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1. Dopo un percorso parlamentare di quasi due anni, il 24 settembre 2020 è entrata in vigore la legge 14 agosto 2020, n. 113, recante "Disposizioni in materia di sicurezza per gli esercenti le professioni sanitarie e socio-sanitarie nell'esercizio delle loro funzioni". Il provvedimento presenta diversi profili di interesse per il penalista, avendo inasprito il quadro sanzionatorio per le aggressioni ai danni del personale sanitario: in particolare, il nuovo comma 2 dell’art. 583-quater c.p. prevede la reclusione da quattro a dieci anni per le lesioni gravi cagionate agli esercenti professioni sanitarie e sociosanitarie e la reclusione da otto a sedici anni per le lesioni gravissime; è stata inoltre introdotta una nuova circostanza aggravante comune all’art. 61 c.p. (n. 11-octies) per i delitti commessi – a danno dei medesimi soggetti – con violenza o minaccia, in presenza della quale i reati di lesioni e percosse sono sempre procedibili d’ufficio.
2. L’humus nel quale si è ambientata la riforma è costituito dal forte allarme sociale suscitato da alcuni episodi di cronaca che avevano visto medici e infermieri, specie di pronto soccorso, vittime di aggressioni da parte degli utenti e dei loro congiunti. Nella Relazione di Accompagnamento al disegno di legge S-867, poi sfociato nella l. n. 113/2020, si legge che «[i] fattori di rischio responsabili di atti di violenza diretti contro gli esercenti le professioni sanitarie sono numerosi, ma l’elemento peculiare e ricorrente è rappresentato dal rapporto fortemente interattivo e personale che si instaura tra il paziente e il sanitario durante l’erogazione della prestazione sanitaria e che vede spesso coinvolti soggetti, quali il paziente stesso o i familiari, che si trovano in uno stato di vulnerabilità, frustrazione o perdita di controllo, specialmente se sotto l’effetto di alcol o droga»[1].
I dati INAIL[2] – quasi certamente sottostimati – danno effettivamente ragione delle preoccupazioni manifestate dal legislatore, fotografando, in ambito sanitario, un incremento degli infortuni sul lavoro dovuti ad aggressioni: nel quinquennio 2015-2019, sono stati quasi 11 mila i casi di aggressione nei confronti di personale sanitario, circa il 9% di tutti gli infortuni (contro un rapporto aggressioni/infortuni del 3% – di media – negli altri settori). Il 41% degli episodi è concentrato nell’Assistenza sanitaria (ospedali, case di cura, studi medici), il 31% nei Servizi di assistenza sociale residenziale (case di riposo, strutture di assistenza infermieristica, centri di accoglienza, ecc.) e il 28% nell’Assistenza sociale non residenziale. Le aggressioni sono state perpetrate nel 90% dei casi da soggetti esterni alle strutture sanitarie. Si tratta di una linea di tendenza che accomuna l’Italia ad altri paesi e che da anni è oggetto di studi e ricerche[3].
Non si può non considerare, inoltre, che la legge è stata approvata proprio nel corso dell’emergenza pandemica da Covid-19 e risente in qualche modo del sentimento di gratitudine – largamente diffuso in seno all’opinione pubblica – nei confronti del personale sanitario che, da quasi un anno ormai, lavora a pieno ritmo nella cura delle persone contagiate (e non solo). Tra i temi all’ordine del giorno, nel dibattito pubblico degli ultimi mesi, vi è stata infatti la “riscoperta” dell’importantissimo ruolo sociale svolto – non solo in tempi di crisi – da medici e infermieri e la conseguente necessità di approntare, nei loro confronti, una tutela rafforzata contro gli infortuni sul luogo di lavoro[4].
3. Il campo di applicazione della l. 113/2020 è delineato dall’art. 1, che rinvia alle disposizioni contenute nella l. 11 gennaio 2018, n. 3 (c.d. legge Lorenzin) per le definizioni di professioni sanitarie e socio-sanitarie: svolgono professioni sanitarie coloro che appartengono agli Ordini «dei medici-chirurghi e degli odontoiatri, dei veterinari, dei farmacisti, dei biologi, dei fisici, dei chimici, delle professioni infermieristiche, della professione di ostetrica e dei tecnici sanitari di radiologia medica e delle professioni sanitarie tecniche, della riabilitazione e della prevenzione» (art. 4, l. n. 3/2018), nonché gli osteopati e chiropratici (art. 7), i chimici e i fisici (art. 8), gli psicologi (art. 9). Svolgono invece professioni socio-sanitarie gli assistenti sociali, i sociologi e gli educatori professionali (art. 5, l. n. 113/2020).
