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18 Novembre 2019


La Corte costituzionale non esclude l’invalidità derivata in materia probatoria

Nota a C. cost., sent. 15 luglio 2019 (dep. 3 ottobre 2019), n. 219, Pres. Lattanzi, Red. Modugno



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1. La questione. - Con la sent. cost. n. 219 del 3 ottobre 2019[1], la Consulta ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale, sollevate in riferimento agli art. 2, 3, 13, 14, 24, 97 comma 2 e 117 comma 1 (in relazione all’art. 8 Conv. eur. dir. uomo) Cost., dell’art. 191 c.p.p., nella parte in cui, secondo l’interpretazione predominante nella giurisprudenza di legittimità, non prevede che l’inutilizzabilità riguardi anche gli esiti probatori, ivi compreso il sequestro del corpo del reato o delle cose pertinenti al reato, degli atti di perquisizione ed ispezione compiuti dalla polizia giudiziaria fuori dei casi tassativamente previsti dalla legge o comunque non convalidati dall’autorità giudiziaria con provvedimento motivato.

Oggetto del vaglio di legittimità costituzionale è stata la vexata quaestio relativa al rapporto fra perquisizione e sequestro. Seppur già nel vigore del codice Rocco un’attenta (e coraggiosa, considerata l’impostazione di tale codice) giurisprudenza aveva prosciolto l’accusato dal reato di detenzione di sostanze stupefacenti, in ragione del fatto che la droga sequestrata fosse stata rinvenuta sulla sua auto a seguito di una perquisizione effettuata dopo un intervallo temporale nel corso del quale l’imputato (accompagnato nella questura di Milano su un’auto della polizia) perse l’opportunità di controllare eventuali manipolazioni probatorie compiute in sua assenza[2], la giurisprudenza attuale nega che l’illegittimità della perquisizione si propaghi al successivo sequestro, avendo accolto in modo pressoché unanime[3] le conclusioni (contraddittorie rispetto alle premesse[4]) della Cassazione a sezioni unite, la quale, nell’ormai lontano 1996, aveva affermato che, «se è vero che l’illegittimità della ricerca della prova del commesso reato, allorquando assume le dimensioni conseguenti ad una palese violazione delle norme poste a tutela dei diritti soggettivi oggetto di specifica tutela da parte della Costituzione, non può, in linea generale, non diffondere i suoi effetti invalidanti sui risultati che quella ricerca ha consentito di acquisire, è altrettanto vero che allorquando quella ricerca, comunque effettuata, si sia conclusa con il rinvenimento ed il sequestro del corpo del reato o delle cose pertinenti al reato, è lo stesso ordinamento processuale a considerare del tutto irrilevante il modo con il quale a quel sequestro si sia pervenuti»[5].

 

2. Termini del dibattito dottrinale. - La tematica è innegabilmente più dibattuta in dottrina. Da una parte, si ricorre al criterio del male captum, bene retentum, ai sensi della quale «la soggezione a sequestro d’una cosa non dipende da come gli indaganti l’hanno cercata, più o meno ritualmente, ma dal fatto che cose del genere siano sequestrabili, e lo sono le ‘pertinenti’ al reato, salvo che norme ad hoc generino sfere immuni»[6]: pertanto, il sequestro è pienamente valido pure se posto in essere a seguito di una perquisizione viziata, sussistendo tra i due mezzi di prova un mero legame naturalistico[7], come confermato dall’autonomia delle rispettive procedure di convalida (art. 352 e 355 c.p.p.)[8]. L’opposta tesi, viceversa, anche invocando la teoria - di matrice angloamerica - dei frutti dell’albero avvelenato[9], ritiene che lo stretto rapporto sussistente tra i due mezzi di prova[10] comporti l’estensione dell’invalidità della perquisizione al successivo sequestro, in quanto atti funzionalmente connessi e, addirittura, parti di un unitario procedimento acquisitivo[11], come desumibile dall’art. 252 c.p.p., il quale configura il sequestro conseguente a perquisizione come «obbligatorio e quasi automatico adempimento, imprescindibile conseguenza dell’attività di ricerca della quale condivide oggetto materiale e presupposti normativi»[12].

