Corte cost., sent. n. 180, 8 giugno 2022 (dep.19 luglio 2022), Pres. Amato, Rel. Zanon
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1. Con la sentenza annotata, la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibile una questione di legittimità costituzionale sollevata dal T.a.r. Calabria-Reggio Calabria, per ritenuta violazione degli artt. 3, 4 e 24 Cost., in relazione alla disciplina dell’informazione antimafia interdittiva di cui all’art. 92 d.lgs. n. 159/2011 (d’ora in avanti, cod. antimafia).
In particolare, la censura mossa dal giudice a quo alla normativa antimafia riguardava la mancata previsione, nell’art. 92 cod. antimafia, della possibilità, da parte del prefetto, di modulare gli effetti incapacitanti dell’informazione antimafia interdittiva, in tutti quei casi in cui l’applicazione della misura preventiva nella sua interezza rischia di pregiudicare gravemente il sostentamento dell’interessato e della sua famiglia.
2. Prima di analizzare la sentenza della Corte costituzionale, appare opportuno ricordare i tratti essenziali della documentazione antimafia e, in particolare, della misura dell’informazione antimafia interdittiva.
Come noto, la documentazione antimafia – compendiata nel libro II del cod. antimafia (in particolare, artt. 82-99-bis) e consistente in un complesso di «provvedimenti amministrativi attraverso i quali viene fatto conoscere preliminarmente alla pubblica amministrazione l’esistenza o meno di impedimenti e situazioni indici di mafiosità a carico di soggetti che si pongono in relazione con essa»[1] – rappresenta «uno strumento oggi nevralgico nell’ormai articolatissimo ventaglio della legislazione antimafia, consentendo allo Stato di recidere in maniera tempestiva e netta i tentativi embrionali di contaminazione mafiosa degli appalti pubblici e dell’economia legale»[2].
In estrema sintesi, la documentazione antimafia si sostanzia in provvedimenti del prefetto, a contenuto in parte meramente dichiarativo e in parte valutativo, la cui emissione è sollecitata da uno dei soggetti di cui all’art. 83 cod. antimafia – in vista del rilascio di un’autorizzazione o di una licenza, ovvero in vista della stipulazione di un contratto pubblico – con l’obiettivo di scongiurare (o, quantomeno, di ridurre) il rischio di infiltrazioni mafiose nel tessuto economico e imprenditoriale.
Tali provvedimenti sono la comunicazione antimafia e l’informazione antimafia, ed entrambi possono avere un contenuto interdittivo o liberatorio a seconda che il prefetto riscontri o meno la presenza di una delle cause ostative normativamente previste.
In particolare, con la comunicazione antimafia, la quale viene richiesta ai fini dell’emissione di provvedimenti di tipo autorizzatorio o comunque attinenti a rapporti di tipo privatistico con la p.a.[3], il prefetto attesta la sussistenza o meno di una delle cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all’art. 67 cod. antimafia.
L’emissione dell’informazione antimafia, invece, è strumentale alla stipulazione, all’approvazione o all’autorizzazione di contratti e subcontratti, ovvero al rilascio dei provvedimenti di cui all’art. 67 cod. antimafia, il cui valore sia pari o superiore agli importi indicati dall’art. 91 cod. antimafia[4], e consiste nell’attestazione della sussistenza o meno di una delle cause di decadenza, sospensione o divieto di cui all’art. 67 e/o nell’attestazione della sussistenza o meno di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa – desunti dagli indici di cui agli artt. 84 co. 4 e 91 co. 6 cod. antimafia, nonché da tutte le altre situazioni di fatto ritenute rilevanti dal prefetto[5] – tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate all’adozione di un provvedimento in loro favore da parte della p.a.
Com’è immediatamente evidente, comunicazione antimafia e informazione antimafia presentano una parziale sovrapposizione con riferimento ai presupposti per la loro adozione. Entrambi i provvedimenti prefettizi, infatti, possono poggiare sul positivo riscontro di una delle cause di decadenza, sospensione o divieto di cui all’art. 67 cod. antimafia, le quali – è bene ricordarlo – ai sensi dei co. 1 e 8 della medesima disposizione operano in presenza: a) di un provvedimento definitivo di applicazione della misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza; oppure b) di una condanna con sentenza definitiva o confermata in appello per taluno dei delitti consumati o tentati di cui all’art. 51 co. 3-bis c.p.p.[6].
È altrettanto evidente, poi, che i divieti e le decadenze di cui all’art. 67 cod. antimafia non possono essere considerati come una diretta conseguenza del rilascio della comunicazione o dell’informazione interdittiva, costituendo in ogni caso un effetto dell’applicazione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza o della condanna per uno dei delitti di cui all’art. 51 co. 3-bis c.p.p.; effetto che la documentazione antimafia si limita ad attestare e a portare a conoscenza della p.a. sollecitata dal privato all’emissione di un provvedimento in suo favore.
Mentre alla comunicazione antimafia non sono ricollegati dei veri e propri effetti, limitandosi essa ad attestare la sussistenza o meno delle interdizioni di cui all’art. 67 cod. antimafia[7], nel caso di emissione di informazione antimafia interdittiva si producono gli effetti di cui all’art. 94 cod. antimafia. Più in particolare, le pubbliche amministrazioni: a) «non possono stipulare, approvare o autorizzare i contratti o subcontratti, né autorizzare, rilasciare o comunque consentire le concessioni e le erogazioni» (co. 1); b) «revocano le autorizzazioni e le concessioni o recedono dai contratti fatto salvo il pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite», nei casi in cui l’informazione antimafia sia emessa tardivamente nonché nei casi in cui le cause ostative al rilascio del provvedimento liberatorio siano accertate successivamente alla stipula del contratto (co. 2)[8].