Resta in ogni caso salva la possibilità, per il Ministero della Salute, previo parere tecnico-scientifico del Consiglio superiore di sanità, di riconoscere nuove professioni sanitarie, in base al procedimento previsto dall’art. 6 – disposizione alla quale l’art. 1 l. 113/2020 rinvia, rendendo il campo di applicazione delle nuove disposizioni di fatto suscettibile di ampliamento[5].
4. Innanzitutto, la legge 113/2020 interviene sul testo dell’art. 583-quater c.p., disposizione che era stata introdotta dall’art. 7, co. 1, d.l. n. 8 febbraio 2007, n. 8 (conv. con modificazioni in l. 4 aprile 2007, n. 41) e che prevede, al primo comma, che «[n]ell'ipotesi di lesioni personali cagionate a un pubblico ufficiale in servizio di ordine pubblico in occasione di manifestazioni sportive, le lesioni gravi sono punite con la reclusione da quattro a dieci anni; le lesioni gravissime, con la reclusione da otto a sedici anni»: anche in quel caso la novella era stata approvata sull’onda emotiva scaturita da alcuni episodi di cronaca (in particolare, dalla morte dell’ispettore di polizia Filippo Raciti, avvenuta nel corso di disordini seguiti ad una partita di calcio). Per effetto del secondo comma, introdotto dall’art. 4 della legge 113/2020, tale inasprimento delle pene si applica anche «in caso di lesioni personali gravi o gravissime cagionate a personale esercente una professione sanitaria o socio-sanitaria nell'esercizio o a causa delle funzioni o del servizio, nonché a chiunque svolga attività ausiliarie di cura, assistenza sanitaria o soccorso, funzionali allo svolgimento di dette professioni, nell'esercizio o a causa di tali attività». Contestualmente viene modificata la rubrica dell’articolo, che ora reca “Lesioni personali gravi o gravissime a un pubblico ufficiale in servizio di ordine pubblico in occasione di manifestazioni sportive, nonché a personale esercente una professione sanitaria o sociosanitaria e a chiunque svolga attività ausiliarie ad essa funzionali”.
Con riferimento alla nuova disposizione, si pone la questione – già oggetto di dibattito con riferimento al primo comma – se la norma debba essere qualificata come figura autonoma di reato ovvero come circostanza aggravante, con le evidenti implicazioni che ne conseguono in ordine al giudizio di bilanciamento ex art. 69 c.p. e all’applicabilità del criterio di imputazione soggettiva di cui all’art. 59, c. 2, c.p. in luogo di quello previsto dall’art. 43 c.p.
Parte della dottrina si era espressa nel senso di riconoscere la natura di autonoma fattispecie alla disposizione di cui al primo comma, facendo leva sulla sua collocazione in un articolo diverso rispetto alla disciplina delle lesioni gravi e gravissime (art. 583 c.p.), sull’autonomo nomen iuris assegnato nella rubrica, nonché sulla ratio dell’intervento legislativo, da individuarsi proprio nella volontà di sottrarre l’aumento di pena al giudizio di bilanciamento ex art. 69 c.p.[6]. Tali considerazioni sembrano però non superare l’opposto – e decisivo – rilievo, fondato sul carattere speciale dell’art. 583-quater rispetto all’art. 583 c.p. – norma, quest’ultima, riconducibile nell’alveo delle circostanze aggravanti (rispetto alla fattispecie di lesioni personali, art. 582 c.p.) per esplicita qualificazione nella rubrica (e nel comma 2 dell’art. 582 c.p.) e per costante interpretazione giurisprudenziale[7]. Ebbene, l’art. 583-quater c.p. non descrive alcun fatto tipico, ma si limita a rinviare implicitamente all’art. 583 c.p. per le nozioni di “lesioni gravi” e “lesioni gravissime”, sottraendo alla disciplina ivi contenuta le condotte che siano cagionate a determinate categorie di persone: a nostro avviso, tali ipotesi mantengono dunque la natura circostanziale che avevano prima dell’introduzione dell’art. 583-quater[8].