3. La soluzione “aperta” della Corte costituzionale. - Nella pronuncia in commento, la Corte costituzionale ha precisato come, in assenza di un’espressa previsione legislativa[13], sia «lo stesso sistema normativo ad avallare la conclusione secondo la quale, per la inutilizzabilità che scaturisce dalla violazione di un divieto probatorio, non possa trovare applicazione un principio di ‘inutilizzabilità derivata’»[14]; per di più, la richiesta del giudice remittente deve considerarsi «fortemente ‘manipolativa’», in quanto «finisce ineluttabilmente per coinvolgere scelte di ‘politica processuale’ che la stessa Costituzione riserva al legislatore»[15].

Sarebbe però frettoloso concludere che la Corte costituzionale abbia negato qualsiasi legame funzionale fra i due mezzi di prova; anzi, il giudice delle leggi rammenta come «nel campo delle nullità»[16] - senza alcuna limitazione agli atti propulsivi, includendo quindi implicitamente pure gli atti probatori[17] - operi l’art. 185 comma 1 c.p.p., a norma del quale «la nullità di un atto rende invalidi gli atti consecutivi che dipendono da quello dichiarato nullo».

Premesso che, qualora l’inosservanza delle disposizioni in materia di perquisizione implicasse una violazione dei diritti difensivi[18], la perquisizione dovrebbe reputarsi nulla[19], le conclusioni a cui è giunta la Corte costituzionale non escludono (ma anzi sembrano suggerire) la propagazione dell’invalidità - necessariamente nello stesso tipo e regime[20] - al sequestro della fonte di prova così appresa, viziando gli elementi di prova dalla stessa eventualmente ottenuti.

 

 

[1] C. cost., sent. 3 ottobre 2019 n. 219, in G.U., 1^ Serie Speciale, 9 ottobre 2019 n. 41, p. 11 ss.

[2] Per un approfondimento della vicenda, v. Trib. Milano, G.i., 12 settembre 1973, Carollo, in Riv. pen., 1974, p 894 ss.

[3] Cfr., tra le tante, Cass., sez. V, 12 luglio 2018, La Cognata, in CED, n. 273641; Cass., sez. II, 29 marzo 2016, Foddis, ivi, n. 269856; Cass., sez. I, 10 maggio 2011, Gentile, ivi, n. 250428; Cass., sez. VI, 23 giugno 2010, M’Nasri, ivi, n. 248685; Cass., sez. IV, 21 gennaio 2009, Corja, ivi, n. 243634; Cass., sez. II, 30 gennaio 2006, Capacchione e altro, in Dir. pen. proc., 2006, p. 1513, con motivazione e con nota adesiva di P. Felicioni; Cass., sez. III, 27 maggio 2004, Mugnaini, in Cass. pen., 2005, p. 2329 (in motivazione). Nel periodo antecedente l’intervento delle Sezioni unite o immediatamente successivo, non sono invece mancate sentenze favorevoli a una diffusione dell’invalidità: cfr., con riguardo all’inutilizzabilità, Cass., sez. V, 22 settembre 1995, Cavarero, in Cass. pen., 1996, p. 1545, m. 899, con motivazione e con nota di P. Comoglio; Cass., sez. V, 13 marzo 1992, Casini, in Riv. it. dir. proc. pen., 1994, p. 1127 ss., con motivazione e con nota di F.M. Molinari; in relazione alla nullità, Cass., sez. III, 26 agosto 1997, Sirica, in Cass. pen., 1998, p. 2081, m. 1204, con motivazione e con nota di N. Rombi; Cass., sez. VI, 12 maggio 1994, Perri, in CED, n. 200053; Cass., sez. III, 28 febbraio 1994, Santi, ivi, n. 197316; Cass., sez. I, 20 gennaio 1993, Mattiuzzi, in Arch. n. proc. pen., 1993, p. 649.

