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  Scheda  
24 Marzo 2022


Le modifiche al codice penale introdotte dalla l. 238/2021 (c.d. legge europea) in materia di contrasto allo sfruttamento sessuale dei minori e alla pedopornografia


Per il testo della legge, clicca qui.

1. L’articolo 20 della 23 dicembre 2021, n. 238 (legge europea 2019-2020, pubblicata nella GU del 17 gennaio 2022, n. 12 – in vigore dal 1 febbraio 2022) ha introdotto modifiche al codice penale volte ad adeguare la normativa italiana alla direttiva 2011/92/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 13 dicembre 2011, relativa alla lotta contro l’abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile, e che sostituisce la decisione quadro 2004/68/GAI del Consiglio (di seguito Direttiva), in considerazione della procedura avviata dalla Commissione europea in sede di verifica di conformità del quadro normativo nazionale con la Direttiva: la procedura di infrazione avviata il 25 gennaio 2019 nei confronti dell’Italia, con la contestazione del mancato corretto adeguamento alla Direttiva trasposta nella legislazione nazionale con D.L.vo 4 marzo 2014, n. 39 (proc. Infrazione n. 2018/2335), nonché la richiesta a specifici chiarimenti sullo stato di attuazione della stessa Direttiva (EU Pilot. 9373/18/Home).

Con l’art. 20 della legge europea vengono, a tal fine, introdotte:

due nuove fattispecie incriminatrici: quella di accesso a siti pedopornografici, inserita nell’art. 600 quater del cod. pen., e quella di atti sessuali con un minore abusando, a tal fine, di una posizione riconosciuta di fiducia, autorità o influenza sullo stesso, inserita nell’art. 609 quater del cod. pen.;

– ulteriori circostanze aggravanti, quale quella introdotta negli articoli 602 ter, 609 ter, 609 quater, 609 quinquies e 609 undecies dell’essere derivato dal fatto pericolo di vita per il minore, nonché quelle ulteriori introdotte negli articoli 609 quater e 609 undecies dell’essere stato il reato commesso da più persone riunite, da persona che fa parte di un’associazione a delinquere e al fine di agevolarne l’attività, nonché il derivare dal fatto al minore, a causa della reiterazione delle condotte, un pregiudizio grave.

 

2. Una delle novità normative di maggior rilievo è senza dubbio la previsione del delitto di accesso a materiale pedopornografico introdotto nell’art. 600 quater, secondo comma, cod. pen.

La disposizione costituisce la risposta italiana al seguente quesito posto dalla Commissione europea, in sede di procedura Pilot: “In che modo la legislazione nazionale garantisce la conformità con l'articolo 5, paragrafo 3, della direttiva per quanto riguarda le situazioni in cui ottenere consapevolmente l'accesso alla pornografia infantile non implica il possesso di tale materiale (ovvero visitare regolarmente pagine web contenenti pornografia infantile senza scaricare alcuna immagine / pagare un abbonamento tassa per avere accesso alla pornografia infantile senza
scaricare le immagini)?

La nuova fattispecie è stata, infatti, inserita, in ottemperanza alla previsione di cui all’articolo 5 paragrafo 3 della Direttiva, la quale, nell’indicare i reati di pornografia minorile, dispone che gli Stati membri adottino le misure necessarie affinché sia punita, con una pena detentiva massima di almeno un anno, la condotta, intenzionale e non giustificata, di accesso consapevole, a mezzo di tecnologie dell'informazione e della comunicazione, a materiale pedopornografico. Tale disposizione deve essere letta unitamente al considerando 18[1] della stessa Direttiva che richiede, ai fini della punibilità della condotta in esame, l’intenzionalità, che può dedursi, in particolare, dal fatto che gli accessi, a mezzo di tecnologie dell’informazione e della comunicazione, siano ricorrenti o che i reati siano stati commessi attraverso un servizio a pagamento. Non dovrebbero, dunque, essere punibili coloro che accedono inavvertitamente a siti contenenti materiale pedopornografico.