Affinché sia configurabile la nuova aggravante, le lesioni gravi o gravissime devono essere commesse “a causa o nell'esercizio” dell’attività sanitaria. Tale sintagma deve essere interpretato nel senso della necessaria sussistenza di un nesso funzionale tra la condotta di lesioni e l’attività sanitaria. Non potrà, dunque, applicarsi l’art. 583-quater, c. 2, c.p. quando un’aggressione, realizzata contestualmente all’esercizio dell’attività professionale del sanitario, sia determinata da motivi che esulano dall’attività stessa[9] (si pensi alle percosse cagionate ad un infermiere dal vicino di casa, che – per vendicare antichi dissapori – lo segua presso l’ambulatorio e lo aggredisca). In questi casi, infatti, non si riscontra la ratio della tutela rafforzata, che è quella di proteggere gli operatori sanitari dai rischi connessi alla costante relazione con una pluralità indeterminata di persone – talvolta in condizioni di stress emotivo – che si rapporta a medici e infermieri in assenza di alcun filtro.
Al contrario, rientreranno nel campo di applicazione dell’aggravante le lesioni gravi commesse al di fuori dei luoghi deputati all’esercizio della professione, che siano connesse all’attività medico-sanitaria svolta (è il caso del paziente che aggredisca il suo medico mentre questi sta facendo ritorno a casa).
5. L’art. 5 l. 113/2020 introduce poi una nuova aggravante comune all’art. 61 c.p., consistente nell’«avere agito, nei delitti commessi con violenza o minaccia, in danno degli esercenti le professioni sanitarie e socio-sanitarie nonché di chiunque svolga attività ausiliarie di cura, assistenza sanitaria o soccorso, funzionali allo svolgimento di dette professioni, a causa o nell’esercizio di tali professioni o attività» (art. 61 c.p., n. 11-octies)[10].
L’aggravante si applica ai soli delitti commessi con l’uso di violenza e minaccia: a tale nozione devono essere ricondotti sia i reati qualificati espressamente dalla violenza e dalla minaccia (violenza privata, minaccia, violenza sessuale etc.), sia i reati nei quali queste modalità della condotta sono implicite: si pensi alle percosse e alle lesioni personali[11], ma anche alla concussione (nonostante non sia questo il fenomeno che il legislatore si proponeva primariamente di contrastare).
Benché astrattamente rientranti nel campo di applicazione del n. 11-octies, le lesioni gravi o gravissime cagionate al personale sanitario non sono aggravate dalla norma in esame: in base al principio di specialità, in relazione ad esse sarà infatti applicabile la circostanza aggravante prevista dall’art. 583-quater, c. 2, c.p., che si riferisce specificamente a queste fattispecie di reato[12]. La circostanza non è inoltre applicabile, in base al principio espresso dall’art. 61, c. 1, c.p., ai reati dei quali rappresenti già un elemento costitutivo: si pensi alle fattispecie previste dagli artt. 336 e 337 c.p., se poste in essere in danno di sanitari qualificabili come “pubblici ufficiali” o “incaricati di pubblico servizio”[13].
Quanto al significato da attribuire all’espressione “a causa o nell’esercizio”, valgono le considerazioni svolte con riferimento all’aggravante di cui all’art. 583-quater, co. 2, c.p.
Va rilevato che la giurisprudenza era già solita aggravare la pena per i reati commessi nei confronti degli esercenti professioni socio-sanitarie, ritenendo applicabile l’aggravante dell’aver commesso il fatto contro un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio nell’atto o a causa dell’adempimento delle funzioni o del servizio di cui all’art. 61, c.p., n. 10[14]. La nuova circostanza è comunque destinata a sovrapporsi soltanto parzialmente a quella di cui al n. 10, avendo quest’ultima un campo di applicazione da una parte più ampio – dal momento che si riferisce a tutte le figure di reato, comprese le contravvenzioni, e non solo ai delitti caratterizzati da violenza o minaccia – e, dall’altra, più ristretto, essendo circoscritto allo svolgimento di un servizio pubblico, laddove il n. 11-octies si applica anche qualora il sanitario non stia svolgendo attività che lo qualificano come pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio. Qualora, tuttavia, nel caso concreto risultassero integrate entrambe le circostanze, si applicherà un solo aumento di pena, ai sensi dell'art. 68, co. 2, c.p. [15].