La rigida bipartizione e alternatività che tradizionalmente caratterizza i due istituti – come appena visto, infatti, la comunicazione è destinata, oltreché ai contratti pubblici e ai finanziamenti di modesta entità, alle autorizzazioni e alle concessioni, mentre l’informazione si rivolge al settore dei contratti pubblici e ai rapporti di rilevante entità con la p.a. – è stata in parte superata a seguito dell’introduzione dell’art. 89-bis cod. antimafia, avvenuta ad opera del d.lgs. n. 153/2014[9].
Ai sensi di tale disposizione, infatti, nel caso in cui il prefetto, sollecitato a emettere una comunicazione antimafia, riscontri un tentativo di infiltrazione mafiosa, è tenuto ad adottare l’informazione antimafia interdittiva, la quale «tiene luogo della comunicazione antimafia richiesta».
L’art. 89-bis cod. antimafia – ritenuto costituzionalmente conforme già in due occasioni[10] – ha interrogato gli interpreti con riferimento alla sua effettiva portata applicativa. In particolare, ci si è chiesti se l’informazione antimafia interdittiva, emessa in luogo della comunicazione in ragione della ritenuta sussistenza di un tentativo di infiltrazione mafiosa in atto, dia luogo anche alle interdizioni di cui all’art. 67 cod. antimafia, pur in assenza di una misura di prevenzione personale in corso di esecuzione o di una condanna in secondo grado per uno dei delitti di cui all’art. 51 co. 3-bis c.p.p.
Ebbene, la giurisprudenza amministrativa, chiamata per la prima volta a pronunciarsi sul punto in sede consultiva, ha risposto positivamente a tale quesito[11].
In particolare, secondo il Consiglio di Stato, l’art. 89-bis «costituisce una deroga al principio d’alternatività» tra gli istituti della comunicazione e dell’informazione, «poiché prevede l’informazione antimafia laddove è richiesta la comunicazione antimafia, e al tempo stesso opera l’assorbimento»[12].
Ad avviso dei giudici di Palazzo Spada, peraltro, non osterebbe a una tale lettura la disposizione di cui all’art. 94 cod. antimafia. Se è vero, infatti, che la norma da ultimo citata disciplina gli effetti propri dell’informazione antimafia interdittiva, «nulla prevedendo circa eventuali effetti su licenze o autorizzazioni», è altrettanto vero che essa regola «la comune efficacia dell’atto, senza interferire con l’estensione stabilita dall’art. 89-bis, che individua – alle condizioni previste – nell’informazione antimafia una fattispecie equivalente alla comunicazione antimafia»[13].
In conclusione, il Consiglio di Stato, facendo invero un po’ di confusione tra presupposti ed effetti della documentazione antimafia, afferma che la disposizione di cui all’art. 89-bis cod. antimafia deve interpretarsi «nel senso che l’informazione antimafia produce i medesimi effetti della comunicazione antimafia anche nelle ipotesi in cui manchi un rapporto contrattuale con la pubblica amministrazione»[14].
Va poi segnalato che la successiva giurisprudenza amministrativa – muovendo dal parere del Consiglio di Stato appena sopra richiamato ma, al contempo, trascurando la natura derogatoria, pur in quella sede evidenziata, dell’art. 89-bis cod. antimafia rispetto alla disciplina generale della documentazione antimafia – attraverso un’interpretazione fortemente creativa è giunta addirittura a sostenere che il principio formulato in quell’occasione «è applicabile a fortiori anche quando sia stata direttamente chiesta l’informativa antimafia»[15]. In altri termini, secondo questo filone interpretativo, l’informazione antimafia interdittiva, emanata sulla base del riscontro di un tentativo di infiltrazione mafiosa, produrrebbe in ogni caso (e, quindi, non solo nella particolare ipotesi disciplinata dall’art. 89-bis) gli effetti interdittivi di cui all’art. 67 cod. antimafia, anche se il soggetto destinatario del provvedimento non è stato attinto dalla sorveglianza speciale di pubblica sicurezza né risulta condannato almeno in secondo grado per uno dei delitti di cui all’art. 51 co. 3-bis c.p.p.
Per concludere questa breve panoramica della disciplina attualmente vigente della documentazione antimafia, vale forse la pena di ricordare che il legislatore, prendendo atto dell’estrema afflittività delle misure in discorso – vero proprio «ergastolo di impresa», secondo una parte della dottrina[16] –, ha introdotto negli ultimi anni alcune misure di mitigazione delle interdittive antimafia.
Una prima ipotesi di mitigazione, introdotta con l. n. 161/2017, è prevista all’art. 34-bis co. 6 cod. antimafia, e si sostanzia nella possibilità per il privato attinto da un’informazione antimafia interdittiva di inibire gli effetti della misura attraverso l’impugnazione della stessa in sede amministrativa e la contestuale richiesta di applicazione della misura di prevenzione del controllo giudiziario, grazie alla quale è possibile proseguire l’attività economica d’impresa sotto costante monitoraggio del giudice della prevenzione e dell’amministratore giudiziario.
Una seconda ipotesi di mitigazione, recentemente inserita all’art. 94-bis cod. antimafia dal d.l. n. 152/2021 (conv. con modif. dalla l. n. 233/2021), trova applicazione in presenza di «situazioni di agevolazione occasionale», attribuendo al prefetto il potere di applicare, in luogo dell’informazione antimafia interdittiva, una o più misure a carattere prescrittivo indicate nel suddetto articolo. Anche questa misura risponde evidentemente all’esigenza di non paralizzare del tutto l’attività economica a rischio di infiltrazione mafiosa, consentendo la prosecuzione della stessa sotto la vigilanza dell’autorità di pubblica sicurezza.
