Scheda  
17 Marzo 2022


Il GUP di Roma sulla sospensione del procedimento con messa alla prova nei confronti dell’imputato maggiorenne: il limite alla ammissibilità del rito “non più di una volta” non riguarda i reati avvinti dal vincolo della continuazione


Francesca Fondacone

G.u.p. Roma, ord. 28 febbraio 2022, giud. Patrone


1. Introduzione. – L’approfondimento prende spunto da un’interessante ordinanza pronunciata dal Giudice dell’Udienza Preliminare del Tribunale di Roma[1].

La questione sottoposta all’attenzione del GUP riguardava, in particolare, la possibilità di ammettere l’imputato alla sospensione del procedimento con messa alla prova rispetto ad un reato avvinto dal vincolo della continuazione con altri reati commessi successivamente dal punto di vista cronologico e dichiarati estinti con sentenza di non doversi procedere a seguito di esito positivo della messa prova.

Il provvedimento in esame si distingue sia per la specifica quaestio iuris, tanto complessa quanto interessante, prospettata all’organo giudicante, che per l’inedito iter logico-giuridico seguito dal Giudice per fornirvi risposta affermativa.

Prendendo le mosse dal fatto concreto, i profili essenziali della vicenda possono essere così sinteticamente riassunti.

L’imputato era stato tratto a giudizio per rispondere del reato di acquisto di sostanze stupefacenti con finalità di spaccio di cui all’art. 73 comma 1 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (T.U. in materia di sostanze stupefacenti), commesso il primo marzo 2017.

Il procedimento in esame riguardava numerosi soggetti che il Pubblico Ministero riteneva far parte a vario titolo di un’organizzazione criminale capeggiata da due fratelli chiamati a rispondere per il delitto di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, ex art. 74 T.U. cit.

In particolare, gli elementi investigativi a carico dell’imputato erano stati desunti da operazioni di intercettazione di telefonate, analisi di tabulati telefonici e servizi di osservazione, pedinamento e controllo, effettuati nel corso del 2017 nei confronti dei membri della suddetta associazione e dei loro clienti, tra i quali figurava proprio l’imputato; il capo di accusa formulato nei suoi confronti aveva dunque ad oggetto una condotta di acquisto con finalità di spaccio di una “quantità indeterminata” di sostanza stupefacente di tipo cocaina, i cui cedenti erano i due predetti fratelli.

I fatti oggetto del procedimento innanzi al GUP erano strettamente connessi ad un’altra vicenda processuale in cui risultavano coinvolti l’imputato ed uno dei due fratelli.

Dalla lettura del casellario giudiziale emergeva, infatti, che l’imputato era stato arrestato in flagranza e sottoposto ad un altro procedimento per i reati di cui agli artt. 337 e 582 c.p., nonché 73 comma 5 d.P.R. 309/1990, per aver detenuto con finalità di spaccio sostanza stupefacente di tipo cocaina, commessi in data 3 marzo 2017.

Con riferimento a tali delitti, l’imputato aveva presentato istanza di sospensione del procedimento con messa alla prova; al termine della prova, i delitti, ritenuti in continuazione ex art. 81 comma 2 c.p., erano stati dichiarati estinti “per esito favorevole della messa alla prova” con sentenza di “non doversi procedere” del Tribunale monocratico di Roma, emessa 12 marzo 2019[2].

Con riferimento al procedimento attualmente in corso, in udienza preliminare, la difesa dell’imputato chiedeva – previa riqualificazione del fatto nell’ipotesi delittuosa di lieve entità di cui all’art. 73 comma 5 d.P.R. 309/1990 – che lo stesso fosse ammesso alla sospensione del procedimento con messa alla prova.

A fondamento della richiesta vi era la considerazione che non si trattava di una messa alla prova chiesta “una seconda volta, in violazione del divieto di cui all’art. 168-bis comma 4 c.p.: nell’ottica difensiva, la prova già eseguita aveva dispiegato i propri effetti estintivi anche con riferimento all’ulteriore reato oggetto del giudizio, il quale poteva quindi dirsi coperto dal suddetto periodo di prova; in subordine, si chiedeva una estensione dal punto di vista temporale del periodo di prova eseguito in modo da ricomprendervi anche il nuovo reato, aggiungendo al periodo già decorso quello ulteriore determinato dal GUP.