 

2.1. Come risulta dal rapporto redatto dalla Associazione Missing children europe nel 2015, sulla base di una indagine svolta nel 2014 (“A survey on the transposition of directive 2011/93/eu on combating sexual abuse and sexual exploitation of children and child pornography”), la maggior parte degli Stati Membri[2] , nell’attuazione della Direttiva, ha optato per una trasposizione letterale (“knowingly obtaining access to” – “accedere consapevolmente a”) dell’art. 5, par. 3. Altri Paesi hanno invece scelto formulazioni leggermente diverse, ma comunque conformi agli obblighi di incriminazione eurounitari.

In Croazia commette reato – oltre a chi filma, o produce, offre, mette a dispopsizione, distribuisce, trasmette, importa, esporta, acquista per sé o per altra persona, vende, fornisce, presenta o possiede materiale pornografico infantile – anche chi ottiene consapevolmente l’accesso, attraverso le tecnologie dell’informazione e della comunicazione, alla pornografia infantile, come previsto dall’art. 163 (2) del codice penale croato.

La disposizione della Direttiva in questione è stata trasposta in Estonia, richiedendo “knowingly requesting access to child pornography”, ovvero “la consapevole richiesta di accesso alla pornografia infantile” (art. 175(1) del Codice penale estone) e in Lettonia nel reato di “circulation of pornographic materials”, ai sensi dell’art. 1 (3) (a) della Latvian Law on Pornography Restriction, che include “purchasing, acquiring into ownership, possession, use and access to pornographic materials”; è espressamente punito, quindi, non solo l’uso, ma anche il mero accesso al materiale pornografico.

Anche l’art. 384 del codice penale del Lussemburgo fa uso di una simile terminologia: “knowingly view print-outs, images, photographs, films or any other pornographic materials involving or depicting minors(“visione consapevole…).

In Svezia commette reato di pornografia infantile colui che “possesses such an image of a child or views such an image that they have obtained access to (ossia “chi possiede” o anche solo “guarda immagini pedopornografiche cui ha avuto accesso” (Capitolo 16, Sezione 10 (a) del Codice penale svedese). Per essere punibile, quindi, la persona deve aver preso visione del materiale.

Il codice penale tedesco punisce le condotte di: “Diffusione, acquisizione e possesso di materiale pedopornografico infantile” (art. 184b: pornografia realizzata con minori di anni 14); “Diffusione, acquisizione e possesso di materiale pedopornografico giovanile” (art. 184c: pornografia realizzata con minori di anni 14-18). Con le medesime pene è punita anche la condotta di chi si procura l’accesso al materiale pornografico infantile o giovanile (art. 184d).

In Spagna, mentre il “possesso” di pornografia infantile era già punito dal 2003 (articolo 289 del codice penale), la legge n. 1 del 30 marzo 2015 ha modificato il codice penale e, proprio per dare attuazione alla Direttiva, ha introdotto l’art. 189 che punisce, tra le altre condotte, “l’accesso consapevole” alla pornografia infantile mediante tecnologia della informazione e della comunicazione.

In Polonia, l’art. 202 par 4a of the Criminal Code prevede che: «Who stores, possess or gains access to a child pornography with the participation of a minor shall be subject to imprisonment from 3 months to up to 5 years». Viene punito, quindi, «chiunque detiene, possiede o accede a pornografia infantile».

In Portogallo, l’art. 176, comma 5, del codice penale punisce, fra le altre condotte, il mero accesso al materiale pedopornografico attraverso sistemi informatici; il comma 6 dello stesso articolo punisce anche la condotta di assistere a esibizioni pornografiche che coinvolgono minori.

In Grecia, l’articolo 8 par. 5 della Legge 4267/2014 prevede: «Chiunque abbia consapevolmente accesso, mediante le tecnologie dell'informazione e della comunicazione, alla pornografia infantile è punito con la reclusione di almeno un (1) anno».

L’art.192, comma 2, del codice penale cèco punisce il semplice «accesso al materiale pedopornografico per mezzo di tecnologie dell’informazione o della comunicazione».