Per completezza, si segnala anche che la riforma del 2021 appena citata ha significativamente modificato l’art. 92 cod. antimafia, inserendo un nuovo co. 2-bis, il quale disciplina una forma di contraddittorio tra il prefetto e il soggetto privato prima dell’emissione dell’informazione antimafia[17]; e un nuovo co. 2-ter, il quale prevede, quali possibili esiti dell’anzidetto contraddittorio, l’applicazione dell’informazione antimafia (interdittiva o liberatoria) o delle misure di cui all’art. 94-bis.
3. Il T.a.r. Calabria-Reggio Calabria, con ordinanza dell’11 dicembre 2020, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 92 cod. antimafia, per violazione degli artt. 3, 4 e 24 Cost., nella parte in cui non prevede la possibilità per il prefetto di modulare gli effetti interdittivi di cui all’art. 67 cod. antimafia, analogamente a quanto consentito al giudice ai sensi del co. 5 della medesima disposizione[18]. Ai sensi della norma appena citata, assunta come parametro di comparazione dal giudice rimettente, in ipotesi di applicazione della sorveglianza speciale o di condanna per uno dei reati di cui all’art. 51 co. 3-bis c.p.p., il giudice della prevenzione o il giudice penale possono infatti escludere in tutto o in parte l’operatività dei divieti e delle decadenze di cui al co. 1 del medesimo articolo «nel caso in cui per effetto degli stessi verrebbero a mancare i mezzi di sostentamento all’interessato e alla famiglia».
Anzitutto, il giudice a quo ritiene che «l’impossibilità per il prefetto deputato ad emanare il provvedimento interdittivo di esercitare i poteri previsti nel caso di adozione delle misure di prevenzione dall’art. 67, comma 5 del d.lgs. n. 159 del 2011, possa concretizzare un’irragionevole violazione del principio di uguaglianza sostanziale» di cui all’art. 3 Cost.[19]. Posto, infatti, che l’informazione antimafia condivide con le misure di prevenzione la medesima natura preventiva e le medesime conseguenze decadenziali di cui all’art. 67 cod. antimafia, «la circostanza che il legislatore non abbia previsto la possibilità che l’autorità amministrativa preposta ad adottare il provvedimento interdittivo valuti l’incidenza di esso sui mezzi di sostentamento per l’interessato e per la sua famiglia, sembrerebbe concretizzare un’irragionevole disparità di trattamento»[20].
A sostegno di tale affermazione il giudice rimettente rammenta come la Corte costituzionale, nella sentenza n. 57/2020, si sia già pronunciata incidentalmente sulla questione, auspicando «una rimeditazione da parte del legislatore»[21]. Né, sempre secondo il T.a.r. di Reggio Calabria, eliderebbero i denunciati profili di incostituzionalità il carattere temporaneo dell’interdittiva – la cui durata, fissata in un massimo di dodici mesi, sarebbe «ampiamente sufficiente a pregiudicare in modo definitivo qualsiasi attività di impresa» – o la possibilità di accedere al controllo giudiziario “volontario” di cui all’art. 34-bis co. 6 cod. antimafia – la cui operatività è in ogni caso subordinata all’impugnazione dell’informativa antimafia e a una valutazione discrezionale dell’autorità giudiziaria –[22].
Inoltre, il giudice amministrativo dubita della costituzionalità dell’art. 92 cod. antimafia anche rispetto all’art. 4 Cost. Nel rilevare, infatti, come gli effetti derivanti dall’adozione di un’informazione interdittiva incidano «in maniera pervasiva sull’attività svolta dai soggetti che ne sono colpiti, inibiti non solo ai rapporti giuridici con la pubblica amministrazione ma anche ad attività private, sottoposte a regime autorizzatorio», il giudice a quo sostiene che la mancata previsione della possibilità di modulare gli effetti interdittivi in rapporto alle esigenze di sostentamento del destinatario e della sua famiglia costituisca una compressione del diritto al lavoro incompatibile con il dettato costituzionale[23].
Infine, il giudice rimettente rileva anche una possibile violazione dell’art. 24 Cost., stante la mancanza di un vero e proprio contraddittorio con l’autorità prefettizia in merito alle conseguenze potenzialmente pregiudizievoli al sostentamento del destinatario dell’informativa antimafia e della sua famiglia[24].
4. Come già anticipato, la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibili le questioni sollevate dal giudice rimettente.
4.1. In via preliminare, il Giudice delle leggi valuta la possibile incidenza, sul giudizio a quo, della sopravvenuta riforma della disciplina della documentazione antimafia ad opera del d.l. n. 152/2021 (conv. con modif. dalla l. n. 233/2021), riforma che, come si è visto, ha introdotto il nuovo istituto delle misure amministrative di prevenzione collaborativa applicabili in caso di agevolazione occasionale di cui all’art. 94-bis e ha inserito, all’art. 92 co. 2-bis, una forma di contraddittorio necessario tra il prefetto e coloro nei cui confronti stia per essere emessa un’informazione antimafia.
Ebbene, pur giudicando «di sicuro rilievo» le anzidette novità normative, la Corte esclude che la novella del 2021 possa influire sul giudizio di costituzionalità sollecitato dal giudice rimettente per un triplice ordine di ragioni.