Si evidenziava, quindi, l’intima connessione tra i due procedimenti, quello concluso con dichiarazione di estinzione dei reati per esito positivo della prova e quello in corso, derivante dal fatto che i suddetti reati non solo erano stati realizzati in momenti cronologicamente ravvicinati, ma vedevano anche coinvolte le medesime persone ed avevano ad oggetto la stessa tipologia di sostanza stupefacente.

La richiesta della difesa muoveva dall’ulteriore premessa che, se l’imputato fosse stato tratto a giudizio per rispondere di tutti i reati, quelli commessi il 1° ed il 3 marzo 2017, sarebbe stato ammesso a beneficiare della sospensione del procedimento con messa alla prova per ogni ipotesi delittuosa oggetto di contestazione.

Il Pubblico Ministero, operata la riqualificazione del reato ai sensi del quinto comma dell’art. 73, non si opponeva alla richiesta e il GUP, all’udienza del 28 febbraio 2022 – dopo aver dichiarato in via interlocutoria l’istanza formalmente ammissibile, con ordinanza del 19 luglio 2021 – disponeva la sospensione del procedimento ai sensi dell’art. 464-quater c.p.p.

 

 

2. Disciplina e ratio della sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato maggiorenne. Ai fini di un corretto inquadramento della questione, appare opportuno richiamare brevemente la disciplina dell’istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova con particolare riferimento all’imputato adulto.

Con la legge 28 aprile 2014, n. 67[3], il legislatore ha introdotto la sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato maggiorenne, articolando la disciplina di nuovo conio tra disposizioni di carattere sostanziale (artt. 168-bis, 168-ter, 168-quater) e processuale (artt. 464-bis a 464-novies, 657-bis c.p.p. ed agli artt. 141-bis e 141-ter disp. att. c.p.p.)[4].

La legge in esame ha recepito le istanze da tempo manifestate, anche a livello sovranazionale, di decongestionamento del processo penale, attraverso uno strumento che desse la possibilità di reinserimento sociale immediato dell’imputato, nel caso di procedimenti aventi ad oggetto reati non particolarmente gravi.

Non può essere sottaciuto, infatti, che il contesto in cui sono maturate le prime proposte di introduzione dell’istituto, risalenti al 2007, era il medesimo che aveva condotto il legislatore nazionale ad offrire una importante risposta alle numerose criticità del sistema penitenziario: infatti, la legge 31 luglio 2006, n. 241 sull’indulto consentiva, sussistendone i presupposti, di intervenire a valle di procedimenti conclusi con sentenza di condanna passata in giudicato.

Il travagliato percorso che ha portato all’introduzione dell’istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova è giunto al termine solamente nel 2014 quando, nei confronti dell’Italia, pendeva una condanna della Corte EDU[5] che imponeva la necessità di rivisitare il sistema carcerario, contenendone il sovraffollamento attraverso misure volte ad evitare ex ante lo stesso ingresso della persona condannata nel circuito penitenziario.

Sulla scorta delle istanze di matrice europea era quindi emanata la predetta L. 67/2014 recante “Deleghe al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio. Disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili” che, come premesso, ha introdotto, anche nei confronti dell’imputato maggiorenne, la sospensione del procedimento con messa alla prova, sino ad allora prevista solamente in ambito minorile dall’art. 28 d.P.R. 448/1988.

Sotto il profilo del diritto sostanziale, la disciplina ha introdotto nel codice penale una nuova causa di estinzione del reato (art. 168-bis e ss. c.p.), mentre dal punto di vista processuale si tratta di un procedimento speciale, come dimostra il fatto che il legislatore ha inserito l’istituto nel titolo V-bis del libro VI del codice di rito dedicato ai “procedimenti speciali” (artt. 464-bis e ss. c.p.p.). Si aggiungono altresì alla disciplina processuale, l’art. 657-bis c.p.p. e gli artt. 141-bis e 141-ter delle disposizioni di attuazione al codice di rito (capo X-bis). Una modifica ulteriore è stata apportata all’art. 3 d.P.R. 14 novembre 2002, n. 313 (c.d­. Testo unico sul casellario giudiziale).

