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11 Maggio 2023


Violenza domestica e procedimenti de libertate: le SU si pronunciano sulla legittimazione della persona offesa a impugnare i provvedimenti di revoca o sostituzione delle misure cautelari personali

Cass., Sez. Un., 14 luglio 2022 (dep. 28 settembre 2022), n. 36754, Pres. Cassano, Est. Santalucia.



1. La sentenza in commento concerne il delicato tema del dovere, posto a carico delle autorità pubbliche, di proteggere le vittime di violenza domestica e di genere, sia attraverso la predisposizione di misure idonee a porle al riparo da aggressioni alla propria vita e integrità psicofisica, sia mediante l’assolvimento dei c.d. “obblighi procedurali”, dai quali discende la necessità di instaurare un procedimento penale effettivo e tempestivo, al fine di apprestare  un’adeguata ed efficace tutela alla persona offesa.[1].

La pronuncia delle Sezioni Unite, lo si anticipa sin da ora, solleva qualche perplessità, poiché esclude che la persona offesa possa impugnare l’ordinanza di revoca o di sostituzione di una misura cautelare coercitiva, sostenendo che sia consentito esclusivamente sollecitare il pubblico ministero a proporre impugnazione ai sensi dell’art. 572 c.p.p.[2].

È opportuno rilevare che l’effettività della tutela delle vittime dei reati prima citati spesso si attenua a causa di molteplici fattori, quali, ad esempio, il radicamento culturale della violenza di genere, la mancanza di adeguato riconoscimento da parte delle autorità giudiziarie e di polizia chiamate a intervenire, che talvolta si rivelano prive della necessaria specializzazione in materia[3], la condizione di omertà, che nella maggior parte dei casi si accompagna alle condotte violente realizzate in ambito sia familiare che professionale[4].

L’esigenza di assicurare un’effettiva protezione alle persone offese da reati violenti assume particolare importanza con riferimento all’adozione delle misure cautelari personali, con finalità di prevenzione e di sradicamento da contesti socio-familiari e ambientali considerati ad elevato rischio per la vittima[5].

 

2. La vicenda trae origine da un procedimento penale nei confronti di un soggetto per i reati, commessi ai danni del coniuge, di maltrattamenti in famiglia, aggravati dall’aver commesso il fatto alla presenza dei figli minori ai sensi dell’art. 572, comma 2 c.p., e di lesioni personali aggravate per essere state commesse in occasione del reato di maltrattamenti (artt. 582, 585 in relazione all’art. 576 n. 5 c.p.).

La misura cautelare degli arresti domiciliari, originariamente applicata nei confronti dell’indagato, veniva in seguito sostituita, con ordinanza del giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Patti, con quella dell’obbligo di dimora presso il Comune in cui viveva stabilmente e del divieto di avvicinamento ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa, ritenendo che, pur sussistendo i gravi indizi di colpevolezza, le esigenze cautelari si fossero attenuate. Venivano valorizzati, in particolare, lo stato di incensuratezza dell’indagato e la prossima scadenza del termine di fase di tale misura.

L’ordinanza di sostituzione era stata emanata prima del decorso del termine di due giorni dalla notifica della richiesta avanzata dal pubblico ministero, entro cui la persona offesa avrebbe potuto presentare memorie ex art. 299, comma 3, c.p.p.

Contro tale ordinanza, proponeva, pertanto, ricorso per cassazione il difensore della persona offesa, lamentando la violazione del diritto al contraddittorio, riconosciuto a quest’ultima dalla norma poc’anzi richiamata, derivante dal mancato rispetto del termine decorrente dalla richiesta di sostituzione avanzata dall’organo dall’accusa. In particolare, il ricorrente rilevava che l’inosservanza del termine di due giorni, e la conseguente impossibilità di esaminare tempestivamente la memoria della persona offesa, non avevano consentito al giudice di prendere atto del concreto pericolo cui andava incontro la stessa in ragione della prossimità del luogo di dimora dell’indagato a quello di residenza della persona offesa, che si era quindi dovuta trasferire in una residenza con indirizzo segreto, e dell’aggravamento delle esigenze cautelari, derivante dalla commissione di una violenza sessuale, regolarmente denunciata dalla donna. Inoltre, nella misura del divieto di avvicinamento non erano stati inclusi i figli minorenni, correttamente qualificati come persone offese, in quanto vittime di violenza assistita, e perciò destinatari delle medesime misure di protezione della madre.