In primo luogo, «né la previsione che ha introdotto il contraddittorio necessario, né quella che consente le misure amministrative preventive di collaborazione, possono trovare applicazione, ratione temporis, nel giudizio principale», posto che nel presente caso l’informazione antimafia è già stata adottata[25]. I giudici costituzionali evidenziano, peraltro, che la possibilità di applicazione delle nuove misure preventive di collaborazione a imprese già destinatarie di un’informazione antimafia è esclusa espressamente dall’art. 49 co. 2 d.l. n. 152/2021, il quale dispone che l’istituto di cui all’art. 94-bis si applica «anche ai procedimenti amministrativi per i quali, alla data di entrata in vigore del presente decreto, è stato effettuato l’accesso alla banca dati nazionale unica della documentazione antimafia e non è stata ancora rilasciata l’informazione antimafia».
In secondo luogo, il Giudice delle leggi sottolinea che è «del tutto ipotetica e solo eventuale la possibilità che, una volta decorso il periodo di validità dell’informazione antimafia subita dall’impresa ricorrente, il prefetto, chiamato a riconsiderare le circostanze di fatto, possa, a questo punto, applicare le nuove misure collaborative» ai sensi del co. 4 dell’art. 94-bis. E allo stesso modo «è a dirsi della possibilità che – nel corso della rinnovata valutazione, condotta al fine di verificare se sussistano elementi diversi rispetto a quelli che avevano portato alla prima informazione – l’interessato abbia accesso al contraddittorio con il prefetto», a norma del nuovo co. 2-bis dell’art. 92[26].
In terzo luogo, e infine, la Corte rileva che le innovazioni apportate dal d.l. n. 152/2021 «non si muovono nella direzione proposta dal rimettente (…), non contenendo alcun riferimento alle esigenze che ispirano l’art. 67, comma 5, cod. antimafia (…), cioè la tutela di bisogni primari di sostentamento economico della persona attinta da una misura di prevenzione e della sua famiglia», essendo al contrario la riforma del 2021 «prevalentemente guidata da esigenze di tutela della sicurezza pubblica»[27].
4.2. Tanto premesso, la Corte, nel rilevare che il nucleo centrale delle censure formulate dal giudice a quo ruota intorno all’asserita violazione dell’art 3 Cost., reputa non implausibile «il confronto che il giudice rimettente propone tra la differente disciplina dei poteri attribuiti al giudice delle misure di prevenzione, e quelli conferiti al prefetto nell’ambito dell’informazione antimafia»[28].
La Corte, infatti, pur riconoscendo le evidenti differenze intercorrenti tra misure di prevenzione e documentazione antimafia, sostiene che «[t]ali elementi di differenziazione non possono tuttavia considerarsi a tal punto significativi da richiedere necessariamente un diverso regime giuridico quanto ad una esigenza di primario rilievo, quale è, nell’un caso e nell’altro, la garanzia di sostentamento del soggetto colpito dall’una e dall’altra misura, e dalla sua famiglia»[29].
Secondo il Giudice delle leggi la sorveglianza speciale di pubblica sicurezza e l’informazione antimafia condividono due aspetti essenziali: da un lato, infatti, si è in presenza di misure anticipatorie in funzione di difesa della legalità; dall’altro lato – ma forse qui i giudici costituzionali sovrappongono il dato normativo, invero non sempre perspicuo, all’interpretazione creativa che di esso fornisce la giurisprudenza amministrativa – a entrambi gli istituti conseguono gli effetti interdittivi di cui all’art. 67 cod. antimafia. A fronte di tali evidenti punti di contatto, tuttavia, «solo nei confronti del soggetto attinto da misura di prevenzione e non in riferimento a quello colpito da interdittiva gli interessi di rilievo pubblicistico in tal modo perseguiti sono destinati a cedere il passo all’insopprimibile esigenza di non mettere a rischio la possibilità del soggetto di sostentare sé stesso e la propria famiglia»[30].
Ecco che, allora, «proprio nell’ambito di un procedimento finalizzato al rilascio dell’informazione interdittiva – fondato sulla rilevazione di elementi di pericolo non necessariamente già passati al vaglio della magistratura, e relativo ad attività economiche operanti spesso in un’area contigua, o addirittura solo potenzialmente contigua, alla criminalità organizzata – il legislatore dovrebbe, a fortiori, consentire la valutazione dell’effetto prodotto dalle interdizioni sul sostentamento dei soggetti interessati»[31].
4.3. Per la Corte, «non è dubbio che l’ordinanza di rimessione sottolinei correttamente l’esistenza di una ingiustificata disparità di trattamento, che necessita di un rimedio»[32].
Tuttavia, il Giudice delle leggi ritiene di non poter accogliere la questione sollevata dal giudice rimettente, in quanto l’intervento necessario a sanare la rilevata incostituzionalità si sostanzierebbe in una revisione dell’intera disciplina dell’informazione antimafia e implicherebbe scelte discrezionali di esclusiva spettanza del legislatore.
In primo luogo, l’accoglimento delle doglianze del giudice a quo «avrebbe l’effetto di attribuire all’autorità prefettizia, nell’ambito del procedimento che conduce al rilascio dell’informazione antimafia, un potere valutativo (…) che attualmente il codice antimafia affida, invece, all’apprezzamento dell’autorità giudiziaria, nel contesto del procedimento e delle garanzie proprie di un giudizio»[33]. Si tratterebbe, quindi, non solo «di estendere la disciplina derogatoria in questione dal settore delle misure di prevenzione a quello dell’informazione antimafia, ma, altresì, di attribuirne l’applicazione ad un’autorità diversa, trasferendola dall’autorità giudiziaria a quella amministrativa»[34].