L’istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato maggiorenne è caratterizzato da una funzione “specialpreventiva” e una natura “premiale. Sotto il primo profilo, può senz’altro evidenziarsi la preminenza assunta dalla personalità e dal carattere del soggetto sottoposto alla prova il quale, nel periodo di sospensione, è incentivato a riparare le conseguenze del proprio reato ed a recuperare, ove possibile, i rapporti con la persona offesa. A tale funzione si accompagna poi la previsione, dal carattere spiccatamente premiale, dell’estinzione del reato nel caso di esito positivo della messa alla prova.

Nel dettaglio, l’art. 168-bis c.p. dispone che l’imputato può chiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova nel caso di procedimenti che abbiano ad oggetto reati puniti con pena edittale pecuniaria o detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria, nonché per i reati indicati dall’art. 550 comma 2 c.p.p.[6].

Si prevede altresì che la richiesta debba essere corredata dal “programma di trattamento elaborato d’intesa con l’Ufficio di esecuzione penale esterna (U.E.P.E.) e che tale programma deve “in ogni caso” includere le modalità di coinvolgimento dell’imputato, del suo nucleo familiare e del suo ambiente di vita nel processo di reinserimento sociale, le prescrizioni comportamentali, gli specifici impegni che lo stesso deve assumere al fine di elidere o attenuare le conseguenze del reato; occorre altresì l’indicazione delle prescrizioni attinenti al lavoro di pubblica utilità o all’attività di volontariato di rilievo sociale, nonché delle condotte necessarie al fine di promuovere, se possibile, la mediazione con la persona offesa.

Ai sensi dell’art. 464-quater c.p.p., il giudice, sentite le parti e la persona offesa, ove non occorra disporre il proscioglimento dell’imputato ex art. 129 c.p.p., decide con ordinanza con cui potrà respingere la richiesta o accoglierla se, in base ai parametri tracciati dall’art. 133 c.p., il programma di trattamento presentato sia conforme alla finalità della pena e possa ritenersi che l’imputato si asterrà dal commettere ulteriori reati. Decorso il periodo di sospensione, la cui durata è indicata nell’ordinanza[7], il giudice acquisisce la relazione conclusiva da parte dell’U.E.P.E. e con sentenza dichiara estinto il reato se, “tenuto conto del comportamento dell’imputato e del rispetto delle prescrizioni stabilite”, ritiene che la prova abbia avuto esito positivo; in caso di esito negativo della prova, il giudice dispone con ordinanza che il processo riprenda il suo corso e, in questo caso, non potrà più essere chiesta una nuova sospensione del procedimento con messa alla prova.

Ulteriormente, il giudice dispone la revoca della sospensione qualora l’imputato commetta una grave e reiterata trasgressione del programma di trattamento, delle prescrizioni imposte o rifiuti la prestazione dei lavori di pubblica utilità, ovvero se, durante la durata della prova, commetta un nuovo delitto non colposo o un nuovo reato della stessa indole di quello per cui si procede.

La sospensione del procedimento con messa alla prova può essere concessa una sola volta e non è ammessa nei casi di cui agli artt. 102, 103, 104, 105 e 108 c.p.

È inoltre opportuno richiamare il recente intervento del legislatore della riforma della giustizia penale – c.d. riforma Cartabia – che ha interessato, tra i vari, anche la sospensione del procedimento con messa alla prova.

L’art. 1 comma 22, L. 27 settembre 2021, n. 134 ha infatti attribuito al Governo la delega per estendere l'ambito di applicabilità della sospensione del procedimento con  messa  alla  prova  dell'imputato, oltre ai casi previsti dall'articolo 550, comma 2 c.p.p., ad ulteriori specifici reati, puniti con pena edittale detentiva non superiore nel  massimo  a  sei  anni,  che  si  prestino a percorsi risocializzanti o riparatori, da parte dell'autore,  compatibili  con l'istituto; è stata altresì prevista l’introduzione della possibilità che la richiesta di sospensione del procedimento con messa alla  prova  dell'imputato possa essere avanzata anche dal Pubblico Ministero.

