispetto alla quale egli non era indagato, e precisamente una perquisizione domiciliare seguita da sequestro e delle intercettazioni telefoniche.
Più in particolare, è emerso che:
Con il ricorso alla Corte europea, invocando gli artt. 6 (diritto a un processo equo), 8 (rispetto della vita privata e della corrispondenza) e 13 (diritto a un ricorso effettivo) della CEDU, Contrada ha sostenuto che le intercettazioni e la perquisizione hanno rappresentato un’ingerenza ingiustificata nella sua vita privata e che non vi è stato un controllo giurisdizionale efficace su queste misure.
2. La Corte ha esaminato il ricorso del Contrada sulla sola base dell’art. 8, mentre ha ritenuto non necessario vagliare le doglianze relative agli artt. 6 e 13 della Convenzione[2].
Iniziando dal profilo relativo alla perquisizione domiciliare, la Corte ha dichiarato a maggioranza (5 contro 2) inammissibile il ricorso del Contrada sulla perquisizione domiciliare per mancato esaurimento delle vie di ricorso interne; in particolare, il ricorrente, prima di rivolgersi alla Corte europea, non ha richiesto il riesame del provvedimento che aveva disposto la perquisizione e il sequestro ai sensi degli artt. 257 e 324 cod. proc. pen.
La Corte, al riguardo, ha richiamato la propria precedente sentenza Brazzi c. Italia del 25 settembre 2018, che aveva accertato la violazione della norma convenzionale in quanto all’epoca il sistema italiano non offriva rimedio giudiziario per la verifica della legittimità della perquisizione non seguita da sequestro, mentre era stata indicata la possibilità del riesame per la perquisizione seguite da sequestro[3]. Nella specie, dunque, il ricorrente avrebbe potuto proporre richiesta di riesame.
La Corte ha anche notato come il nuovo art. 252-bis cod. proc. pen., introdotto nel 2022 dal d.lgs. n. 150 del 2022, cd. riforma “Cartabia” (peraltro non applicabile nel caso concreto in quanto in vigore dal 30 dicembre 2022 ex art. 99-bis d.lgs. n. 150 del 2022), abbia ormai assicurato al cittadino un rimedio giurisdizionale anche per le perquisizioni non seguite da sequestro[4].
La sentenza, pertanto, ha riconosciuto che il riesame di cui agli artt. 257 e 324 cod. proc. pen., da una parte, e l’opposizione prevista dalla nuova norma citata e dall’art. 352, comma 4-bis, cod. proc. pen., dall’altra, sono strumenti efficaci e idonei a garantire la necessaria tutela delle prerogative individuali in tutte le ipotesi di perquisizione.
3. Va osservato che i due giudici minoritari dissenzienti, di San Marino e dell’Azerbaigian, hanno ritenuto ammissibile la doglianza, ravvisando una violazione della Convenzione da parte dell’Italia su tale profilo facendo leva sull’indirizzo giurisprudenziale secondo cui, avverso il decreto di perquisizione non è esperibile riesame, anche se, qualora la perquisizione sia finalizzata al sequestro e i due decreti siano inseriti in un unico contesto, il riesame può coinvolgere anche la perquisizione nella misura in cui risulti la stretta interdipendenza delle due statuizioni, e nei limiti, perciò, di un'indagine strumentale all'accertamento della legittimità del sequestro medesimo[5]. In base a tale indirizzo, in sede di riesame non possono essere presi in considerazione i motivi che costituiscono autonoma censura della perquisizione, così non può dedursi con il ricorso per cassazione censura che attenga esclusivamente ai presupposti e alla legittimità del decreto di perquisizione[6].
Secondo il consolidato insegnamento della Corte di cassazione, infatti, in forza del principio di tassatività dei mezzi di impugnazione stabilito dall'art. 568 c.p.p., l'istituto del riesame non è applicabile al decreto di perquisizione, poiché manca l'espressa previsione di tale rimedio con riferimento al provvedimento de quo. Tuttavia, qualora la perquisizione sia finalizzata al sequestro e i due decreti siano inseriti in un unico contesto, il riesame coinvolge anche la perquisizione, per la stretta interdipendenza delle due statuizioni, nei limiti, però, di un'indagine strumentale all'accertamento della legittimità del sequestro medesimo. Conseguentemente, in sede di riesame, i motivi che costituiscono autonoma censura della perquisizione non possono essere presi in considerazione[7].
Si tratta di un orientamento giurisprudenziale formatosi prima della sentenza della Corte EDU dapprima citata[8], che pare destinato necessariamente ad essere rimeditato, dovendo ormai ritenersi che, in forza di una lettura convenzionalmente orientata delle disposizioni in tema di riesame avverso una perquisizione seguita da sequestro, possano essere dedotti anche i vizi concernenti esclusivamente il primo provvedimento.
4. Quanto invece al profilo relativo alle intercettazioni telefoniche, la Corte EDU ha ravvisato la violazione dell'art. 8 CEDU, in quanto per le persone non sospettate di reato e non coinvolte direttamente nel processo penale, come, nel caso di specie, Contrada, la legge italiana non prevede la possibilità di chiedere in sede giudiziaria un controllo sulla “necessità” e sulla “legalità” del provvedimento con il quale è stata disposta l'intercettazione delle comunicazioni e, se del caso, una adeguata “riparazione” (“redressement”)[9].