In secondo luogo, i giudici costituzionali evidenziano come gli effetti interdittivi di cui all’art. 67 cod. antimafia risultino particolarmente afflittivi e potenzialmente pregiudizievoli al sostentamento del destinatario e della sua famiglia nei casi in cui, come quello sottoposto all’attenzione del giudice a quo, vi sia una «sostanziale sovrapposizione fra persona e attività economica»; nei casi in cui, cioè, l’informazione antimafia interdittiva colpisca un’impresa individuale. Proprio in ragione della specificità della situazione di fatto sottesa al giudizio costituzionale, «[d]ovrebbe invero essere frutto di scelta discrezionale, come tale anch’essa spettante al legislatore, riservare, nell’ambito dell’informazione interdittiva, alla sola peculiare fattispecie dell’impresa individuale l’applicabilità di una deroga quale quella prevista dall’art. 67, comma 5, cod. antimafia, oppure, eventualmente, ampliarne i destinatari, coinvolgendo ulteriori soggetti economici (ad esempio, le società di persone, o addirittura anche quelle di capitali), risultando altresì necessario precisare, in tali ultime ipotesi, quale o quali soggetti, collegati all’impresa, dovrebbero essere oggetto di considerazione»[35].
In terzo luogo – e, ancora una volta, confondendo forse dato normativo e interpretazione giurisprudenziale – la Corte rileva che, mentre la sorveglianza speciale di pubblica sicurezza si compone di un contenuto tipico (le prescrizioni di cui all’art. 8 cod. antimafia), cui si aggiungono «in via accessoria» le interdizioni di cui all’art. 67 cod. antimafia, l’informazione antimafia interdittiva esaurisce «i propri effetti pregiudizievoli proprio nei divieti e nelle decadenze di ordine economico previste dal medesimo articolo, sicché l’eventuale inibizione in toto della loro applicazione, sia pur in nome di fondamentali esigenze quali quelle rappresentate dal giudice a quo, significherebbe privarle di oggetto e, perciò, di qualunque utilità, frustrando gli obbiettivi cui esse mirano»[36]. Per scongiurare un simile paradosso, osserva la Corte, sarebbe necessario modulare diversamente anche i contenuti dell’art. 67 cod. antimafia: il che, però, «insieme al richiesto trasferimento del potere valutativo in merito dal giudice al prefetto, accentua ulteriormente il carattere manipolativo della pronuncia prospettata dal rimettente, che, anche da questo punto di vista, chiama in causa scelte spettanti alla discrezionalità legislativa»[37].
In ultimo, il Giudice delle leggi ritiene che appartenga «allo stesso modo alla discrezionalità legislativa decidere se e come utilizzare allo scopo invocato dal giudice a quo, innovandoli ulteriormente, alcuni utili strumenti, quali il controllo giudiziario o le misure amministrative di prevenzione collaborativa (…), al fine di meglio contemperare l’interesse pubblico alla sicurezza e la generale libertà del mercato, da una parte, e il diritto della persona a veder garantiti i propri mezzi di sostentamento, dall’altra: inserendo esplicitamente, tra le valutazioni che tali misure consentono, la possibilità di decidere selettive deroghe agli effetti interdittivi e alle decadenze di cui all’art. 67 cod. antimafia, proprio in vista di assicurare alle persone coinvolte i necessari mezzi di sostentamento economico»[38].
4.4. Per i motivi appena sopra riassunti la Corte costituzionale dichiara inammissibili le questioni di legittimità, evidenziando, al contempo, che «deve trovare soddisfazione in tempi rapidi la necessità di accordare tutela alle esigenze di sostentamento dei soggetti che subiscono, insieme alle loro famiglie, a causa delle inibizioni all’attività economica, gli effetti dell’informazione interdittiva»[39].
E, a scanso di equivoci, il Giudice delle leggi – dopo aver richiamato il proprio precedente del 2020 nel quale, proprio con riferimento alla questione controversa oggetto della sentenza annotata, era stata invocata «una rimeditazione da parte del legislatore» (supra, 2.) – avverte che, «in considerazione del rilievo dei diritti costituzionali interessati dalle odierne questioni, (…) un ulteriore protrarsi dell’inerzia legislativa non sarebbe tollerabile» e indurrebbe la Corte, «ove nuovamente investita, a provvedere direttamente, nonostante le difficoltà qui descritte»[40].
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5. Rinviando ad altra sede riflessioni più articolate, ci limitiamo qui a svolgere una considerazione in merito ai sospetti di illegittimità costituzionale della disciplina della documentazione antimafia e alla formulazione della questione di costituzionalità.
In particolare, a noi sembra che il giudice rimettente e la Corte costituzionale muovano da un equivoco di fondo: ci riferiamo, in particolare, all’affermazione, ricorrente sia nell’ordinanza di rimessione sia nella sentenza qui annotata, per cui gli effetti di cui all’art. 67 cod. antimafia sarebbero prodotti dall’emissione della comunicazione e dell’informazione antimafia.
Come si è visto sopra (§ 2), però, le interdizioni di cui all’art. 67 cod. antimafia costituiscono non già un effetto tipico della documentazione antimafia, quanto piuttosto uno dei presupposti per la sua adozione, dovendo il prefetto verificare, attraverso la consultazione della banca dati unica di cui agli artt. 96 ss. cod. antimafia, la sussistenza o meno di una delle cause di decadenza o divieto di cui alla citata disposizione (o, solo per l’informazione antimafia, la sussistenza o meno di un tentativo di infiltrazione). In altri termini, il prefetto deve controllare se, nei confronti di un determinato soggetto, sia stata disposta con provvedimento definitivo la sorveglianza speciale di pubblica sicurezza o sia stata pronunciata condanna in secondo grado per uno dei delitti di cui all’art. 51 co. 3-bis c.p.p. – le quali, lo ricordiamo ancora una volta, sono le due sole condizioni normativamente previste per la produzione degli effetti interdittivi di cui all’art. 67 cod. antimafia – e, in caso di riscontro positivo, deve emettere il documento antimafia richiesto (comunicazione o informazione).