Dalla disciplina tracciata emergono importanti differenze tra la sospensione del procedimento con messa alla prova e l’omologo previsto nel sistema minorile.

Con riferimento all’imputato minorenne, infatti, non vi sono le rigide preclusioni relative al titolo di reato, né alla possibilità di beneficiare della sospensione più di una volta, ma la sua concessione è rimessa alla discrezionalità del giudice “quando ritiene di dover valutare la personalità del minorenne” all’esito della prova.

Si ritiene infatti che nel procedimento avviato nei confronti del soggetto minorenne, caratterizzato da una personalità fluida ed ancora in fieri rispetto al maggiorenne, sia fondamentale, innanzitutto, l’aspetto rieducativo del sistema sanzionatorio, con prevalenza anche sulla pretesa punitiva[8].

 

3. Non “più di una volta”: il limite alla concessione della sospensione del procedimento con messa alla prova e il rapporto con il reato continuato. – La problematica sottesa alla decisione in commento si fonda sulla previsione dell’art. 168-bis comma 4 c.p. a mente del quale la sospensione del procedimento con messa alla prova “non può essere concessa più di una volta[9].

L’interprete è chiamato ad interrogarsi sul significato da attribuire alla locuzione “più di una volta” quando nel medesimo procedimento siano contestati più reati, ovvero, come è accaduto nel caso di specie, i reati contestati siano avvinti dal vincolo della continuazione, ma siano stati perseguiti e giudicati in due diversi procedimenti.

Le questioni che si pongono sono quindi due: una prima, di carattere generale, relativa a se, in caso di plurime contestazioni nel medesimo procedimento, ammettere la sospensione del procedimento con messa alla prova per tutti i reati contestati significhi concederla comunque “una sola volta; la seconda, che postula una risposta positiva alla predetta questione, attiene invece alla possibilità che, stante la continuazione tra reati giudicati e giudicandi, possa parimenti ammettersi il rito speciale con riferimento ai reati ancora sub judice, quando esso sia stato già esperito rispetto agli altri.

Quanto alla prima questione, si può fare riferimento alla giurisprudenza della Corte di Cassazione[10] che ha statuito che nel caso in cui l’imputato è chiamato a rispondere, nell’ambito di un medesimo procedimento, sia di reati per i quali non è ammissibile l’accesso all’istituto ai sensi dell’art. 168-bis c.p., che di altri per i quali invece ciò è consentito, non è possibile chiedere una ammissione parziale al rito avente ad oggetto la sospensione del procedimento con messa alla prova rispetto ad alcuni dei reati contestati.

Del resto, come precisato dalla Suprema Corte, il legislatore nella formulazione dell'art. 168-bis c.p. ha fatto riferimento non ai “reati”, quanto piuttosto ai "procedimenti per reati": ciò può consentire l’ammissione alla messa alla prova quando in un procedimento siano contestati più reati, purché tutti rientranti nel paradigma di cui all’art. 168-bis c.p. La locuzione “per più di una volta” contenuta nell’art. 168-bis comma 4 c.p., invero, non significa “per più reati” ed una interpretazione che superi la lettera della legge in senso sfavorevole al reo, non sarebbe accettabile, specie nell’ottica di risocializzazione del reo e deflazione del carico processuale.

Esclusa quindi la possibilità di accedere parzialmente al rito speciale, nel caso di più reati contestati, ammettere la sospensione del procedimento con messa alla prova non equivale a concederla più volte[11].

Opinando diversamente, peraltro, si finirebbe per affermare che l’accesso all’istituto è possibile solo in caso di procedimenti riferiti ad un solo reato il che, essendo poco frequente nella pratica, rischierebbe di relegare la possibilità di accedere al rito speciale a pochi casi, contrariamente alla finalità deflattiva che ne ha mosso l’introduzione da parte del legislatore.