Problematica è la formulazione operata dalla Francia, che ha trasposto l’art. 5 (3) nei seguenti termini: “Le fait de consulter habituellement ou en contrepartie d'un paiement un service de communication au public en ligne mettant à disposition une telle image ou représentation, d'acquérir ou de détenir une telle image ou représentation par quelque moyen que ce soit est puni de cinq ans d'emprisonnement et de 75 000 euros d'amende” (Art. 227-23 (4) del Codice penale francese). È punito, quindi, il fatto di consultare abitualmente o come contropartita di un servizio a pagamento, nonché l’acquisizione o la detenzione di materiale pedopornografico con qualsiasi mezzo. La formulazione presenta criticità, perché – nel richiedere la reiterazione o l’accesso a pagamento – produce una restrizione dell’ambito applicativo della direttiva, contrario allo scopo e alla formulazione dell’art. 5, par. 3, della stessa, tanto che dal Rapporto della Global Alliance Against Child Sexual Abuse Online del 2014 risulta che la Francia si fosse impegnata a modificare la disposizione normativa per includervi anche l’accesso consapevole occasionale al materiale pedopornografico. Allo stato, non risulta che la disposizione sia stata modificata.

 

2.2. Nel descritto quadro europeo, in attuazione a quanto disposto dall’articolo 5, par. 3, della Direttiva, si inserisce dunque l’articolo 20 della legge europea, che ha modificato l’art. 600 quater del cod. pen., mediante l’aggiunta nella rubrica dell’”accesso” a materiale pornografico, accanto alla “detenzione”, nonché mediante l’introduzione nella norma di un secondo comma nel quale è descritta la nuova condotta tipica: “Fuori dei casi di cui al primo comma, chiunque, mediante l'utilizzo della rete internet o di altre reti o mezzi di comunicazione, accede intenzionalmente e senza giustificato motivo a materiale pornografico realizzato utilizzando minori degli anni diciotto è punito con la reclusione fino a due anni e con la multa non inferiore a euro 1.000”.

La nuova formulazione normativa, così come l’intera disposizione, deve essere letta unitamente al delitto di pornografia minorile di cui all’articolo 600 ter cod. pen. Entrambe le norme, introdotte con la legge 3 agosto 1998, n. 269, “Norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia, del turismo sessuale in danno di minori, quali nuove forme di riduzione in schiavitù”[3], si riferiscono al materiale pedopornografico realizzato utilizzando minori di anni diciotto e, su impulso europeo e internazionale, hanno subito nel tempo diverse modifiche.

Il delitto previsto dall’articolo 600 quater ha lo scopo di “chiudere” il sistema in modo che siano punite tutte le aggressioni al libero e corretto sviluppo psicofisico e sessuale del minore; ha dunque carattere sussidiario rispetto alla più grave ipotesi delittuosa della pornografia minorile. Il conflitto apparente di norme è regolato dalla clausola di riserva «al di fuori delle ipotesi previste dall’art. 600 ter», la quale postula che il soggetto attivo del delitto non sia coinvolto nelle condotte, dirette alla produzione e divulgazione della pornografia infantile di cui all’articolo 600 ter cod. pen., tra loro indipendenti e ordinate secondo una scala di disvalore: ogni condotta non deve integrare reato in base alle fattispecie dei commi precedenti.

Dunque, il delitto di cui all’articolo 600 quater cod. pen., con la condotta di detenzione e procacciamento dei contenuti illeciti, non deve integrare le condotte contenute nell’articolo 600 ter, e, a sua volta, la nuova condotta di accesso, che ha un disvalore minore rispetto a quella di detenzione prevista dal primo comma, non deve integrare quest’ultima, così diventando, con la clausola di riserva “Fuori dai casi indicati nel primo comma”, formulata all’inizio del comma, fattispecie di chiusura.

L’introduzione di questa ulteriore fattispecie incriminatrice, oltre a dare attuazione alla Direttiva sul punto, permette di meglio chiarire e delimitare i confini del concetto di condotta di “detenzione” di cui al primo comma dell’articolo 600 quater cod. pen., più volte oggetto di pronunce giurisprudenziali.

Per giurisprudenza costante, il reato di “detenzione” del materiale pedopornografico è ravvisabile solo nel caso in cui lo stesso sia stato “scaricato” e non quando sia stato meramente oggetto di visione.

È stato ritenuto dalla Corte di Cassazione[4] integrato il reato di detenzione di materiale pedopornografico anche quando i files siano stati allocati nel “cestino” del sistema operativo, in quanto, in tal caso, rimangono comunque nella disponibilità dell’utente mediante la semplice riattivazione dell’accesso ai dati.

