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24 Febbraio 2020


Legge "spazzacorrotti" e ragionevolezza dell’estensione del regime ostativo ex art. 4-bis ord. penit. ai delitti contro la p.a. In attesa della Consulta (ud. 26 febbraio 2020)

Le ordinanze di rimessione all'esame della Corte costituzionale



 

1. Dopo la storica decisione in materia di regime intertemporale, che ha esteso l’applicabilità del principio di irretroattività ex art. 25, comma 2, Cost. alle modifiche peggiorative riguardanti le misure alternative alla detenzione, la liberazione condizionale e il divieto di sospensione dell’ordine di carcerazione (vd. Comunicato Stampa della Corte Costituzionale e, in questa Rivista, la nota a firma di G.L. Gatta), mercoledì prossimo, 26 febbraio 2020, la Corte costituzionale sarà chiamata a pronunciarsi sulla diversa e ulteriore questione relativa alla ragionevolezza dell’inserimento di alcuni delitti contro la p.a. nel catalogo dei reati sottoposti al regime di cui all’art. 4-bis, co. 1 ord. penit. Tale disposizione, come è noto, prevede l’esclusione dall’accesso ai benefici penitenziari per coloro che abbiano commesso i reati ivi elencati, a meno che (laddove sia possibile e rilevante) non collaborino con l’Autorità Giudiziaria ai sensi dell’art. 58-ter ord. penit. o, nel caso di condannati per delitti contro la p.a., ai sensi dell’art. 323-bis, co. 2, c.p.

In particolare, la Corte di cassazione (reg. ord. n. 141 del 2019), e la Corte d’Appello di Caltanissetta (reg. ord. n. 238 del 2019) hanno sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, co.6, lett. b della l. 3/2019 (c.d. Spazzacorrotti), per contrasto con gli artt. 3 e 27 Cost., nella parte in cui inserisce all’art. 4-bis, co. 1 ord. penit. il delitto di peculato (art. 314, co. 1 c.p.). Nell’ambito di un procedimento per il delitto di induzione indebita a dare o promettere utilità (art. 319-quater c.p.), la violazione dei medesimi principi costituzionali è stata inoltre prospettata dalla Corte d’Appello di Palermo (reg. ord. n. 151 del 2019) in rapporto all’art. 656, co. 9, lettera a) c.p.p., per effetto del richiamo che la disciplina ivi prevista, relativa alla sospensione dell’ordine di esecuzione della pena detentiva, fa all’art. 4-bis o.p.[1].

La questione rimessa alla Consulta costituisce un banco di prova per la tenuta costituzionale della strategia politico-criminale adottata con la Legge Spazzacorrotti che – attraverso l’ampliamento del 4-bis ord. penit., ma anche attraverso la possibilità di utilizzare strumenti di indagine particolarmente invasivi, quali le operazioni sotto copertura e il trojan – ha inteso assimilare per rilevanti aspetti il regime giuridico dei delitti contro la p.a. ai reati tipici della criminalità organizzata.

 

2. Procedendo con ordine, ci soffermiamo subito sugli argomenti – assimilabili sotto diversi punti di vista – utilizzati a sostegno delle questioni dalla Corte d’Appello di Palermo e dalla Corte di Cassazione (i giudici di Caltanissetta si limitano infatti a richiamare sostanzialmente le considerazioni della Suprema Corte).

Innanzitutto, al fine di valutare il rispetto del principio di ragionevolezza, i giudici a quibus ritengono sia doveroso procedere ad una ricostruzione della ratio che sorregge la predisposizione di un secondo binario di esecuzione penitenziaria. Nelle intenzioni del legislatore storico, l’art. 4-bis ord. penit. nasce con l’obiettivo di precludere l’accesso ai benefici penitenziari a coloro che abbiano compiuto determinati reati che – per le loro comprovate caratteristiche criminologiche – costituiscono un indice di persistente pericolosità sociale, legata alla stabilità e alla pervasività dei legami criminosi sottostanti (originariamente, infatti, l’art. 4-bis faceva riferimento principalmente a fattispecie riconducibili alla criminalità organizzata, di stampo mafioso, terroristico o eversivo[2]). Comunemente il regime dell’art. 4-bis, co. 1 ord. penit. viene ricondotto alla struttura delle presunzioni legali: in base al “fatto noto” – la commissione di uno dei delitti elencati – si ritiene dimostrato il “fatto ignoto” – la pericolosità sociale; presunzione che può essere superata soltanto attraverso la collaborazione del detenuto con l’autorità giudiziaria (ove sia possibile e rilevante).