Tale ultima conclusione sembra essere stata accolta anche dal Giudice monocratico del Tribunale di Roma che, nell’ambito del procedimento qui di interesse, per i reati commessi il 3 marzo 2017, aveva concesso la sospensione del procedimento con messa alla prova per i reati di lesione personale, resistenza a pubblico ufficiale e detenzione di sostanze stupefacenti.

Occorre a questo punto passare alla seconda questione a cui, si può già affermare, il GUP ha dato risposta affermativa, previa riqualificazione del reato di cui all’art. 73 comma 1 d.P.R. 309/90 nella fattispecie di lieve entità di cui al comma 5 della medesima norma e ritenuto sussistente il vincolo della continuazione con i reati già giudicati.

La decisione si sviluppa lungo i seguenti percorsi argomentativi.

In primo luogo, si ritiene che, in caso continuazione tra reati giudicati e giudicandi, l’espletamento della messa alla prova e la dichiarazione di estinzione del reato non ostano ad una estensione del periodo già svolto: non può infatti parlarsi, in tal caso, di una nuova sospensione del procedimento con messa alla prova in senso tecnico in quanto il prolungamento del periodo di messa alla prova riguarda la prova già svolta e non viene invece concessa ex novo in violazione del limite di cui all’art. 168-bis c.p.

Si pone altresì l’attenzione al fatto che, come sopra affermato, se i reati fossero stati giudicati nell’ambito del medesimo procedimento, l’istanza di sospensione dell’intero procedimento con messa alla prova dell’imputato sarebbe stata senz’altro ammissibile; la sussistenza del vincolo della continuazione avrebbe, anzi, favorito la celebrazione del simultaneus processus.

In tale ipotesi, far dipendere la sorte processuale dell’imputato dalla scelta del Pubblico Ministero di perseguire più reati in continuazione nell’ambito dello stesso o di più procedimenti comporterebbe una irragionevole disparità di trattamento tra chi è imputato in un unico procedimento per più reati, che potrebbe chiedere di essere ammesso alla sospensione del procedimento con messa alla prova, e chi invece – pur avendo commesso più reati in esecuzione del medesimo disegno criminoso – non può accedere all’istituto.

Il vincolo della continuazione sussistente tra reati giudicati e giudicandi deve quindi poter consentire all’imputato di chiedere un prolungamento del periodo di sospensione del procedimento con messa alla prova e, in caso di esito positivo della prova, di ottenere la dichiarazione di estinzione dei reati giudicandi.

Infine, sono richiamate alcune pronunce della Corte di Cassazione sulla possibilità o meno di estendere automaticamente ai reati sub judice posti in continuazione con altri già giudicati gli effetti della sospensione del procedimento con messa alla prova: pronunciandosi sul punto, la Cassazione ha negato tale possibilità affermando che, in tal caso, il giudice è obbligato[…] a rivalutare la personalità dell'imputato minorenne, rinnovando la prognosi sul positivo sviluppo di essa, e ad elaborare un nuovo progetto di socializzazione, o comunque ad integrare quello precedente[12].

Il GUP, pur riconoscendo che tali pronunce sono riferite all’ambito minorile, ha ritenuto di poterne estendere i principi anche alla sospensione del procedimento con messa alla prova per adulti e, alla luce di tali affermazioni, ha respinto l’istanza del difensore dell’imputato di estendere al reato oggetto del procedimento gli effetti estintivi della prova già espletata, ritenendo di dover determinare il prolungamento del periodo già svolto.

 

4. Conclusioni. – Sin dalla sua introduzione, l’istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato maggiorenne ha posto diversi problemi in ordine alla sua applicazione, segno di un legislatore poco attento al coordinamento tra norme nuove ed istituti già esistenti.

Se da un lato il divieto di concessione per più di una volta del beneficio è dettato dalla necessità di evitare strumentalizzazioni dell’istituto da parte di delinquenti seriali rispetto ai quali la finalità deflattiva deve cedere il passo a quella rieducativa della pena, dall’altro appare di tutta evidenza che il suddetto divieto sconta un deficit di astrattezza ove lo si confronti con altri istituti, quale quello della continuazione di reati ex art. 81 comma 2 c.p.