Investita del ricorso, la Sesta sezione ha rilevato l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale in ordine alla legittimazione della persona offesa, nell’ambito dei procedimenti per reati commessi con violenza contro la persona, ad impugnare, per mezzo del ricorso per cassazione, l’ordinanza sostitutiva della misura cautelare di cui all’art. 299, comma 3 c.p.p.

 

3. Prima di analizzare la decisione, è opportuno procedere a una sintetica ricostruzione del quadro normativo di riferimento.

A fronte della progressiva espansione dei fenomeni della violenza domestica e di genere, il d.l. 14 agosto 2013, n. 93[6], convertito con legge 15 ottobre 2013 n. 119, ha modificato l’art. 299 c.p.p., attraverso l’inserimento dei commi 2-bis, 3 e 4-bis, i quali prevedono che, nei procedimenti relativi a delitti commessi con violenza alla persona, la richiesta di revoca o di sostituzione di una misura cautelare coercitiva, diversa dal divieto di espatrio e dall’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, debba essere contestualmente notificata, a cura del richiedente e a pena di inammissibilità, presso il difensore della persona offesa o, in mancanza, alla persona offesa, salvo che in quest’ultimo caso abbia dichiarato o eletto domicilio[7].

Nei successivi due giorni dalla notifica, la persona offesa ha facoltà di presentare memorie ai sensi dell’art. 121 c.p.p. Decorso detto termine, il giudice provvede sulla richiesta.

Si coglie, quindi, con evidenza la finalità perseguita dalla novella legislativa del 2013, che mira ad assicurare alla presunta vittima di reati connotati da violenza contro la persona l’opportunità di esercitare sin da subito il proprio diritto di difesa, fornendo in tal modo al giudice significativi elementi per addivenire alla decisione sulla revoca o sulla sostituzione della misura cautelare precedentemente adottata.

 

4. Ricostruito brevemente il contesto normativo di riferimento, occorre dunque illustrare i contrasti giurisprudenziali, insorti sulla questione, richiamati dall’ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite.

In dettaglio, la tematica era stata affrontata con riferimento a un caso equiparabile a quello in esame, in cui veniva in rilievo l’omessa notifica alla persona offesa della richiesta di revoca o sostituzione della misura cautelare. Un primo indirizzo ha ritenuto che, qualora si tratti di procedimenti aventi ad oggetto delitti commessi con violenza alla persona, la mancata notifica della richiesta di revoca o di sostituzione, prevista dall’art. 299, comma 3, c.p.p. a pena di inammissibilità, possa essere dedotta dalla persona offesa mediante ricorso per cassazione, determinandosi altrimenti un “vulnus alle prerogative specificamente riconosciute alla persona offesa a propria tutela”[8].

Secondo tale orientamento, la legittimazione della persona offesa a impugnare per far valere la violazione dell’art. 299, commi 3 e 4-bis, c.p.p. discenderebbe direttamente dalla previsione di ordine generale contenuta nell’art. 111, comma 7, Cost., nonché dalla disposizione di cui all’art. 568, comma 2, c.p.p., secondo cui sono sempre soggetti a ricorso per cassazione, quando non altrimenti impugnabili, i provvedimenti con i quali il giudice decide sulla libertà personale[9].

Al contrario, secondo un diverso orientamento[10], la persona offesa non sarebbe legittimata a proporre impugnazione, non essendovi alcuna norma che lo prevede espressamente[11], ostando a una diversa soluzione il principio di tassatività dei mezzi di impugnazione di cui all’art. 568 c.p.p.[12].

 

5. Le Sezioni Unite hanno aderito all’indirizzo interpretativo minoritario, che nega alla vittima dei reati commessi con violenza alla persona il potere di impugnare il provvedimento con cui il giudice decide su una richiesta di revoca o di sostituzione di una misura cautelare, tanto nel caso di omessa notifica della richiesta, quanto in quello di inosservanza del termine accordato alla persona offesa per presentare memorie.