5. In particolare, l’art. 269 cod. proc. pen., che disciplina la conservazione dei dati raccolti in forza del mezzo di ricerca della prova, prevede che essi siano custoditi “in apposito archivio gestito e tenuto sotto la direzione e sorveglianza del procuratore della Repubblica presso l'ufficio del pubblico ministero che ha richiesto ed eseguito le intercettazioni”, fino a che la sentenza non sia più soggetta ad impugnazione.
La Corte ha osservato che questa stessa norma consente a qualsiasi persona interessata, anche estranea al procedimento, di chiedere al giudice che ha autorizzato o convalidato le intercettazioni, anche prima del passaggio in giudicato della sentenza, la distruzione dei dati captati che la riguardano, sempre che non siano necessari per il procedimento. La norma prevede un'unica condizione – cioè che i dati siano “inutiles pour la poursuite de la procédure” – cui è subordinato il provvedimento di distruzione, non ricavandosi dal testo della disposizione, né risultando dalle osservazioni del Governo, che il giudice, pronunciandosi ai sensi dell’art. 269 cod. proc. pen. su istanza dell’interessato e a tutela della riservatezza di quest’ultimo, sia tenuto a compiere un controllo sulla legalità e sulla necessità della decisione che ha ordinato l'intercettazione.
Sotto questo profilo, è stato rilevato che la disciplina prevista dall'art. 269 cod. proc. pen. differisce da quella del successivo art. 271 cod. proc. pen., il quale stabilisce i casi in cui i risultati delle intercettazioni, perché realizzate fuori dai casi consentiti dalla legge o senza rispettare le condizioni di forma e contenuto del provvedimento o senza osservare alcune modalità di esecuzione delle operazioni, non possono essere utilizzati e devono essere distrutte. In questo caso, infatti, è riconosciuta la possibilità di attivare un controllo dell'attività che riguarda la legittimità, la necessità e la proporzionalità del provvedimento impugnato. Al riguardo, tuttavia, la Corte ha rilevato che il Governo italiano non ha sostenuto che le previsioni dell’art. 271 cod. proc. pen. possano essere invocate anche da una persona che non è parte il procedimento in modo da sollecitare un controllo giurisdizionale della misura adottata nei suoi confronti, né ha potuto trarre una simile conclusione da altri elementi ad essa noti.
Secondo la Corte, pertanto, il ricorrente non aveva a disposizione mezzi di ricorso effettivi e accessibili che gli consentissero di proporre le sue doglianze di violazione dell'art. 8 Cedu.
6. Nonostante abbia ravvisato un limite nella normativa nazionale, la sentenza non ha mancato di esprimere alcune valutazioni positive sulla stessa, osservando che:
A tale ultimo riguardo, la Corte ha ribadito che, sebbene il codice di procedura penale italiano non specifichi le categorie di persone che possono essere sottoposte al mezzo di ricerca della prova, secondo la costante giurisprudenza della Corte di cassazione, ai sensi dell'art. 267 cod. proc. pen., le intercettazioni presuppongono la sussistenza di gravi indizi di un reato e possono essere disposte anche nei confronti di soggetti non direttamente coinvolti nella commissione del reato, purché le motivazioni dell'autorizzazione giudiziaria indichino “impérativement” i collegamenti tra l'indagine e il soggetto interessato dal provvedimento allo scopo di delimitare la portata della misura[10].
7. La Corte ha poi notato che in Italia le persone non coinvolte nel procedimento penale non ricevono notifica delle misure che dispongono intercettazioni una volta concluse le operazioni (a differenza delle parti che sono informate senza indugio una volta concluse le operazioni di intercettazione e che hanno accesso alle registrazioni e alle trascrizioni nonché a tutte le relative decisioni giudiziarie in modo da essere in grado, se del caso, di contestarne la regolarità e la pertinenza).
I terzi non indagati, pertanto, salvo indiscrezioni o altro caso fortuito, non possono sapere di essere stati presi di mira da una misura di intercettazione.
La questione della notifica a posteriori delle misure di intercettazione è strettamente legata a quella dell'effettività dei mezzi di ricorso e, quindi, all'esistenza di garanzie effettive contro gli abusi. L'interessato non può contestare dinanzi al giudice la necessità e la legittimità di provvedimenti adottati a sua insaputa, a meno che non ne sia informato o sospetta che le sue comunicazioni siano o siano state oggetto di intercettazioni.
Nel caso di specie, il ricorrente, sebbene non fosse stato informato di essere stato intercettato, è venuto indirettamente a conoscenza di questa misura leggendo il mandato di perquisizione domiciliare che è stato adottato nei suoi confronti. Non essendo parte del processo penale, nondimeno, non ha avuto modo di contestare in tribunale il provvedimento che ha disposto le intercettazioni, essendo stato privato di una garanzia fondamentale contro potenziali abusi.