Come visto, diverse sono le questioni lasciate inevase dal legislatore del 2014 su cui la giurisprudenza è stata chiamata di volta in volta a pronunciarsi e il caso in esame ne rappresenta sicuramente un esempio.

È sì vero che, prima facie, potrebbe apparire una forzatura del dettato normativo ritenere di poter prolungare il periodo di una sospensione del procedimento con messa alla prova che, giunto al termine, ha già dispiegato il proprio effetto estintivo derivante dall’esito positivo della prova.

Tale apparente contraddizione potrebbe inoltre trovare conferma nel fatto che, sul punto, il legislatore non ha previsto alcunché e, allora, ubi lex voluit dixit ubi noluit tacuit.

A ben guardare, tuttavia, la linea interpretativa seguita dal Giudice appare quella maggiormente appropriata.

Il GUP ha evocato il principio costituzionale di uguaglianza che impone, in questo caso, che la persona imputata possa beneficiare dell’istituto della continuazione, esattamente come chi è sottoposto ad un unico processo per tutti i reati commessi.

Con riferimento al caso in esame, risulta inoltre evidente la mancanza di uno strumento processuale in sede esecutiva: in tal caso, non sarebbe infatti applicabile l’art. 671 c.p.p. che prevede la possibilità del giudice dell’esecuzione di applicare la disciplina del concorso formale o del reato continuato, su richiesta delle parti, anche nel caso di più sentenze o decreti penali irrevocabili pronunciati in procedimenti distinti.

Occorre tuttavia evidenziare che un profilo critico potrebbe attenere al fatto che l’ulteriore periodo di prova concesso in aggiunta a quello già espletato, essendo materialmente separato da quello già svolto, potrebbe comunque avere un esito negativo se l’imputato, ad esempio, non si attenesse alle previsioni del programma di trattamento.

Tale evenienza renderebbe il periodo ulteriore non più unificabile giuridicamente a quello già svolto e conclusosi con esito positivo, con l’effetto di riaprire il problema della sospensione del procedimento con messa alla prova “parziale”.

In tal caso, l’impasse è comunque superabile, se non da un punto di vista giuridico almeno dal punto di vista pratico, applicando la disciplina di cui all’art. 168-quater c.p. della revoca dell’ordinanza di sospensione del procedimento. È ben vero che, in caso di prosecuzione del procedimento per il solo reato sub judice nelle forme ordinarie, l’imputato non beneficerebbe degli effetti favorevoli dell’istituto della continuazione sulla commisurazione della pena, ma è altrettanto evidente che, attraverso la dichiarazione di estinzione del reato già giudicato per l’esito positivo della messa alla prova, costui ha ottenuto benefici di gran lunga maggiori a quelli che avrebbe ottenuto ove fosse stato sottoposto al medesimo procedimento per entrambi i reati.

Da ultimo, la soluzione interpretativa proposta dal GUP si dimostra particolarmente attenta ad un ulteriore profilo. Infatti, la decisione, evidentemente conservativa dello spazio di applicabilità del rito speciale a scapito della prosecuzione del procedimento nelle forme ordinarie, ha un chiaro risvolto in termini di economia processuale e quindi di deflazione del contenzioso.

Ebbene, tale effetto si pone in linea di perfetta continuità con l’intento attualmente perseguito dal legislatore con la L. 134/2021 che, mirando ad ampliare le possibilità di accesso all’istituto dimostra di valorizzare strumenti e logiche riconducibili alla giustizia riparativa proprio nell’ottica di deflazione processuale e penitenziaria, nonché di riduzione dei tempi della giustizia.

 

 

[1] Ordinanza dott. Francesco Patrone del 28 febbraio 2022.

[2] Sent. Tribunale penale di Roma, I Sez. dib., 12 marzo 2019, n. 3820, giud. Nicchi.