A sostegno di tale conclusione, viene invocato il principio di tassatività delle impugnazioni in base al quale, come anticipato, spetta alla legge l’individuazione dei casi in cui si può proporre impugnazione e dei relativi mezzi. Non può dunque trovare applicazione l’art. 310 c.p.p., che riserva l’appello contro le ordinanze in materia di misura cautelare esclusivamente al pubblico ministero, all’imputato e al suo difensore. Deve essere, inoltre, esclusa la possibilità di un ricorso per saltum avverso le ordinanze di revoca o di sostituzione della misura cautelare, essendo tale strumento riservato all’indagato (o imputato) e al suo difensore unicamente contro le ordinanze applicative della misura coercitiva.

È stato altresì negato che il diritto al ricorso per cassazione possa trovare fondamento nell’art. 111, comma 7, Cost., sul presupposto che, se è pur vero che la norma consente l’impugnabilità di tutte le sentenze e di tutti i provvedimenti che incidono sulla libertà personale, è parimenti fuori dubbio che la legittimazione all’impugnazione sia da intendersi garantita esclusivamente all’indagato o imputato che soffre la limitazione della propria libertà e al pubblico ministero.

Inoltre, le Sezioni Unite hanno precisato che alla mancata esplicita previsione della persona offesa tra i soggetti legittimati a proporre impugnazione non può porsi rimedio assegnandole la qualifica di parte nel procedimento cautelare. Si sottolinea, infatti, che la persona offesa assume la qualifica di parte soltanto con la costituzione di parte civile, atteso che, “facendo valere l’interesse risarcitorio/restitutorio (…), assume poteri di incidenza sulla progressione processuale in quanto può esercitare il diritto alla prova e poi quello di impugnazione delle statuizioni che riguardano la sua azione e, quindi, il tema della responsabilità civile”.

Pertanto, esclusa la facoltà di impugnativa, l’unico rimedio a disposizione della persona offesa resta quello delineato dall’art. 572 c.p.p., ossia il potere di sollecitare il pubblico ministero a proporre impugnazione avvero il provvedimento adottato dal giudice per le indagini preliminari. Nel caso in cui l’organo dell’accusa non intenda raccogliere la sollecitazione deve specificarne le ragioni con decreto motivato.

 

6. L’impianto motivazionale che sorregge la pronuncia in esame lascia spazio a qualche riflessione conclusiva. Le Sezioni Unite, infatti, pur sottolineando che nel silenzio legislativo non sia percorribile una strada diversa da quella poi effettivamente intrapresa, prospettano al contempo una soluzione differente. In particolare, si ipotizza che la decisione adottata in violazione del contraddittorio con la persona offesa possa tradursi in un’inefficacia provvisoria del provvedimento. In altri termini, si potrebbe ritenere che il mancato rispetto del decorso del termine di legge rappresenti un fatto preclusivo al consolidamento degli effetti del provvedimento di revoca o di sostituzione. In tal senso, la fattispecie procedimentale iniziata con la richiesta di revoca o di sostituzione della misura non potrebbe considerarsi perfezionata proprio a causa dell’assenza di un requisito fondamentale, ossia l’intero decorso del termine di due giorni che decorre dalla notifica della richiesta medesima. La decisione sarebbe quindi segnata da un difetto di potere “in concreto”, che potrebbe essere rilevato anche al di fuori di un meccanismo di impugnazione, sulla falsariga di quanto previsto per i casi di sopravvenuta inefficacia di provvedimenti cautelari[13]. Peraltro, la Corte richiama l’orientamento, consolidato in giurisprudenza[14], in base al quale se il giudice decide sulle richieste di revoca o di modifica delle misure cautelari, senza aver dato modo al pubblico ministero di intervenire con il suo parere, la decisione è da ritenersi invalida, ai sensi dell’art. 178 comma 1, lett. b) c.p.p. Il Supremo Collegio afferma, quindi, che “non dovrebbe apparire eccentrico se, nella speculare ipotesi di mancato rispetto del termine per l’intervento della persona offesa, l’ordinamento reagisse assegnando al provvedimento un’efficacia precaria, in vista della sua caducazione per un ri-esercizio del potere decisorio in riferimento all’originaria richiesta”, aggiungendo che tale ricostruzione apparirebbe maggiormente coerente con il disegno legislativo, perché si darebbe effettività alla tutela della vittima, prevista dall’art. 299, commi 3 e 4 bis, c.p.p.