Sul punto, peraltro, la Corte ha sottolineato che, secondo la sua giurisprudenza, l’obbligo della notifica successiva al terzo interessato della misura di sorveglianza segreta, compresa l'intercettazione delle comunicazioni, che incide sulla riservatezza sussiste soltanto se tale adempimento è possibile in concreto senza compromettere lo scopo della sorveglianza e se costituisce una condizione per l’accesso al rimedio giudiziario[11].
8. La Corte EDU ha dunque concluso che il diritto nazionale non prevede alcuna disposizione secondo la quale i terzi non indagati possano rivolgersi ad un'autorità giudiziaria per ottenere un controllo efficace della legittimità e della necessità del provvedimento con cui è stata disposta l’intercettazione[12] e, se del caso, per ottenere una adeguata riparazione (“redressement”).
Sotto questo profilo, la legge italiana non soddisfa la “qualità della legge” ed è incapace di limitare l’ingerenza nella vita privata in ciò che è “necessario in un contesto democratico”, risultando quindi una violazione dell'art. 8 CEDU.
Pur non soddisfacente per l’Italia, però, questa parte della sentenza contiene la semplice indicazione che l’Italia debba introdurre un “controllo efficace della legalità e della necessità” del provvedimento con cui è stata disposta l’intercettazione attivabile dal terzo interessato “e se del caso, una riparazione (redressement) appropriata”[13].
Si tratta di un rimedio – pare opportuno segnalarlo subito – che non può incidere sulla diversa posizione dell’indagato. La Corte EDU, infatti, ha rilevato che il diritto italiano prevede che le parti del procedimento siano informate senza indugio una volta concluse le operazioni di intercettazione e abbiano accesso alle registrazioni e alle trascrizioni delle intercettazioni nonché alle relative decisioni giudiziarie in modo da essere in grado, se del caso, di contestarne la necessità e la legittimità.
La giurisprudenza della Corte europea, inoltre, come meglio si vedrà, non individua necessariamente il rimedio per la tutela del terzo nell’interruzione della misura di sorveglianza, né nell’inutilizzabilità della documentazione ad essa relativa, perché altrimenti si potrebbe arrecare un danno eccessivo alla certezza del diritto e al corretto svolgimento dei procedimenti penali[14]. La tutela del terzo, difatti, va bilanciata con l’interesse della giustizia.
9. La Corte ha escluso che il rimedio idoneo a tutelare la posizione del terzo sia individuabile nella previsione della distruzione delle registrazioni di cui all’art. 269 cod. proc. pen. Si tratta di una affermazione netta che si fonda sull’interpretazione di questa disposizione finora offerta dalla giurisprudenza nazionale.
La nozione di “interessati” contemplata da tale norma, tuttavia, come ha riconosciuto la stessa Corte europea, è particolarmente ampia. Essa è idonea a ricomprendere varie categorie di soggetti che, pur non essendo indagati, possono essere coinvolti indirettamente o casualmente nelle intercettazioni, anche non risultando interlocutori delle stesse conversazioni. La disposizione nazionale, dunque, presenta una tale latitudine operativa sul piano soggettivo da riferirsi anche ai soggetti estranei al procedimento presi in considerazione dalla sentenza della Corte EDU.
Secondo la decisione illustrata, inoltre, l’art. 269 cod. proc. pen., pur permettendo ai terzi, “a tutela della riservatezza”[15], di chiedere la distruzione dei risultati delle intercettazioni non siano necessari per il procedimento, non consente agli stessi di sollecitare un controllo sulla “necessità” e sulla “legittimità” del provvedimento con cui è stato disposto il mezzo di ricerca della prova.
La necessità della misura in una società democratica, invero, secondo la giurisprudenza della Corte europea, non è sinonimo di indispensabilità della stessa[16]. Essa implica l'esistenza di un'esigenza sociale imperativa che induce a disporre il provvedimento[17], la quale va bilanciata con la tutela dei diritti della persona e, in special modo, con il diritto alla riservatezza. La considerazione complessiva e sintetica dei presupposti del provvedimento previsto dall’art. 269 cod. proc. pen. sembra sottendere proprio la valutazione della necessità della misura in una società democratica e, segnatamente, il bilanciamento tra il diritto individuale alla riservatezza delle comunicazioni, che legittima l’istanza di distruzione proposta dal terzo, e la necessità della prova per il procedimento penale, condizione che, invece, può giustificare la conservazione dei dati captati. La norma nazionale, pertanto, non sembra precludere il controllo su istanza del terzo della necessità della misura.
Nelle rare pronunce che hanno applicato l’istituto in questione, del resto, la distruzione delle conversazioni è stata fondata sull'estraneità delle conversazioni rispetto ai fatti oggetto delle indagini[18] e, dunque, sulla prevalenza del diritto individuale del terzo rispetto alle esigenze del procedimento penale e della giustizia.