6. La l. 113/2020 è intervenuta altresì sul regime di procedibilità delle percosse e delle lesioni, disponendo che, qualora ricorra l’aggravante prevista dall’art. 61, n. 11-octies, c.p., le percosse – in deroga alla disciplina ordinaria – siano procedibili d’ufficio (v. art. 581, c. 2, c.p.) e così le lesioni personali, anche quando da esse derivi una malattia di durata non superiore ai venti giorni (v. art. 582, c. 2, c.p.). Il legislatore ha inteso in questo modo garantire che la perseguibilità dei reati aggravati ex art. 61, n. 11-octies, c.p. sia svincolata dal coefficiente di gravità della condotta, nonché dalle valutazioni della vittima circa l’opportunità di querelare.
7. Il sistema sanzionatorio è poi completato dalla fattispecie di illecito amministrativo prevista dall’articolo 9 l. 113/2020, che così dispone: «Salvo che il fatto costituisca reato, chiunque tenga condotte violente, ingiuriose, offensive o moleste nei confronti di personale esercente una professione sanitaria o socio-sanitaria o di chiunque svolga attività ausiliarie di cura, assistenza sanitaria o soccorso funzionali allo svolgimento di dette professioni presso strutture sanitarie e socio-sanitarie pubbliche o private è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 500 a euro 5.000».
Stante l’assenza di qualsivoglia riferimento al nesso funzionale tra condotte di aggressione ed esercizio dell’attività sanitaria, si deve ritenere che l’irrogazione della sanzione dipenda esclusivamente dalla qualifica soggettiva della persona offesa[16], con la conseguenza che potranno essere sanzionate a titolo di illecito amministrativo anche condotte inerenti soltanto alla sfera privata della vittima.
L’intento del legislatore è evidentemente quello di non lasciare impunita alcuna forma di aggressione nei confronti del personale sanitario. Se è difficile immaginare condotte violente, offensive o moleste che non costituiscono reato[17], la depenalizzazione dell’art. 594 c.p. ad opera del d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 7, sembrerebbe piuttosto aprire uno spazio di applicazione in relazione a fatti di ingiuria[18]. In tal caso, tuttavia, il cumulo tra sanzione pecuniaria civile prevista dall’art. 4 d.lgs. 7/2016[19] e nuovo illecito amministrativo potrebbe porre problemi di compatibilità con il principio del ne bis in idem sostanziale, per come interpretato dalla giurisprudenza della Corte EDU e della Corte di Giustizia[20]. La dottrina maggioritaria ritiene infatti che le sanzioni pecuniarie civili previste dal d.lgs. 7/2016 abbiano carattere punitivo e non meramente risarcitorio[21]: deporrebbero in questo senso i criteri di commisurazione dettati dall’art. 5 d.lgs. 7/2016 – mutuati fondamentalmente dal disposto dell’art. 133 c.p.[22] – nonché l’intrasmissibilità della sanzione agli eredi (art. 9 del decreto) e la devoluzione dell’importo alla Cassa delle ammende (e non al danneggiato) ai sensi dell’art. 10 d.lgs. 7/2016. Alla stregua dei criteri Engel, le sanzioni pecuniarie civili di cui al d.lgs. 7/2016, tra cui quella relativa all’ingiuria, sarebbero dunque da considerarsi “sostanzialmente” penali, perciò soggette al divieto di bis in idem; lo stesso dovrebbe poter dirsi dell’illecito amministrativo previsto dall’art. 9 l. 113/2020, avente anch’esso natura afflittiva e non riparatoria.
In ogni caso, stante la mancata identificazione dell’organo amministrativo preposto all’irrogazione della nuova sanzione, la norma sembra destinata ad una sostanziale inapplicazione[23].