Tuttavia, le Sezioni Unite chiariscono che simili approdi sono ostacolati dall’assenza di univoche indicazioni normative sul punto, in considerazione del difetto di armonizzazione tra la novella legislativa risalente al 2013 e il sistema codicistico delle impugnazioni cautelari.

 

 

 

 

 

[1] Cfr. ex plurimis Corte EDU, sez. I, 2 marzo 2017, Talpis c. Italia.

[2] In questo modo, in un caso come quello in esame, in cui la richiesta di sostituzione sia stata formulata dal pubblico ministero, la tutela dei diritti della persona offesa viene lasciata all’iniziativa del medesimo soggetto che ha richiesto l’adozione dell’atto lesivo per la persona offesa.

[3] Sul tema, v. Rapporto sulla violenza di genere e domestica nella realtà giudiziaria nella Relazione della Commissione Parlamentare di Inchiesta su femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere, 23 giugno 2021.

[4] Cfr. P. Di Nicola Travaglini – F. Menditto, Le nuove leggi penali Codice Rosso, il contrasto alla violenza di genere: dalle fonti sovranazionali agli strumenti applicativi, Milano, Giuffrè, 2020.

[5] Così A. Conz – L. Levita (a cura di), Il codice rosso: commento organico alla legge 19 luglio 2019, n. 69 in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere, Milano, Dike, 2019, p. 11.

[6] È chiaro il richiamo del legislatore allo statuto sovranazionale di garanzia delle vittime di reato, delineato dalla Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica dell’11 maggio 2011 e dalle disposizioni della Direttiva Europea 2012/29/UE recante norme minime in tema di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato, attuata in Italia con il d.lgs. 15 dicembre 2015, n. 212.

[7] Cfr. Cass., Sez. Un., 30 settembre 2021, n. 17156, Fausto, Rv. 283042, che ha chiarito come l’onere di notifica della richiesta di revoca o di sostituzione della misura cautelare in favore della persona offesa sussista, fuori dai casi in cui abbia provveduto alla nomina del difensore, “a condizione che essa abbia dichiarato o eletto domicilio”.

[8] V. Cass., Sez. VI, 9 febbraio 2016, n. 6864, con commento di D. CERTOSINO, Violenza di genere e tutela della persona offesa nei procedimenti de libertate. in Cass. pen., 2016, n. 10, p. 3754 ss.

[9] In tal senso, v. Cass., Sez. V, 16 febbraio 2017, n. 7404.

[10] Cfr. Cass., Sez. V, 17 maggio 2017, n. 54319.

[11] L’art. 299 c.p.p. non contempla un rimedio a favore della persona offesa, né tantomeno quest’ultima è annoverata dall’art. 310 c.p.p. tra i soggetti legittimati a proporre appello avverso ai provvedimenti di sostituzione o modifica delle misure cautelari. Non sono neppure consentiti il ricorso per saltum ex art. 311, comma 2, c.p.p. e il riesame di cui all’art. 309 c.p.p., esperibili unicamente contro le ordinanze applicative di una misura coercitiva.

[12] V. Cass., Sez. V, 7 febbraio 2018, n. 5820, Zaza, in www.cortedicassazione.it

[13] Cfr. art. 306 c.p.p. per i casi, tra gli altri, di mancato espletamento nel termine di legge dell’interrogatorio di cui all’art. 294 c.p.p., come prescritto dall’art. 302 c.p.p., e di mancato intervento della pronuncia giudiziale di merito entro il termine di fase o complessivo di custodia cautelare ex art. 303 c.p.p.

[14] V. Cass., Sez. IV, 23 giugno 2021, n. 28192, Ventura, Rv. 282342; Cass., Sez. I, 8 gennaio 2021, n. 13408, Grande Aracri, Rv. 281056; Cass., Sez. II, 2 marzo 2011, n. 11765, Simeone, Rv. 249687; Cass., Sez. VI, 22 giugno 2010, n. 30422, Lekli, Rv. 248035; Cass., Sez. I, 11 novembre 2008, n. 45313, Di Bucci, Rv. 242339; Cass., Sez. II, 18 maggio 2006, n. 19549, Nicoletti, Rv. 234209; Cass., Sez. II, 27 settembre 2005, n. 39495, Condio, Rv. 232673.