Tale interpretazione dell’art. 269 cod. proc. pen., inoltre, pare sorretta anche da un dato letterale: l’espressione con cui si apre il secondo comma della norma (“Salvo quanto previsto dall'articolo 271 comma 3”) si riferisce all’ipotesi in cui il legislatore ha già compiuto il bilanciamento tra i diritti confliggenti, ritenendo necessariamente recessivo il diritto alla riservatezza rispetto all’interesse della giustizia perché la conversazione intercettata costituisce “corpo del reato”. Fuori da questo caso, la distruzione presuppone che il giudice valuti in concreto come prevalente il diritto alla riservatezza rispetto alla necessità dei dati per il processo penale.
Il giudizio di non necessità della documentazione che il GIP deve compiere, d’altra parte, si presenta ampio e complesso. Esso comprende sia l'esclusione della rilevanza delle captazioni ai fini delle indagini (il riferimento è alla trascrizione del contento delle intercettazioni ex art. 268, comma 2, cod. proc. pen.), sia la mancanza della rilevanza (o, la "non manifesta irrilevanza") degli esiti delle intercettazioni ai fini della prova, in modo specifico di quella dei fatti di cui all'imputazione (il rinvio è agli artt. 268, comma 6, 291 e 415-bis, comma 2-bis, c.p.p.). Tale giudizio sembra presupporre il preventivo superamento del vaglio di legittimità della misura. Non avrebbe senso altrimenti procedere al bilanciamento descritto, soffermandosi sulla rilevanza nel senso appena indicato di prove che fossero state acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge e, come tali, inutilizzabili.
Dalla lettera della norma, d’altra parte, non emerge un limite temporale entro cui può essere esercitata la facoltà di chiedere la distruzione. Deve ritenersi possibile formulare tale istanza anche nella fase delle indagini preliminari (la norma, infatti, riferisce la valutazione in merito alla necessità della documentazione al procedimento e non al processo). Pare necessario, nondimeno, che sia già concluso il procedimento di selezione delle conversazioni "non manifestamente irrilevanti" (art. 268, comma 6, c.p.p.) o di quelle "rilevanti" (art. 415-bis c.p.p.) che presuppone la legittimità delle intercettazioni. L’art. 268, comma 6, cod. proc. pen., infatti, prevede che il giudice proceda “anche di ufficio allo stralcio delle registrazioni e dei verbali di cui è vietata l'utilizzazione”.
L’art. 269 cod. proc. pen., pertanto, pare presentare potenzialità notevoli e non del tutto esplorate, anche in ragione della scarsezza delle sue concrete applicazioni[19], le quali, opportunamente evidenziate dalla giurisprudenza, potrebbero permettere di rispondere alle sollecitazioni provenienti dalla Corte EDU, assicurando adeguata tutela ai terzi sui profili della necessità e della legittimità della misura[20].
10. L’art. 271 cod. proc. pen., inoltre, prevede la possibilità di chiedere la distruzione delle intercettazioni realizzate fuori dai casi consentiti dalla legge o senza rispettare le condizioni di forma e contenuto del provvedimento o alcune modalità di esecuzione delle operazioni. Si tratta di un controllo che certamente investe i profili della necessità e della legittimità della misura. Sul punto, la Corte EDU ha osservato che “il Governo non ha provato” che tale rimedio sia effettivo, rilevando che non risultano precedenti nella giurisprudenza nazionale in cui la distruzione sia stata richiesta da un terzo interessato[21].
La decisione in esame, quindi, sembra lasciare aperta la possibilità di dimostrare, nell’ambito di procedimenti nazionali, che la norma abbia una tale ampiezza operativa da rivelarsi idonea a soddisfare le esigenze di controllo della legalità e della necessità della misura anche ad istanza del terzo.
11. Quanto al “redressement”, la sentenza in esame ha chiarito che come “riparazione” la giurisprudenza della Corte EDU ammette diverse misure, da valutarsi secondo le circostanze, quali lo “stralcio della documentazione” o “una compensazione finanziaria”, che può essere anche simbolicamente nummo uno, quando non sia sufficiente addirittura la “semplice constatazione della violazione”[22]. Solo i giudici minoritari dissenzienti – che non sembra abbiano considerato la giurisprudenza citata – hanno invece affermato la necessità di un pagamento pecuniario[23], sicché sembra potersi escludere che lo Stato italiano sia tenuto ad introdurre un rimedio che preveda un ristoro economico.
12. Va infine chiarito che il rimedio a tutela del terzo interessato (un nuovo istituto o quelli disciplinati dagli artt. 269 e 271 c.p.p. diversamente interpretati) non dovrà prevedere la necessità di previa comunicazione dell’intercettazione a costoro (né il terzo interessato dovrà necessariamente essere legittimato all'ascolto delle conversazioni o comunicazioni intercettate)[24].
Secondo la giurisprudenza della Corte EDU, difatti, l'obbligo della notifica successiva di una misura di intercettazione è legato a due fattori: la possibilità pratica di tale notifica tenuto conto del contesto in cui è stata effettuata la sorveglianza e il fatto che questa costituisca una condizione per il ricorso ai mezzi di ricorso previsti dal diritto nazionale[25].