8. A completare il provvedimento vi è poi l’istituzione della Giornata nazionale di educazione e prevenzione contro la violenza nei confronti degli operatori sanitari e socio-sanitari (art. 8) e dell’Osservatorio nazionale sulla sicurezza degli esercenti le professioni sanitarie e socio-sanitarie (art. 2 l. 113/2020). Quest’ultimo, istituito presso il Ministero della Salute, avrà il compito di monitorare gli episodi di violenza commessi ai danni del personale medico-sanitario e di promuovere la diffusione di buone prassi e lo svolgimento di corsi di formazione finalizzati alla prevenzione e alla gestione delle situazioni di conflitto e al miglioramento della comunicazione con gli utenti. L’art. 7, rubricato “misure preventive”, stabilisce infine che «[a]l fine di prevenire episodi di aggressione o di violenza, le strutture presso le quali opera il personale di cui all'articolo 1 della presente legge prevedono, nei propri piani per la sicurezza, misure volte a stipulare specifici protocolli operativi con le forze di polizia, per garantire il loro tempestivo intervento».
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9. La legge in commento tenta di rispondere ad un’esigenza di sicurezza molto avvertita dal personale medico-sanitario, troppo spesso vittima privilegiata dello sfogo di rabbia e frustrazioni da parte degli utenti di strutture ospedaliere. Il problema, effettivamente, sussiste e i dati lo dimostrano. La soluzione data dal legislatore sembra tuttavia, ancora una volta, poco mirata, concentrata com’è sul côté repressivo – ben spendibile a fini elettorali, meno in termini di funzionalità del sistema – piuttosto che sul versante preventivo. Le scarne disposizioni in quest’ultimo senso, di certo condivisibili sul piano delle finalità, sembrano condannate ab origine all’inefficacia per insufficienza di fondi, stante la clausola di invarianza finanziaria che, immancabilmente, chiude il testo legislativo (art. 10)[24]. È difficile immaginare che un organismo con obiettivi ambiziosi qual è il neo-istituito Osservatorio nazionale sulla sicurezza degli esercenti le professioni sanitarie e socio-sanitarie possa portare a qualche risultato in assenza di risorse. Gli stessi protocolli da stipulare con le forze dell’ordine necessitano di risorse che non tutte le strutture ospedaliere saranno in grado di reperire. Quanto poi al quadro sanzionatorio – senza addentrarci nell’ampio e variegato dibattito sul diritto penale simbolico[25] – basterà qui rilevare come l’inasprimento delle pene sembri ispirato più da finalità retributive che di prevenzione generale: impressione che non è di certo scalfita dalla lettura dei lavori preparatori, nei quali – tra le tante accorate prese d’atto sulla gravità del fenomeno – non vi è alcuna traccia di valutazioni sull’auspicato impatto deterrente[26]. L’approccio di zero tolerance fatto proprio dal legislatore rischia oltretutto di andare contro agli interessi dello stesso personale sanitario: ci si riferisce qui alla disposizione che introduce la procedibilità d’ufficio per i delitti di percosse e lesioni aggravati ex art. 61, n. 11-octies, c.p., che sottrae al personale sanitario la possibilità di valutare autonomamente la gravità dell’aggressione ed, eventualmente, di non presentare querela, nella prospettiva di ricostituire un dialogo ed un rapporto con il paziente, o di evitare, invece, fenomeni di vittimizzazione secondaria[27].
[1] La Relazione di accompagnamento al d.d.l. S-867 è disponibile sul sito del Senato a questo link.
[2] INAIL, Andamento degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali, ottobre 2020, disponibile sul sito dell’INAIL a questo link.
[3] Ne dà atto diffusamente M. Caputo, Nessuno tocchi Ippocrate. Il contrasto penale alle violenze commesse ai danni del personale sanitario, in Archivio Penale, 2020, 3, pp. 2-4.
[4] Dall’ultimo monitoraggio dell’INAIL (30 novembre 2020) sui dati sulle denunce di infortunio sul lavoro da Covid-19, risulta che il 68,7% delle denunce proviene dal settore della sanità e dell’assistenza sociale (ospedali, case di cura e di riposo, istituti, cliniche e policlinici universitari, residenze per anziani e disabili...); un terzo dei decessi denunciati all’INAIL riguarda personale sanitario e socio-assistenziale.
[5] Il rinvio pare compatibile con il carattere tendenzialmente assoluto del principio di riserva di legge in materia penale, stante la natura puramente tecnica delle integrazioni che sono rimesse alle valutazioni dell’organo esecutivo.