[3] L’idea di estendere anche ai soggetti maggiorenni l’istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova è stata per la prima volta avanzata dal Governo Prodi II (Ministro della giustizia Mastella) con d.d.l. n. 2664 del 2007. Successivamente, la medesima proposta è stata oggetto di ripresentazione dai successivi Governi senza tuttavia avere un seguito a causa delle molteplici crisi governative che hanno caratterizzato il Paese sino al 2014: Governo Berlusconi (Ministro della giustizia Alfano) con il d.d.l. n. 3291 del 2010; Governo Monti (Ministro della Giustizia Severino), con il d.d.l. n. 5019 del 2012; Governo Letta (Ministro della Giustizia Cancellieri), con il d.d.l. n. 5019-bis del 2013. Nel 2014, l’iniziativa legislativa è divenuta parlamentare con il d.d.l. 925 e la legge è stata definitivamente approvata il 2 aprile 2014.

[4] Per un’analisi sulle caratteristiche dell’istituto, si vedano G. Amato, L’impegno è servizi sociali e lavori di pubblica utilità, in Guida dir., 2014, 21, 87 ss.; R. Bartoli, La sospensione del procedimento con messa alla prova: una goccia deflattiva nel mare del sovraffollamento, in Dir. pen. proc., 6/ 2014, 661 ss.; V. Bove, Messa alla prova, a poco più di un anno: quali, ancora, le criticità, in Dir. pen. cont., 22 dicembre 2015; C. Conti – A. Marandola – G. Varraso (a cura di), Le nuove norme sulla giustizia penale, Padova, 2014; R. De Vito, La scommessa della messa alla prova dell’adulto, in Questione giustizia, 2013, 6, 9 ss.; G.L. Fanuli, L’istituto della messa alla prova ex lege 28 aprile, n. 67. Inquadramento teorico e problematiche applicative, in Arch. n. proc. pen., 2014; F. Fiorentin, Preclusioni e soglie di pena riducono la diffusione, in Guida dir., 2014, 21, 68 ss.; F. Fiorentin, Revoca discrezionale per chi viola il programma, in Guida dir., 2014; F. Fiorentin, Risarcire la vittima è condizione imprescindibile, in Guida dir., 2014; F. Fiorentin, Rivoluzione copernicana per la giustizia riparativa, in Guida dir., p. 63 ss.; F. Fiorentin, Una sola volta nella storia giudiziaria del condannato, in Guida dir., 2014, 70 ss.; M.L. Galati-L. Randazzo, La messa alla prova nel processo penale. Le applicazioni pratiche della legge n. 67/2014, II ed. Milano, 2020; F. Giunchedi, Probation italian style: verso una giustizia riparativa, in www.archiviopenale.it; A. Marandola, La messa alla prova dell’imputato adulto: ombre e luci di un nuovo rito speciale per una diversa politica criminale, in Dir. pen. proc., 2014, 674 ss.; M. Miedico, Sospensione del processo e messa alla prova anche per i maggiorenni, in Dir. pen. cont., 14 aprile 2014; R. Piccirillo-P. Silvestri, Prime riflessioni sulle nuove disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili, Relazione dell’Ufficio del Massimario della Corte di cassazione n. III/07/2014, Novità legislative: legge 28 aprile 2014, n. 67, in www.cortedicassazione.it; L. Pulito, Messa alla prova per adulti: anatomia di un nuovo modello processuale, in Proc. pen. giust., 2015, 97 ss.; A. Sanna, L’istituto della messa alla prova: alternativa al processo o processo senza garanzie, in Cass. pen., 2015, 1262 ss.; G. Spangher, Considerazioni sul processo “criminale” italiano, Giappichelli, Torino, 2015, 61; G. Tabasco, La sospensione del procedimento con messa alla prova degli imputati adulti, in www.archiviopenale.it; P. Tonini, Manuale di procedura penale, Giuffrè, Milano, 2020, 824 ss.; N. Triggiani (a cura di), La deflazione giudiziaria. Messa alla prova degli adulti e proscioglimento per tenuità del fatto, Giappichelli, Torino, 2014; G. Zaccaro, La messa alla prova per adulti. Prime considerazioni, in Questione giustizia, 29 aprile 2014.