Nel diritto nazionale, a prescindere dalle difficoltà pratiche di una simile notifica, la stessa già non è prevista tra i presupposti per attivare il rimedio di cui all’art. 269 cod. proc. pen. Diversamente sarebbe se il legislatore volesse limitare l’accesso al rimedio a tutela dell’interessato alle sole persone che abbiano ricevuto detta notifica, ma, in questo caso, l’area operativa del rimedio a tutela del terzo, in modo irragionevole, sarebbe più ristretta rispetto a quanto previsto attualmente dalla norma citata.
13. La sentenza illustrata è intervenuta in un momento in cui pende in Parlamento il disegno di legge governativo di riforma della disciplina delle intercettazioni che, tra l’altro, prevede l'introduzione di nuovi rimedi “a tutela della riservatezza del terzo estraneo” al provvedimento[26].
In particolare, sono proposti alcuni minimi interventi sull'art. 268 cod. proc. pen. con cui si introduce il divieto di inserire nei verbali delle operazioni espressioni “che consentono di identificare soggetti diversi dalle parti” e l'obbligo di eliminare le registrazioni e i verbali riguardanti i soggetti diversi dalle parti. Questa stessa norma, invero, è già stata oggetto di una recente riforma che persegue la medesima linea e che ha introdotto disposizioni che sostanzialmente già permettono di raggiungere lo stesso obiettivo che si vuole realizzare con le nuove previsioni. L’art. 1, comma 2-ter, lett. a), del d.l. 10 agosto 2023, n. 105, introdotto dalla legge di conversione 9 ottobre 2023, n. 137, infatti, ha riformulato l’art. 268, comma 2, c.p.p., anche a garanzia dei terzi coinvolti nelle conversazioni[27]. È stato stabilito che nel verbale delle operazioni di intercettazioni debba essere trascritto, anche sommariamente, soltanto il contenuto delle comunicazioni intercettate “rilevante ai fini delle indagini”, anche a favore della persona sottoposta ad indagine; inoltre, è stato introdotto il divieto della trascrizione di tutte le intercettazioni non rilevanti ai fini delle indagini; anzi, non solo tali captazioni non devono essere trascritte dalla polizia, ma nel cd. brogliaccio di ascolto deve essere riportata la dicitura “la conversazione omessa non è utile alle indagini”. L’art. 268 cod. proc. pen., pertanto, così come di recente riformulato già impedisce la trascrizione di conversazioni non rilevanti per le indagini, a maggior ragione se riguardano terzi, i quali, pertanto, non sono identificabili[28].
Il disegno di legge governativo, poi, prevede anche un intervento anche sull'art. 291 cod. proc. pen., che consiste nella introduzione del divieto di inserire nella richiesta cautelare dati personali dei terzi estranei alle indagini, salvo che siano indispensabili. Identica modifica viene prevista per l'art. 292, comma 2-quater, cod. proc. pen. con riferimento al contenuto dell'ordinanza del giudice. L’art. 291, comma 1-ter, cod. proc. pen., invero, nella versione vigente già impone di riprodurre nella richiesta cautelare, “quando è necessario”, “soltanto i brani essenziali delle comunicazioni e conversazioni intercettate”, con una formulazione che pare in grado di contenere il divieto di riprodurre i dati personali dei terzi. Non diversamente l’art. 292, comma 2-quater, cod. proc. pen. stabilisce che, “quando è necessario per l'esposizione delle esigenze cautelari e degli indizi”, delle comunicazioni e conversazioni intercettate sono riprodotti nell'ordinanza cautelare “soltanto i brani essenziali”.
Non sembra che la sentenza della Corte EDU imponga necessariamente un nuovo intervento normativo sulla disciplina delle intercettazioni a garanzia della riservatezza dei terzi interessati[29], potendo l’elaborazione giurisprudenziale, per mezzo dello strumento dell'interpretazione delle norme vigenti convenzionalmente orientata, garantire margini di tutela a costoro in linea con le indicazioni contenute nella decisione illustrata.
La disciplina delle intercettazioni, piuttosto che essere considerata “un cantiere costantemente aperto”, che necessita di riforme che non sempre si rivelano utili ad assicurare l’adeguato bilanciamento dei diritti in conflitto, meriterebbe un periodo di “tregua” e di “riflessione”.
Potrebbe essere un momento utile, per esempio, per cogliere fino in fondo la portata epocale di un nuovo strumento, come l’archivio delle intercettazioni disciplinato dall’art. 269, comma 1, cod. proc. pen. e dall’art. 89-bis disp. att. cod. proc. pen., introdotto solo nel 2020, che ha effettivamente aumentato la tutela della riservatezza dell’indagato e dei terzi, senza provocare alcun pregiudizio sull’efficacia delle indagini[30]. Potrebbe essere anche l’occasione per ragionare sulle riforme necessarie (e sugli strumenti indispensabili) per rispondere alle sfide che la tecnologia informatica propone quotidianamente agli investigatori, le sole riforme che appaiono auspicabili[31].
[1] La sentenza può formare, nei quattro mesi, oggetto di richiesta di rinvio alla Grande Camera, onde per il momento non è definitiva.