La Corte di Cassazione[5] ha affermato, inoltre, che integra il delitto in questione anche l’accertato possesso di files pedopornografici successivamente cancellati dalla memoria accessibile del sistema operativo di personal computer, in quanto l’avvenuta cancellazione determina solo la cessazione della permanenza del reato e non, invece, un’elisione ex tunc della rilevanza penale della condotta per il periodo antecedente alla eliminazione dei files sino a quel momento detenuti.

In altra pronuncia la Corte di Cassazione[6] ha affermato che costituisce reato di detenzione di materiale pedopornografico di cui all’articolo 600 quater cod. pen. anche il rinvenimento di files di tale natura nella sola memoria cache del computer, ovvero dove affluiscono automaticamente e in via temporanea dati provenienti dalla navigazione in seguito alla consultazione di siti internet. Sul punto, la Suprema Corte ha, in particolare, affermato che il delitto previsto dall’art. 600 quater cod. pen. si configura anche mediante il «rinvenimento di files pedopornografici salvati o, comunque rinvenuti nella memoria fissa del computer del detentore perché non immediatamente cancellati e, quindi, consapevolmente conservati, ancorché vengono o possano essere eliminati successivamente sia dallo stesso utilizzatore, che automaticamente». La stessa Corte ha, inoltre, rilevato che la tipologia di detenzione costituita dalla disponibilità dei temporary internet files allocati nella memoria cache consente all’utente di prendere visione di immagini vietate e di scaricarle automaticamente attraverso i sistemi di salvataggio telematici. I comandi informatici dei personal computer salvano, per un arco di tempo apprezzabile, alcune rappresentazioni grafiche nella cartella dei temporary internet files, risultando, così, detenuti dall’utilizzatore, il quale potrà discolparsene soltanto provando l’inconsapevolezza dell’esistenza dei files acquisiti.

Invero, non è semplice l’individuazione dell’esatta differenza tra la mera condotta di consultazione di siti e la condotta di detenzione dei c.d. “temporary internet files” di materiale pedopornografico.

Sul punto, l’orientamento giurisprudenziale non è pacifico. È stata, con sentenze non recenti, dalla Corte di Cassazione[7], in un caso, confermata la pronuncia assolutoria di merito sulla base della involontaria memorizzazione di dati nella cache memory. In tal caso, i Giudici di legittimità hanno respinto il ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica contro una decisione di non luogo a procedere emessa all’esito di un’udienza preliminare in quanto «l’imputato non aveva compiuto alcuna attività di archiviazione di materiale pedopornografico. Era stata, infatti, rilevata solo la presenza di un collegamento ad una pagina verosimilmente pedopornografica. Era stato inoltre accertato che la detenzione dell’immagine era sicuramente involontaria dato che si trovava nella cache (download involontario durante la navigazione) e non in cartelle riempite con tale materiale coscientemente».

In altro caso, invece, la Corte[8] ha ritenuto rilevante penalmente la detenzione dei files temporanei di Internet giacché «potevano essere in qualsiasi momento richiamati in visione, anche da parte di un utente non particolarmente esperto».

La nuova fattispecie incriminatrice di accesso a materiale pornografico infantile, anticipando la soglia della punibilità, criminalizza anche il mero accesso, attraverso l’utilizzo della rete internet o di altre reti o mezzi di comunicazione, a materiale pedopornografico, indipendentemente e a prescindere dall’avvenuta acquisizione di tale materiale. Così, da una parte, completa la serie di condotte penalmente rilevanti e, dall’altra, permette una delimitazione più precisa della condotta di “detenzione”, che potrebbe ricondursi all’ipotesi in cui i dati illeciti sono stati trasferiti su supporti permanenti e sono stati consapevolmente detenuti dall’agente. La condotta di accesso consisterebbe, invece, nella mera consultazione di siti Web, che potrebbe comportare l’allocazione dei contenuti nella cache memory, e che deve essere, oltre che intenzionale, anche priva di giustificato motivo, così scongiurando sia il rischio di accessi automatici e non voluti a siti pedopornografici durante la navigazione in rete, sia il rischio di un ampliamento eccessivo dell’ambito della punibilità, la quale deve sempre rimanere ancorata al principio di offensività della fattispecie.