[4] Infatti, per gran parte della sentenza, si afferma la tesi dell’invalidità derivata, salvo poi ritenere sempre sequestrabili il corpo del reato e le cose pertinenti al reato: e «siccome nel processo penale ogni prova reale ‘pertiene al reato’, risultano acquisibili tutte le prove rilevanti, comunque scoperte» (F. Cordero, Procedura penale, Milano, 2012, p. 649).

[5] Cass., sez. un., 27 marzo 1996, Sala, in Cass. pen., 1996, p. 3272-3273 (in motivazione).

[6] F. Cordero, Procedura penale, cit., p. 637.

[7] Cfr. F. Cordero, Il procedimento probatorio, in Id., Tre studi sulle prove penali, Milano, 1963, p. 122 ss.; Id., Prove illecite, ivi, p. 158 ss.; nonché, G.M. Baccari, Perquisizioni alla ricerca della notizia di reato: il problema della validità del conseguente sequestro, in Cass. pen., 1996, p. 900; P. Ferrua, Prefazione, in Id., Studi sul processo penale, III, Declino del contraddittorio e garantismo reattivo, Torino, 1997, p. 2; O. Lupacchini, Se e come utilizzare una prova illecitamente ritrovata. I termini del problema, in Dir. pen. proc., 1996, p. 1129; N. Rombi, Illegittimità della perquisizione ed effetti sul sequestro, in Cass. pen., 2005, p. 2331; A Scella, Prova penale e inutilizzabilità. Uno studio introduttivo, Torino, 2000 p. 178.

[8] Così P. Moscarini, Il regime sanzionatorio delle perquisizioni illecitamente compiute per iniziativa della polizia giudiziaria, in Riv. it. dir. proc. pen., 1998, p. 1251.

[9] In argomento, cfr., anche per ulteriori riferimenti bibliografici, C. Conti, Accertamento del fatto e inutilizzabilità nel processo penale, Padova, 2007, p. 353 ss.; V. Fanchiotti, Non c’è albero cattivo che dia frutti buoni, in Arch. n. proc. pen., 2018, p. 205; M. Panzavolta, Contributo allo studio dell’invalidità derivata, Fano, 2012, p. 263 ss.

[10] Includendosi in questa categoria anche gli atti probatori per cui il codice di rito ricorre alla categoria «normativamente ed epistemologicamente irrilevante» dei mezzi di ricerca della prova: cfr. G. Ubertis, Sistema di procedura penale, I, Principi generali, Torino, 2017, p. 83, nota 2.

[11] Cfr. G. Bellantoni, Sequestro probatorio e processo penale, Piacenza, 2005, p. 41; T. Bene, L’art. 191 e i vizi del procedimento probatorio, in Cass. pen., 1994, p. 120-121; L.P. Comoglio, Perquisizione illegittima ed inutilizzabilità derivata delle prove acquisite con il susseguente sequestro, in Cass. pen., 1996, p. 1557 ss.; F.M. Grifantini, Inutilizzabilità, in D. disc. pen., VII, Torino, 1993, p. 253; F.M. Molinari, Invalidità del decreto di perquisizione, illegittimità del sequestro, in Riv. it. dir. proc. pen., 1994, p. 1138 ss.

[12] A. Zappulla, Le indagini per la formazione della notitia criminis: il caso della perquisizione seguita da sequestro, in Cass. pen., 1996, p. 1888.

[13] Per l’auspicio di un intervento regolatore del legislatore, v. G. Spangher, «E pur si muove»: dal male captum bene retentum alla exclusionary rules, in Giur. cost., 2001, p. 2829.

[14] Sent. cost. n. 219 del 2019, cit., p. 18.