[2] Il ricorrente ha invocato gli art. 6 e 13 della CEDU, sostenendo che il suo diritto di accesso ad un tribunale era stato violato a causa dell'impossibilità di rivolgersi alle autorità giudiziarie per contestare le misure adottate in violazione dell'art. 8 CEDU. La Corte, tenuto conto dei fatti della causa, delle osservazioni delle parti e delle conclusioni raggiunte ai sensi dell'art. 8 della Convenzione, ha ritenuto di aver esaminato la principale questione giuridica sollevata, non occorrendo valutare gli altri profili.
[3] Si tratta della sentenza Corte EDU 27 settembre 2018 - n. 57278/11 - Brazzi contro Italia, con la quale la Corte ha ritenuto che, in assenza di un controllo giurisdizionale preventivo o di un controllo effettivo a posteriori della perquisizione non seguita da sequestro, le garanzie procedurali previste dalla legislazione italiana non erano sufficienti ad evitare il rischio di abuso di potere da parte delle autorità incaricate dell’indagine penale. Su questa sentenza, tra gli altri, D. Cardamone, La sentenza della Cedu Brazzi c. Italia: sono arbitrarie le perquisizioni disposte dall’Autorità giudiziaria?, in Questione Giustizia, 15/01/2019; R. Coppola, La tutela delle libertà fondamentali: dalla sentenza della Corte EDU, Brazzi c. Italia, alla Legge 27 settembre 2021, n. 134, in Archivio penale 2022, 2, 1 e ss.; M. Torre, Perquisizioni domiciliari e art. 8 C.E.D.U.: la Corte europea censura la mancanza di un “controllo effettivo” sulla necessaria ingerenza, in Proc. pen. giust., 2019, 2, 426 ss.; A. Zampini, Per i Giudici di Strasburgo la disciplina codicistica delle perquisizioni viola l’art. 8 C.E.D.U.: implicazioni e prospettive, in Cass. pen., 2019, 12, 4472 ss.; F. Falato, (il)Legittimità sistemica delle perquisizioni. Tra normazione nazionale e giurisdizione europea. A proposito di Corte EDU, prima sezione, 27 settembre 2018, causa Brazzi c. Italia, in Archivio penale 2019, 1 ss.
[4] Sulla nuova norma, tra gli altri, M. Gialuz, Per un processo penale più efficiente e giusto. Guida alla lettura della riforma Cartabia, in questa Rivista, 2 novembre 2022, p. 49; W. Nocerino, Il vaglio giurisdizionale sulle perquisizioni “negative”, in G. Spangher (a cura di), La Riforma Cartabia, Pisa 2022, 22; O Calavita, L’opposizione alla perquisizione: verso una convergenza con la cedu?, in La legislazione penale, 2/05/2023.
[5] Cass., Sez. 1, n. 30130 del 24/06/2015, in CED Cass. n. 264489 - 01, che ha ritenuto improponibili le censure difensive secondo cui la perquisizione sarebbe risultata volta alla ricerca di reati, anziché alla prova di reati che vi era fondato motivo di ritenere sussistenti.
[6] Cass., Sez. 1, n. 30130 del 24/06/2015, cit.
[7] Cfr., di recente, Cass., Sez. 3, n. 13542 del 23/11/2022, dep. 2023; Cass. Sez. 2, n. 9976 del 27/01/2022; da ultimo, Cass. Sez. 3, n. 50482 del 21/09/2023.
[8] Il principio è stato affermato da Cass. Sez. U, n. 23 del 20/11/1996, in CED Cass. n. 206656 - 01; Cass. Sez. 3, n. 7060 del 18/12/2001, in CED Cass. n. 221044 - 01; Cass., Sez. 3, n. 40985 del 23/10/2002, in CED Cass. 222857 - 01; Cass., Sez. 2, n. 45532 del 08/11/2005, in CED Cass. n. 233144 - 01; Cass. Sez. 3, n. 8841 del 13/01/2009, in CED Cass. n. 243002 – 01.
[9] Cfr. il § 95 della sentenza.
[10] Secondo l’indirizzo giurisprudenziale consolidato, la motivazione dei decreti autorizzativi, nel chiarire le ragioni del provvedimento, in ordine alla indispensabilità del mezzo probatorio, ai fini della prosecuzione delle indagini, ed alla sussistenza dei gravi indizi di reato, deve necessariamente dar conto delle ragioni che impongono l'intercettazione di una determina utenza telefonica che fa capo ad una specifica persona, indicando pertanto il collegamento tra l'indagine in corso e la medesima persona (Cass., Sez. 6, n. 12722 del 12/02/2009, in CED Cass. n. 243241 - 01; Cass., Sez. 5, n. 1407 del 17/11/2016, dep. 2017, in CED Cass. n. 268900 - 01).
[11] Corte EDU 4 dicembre 2015, Roman Zakharov c. Russia [GC], n. 47143/06, §§ 287-288; Corte EDU 11 gennaio 2022, Ekimdzhiev and others v. Bulgaria, n. 70078/12, § 349; in precedenza Corte EDU 6 settembre 1978, Klass e altri c. Germania, n. 5029/71, § 58, in cui era già stato osservato come la successiva notifica a ciascun interessato da una misura di sorveglianza segreta potrebbe mettere a repentaglio l'obiettivo a lungo termine che originariamente ha motivato il provvedimento e come l'interessato debba essere informato non appena la notifica possa essere effettuata senza compromettere lo scopo della restrizione.