[6] In questo senso vd. P. Pisa, Il “nuovo” reato di lesioni a pubblico ufficiale in occasione di manifestazioni sportive, in Dir. pen. proc., 2007, fasc. 6, p. 737; S. Campanella – D. Notaro, Misure urgenti per la prevenzione e la repressione di fenomeni di violenza connessi a competizioni calcistiche, nonché norme a sostegno della diffusione dello sport e della partecipazione gratuita dei minori alle manifestazioni sportive (d.l. 8.2.2007 n. 8, conv., con modif., in l. 4.4.2007 n. 41), Legislazione Penale, 2008, 237.
[7] Si vd. ex multis Cass., 3 aprile 2013, n. 34012, Fumisetto, CED 256527; Cass. 14 novembre 2012, n. 18490, Acerbis, CED 256239; C 8 marzo 1994, n. 4130, Riva, CED 197987; in dottrina si vd. F. Basile, sub art. 583, in E. Dolcini – G.L. Gatta (a cura di), Codice penale commentato, Wolters Kluwer, IV ed., 2015, p. 180-181; L. Masera, Delitti contro l’integrità fisica. Lesioni personali, in F. Viganò – C. Piergallini (a cura di), Reati contro la persona e contro il patrimonio, 2015, 99; contra G. Fiandaca – E. Musco, Diritto penale. Parte Speciale. I delitti contro la persona, Zanichelli, 2013, 72.
[8] Vd. più diffusamente G.L. Gatta, sub 583-quater, in E. Dolcini – G.L. Gatta (a cura di), Codice penale commentato, cit.; in questo senso, in relazione al primo comma, si erano espressi L. Pistorelli, D.l. 12 novembre 2010, n. 187 (c.d. Decreto sicurezza), in Dir. pen. cont., 18.11.2010; F. Curi, «La fretta, che l’onestade ad ogni atto dismaga»: alcune osservazioni sulla recente legislazione in tema di violenza negli stadi, in Cass. pen., 2007, fasc. 5, p. 259; in relazione al comma 2 vd. F.P. Modugno, Misure di contrasto alla Violenza nei confronti degli Operatori Sanitari. La Camera approva il DDL all’unanimità e il testo ritorna al Senato in seconda lettura: l’ennesimo esempio di panpenalismo quale unica risposta dell’attuale legislatore ai fenomeni sociali, in Giur. pen., 6/2020, p. 7; G. Amato, Pene aumentate di un terzo e sanzione fino a 5mila euro, in Guida dir., 38, 2020, p. 28; contra M. Caputo, Nessuno tocchi Ippocrate, cit., p. 13; G. Pavich, La sicurezza del personale sanitario e la tutela penale contro le aggressioni: un nuovo strumento legislativo, in Il penalista, 31.8.2020.
[9] G. Amato, Pene aumentate di un terzo e sanzione fino a 5mila euro, cit., p. 29.
[10] La nuova circostanza – come evidenziato dalla citata Relazione di Accompagnamento, p. 4 – si pone in linea di ideale complementarietà con l’aggravante prevista al n. 11-sexies dell’art. 61 c.p., che aggrava i delitti non colposi commessi «in danno di persone ricoverate presso strutture sanitarie o presso strutture socio-sanitarie residenziali o semiresidenziali, pubbliche o private, ovvero presso strutture socio-educative», rispetto alla quale costituisce l’altra faccia della medaglia.
[11] Una conferma dell’applicabilità dell’aggravante in esame alle fattispecie di percosse e lesioni si ricava in ogni caso dall’art. 6, l. n. 113/2020, che – come si vedrà tra poco – incide sul regime di procedibilità di questi due reati, quando siano aggravati dall’art. 61, n. 11-octies, c.p.
[12] M. Caputo, Nessuno tocchi Ippocrate, cit., p. 16.
[13] Così G. Amato, Pene aumentate di un terzo e sanzione fino a 5mila euro, cit., p. 29; M. Caputo, Nessuno tocchi Ippocrate, cit., p. 16.