Se è vero che le immagini trasmesse per via telematica rappresentano uno dei veicoli più insidiosi e diffusi di divulgazione del materiale per pedofili, è anche vero che l'interesse giuridico oggetto di tutela è la libertà individuale del minore e quindi il libero sviluppo della sua personalità, beni suscettibili di ulteriore compromissione tutte le volte in cui il materiale pedopornografico sia fruibile da soggetti che, intenzionalmente e senza giustificato motivo, accedano ad esso, così alimentando il mercato della pedopornografia.

Infatti, seppure sia nella ipotesi accesso che in quella di detenzione, il minore, quando si usufruisce della sua immagine, sarebbe già stato strumentalizzato, è anche vero che l’abbattimento della domanda di materiale pornografico minorile legato alla deterrenza della punizione per la mera detenzione o per il mero accesso, è funzionale alla riduzione della relativa offerta.

Sia il delitto di detenzione che quello di accesso hanno ad oggetto materiale realizzato “utilizzando minori”.

Il concetto di utilizzazione è stato recentemente chiarito dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione[9] che, con riguardo al reato di pornografia minorile di cui all’articolo 600 ter cod. pen., hanno affermato che non sussiste l’utilizzazione del minore nel caso di cd. pornografia domestica, ovvero nel caso di realizzazione di immagini o video che abbiano per oggetto la vita privata sessuale di un minore, che abbia raggiunto l’età del consenso sessuale, nell’ambito di un rapporto che, valutate le circostanze del caso, non sia caratterizzato da condizionamenti derivanti dalla posizione dell’autore e che siano dunque frutto di libera scelta e destinate a un uso strettamente privato.

Da ultimo il predetto concetto è stato ripreso e ulteriormente chiarito sempre dalle Sezioni Unite[10], che hanno affermato, sul punto, il seguente principio: «Si ha «utilizzazione» del minore allorquando, all’esito di un accertamento complessivo che tenga conto del contesto di riferimento, dell’età, maturità, esperienza, stato di dipendenza del minore, si appalesino forme di coercizione o di condizionamento della volontà del minore stesso, restando escluse dalla rilevanza penale solo condotte realmente prive di offensività rispetto all’integrità psico – fisica dello stesso

 

3. L’articolo 20 della legge europea 2019-2020 introduce un’ulteriore condotta tipica nel reato di atti sessuali con minorenni di cui all’articolo 609 quater, cod. pen., prevedendo, dopo il secondo comma di detta disposizione, che: Fuori dai casi previsti dai commi precedenti, chiunque compie atti sessuali con persona minore che ha compiuto gli anni quattordici, abusando della fiducia riscossa presso il minore o dell'autorità o dell'influenza esercitata sullo stesso in ragione della propria qualità o dell'ufficio ricoperto o delle relazioni familiari, domestiche, lavorative, di coabitazione o di ospitalità è punito con la reclusione fino a quattro anni".

Con la predetta disposizione l’Italia ha risposto al seguente quesito posto dalla Commissione europea: “Qual è il livello di sanzioni previste dalla legislazione nazionale per il reato di cui all'articolo 3, paragrafo 5, lettera i), della direttiva, se commesso contro bambini di età compresa tra 14 e 18 anni? Più specificamente:

– Quale grado di sanzione è applicabile per situazioni diverse da quelle elencate nell'art. 609-quater, quando la vittima ha un'età compresa tra i 14 e i 16 anni?

– Quale livello di sanzioni si applicherebbe se la vittima avesse un'età compresa tra i 16 ei 18 anni?”; e ha dato così attuazione alla previsione di cui all’art. 3 paragrafo 5 lett. i) della Direttiva, la quale impone agli Stati membri di punire chiunque compia atti sessuali con un minore e a tal fine abusi di una posizione riconosciuta di fiducia, autorità o influenza sul minore.

L’intervento normativo intende introdurre una fattispecie residuale, volta a punire atti sessuali con minore di età compresa tra i quattordici e i diciotto anni, commessi con abuso di una posizione riconosciuta di fiducia, autorità o influenza sullo stesso in ragione della propria qualità o dell'ufficio ricoperto o delle relazioni familiari, domestiche, lavorative, di coabitazione o di ospitalità. Si tratta dunque di condotta diversa ed ulteriore rispetto alle ipotesi già sanzionate dall’articolo 609 quater cod. pen., con la quale viene offerta una maggiore tutela alla libertà sessuale del minore, con lo scopo di salvaguardare il normale e armonico sviluppo della sua personalità nella sfera sessuale.