Si è anche visto, però, che l’introduzione dell’art. 89-bis per mezzo del d.lgs. n. 153/2014 ha in parte intaccato l’originaria architettura normativa della documentazione antimafia, sicché conviene ricordare in maniera più analitica tutti i casi in cui può essere emanata una comunicazione antimafia o un’informazione antimafia. Nello specifico, possono darsi i seguenti casi:
a) comunicazione antimafia adottata sulla base della sussistenza delle cause di decadenza o divieto di cui all’art. 67 cod. antimafia;
b) informazione antimafia adottata sulla base della sussistenza delle cause di decadenza o divieto di cui all’art. 67 cod. antimafia;
c) informazione antimafia adottata sulla base del riscontro di un tentativo di infiltrazione mafiosa attraverso gli indicatori di cui all’art. 84 co. 4 e 91 co. 6 cod. antimafia, nonché attraverso gli altri indici sintomatici ritenuti rilevanti dal prefetto;
d) informazione antimafia adottata, ai sensi dell’art. 89-bis, nel caso in cui il prefetto, sollecitato a emettere la comunicazione antimafia, riscontri non già la sussistenza delle interdizioni di cui all’art. 67 cod. antimafia, bensì un tentativo di infiltrazione mafiosa. In tale caso, l’informazione antimafia «tiene luogo della comunicazione antimafia richiesta».
Quanto ai casi sub a) e b), è immediatamente evidente che le cause di decadenza e divieto di cui all’art. 67 cod. antimafia siano già operative in ragione dell’avvenuta applicazione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza o della pronuncia di condanna per uno dei reati di cui all’art. 51 co. 3-bis c.p.p. In questi casi, quindi, il vaglio in merito all’impatto delle interdizioni in discorso sulla vita del destinatario e dei suoi familiari è già svolto dal giudice della prevenzione o dal giudice penale, i quali hanno già valutato i possibili pregiudizi al sostentamento dei soggetti coinvolti derivanti dall’applicazione di tutto il corredo di decadenze e divieti di cui all’art. 67 cod. antimafia. Nelle due ipotesi in questione, quindi, apparirebbe poco ragionevole l’attribuzione al prefetto del medesimo potere già conferito al giudice, se non altro perché si profilerebbe il rischio di due valutazioni difformi, la seconda delle quali, quella cioè formulata dal prefetto, intervenuta all’esito di un procedimento meno garantito e di un contraddittorio più scarno rispetto a quelli in cui è stata operata la prima valutazione (procedimento di prevenzione o processo penale).
Quanto al caso sub c), l’informazione antimafia è adottata sulla base del solo riscontro di un tentativo di infiltrazione mafiosa: il che significa che non vi sono condanne per i reati di cui agli artt. 51 co. 3-bis c.p.p., né è in esecuzione la misura di prevenzione della sorveglianza speciale, e che, di conseguenza, non sono attivati gli effetti interdittivi di cui all’art. 67 cod. antimafia. Tali effetti non sono nemmeno presi in considerazione dall’art. 94 cod. antimafia, il quale, nel disciplinare gli effetti dell’informazione antimafia, prevede soltanto il divieto di stipulazione di contratti pubblici e il recesso da quelli eventualmente già conclusi.
A ben vedere, la tesi secondo cui l’informazione antimafia produce gli effetti interdittivi di cui all’art. 67 cod. antimafia è sostenuta soltanto dalla giurisprudenza amministrativa con un’interpretazione molto creativa (supra, § 2). Il che, tuttavia, porta a chiedersi se abbia davvero senso interrogarsi sulla costituzionalità o meno di una disposizione sulla base di un’interpretazione praeter legem che di essa viene offerta dalla giurisprudenza. È evidente, infatti, che una lettura più fedele al dato letterale consentirebbe di superare ogni ombra di illegittimità costituzionale: non essendo già in essere le interdizioni di cui all’art. 67 cod. antimafia, né essendo esse prodotte dall’informazione antimafia, non v’è ragione di attribuire al prefetto un potere di modulazione delle decadenze e dei divieti contemplati dalla norma appena citata in rapporto delle condizioni di vita del destinatario e della sua famiglia.
Quanto, infine, al caso sub d), le doglianze del giudice rimettente ci sembrano decisamente più pertinenti. In questo caso, infatti, in deroga alla rigida separazione tra comunicazione e informazione, l’art. 89-bis cod. antimafia consente al prefetto di adottare l’informazione antimafia al posto della sollecitata comunicazione e dispone espressamente che l’informativa emanata «tiene luogo della comunicazione richiesta».
Ebbene, la locuzione appena richiamata può essere senz’altro ritenuta espressiva della volontà del legislatore, nella particolare ipotesi presa in considerazione dall’art. 89-bis, di far operare l’informazione come se fosse anche una comunicazione, estendendo il suo ambito di operatività non solo al settore dei contratti pubblici ma anche a tutta la dimensione privatistica dei rapporti con la p.a. E in tal senso, in effetti, la disposizione in parola è stata interpretata dal Consiglio di Stato, sia in sede consultiva che giurisdizionale (supra, § 2).