[14] Trib. Napoli 15 novembre 2017, n. 10849, DeJure; sulla giurisprudenza che attribuisce al personale medico-sanitario la qualifica di pubblico ufficiale v. ex multis Cass., sez. V, 24 maggio 2019, n. 28052, DeJure; Cass., sez. VI, 5 marzo 2019, n. 13411, DeJure; Cass., sez. V, 20 giugno 2017, n. 37971, DeJure; Cass., sez. VI, 11 maggio 2017, n. 29788, DeJure;
[15] G. Amato, Pene aumentate di un terzo e sanzione fino a 5mila euro, cit., p. 30; vd. anche F.P. Modugno, Misure di contrasto alla Violenza nei confronti degli Operatori Sanitari, cit., p. 10; M. Caputo, Nessuno tocchi Ippocrate, cit., p. 16.
[16] G. Battarino, Le nuove disposizioni in materia di sicurezza per gli esercenti le professioni sanitarie e socio-sanitarie, in Questione Giustizia, 14.9.2020; F.P. Modugno, Misure di contrasto alla Violenza nei confronti degli Operatori Sanitari, cit., p. 12.
[17] Sembra potersi escludere anche un’applicabilità della norma alle ipotesi colpose, stante la connotazione dolosa delle nozioni di violenza, ingiuria, offesa e molestia; così F.P. Modugno, Misure di contrasto alla Violenza nei confronti degli Operatori Sanitari, cit., p. 12.
[18] Così rileva anche il Dossier 207/1 elaborato dal Servizio Studi della Camera, p. 5, disponibile sul sito della Camera, a questo link.
[19] La sanzione prevista dall’art. 4 d.lgs. 7/2016 va dai 100 agli 8000 euro; nel caso in cui l'offesa consista nell'attribuzione di un fatto determinato o sia commessa in presenza di più persone, la sanzione è aumentata (da 200 a 12.000 euro).
[20] G. Pavich, La sicurezza del personale sanitario e la tutela penale contro le aggressioni, cit.
[21] Vd. G. Marinucci – E. Dolcini – G.L. Gatta, Manuale di diritto penale. Parte generale, IX ed., 2020, Giuffrè, p. 204; A. Gargani, Sanzioni pecuniarie civili e sanzioni amministrative quali alternative alla tutela penale: problemi e prospettive, in La legislazione penale, 3.12.2018, p. 6; F. Mazzacuva, L’incidenza della definizione “convenzionale” di pena sulle prospettive di riforma del sistema sanzionatorio. Osservazioni a margine della legge delega n. 67/2014, in Dir. pen. cont. – Riv. Trim., 3/2015; p. 10; A. Scarpa, Il divieto di bis in idem nella elaborazione della giurisprudenza delle sezioni civili della Corte di Cassazione, in Giustizia Insieme, 28.2.2020; S. Ucci, Le Sezioni Unite della Cassazione sulle sorti delle statuizioni civili nel giudizio di impugnazione a seguito della depenalizzazione operata con i decreti legislativi n. 7 e n. 8 del 2016: un punto di arrivo?, in Dir. pen. cont., 1/2017, p. 174. Si esprime nello stesso senso, specificamente con riferimento al rapporto tra art. 9 l. 113/2020 e art. 4 d.lgs. 7/2016 vd. G. Pavich, La sicurezza del personale sanitario e la tutela penale contro le aggressioni, cit.
[22] L’art. 5 d.lgs. 7/2016 dispone che: «[l]'importo della sanzione pecuniaria civile è determinato dal giudice tenuto conto dei seguenti criteri: a) gravità della violazione; b) reiterazione dell'illecito; c) arricchimento del soggetto responsabile; d) opera svolta dall'agente per l'eliminazione o attenuazione delle conseguenze dell'illecito; e) personalità dell'agente; f) condizioni economiche dell'agente».
[23] M. Caputo, Nessuno tocchi Ippocrate, cit., p. 20; G. Amato, Pene aumentate di un terzo e sanzione fino a 5mila euro, cit., p. 30; G. Pavich, La sicurezza del personale sanitario e la tutela penale contro le aggressioni, cit.
[24] G. Pavich, La sicurezza del personale sanitario e la tutela penale contro le aggressioni, cit.
[25] Si vd. il dibattito promosso dall'Associazione Italiana Professori di Diritto Penale, i cui contributi sono poi stati raccolti nel documento La società punitiva. populismo, diritto penale simbolico e ruolo del penalista, in Dir. pen. cont., 21.12.2016.
[27] M. Caputo, Nessuno tocchi Ippocrate, cit., p. 19.