 La nuova fattispecie prescinde, infatti, dalla gradazione di età, quindi dallo sviluppo sessuale del minore, e non richiede che sussista necessariamente un particolare rapporto qualificato tra autore del reato e la persona offesa, non presupponendo un rapporto di previo affidamento del minore all’autore del reato, sia pur intenso detto affidamento in senso ampio, come chiarito dalla più recente giurisprudenza. La condizione di affidamento per ragioni di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia, prevista nell'ambito dei reati sessuali relativi a minorenni, attiene a qualunque rapporto fiduciario, anche temporaneo o occasionale, che si instaura tra affidante e affidatario mediante una relazione biunivoca e che comprende sia l'ipotesi in cui sia il minore a fidarsi dell'adulto, sia quella in cui il minore sia affidato all'adulto da un altro adulto per specifiche ragioni[11].

L’abuso del rapporto di fiducia da parte dell'adulto deve essere valutato tenendo conto delle modalità di convincimento cui lo stesso ha fatto ricorso, parametrando le pressioni e l'insidiosità degli artifici necessari a vincere la resistenza psicologica del minore alla sua limitata capacità di cogliere le situazioni per sé svantaggiose.

Si tratta di concetti già utilizzati dal legislatore sempre nell’ambito delle norme contenute nel capo III (“Delitti contro la libertà individuale”), Titolo XII (“Delitti contro le persone”), del codice penale.

Il concetto di abuso di fiducia è utilizzato per la definizione del reato di adescamento contenuta nell'art. 609 undecies cod. pen. e sintetizzato "in qualsiasi atto volto a carpire la fiducia del minore attraverso artifici, lusinghe o minacce". Viene, dunque, in tal caso, limitato all’utilizzo di artifici, lusinghe o minacce.

Il riferimento a detto concetto richiamato nella nuova fattispecie incriminatrice potrebbe avere un’accezione più ampia, in considerazione delle diverse situazioni che si potrebbero verificare e nelle quali i minori potrebbero rimanere coinvolti loro malgrado.

Quanto al concetto di abuso di autorità, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione[12] hanno precisato, con riferimento al reato di cui all’articolo 609 bis cod. pen., che "In tema di violenza sessuale, l'abuso di autorità ... presuppone una posizione di preminenza, anche di fatto e di natura privata, che l'agente strumentalizza per costringere il soggetto passivo a compiere o a subire atti sessuali". In tal caso, le Sezioni Unite, chiamate a dirimere il contrasto giurisprudenziale relativo alla qualifica della posizione dell’agente, ovvero se debba necessariamente essere di tipo formale e pubblicistico, nella motivazione della sentenza, prima di affermare il principio di diritto sopra indicato, si sono soffermate sul significato concreto della locuzione “abuso di autorità”, tenuto conto del contesto nel quale è inserito. L’autore del reato incide sul processo formativo della volontà della persona offesa, coartandola, in virtù proprio del “particolare contesto relazionale di soggezione tra autore e vittima del reato determinato dal ruolo autoritativo del primo, creando le condizioni per cui alla seconda non residuino valide alternative di scelta rispetto al compimento o all’accettazione dell’atto sessuale che, consegue, dunque, alla strumentalizzazione di una posizione di supremazia”.

Il concetto di abuso dell’influenza non è invece presente nell’ambito normativo in esame.

La Corte di Cassazione[13], fa riferimento a detto concetto, pronunciandosi in ordine al reato di violenza sessuale ai danni di minori, laddove precisa che “l’abuso di poteri deve essere evidentemente il mezzo per compiere atti sessuali, ossia per convincere il minore al rapporto sessuale approfittando del suo stato di soggezione, e cioè il mezzo attraverso il quale il soggetto riesce non tanto a costringere, ma quantomeno a influenzare la volontà del minore, in modo tale che il consenso di questa, sia pure esistente, debba tuttavia ritenersi viziato”.