[12] Il ricorso proposto dinanzi ai giudici penali chiamati a conoscere del procedimento nell'ambito del quale è stata disposta una misura come l’intercettazione di comunicazioni può considerarsi efficace purché sia attribuita loro la competenza ad esaminare la legittimità e la necessità dell'ingerenza censurata (Corte EDU, 10 aprile 2007, Panarisi, c. Italia, n. 46794/99, §§ 76-77; Corte EDU, 15 gennaio 2015, Dragojević c. Croazia, n. 68955/11, § 72. Ciò non avviene, invece, quando il ricorso proposto dinanzi ai giudici penali verte unicamente sull’equità dell’ammissione delle prove, senza consentire loro di conoscere il merito della censura fondata sulla Convenzione (Corte EDU, 8 marzo 2011, Akhlyustin c. Russia, n . 21200/05, § 24; Corte EDU, 7 novembre 2017, Zubkov e altri c. Russia, n. 29431/05, § 88; Corte EDU, 5 dicembre 2019, Hambardzumyan c. Armenia, n. 43478/11, § 43).
[13] Cfr. § 95, che rinvia al § 55.
[14] Cfr. Corte Edu, Sez. 5, 9/04/2024, ric. 18536/18, Gernelle, § 53.
[15] La documentazione di cui l'interessato chiede la distruzione deve ledere la sfera di riservatezza, intendendosi la stessa in senso lato cioè riguardante tutti quegli aspetti della personalità (vita di relazione; dati sulle proprie condizioni di salute; abitudini; etc.) che appartengono alla sfera privata.
[16] Cfr. Corte EDU, 7 dicembre 1976, Handyside v United Kingdom, n. 5493/72, § 48.
[17] Cfr. Corte EDU, 7 dicembre 1976, Handyside v. United Kingdom, cit., § 49.
[18] Cass., Sez. 5, n. 10982 del 14/03/2023, in CED Cass. n. 284672 – 01.
[19] Il procedimento di distruzione delle conversazioni intercettate a tutela della riservatezza disciplinato dall’art. 269 cod. proc. pen. è stato ritenuto "un ramo secco dell'ordinamento processuale, sul quale infatti si registra una casistica giurisprudenziale assai rarefatta" (così A. Camon, Alcuni tratti della riforma, in La legislazione penale, 24/11/2020, 12).
[20] Secondo un orientamento giurisprudenziale, per effetto del rinvio alla disciplina del procedimento in camera di consiglio contenuto nell' art. 269, comma 2, cod. proc. pen., il provvedimento con il quale il GIP, su istanza degli interessati, ha disposto la distruzione della documentazione relative alle intercettazioni "non necessarie" per il procedimento è esecutivo, anche in pendenza di impugnazione. Secondo quanto dispone l'art. 127, comma 8, c.p.p., tuttavia, lo stesso GIP, che ha emesso l'ordinanza, può provvedere diversamente, sospendendo l'esecuzione con decreto motivato (Cass., Sez. 5, n. 10982 del 14/03/2023, cit.). Ai sensi dell'art. 127 cod. proc. pen., inoltre, deve essere dato avviso dell'udienza alle parti, ai difensori e "alle altre parti interessate". Sul punto la Corte EDU ha ritenuto in contrasto con l'art. 6, commi 1 e 3, lett. b), CEDU il provvedimento di distruzione delle registrazioni di intercettazioni telefoniche adottato senza il coinvolgimento della difesa (Corte EDU, Sez. IV, 8/12/2009, J. c. Finlandia; Corte EDU, Sez. IV, 31/3/2009, N. c. Finlandia). Le parti processuali non avvisate possono, ai sensi dell'art. 127, comma 7, c.p.p., proporre ricorso in cassazione avverso l'ordinanza emessa dal giudice per le indagini preliminari al termine della procedura stessa (Cass., Sez. 6, n. 5904 del 05/02/2007).
[21] cfr. § 71 della sentenza in esame.
[22] cfr. § 55 della sentenza in esame.
[23] Secondo la giurisprudenza della Corte europea, l’adeguatezza e la sufficienza del rimedio offerto ai ricorrenti dipendono da tutte le circostanze del caso di specie, avuto riguardo in particolare alla natura della violazione della Convenzione in questione (Corte EDU [GC], 30/06/2008, Gäfgen c. Germania, n. 22978/05, § 116). Diverse forme di sollievo sono state quindi ritenute adeguate dalla Corte EDU. Essa ha talvolta considerato che l'esclusione dal procedimento penale delle prove raccolte irregolarmente potrebbe costituire un metodo adeguato di riparazione (Corte EDU, 8/02/2018, Ben Faiza, n. 31446/12, §§ 47 e 73), così come, in altre situazioni, la possibilità per le persone interessate di ottenere un risarcimento economico a seguito di una constatazione di irregolarità da parte del giudice penale (Corte EDU, 3/11/2015, Kibermanis c. Lettonia, n. 42065/06, § 49; Corte EDU 16/07/2013, Bălteanu c. Romania, n. 142/04, § 32,) o da un altro organo giudiziario (Corte EDU, 13/11/2007, Parlamış c. Turchia, n. 74288/01; Corte EDU, 22/05/2018, Svetina c. Slovenia, n. 38059/13, § 60) è stata ritenuta sufficiente. In circostanze particolari, la Corte EDU ha addirittura ritenuto che il riconoscimento espresso della violazione dell’art. 8 CEDU e la concessione di un risarcimento simbolico per il danno morale subito dal ricorrente potessero costituire un risarcimento sufficiente (Corte EDU, 2/10/2018, Bivolaru c. Romania (n. 2), n. 66580/12, §§ 169-174).