[5] Corte EDU, sent. 8 gennaio 2013, Torreggiani e altri c. Italia, parr. 94 ss., in Cass. pen., 2013, 1, 11 ss., con nota di G. Tamburino, La sentenza Torregiani e altri della Corte di Strasburgo. Per una disamina delle problematiche relative a tale vicenda si vedano, tra gli altri, M. Dova, Torregiani c. Italia, un barlume di speranza nella cronaca del sistema sanzionatorio, in Riv. it. dir. proc. pen., 2013, 2, 948 ss.; F. Viganò, Sentenza pilota della Corte EDU sul sovraffollamento delle carceri italiane: il nostro Paese chiamato all’adozione di rimedi strutturali entro il termine di un anno, in Dir. pen. cont., 9 gennaio 2013.

[6] Sul criterio utilizzabile ai fini della determinazione della pena rispetto al limite edittale fissato dall’art. 168 bis c.p., la Corte di Cassazione SS.UU., sent. 1° settembre 2016, n. 36272 ha statuito che “ai fini dell’individuazione dei reati ai quali è astrattamente applicabile l’istituto della sospensione con messa in prova, il richiamo contenuto nell’art. 168-bis c.p. alla pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni va riferito alla pena massima prevista per la fattispecie-base, non assumendo a tal fine alcun rilievo le circostanze aggravanti, comprese le circostanze ad effetto speciale e quelle per cui la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato”.

[7] Ai sensi dell’art. 464-quater, comma 5 c.p.p., il procedimento non può essere sospeso per un periodo: a) superiore a due anni quando si procede per reati per i quali è prevista una pena detentiva, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria; b) superiore a un anno quando si procede per reati per i quali è prevista la sola pena pecuniaria. Tali termini decorrono dalla sottoscrizione del verbale di messa alla prova dell’imputato (art. 464-quater, comma 6 c.p.p.).

[8] Si veda, sul punto, Corte cost., 27 settembre 1990, n. 412 che mette in luce “l'incomprensibilità di rendere inapplicabile l'istituto in esame nei confronti di minorenni proprio nelle ipotesi dei più gravi reati nelle quali l'accertamento in ordine alla personalità del minore è sicuramente più necessario, se non indispensabile”.

[9] Nelle precedenti proposte di legge relative all’inserimento dell’istituto in esame era già presente un limite massimo di volte in cui l’imputato potesse beneficiare della concessione della sospensione condizionale della pena. Sul punto, cfr. art. 2 A.C. 331, presentato alla Camera il 18 marzo 2013: la soglia oggi in vigore era stata introdotta nel passaggio del testo al Senato, mentre il testo approvato alla Camera dei Deputati prevedeva la possibilità di accedere al beneficio per due volte, purché la seconda messa alla prova riguardasse reati commessi prima di quello rispetto al quale la messa alla prova era stato esperito.

[10] Cass., Sez. II, 12 marzo 2015, n. 14112, in C.E.D. n. 263125 secondo cui “appare stridente con la struttura del sistema e, diremmo, con gli stessi presupposti dell'istituto che possa avvenire una "parziale" risocializzazione del soggetto interessato”.

[11] Chiara in tal senso la giurisprudenza di merito: Trib. Milano, III Sez. pen. ord. 28 aprile 2015, in Dir. pen. cont., con nota di S. Finocchiaro, Secondo il Tribunale di Milano, la richiesta di messa alla prova è ammissibile anche per “più reati”, Il Tribunale di Milano ha affermato che la richiesta di sospensione del procedimento per la messa alla prova è ammissibile laddove abbia ad oggetto più reati ciascuno dei quali compatibile con il regime di cui all’art. 168-bis c.p., a prescindere dalla sussistenza o meno di un vincolo di continuazione tra gli stessi.

[12]  Cass., Sez. VI, 8 luglio 2014, n. 40312, in C.E.D. n. 260462. Nello stesso senso anche Cass. Sez. II, 8 novembre 2012, n. 46366, in C.E.D. n. 255068.