Ci sembra evidente che, in questo specifico caso, la mancata previsione in capo al prefetto di un potere, analogo a quello del giudice, di modulare gli effetti interdittivi di cui all’art. 67 cod. antimafia alle peculiarità del caso concreto sia passibile di una censura di incostituzionalità. Incostituzionalità alla quale potrebbe forse porsi rimedio anche con una pronuncia della Corte costituzionale, posto che l’intervento correttivo non andrebbe a scompaginare l’intero sistema della documentazione antimafia, ma si limiterebbe a estendere alla sola particolare ipotesi di cui all’art. 89-bis cod. antimafia un potere analogo a quello previsto dall’art. 67 co. 5 cod. antimafia in capo al giudice: un’estensione, quella appena ipotizzata, che, pur non essendo stata accolta nella pronuncia n. 57/2020 in ragione del fatto che non era stata dedotta come autonoma questione, era stata già salutata con favore dalla Corte costituzionale in quella stessa sentenza e che, oggi, sarebbe probabilmente più semplice da realizzare in considerazione dell’avvenuto potenziamento, ad opera del d.l. n. 152/2021, del contraddittorio davanti al prefetto.
In definitiva, ci sembra che il vero problema stia nella corretta formulazione della questione di costituzionalità. Vedremo se, nel prossimo futuro, la giurisprudenza correggerà il tiro, sottoponendo alla Corte quesiti più circoscritti e risolvibili senza costringere i giudici costituzionali a sconfinare nell’ambito di discrezionalità riservato al potere legislativo.
[1] U. Cimmino, La nuova certificazione e le altre cautele antimafia, Palermo, 1995, p. 4.
[2] G. Amarelli, S. Sticchi Damiani, Introduzione, in G. Amarelli, S. Sticchi Damiani (a cura di), Le interdittive antimafia e le altre misure di contrasto all’infiltrazione mafiosa negli appalti pubblici, Torino, 2019, p. XV.
[3] L’ambito oggettivo di operatività della comunicazione antimafia è ricavabile dalla lettura congiunta degli artt. 67, 83 co. 3, 89, 91 co. 1 e 1-bis cod. antimafia. Più precisamente, la comunicazione antimafia deve essere richiesta per ottenere: a) licenze, autorizzazioni di polizia di competenza del Comune e autorizzazioni al commercio; b) concessioni di acque pubbliche e diritti a esse inerenti, nonché concessioni di beni demaniali allorché siano richieste per l’esercizio di attività imprenditoriali; c) concessioni di costruzione e gestione di opere riguardanti la pubblica amministrazione e concessioni di servizi pubblici di valore superiore a 150.000,00 € e inferiore alla soglia comunitaria; d) iscrizioni in albi di appaltatori, fornitori di opere, beni e servizi riguardanti la pubblica amministrazione, nei registri della Camera di commercio per l’esercizio del commercio all’ingrosso e nei registri dei commissari astatori presso i mercati annonari all’ingrosso; e) attestazioni di qualificazione per eseguire lavori pubblici; f) altre iscrizioni o provvedimenti a contenuto autorizzatorio, concessorio o abilitativo per lo svolgimento di attività imprenditoriali, comunque denominati; g) contributi, finanziamenti o mutui agevolati e altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o dell’Unione europea, per lo svolgimento di attività imprenditoriali; h) licenze per detenzione o porti d’armi, fabbricazione, deposito, vendita e trasporto di materie esplodenti. Va poi ricordato che, ai sensi dell’art. 83 co. 3 cod. antimafia, non è richiesto il rilascio della comunicazione antimafia nelle seguenti ipotesi: a) per i rapporti fra i soggetti pubblici di cui al co. 1 della medesima disposizione; b) per i rapporti fra i soggetti pubblici di cui alla lettera a) e altri soggetti, anche privati, i cui organi rappresentativi e quelli aventi funzioni di amministrazione e di controllo sono sottoposti, per disposizione di legge o di regolamento, alla verifica di particolari requisiti di onorabilità tali da escludere la sussistenza di una delle cause di sospensione, di decadenza o di divieto di cui all’art. 67; c) per il rilascio o rinnovo delle autorizzazioni o delle licenze di polizia di competenza delle autorità nazionali e provinciali di pubblica sicurezza; d) per la stipulazione o l’approvazione di contratti e per la concessione di erogazioni a favore di chi esercita attività agricole o professionali, non organizzate in forma di impresa, nonché a favore di chi esercita attività artigiana in forma di impresa individuale e attività di lavoro autonomo anche intellettuale in forma individuale; e) per i provvedimenti, gli atti e i contratti il cui valore complessivo non sia superiore a 150.000 euro.
[4] In particolare, ai sensi dell’art. 91 co. 1 cod. antimafia, l’informazione antimafia è necessaria «prima di stipulare, approvare o autorizzare i contratti e subcontratti, ovvero prima di rilasciare o consentire i provvedimenti indicati nell’articolo 67, il cui valore sia: a) pari o superiore a quello determinato dalla legge in attuazione delle direttive comunitarie in materia di opere e lavori pubblici, servizi pubblici e pubbliche forniture, indipendentemente dai casi di esclusione ivi indicati; b) superiore a 150.000 euro per le concessioni di acque pubbliche o di beni demaniali per lo svolgimento di attività imprenditoriali, ovvero per la concessione di contributi, finanziamenti e agevolazioni su mutuo o altre erogazioni dello stesso tipo per lo svolgimento di attività imprenditoriali; c) superiore a 150.000 euro per l’autorizzazione di subcontratti, cessioni, cottimi, concernenti la realizzazione di opere o lavori pubblici o la prestazione di servizi o forniture pubbliche». Inoltre, ai sensi del successivo co. 1-bis, l’informazione antimafia è necessaria in tutte le «ipotesi di concessione di terreni agricoli demaniali che ricadono nell’ambito dei regimi di sostegno previsti dalla politica agricola comune, a prescindere dal loro valore complessivo, nonché su tutti i terreni agricoli, a qualunque titolo acquisiti, che usufruiscono di fondi europei per un importo superiore a 25.000 euro».