[15] Sent. cost. n. 219 del 2019, cit., p. 19, da cui è tratta anche la citazione precedente, ribadendo le conclusioni di C. cost., ord. 27 settembre 2001 n. 332, in Giur. cost., 2001, p. 2821 ss., con osservazione di G. Spangher, con le quali si era affermato che, per un verso, non si possono «confondere fra loro fenomeni - quali quelli della nullità e dell’inutilizzabilità - tutt’altro che sovrapponibili, … trasfer[endo] nella disciplina della inutilizzabilità un concetto di vizio derivato che il sistema regola esclusivamente in relazione al tema delle nullità» e, per l’altro, non può richiedersi al giudice delle leggi «l’esercizio di opzioni che l’ordinamento riserva esclusivamente al legislatore» (ivi, p. 2825, da cui è tratta anche la citazione precedente).

[16] Sent. cost. n. 219 del 2019, cit., p. 18.

[17] In dottrina, a favore della propagazione della nullità fra prove, cfr. E. Basso, sub art. 185, in Commento al nuovo codice di procedura penale, coordinato da M. Chiavario, II, Torino, 1990, p. 369; F. R. Dinacci, L’inutilizzabilità nel processo penale, Milano, 2008, p. 91; M. Panzavolta, Nullità processuali. II) Diritto processuale penale, in Enc. giur. Treccani, XXIII, Roma, 2005, p. 16; T.R. Rafaraci, Nullità (dir. proc. pen.), in Enc. dir., Agg. II, Milano, 1998, p. 622-623. Contra, F. Cordero, Procedura penale, cit., p. 1192-1193; nonché G. Marabotto, Nullità nel processo penale, in D. disc. pen., Torino, 1994, p. 278; E. Ciabatti, Nullità, in Commento al nuovo codice di procedura penale, cit., Agg. I, Torino, 1993, p. 506.

[18] Restano semmai aperte le questioni, che in questa sede possono essere solo rammentate, dei rispettivi ambiti di generale operatività della nullità e dell’inutilizzabilità (per un quadro, cfr., fra gli altri, C. Conti, Accertamento del fatto e inutilizzabilità nel processo penale, cit., p. 68 ss.; F.M. Grifantini, Inutilizzabilità, in D. disc. pen., VII, Torino, 1993, p. 245-246; G. Illuminati, L’inutilizzabilità della prova nel processo penale italiano, in Riv. it. dir. proc. pen., 2010, p. 531 ss.) e della riconducibilità all’una o all’altra categoria dei singoli vizi che possono investire specificatamente l’atto di perquisizione (v. M. Bargis, Perquisizione, in D. disc. pen., IX, Torino, 1995, p. 502-503; P. Felicioni, Le ispezioni e le perquisizioni, in Trattato di procedura penale, diretto da G. Ubertis - G.P. Voena, XX, Milano, 2012, p. 526 ss.; N. Galantini, L’inutilizzabilità nel processo penale, Padova, 1992, p. 441 ss.).

[19] Cfr., seppur con riguardo al codice Rocco, G. Ubertis, Riflessioni sulle «prove vietate», in Riv. pen., 1975, p. 715, sulla scorta delle considerazioni che il diritto di difesa vada inteso anche come «‘diritto all’osservanza delle norme che presidiano la genuinità’ della circostanza probatoria» e che possa ritenersi «‘genuina’ solo la circostanza probatoria desunta da un mezzo di prova acquisito al processo conformemente alle regole dettate dal legislatore»; in senso adesivo, v. G. Lozzi, Prove invalide non utilizzate e declaratoria di nullità, in Riv. it. dir. proc. pen., 1978, p. 452-453.

[20] Cfr. G. Conso, Il concetto e le specie d’invalidità. Introduzione alla teoria dei vizi degli atti processuali penali, Milano 1955, p. 80, il quale precisa che in «assenza di espresse disposizioni in contrario, … se l’invalidità si trasmette ad un atto susseguente, si trasmetterà nella stessa specie sotto cui investe l’atto anteriore».