[24] Secondo la giurisprudenza, il terzo interessato (nella specie, la persona offesa in un procedimento penale collegato) non è legittimato all'ascolto delle conversazioni o comunicazioni intercettate e registrate, non essendo estensibile la nozione di "parte" di cui all'art. 269, comma 1, cod. proc. pen. ai soggetti titolari solo di un interesse potenziale all'esercizio di tale facoltà (Cass., Sez. 5, n. 20639 del 12/03/2021, in CED Cass. n. 281257 - 01).
[25] Si rinvia alle sentenze citate nella nota n. 3
[26] Si allude al disegno di legge A.S. n. 808 del 19 luglio 2023, recante “Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale, all’ordinamento giudiziario e al codice dell’ordinamento militare”, che all’art. 2 prevede interventi a tutela della riservatezza del terzo estraneo al procedimento.
[27] Sulle norme introdotte nel 2023 sia consentito il rinvio a L. Giordano, Una nuova riforma della disciplina delle intercettazioni, in Dir. Pen. proc. 2024, 1, 11 e ss.
[28] A meno che, con la norma prevista dal disegno di legge, non si intenda introdurre il divieto di inserire nei verbali delle operazioni espressioni “che consentono di identificare soggetti diversi dalle parti” anche in relazione a conversazioni rilevanti per le indagini, con intuibili conseguenze negative sull’apprezzamento del valore probatorio dei dialoghi captati.
[29] Diversamente, l'auspicio che l'intervento dei giudici di Strasburgo induca il legislatore a predisporre rimedi esperibili dall'interessato nel caso in cui i suoi diritti vengano violati è stato espresso da S. Lorusso, Intercettazioni, vuoto di tutele per i non indagati, in Il Sole 24 ore, 24 giugno 2024.
[30] Questo strumento trova fondamento normativo nell'art. 1, comma 84, lett. a), n. 2, della legge delega 23 giugno 2017, n. 103, che indicava al legislatore delegato la necessità che gli atti non allegati a sostegno della richiesta di misura cautelare fossero custoditi in un apposito “archivio riservato”, con facoltà di esame e ascolto, ma non di copia, da parte dei difensori delle parti e del giudice, fino al momento di conclusione della procedura di cui all'art. 268, commi 6 e 7, cod. proc. pen. La delega è stata attuata con il d.lgs. 29 dicembre 2017, n. 216, cd. riforma Orlando, entrato in vigore, ma la cui efficacia è stata via via prorogata da diverse disposizioni normative. Il d.l. 30 aprile 2020, n. 28, convertito con modificazioni dalla legge 25 giugno 2020, n. 70, ha disposto che le nuove norme si applichino ai procedimenti penali iscritti dopo il 31 agosto 2020. Sull’archivio delle intercettazioni si veda S. Signorato, L’archivio delle intercettazioni. la custodia del materiale e la marcia verso la digitalizzazione delle informazioni, in La Legislazione penale 24/11/2020; volendo, L. Giordano, Archivio delle intercettazioni, in IUS Telematico, 1/03/2024.
[31] Si allude all’utilizzo di strumenti come i cd. criptofonini, telefoni cellulari che usano applicativi come Enchochat o Sky-ecc che permettono lo scambio di dati crittografati con una cifratura a più livelli, realizzati in modo da assicurarne la completa ermeticità ed inattaccabilità anche per mezzo del cd. captatore informatico. Sull’utilizzabilità delle chat tratte da tali telefoni si vedano le sentenze Cass, Sez. U, n. 23755 e n. 23756 del 29/02/2024. Sul tema si veda S. Ragazzi, F. Spiezia, Decifrare, acquisire e utilizzare le comunicazioni criptate in uso alla criminalità organizzata: uno sguardo europeo, in attesa del count-down italiano, in questa Rivista, 26 febbraio 2024, p. 204 e ss., i quali hanno osservato che “All’esito dei primi mesi di investigazioni le autorità francesi verificavano che circa il 63,7% dei criptofonini attivi in Francia erano utilizzati per scopi criminali, mentre per il restante 36,3% sono parzialmente inattivi o non ancora scrutinati, concludendone che di fatto i telefonini Enchochat (ma analoghe verifiche valgono per la successiva piattaforma Sky-ecc) erano appannaggio di una clientela pressoché esclusivamente criminale”.