Nella nuova fattispecie l’abuso dell’influenza è delimitato dal riferimento alla qualità o all'ufficio ricoperto dall’agente o alle relazioni familiari, domestiche, lavorative, di coabitazione o di ospitalità; è in virtù di dette relazioni che l’influenza può essere esercitata.

 

4. L’articolo 20 della legge europea ha introdotto nel contesto normativo del Capo III, Titolo XII ulteriori circostanze aggravanti volte a dare attuazione all’articolo 9 della Direttiva.

 

4.1. Nelle disposizioni di cui agli articoli 602 ter (che disciplina le circostanze aggravanti dei reati di sfruttamento dei minori), 609 ter (che disciplina le circostanze aggravanti per il delitto di violenza sessuale), 609 quater (“Atti sessuali con minorenne”), 609 quinquies (“Corruzione di minorenne”) e 609 undecies (Adescamento di minorenni) cod. pen. è stata inserita la circostanza aggravante dell’essere derivato dal fatto pericolo di vita per il minore.

Con l’introduzione di tale circostanza si è inteso ottemperare alla previsione di cui all’articolo 9, lett. f), della Direttiva, la quale dispone che gli Stati membri adottino le misure necessarie affinché sia configurata, quale circostanza aggravante dei reati di pornografia minorile e abusi su minori, la condotta dell’avere l’autore del reato, deliberatamente o per negligenza, messo in pericolo la vita del minore.

Trattasi, dunque, di circostanza che non era già prevista in altre fattispecie incriminatrici e che può ritenersi applicabile solo laddove non sia ravvisabile la condotta di tentato omicidio, nonché, in particolare, nei casi in cui il pericolo per la vita sia stato determinato con condotte colpose, imputabili dunque all’agente ai sensi dell’articolo 59 cod. pen., secondo comma, ovvero solo nel caso in cui trattasi di circostanze dall’agente ignorate per colpa o ritenute inesistenti per errore determinato da colpa.

 

4.2. In attuazione dell’art. 9, lettere c), d) ed f) della Direttiva, sono state introdotte nei delitti di cui agli artt. 609 quater e 609 undecies cod. pen. le circostanze aggravanti dell’essere stato il reato commesso da più persone riunite, dell’essere stato il reato commesso da persona che fa parte di un’associazione a delinquere e al fine di agevolarne l’attività, nonché del derivare dal fatto al minore, a causa della reiterazione delle condotte, un pregiudizio grave.

Trattasi di circostanze che erano già erano previste in altre pertinenti fattispecie incriminatrici.

In particolare, l’articolo 602 ter già prevedeva all’ottavo comma – comma aggiunto dall’articolo 1, comma 1, del D.L.vo 4 marzo 2014, n. 39, in attuazione della Direttiva 2011/93/UE – l’aumento della pena qualora ricorrano le circostanze dell’essere stato il reato commesso da più persone riunite, dell’essere stato il reato commesso da persona che fa parte di un’associazione a delinquere e al fine di agevolarne l’attività e del derivare dal fatto al minore, a causa della reiterazione delle condotte, un pregiudizio grave, in ordine ai reati di prostituzione minorile di cui all’articolo 600 bis cod. pen, pornografia minorile di cui all’articolo 600 ter, detenzione di materiale pornografico di cui all’articolo 600 quater, pornografia virtuale di cui all’articolo 600 quater.1 e iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile di cui all’articolo 600 quinquies cod. pen.

L’articolo 609 ter cod. pen. già prevedeva, al primo comma, num. 5 quinquies e 5 sexies, cod. pen, rispettivamente, la circostanza aggravante dell’essere il reato commesso da persona che fa parte di un’associazione per delinquere e al fine di agevolarne l’attività e la circostanza del derivare dal fatto al minore, a causa della reiterazione delle condotte, un pregiudizio grave. Queste circostanze erano state aggiunto dall’articolo 1, comma 2, del D.L.vo 4 marzo 2014, n. 39, in attuazione della Direttiva 2011/93/UE

Si tratta di circostanze aggravanti collegate alle modalità della condotta delittuosa dell’autore del reato. L’inasprimento del trattamento sanzionatorio è da ricondurre al grave pregiudizio creato al minore in conseguenza di reiterate condotte di violenza sessuale o alla particolare insidiosità e pericolosità della condotta, come nel caso in cui sia posta in essere da più persone riunite, o alla particolare caratura delinquenziale del soggetto attivo facente parte di un’associazione per delinquere o al fatto che il reato venga commesso per finalità agevolative dell’attività criminale.