[5] A partire dalla sentenza del C.St., sez. III, 31 marzo (dep. 3 maggio) 2016, n. 1743, infatti, la giurisprudenza amministrativa ha fatto proprio l’orientamento interpretativo secondo cui l’elencazione delle situazioni sintomatiche del condizionamento mafioso di cui all’art. 84 cod. antimafia non ha carattere tassativo bensì meramente esemplificativo, argomentando tale presa di posizione sulla base della costante mutevolezza del fenomeno mafioso e delle sue strategie di infiltrazione nell’economia legale.
[6] Per completezza, si ricorda che il d.l. 4 ottobre 2018, n. 113, conv. con modif. dalla l. 1° dicembre 2018, n. 132, aveva modificato il co. 8 dell’art. 67 cod. antimafia, estendendo l’operatività delle decadenze, delle sospensioni e dei divieti previsti dal co. 1 del medesimo articolo anche in caso di condanna definitiva o confermata in appello per i reati di cui agli artt. 640 co. 2 e 640-bis c.p. Tale integrazione, tuttavia, è stata ritenuta costituzionalmente illegittima dalla Corte costituzionale con sent. 6-30 luglio 2021, n. 178.
[7] La comunicazione ha infatti valore esclusivamente certificativo, il che significa che è un “atto neutro” e si limita ad attestare quanto già esiste. Per una definizione di “certificazione” v., per tutti, A. Stoppani, voce Certificazione, in Enc. dir., VI, Milano, 1960, p. 793 ss.; M.A. Sandulli, voce Certificazione, in Enciclopedia italiana Treccani, app. VII, 2006.
[8] V. A. De Pascalis, Effetti delle misure interdittive antimafia nei rapporti con la Pubblica amministrazione, in G. Amarelli, S. Sticchi Damiani (a cura di), Le interdittive antimafia e le altre misure di contrasto all’infiltrazione mafiosa negli appalti pubblici, Torino, 2019, p. 149 ss.
[9] Per l’analisi della norma citata, si rinvia, per tutti, a A. De Pascalis, Le comunicazioni antimafia: autonomia o sovrapposizione di istituti, in G. Amarelli, S. Sticchi Damiani (a cura di), Le interdittive antimafia e le altre misure di contrasto all’infiltrazione mafiosa negli appalti pubblici, Torino, 2019, p. 73 ss.
[10] Il riferimento è a Corte cost., sent. 21 novembre 2017-18 gennaio 2018, n. 4, nella quale il Giudice delle leggi ha ritenuto infondati i dubbi di costituzionalità dell’art. 89-bis cod. antimafia in rapporto agli artt. 3, 76 e 77 Cost.; e a Corte cost., sent. 29 gennaio-26 marzo 2020, n. 57, nella quale il Giudice delle leggi ha dichiarato infondate le questioni di legittimità sollevate in relazione agli artt. 3 e 41 Cost.
[11] Il riferimento è al parere del C.St., sez. I, 14 ottobre (dep. 17 novembre) 2015, n. 3088.
[12] Ibidem.
[13] Ibidem.
[14] Ibidem. Conformemente a tale parere, in sede giurisdizionale si sono espresse, tra le altre, C.St., sez. III, 26 gennaio (dep. 9 febbraio) 2017, n. 565; C.St., sez. III, 2 febbraio (dep. 8 marzo) 2017, n. 1109; C.St., sez. III, 25 luglio (dep. 2 settembre) 2019 n. 6057.
[15] In questo senso, per tutte, C.St., sez. III, 30 marzo (dep. 7 aprile) 2017, n. 1638.
[16] G. Amarelli, S. Sticchi Damiani, Introduzione, cit., p. XV.
[17] Per alcune riflessioni su contraddittorio e giusto procedimento nella documentazione antimafia, anche alla luce della più recente giurisprudenza eurounitaria, v. L. Filieri, Note sul principio del giusto procedimento nella materia della documentazione antimafia, in Nuove autonomie, 2021, n. 2, p. 485 ss.; Id., Segnalazioni, in Riv. it. dir. pubb. comunit., 2021, p. 859 ss.
[18] T.a.r. Calabria Reggio Calabria, ord. 28 novembre (dep. 11 dicembre) 2020, iscritta al n. 73 del registro delle ordinanze 2021 della Corte costituzionale.
[19] Ivi, § 7.1.
[20] Ibidem.
[21] Corte cost., sent. 29 gennaio-26 marzo 2020, n. 57, § 7.2. dei considerato in diritto.
[22] T.a.r. Calabria Reggio Calabria, ord. 28 novembre (dep. 11 dicembre) 2020, cit., § 7.1.
[23] Ivi, § 8.
[24] Ivi, § 9.
[25] Corte cost., sent. 8 giugno-19 luglio 2022, n. 180, § 4 dei considerato in diritto.
[26] Ibidem.
[27] Ibidem.
[28] Ivi, § 5.
[29] Ibidem.
[30] Ibidem.
[31] Ibidem.
[32] Ivi, § 6.
[33] Ivi, § 6.1.
[34] Ibidem.
[35] Ivi, § 6.2.
[36] Ivi, § 6.3.
[37] Ibidem.
[38] Ivi, § 6.4.
[39] Ivi, § 7.
[40] Ibidem.