 

4.3. Pertanto, l’inserimento nel quadro normativo in esame di ulteriori circostanze aggravanti anche con riferimento ad altri reati del Titolo XII, che il D.Lvo. 4 marzo 2014, n. 39 non aveva contemplato per dette fattispecie, permette di completare la tutela rafforzata del minore e di inasprire il trattamento sanzionatorio in ordine a condotte da ritenersi particolarmente disdicevoli, pericolose e insidiose proprio in quanto ai danni dei soggetti più fragili.

 

5. Questa appena descritta è, senza dubbio, la finalità che intende perseguire la disposizione contenuta nell’articolo 20 della legge europea 2019-2020 sia con l’introduzione delle ulteriori due fattispecie di reato descritte sia con l’inserimento delle ulteriori circostanze aggravanti sopra indicate. Le novità normative intervengono, infatti, a salvaguardia del minore da attacchi alla sua dignità, al normale e armonico sviluppo della sua personalità nella sfera sessuale e alla sua stessa incolumità personale.

 

 

[1] Considerando 18: "Dovrebbe costituire reato l’accesso consapevole, a mezzo di tecnologie dell’informazione e della comunicazione, a materiale pedopornografico. Per essere considerata responsabile, una persona dovrebbe avere sia l’intenzione di entrare in un sito in cui è disponibile materiale pedopornografico, sia essere a conoscenza del fatto che vi sia presente tale materiale. Non dovrebbero essere punibili le persone che accedono inavvertitamente a siti contenenti materiale pedopornografico. Il carattere intenzionale del reato può dedursi in particolare dal fatto che gli accessi siano ricorrenti o che i reati siano stati commessi attraverso un servizio a pagamento".

[2] Austria, Belgio, Bulgaria, Croazia, Cipro, Germania, Grecia, Irlanda, Lituania, Malta, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Repubblica Ceca, Romania, Slovenia, Slovacchia e Spagna.

[3] Le norme in materia di sfruttamento sessuale sono state emanate in esecuzione agli accordi raggiunti su base internazionale: Convenzione O.N.U. sui diritti del fanciullo N.Y. del 1989 ratificata ai sensi della legge 27 maggio 1991, n. 176 e Conferenza mondiale di Stoccolma contro lo sfruttamento sessuale dei bambini a fini commerciali del 1996.

[4] Cass. pen., sez. III, 15 settembre 2017 (dep. 19 ottobre 2017), n. 48175, Rv. 271150 – 01. Cfr. anche Cass. Pen., sez. III, 6 ottobre 2010 (dep. 31 gennaio 2011), n. 639, Rv. 249117.

[5] Cass. Pen., sez. III, 7 aprile 2016 (dep. 8 marzo 2017), n. 1104, Rv. 269170 - 01.

[6] Cass. pen., sez. III, sent. dell’11 gennaio 2017 (dep. 3 maggio 2017), n. 20890, Rv. 270125 - 01.

[7] Cass. sez. III, 16 ottobre 2008, (dep. 23 gennaio 2009), n. 3194, Rv. 242172 - 01.

[8] Cass. sez. III, 6 dicembre 2010, n. 43246.

[9] Sez. U., sent. 31 maggio 2018 Ud. (dep. 15 novembre 2018), n. 51815, Rv. 274087 – 02.

[10] Sez. U., sent. 28 ottobre 2021 (dep. 9 febbraio 2022), n. 04616.

[11] Cass. pen., sez. III, 12 settembre 2018 (dep. 7 febbraio 2019), n. 5933, Rv. 275832 - 02; Cass. pen., sez. III, 24 settembre 2019, n. 43705, Rv. n. 278088 – 01.

[12] Sez. U, 16 luglio 2020 (dep. 1 ottobre 2020), n. 27326, Rv. 279520- 01.

[13] Cass. Pen., sent., sez. III, 12 settembre 2018 (dep. 7 febbraio 2019), n. 5933; cfr. anche Cass. Pen. 15 luglio 2014, n. 40564.