Riprendendo le considerazioni espresse dalla pronuncia n. 306/1993 della Corte costituzionale, che per prima ha valutato la legittimità costituzionale dell’art. 4-bis ord. penit., la Corte di cassazione individua una duplice funzione cui è deputato il regime ostativo:

a) impedire che il potenziale fruitore di un beneficio penitenziario venga riassorbito nelle organizzazioni criminali di appartenenza;

b) incentivare la collaborazione con la giustizia, elemento considerato indispensabile per debellare consorterie altrimenti impenetrabili.

La presunzione legale contenuta nell’art. 4-bis ord. penit. è dunque legittima e non manifestamente irragionevole quando risponde ad una correlazione tra fattispecie incriminatrice e pericolosità sociale effettivamente comprovata. In base ad un orientamento consolidato della Corte costituzionale, infatti, le presunzioni assolute «violano il principio di uguaglianza di cui all'art. 3 se non rispondono a dati di esperienza generalizzati, riassunti nella formula dell'id quod plerumque accidit: evenienza che si riscontra segnatamente allorché sia "agevole" formulare ipotesi di accadimenti contrari alla generalizzazione posta a base della presunzione stessa» (Corte Cost. n. 139 del 2010, in materia di presunzioni di adeguatezza della custodia cautelare in carcere di cui all'art. 275 c.p.p.[3]).

Proprio in materia di regime esecutivo ostativo il Giudice delle Leggi si è dimostrato molto rigoroso nel censurare gli automatismi preclusivi; in particolare:

– le pronunce n. 504/1995 e n. 137/1999 (in tema di permessi premio), e la n. 445/1997 (in materia di semilibertà) hanno stabilito che – in base al principio di progressività trattamentaleil diniego di un beneficio non può essere motivato sulla base dell’assenza di collaborazione, a fronte di un percorso rieducativo già in essere al momento di entrata in vigore della disciplina di cui all’art. 4-bis;

– la pronuncia n. 239/2014 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 4-bis, co. 1 ord. penit., nella parte in cui non esclude dal divieto di concessione dei benefici penitenziari ivi previsto la detenzione domiciliare speciale di cui all’art. 47-quinquies e, per identità di ratio, la detenzione domiciliare contemplata all’art. 47-ter, comma 1, lettere a e b;

– la pronuncia n. 149/2018 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 58-quater, comma 4, ord. penit., nella parte in cui esclude dai benefici indicati dall’art. 4-bis, co. 1 ord. penit. i condannati all’ergastolo per i delitti di cui agli artt. 630 c.p. e 289-bis c.p. che abbiano cagionato la morte del sequestrato, ove non abbiano raggiunto la soglia dei ventisei anni di pena concretamente espiata.

– da ultimo, la pronuncia n. 253/2019 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 4-bis, co. 1 ord. penit. nella parte in cui non prevede la concessione di permessi premio in assenza di collaborazione con la giustizia, anche se sono stati acquisiti elementi tali da escludere sia l’attualità della partecipazione all’associazione criminale sia, più in generale, il pericolo del ripristino di collegamenti con la criminalità organizzata[4].

 

3. Una volta ricostruita la ratio che giustifica l’adozione di presunzioni assolute nel nostro ordinamento – e i limiti alle disposizioni che le introducono –, il passaggio successivo è quello di chiedersi se esista una solida base logico-empirica, in base ai criteri anzidetti, che giustifichi la presunzione legale di pericolosità del soggetto che abbia commesso il delitto di peculato o quello di induzione indebita. A tali fini non rilevano la mera gravità astratta del reato o il particolare rango del bene giuridico, né tantomeno ragioni di allarme sociale.

Ad avviso della Corte di Cassazione, la condotta di peculato non contiene connotati «idonei a sostenere una accentuata e generalizzata considerazione di elevata pericolosità del suo autore, trattandosi di condotta di approfittamento, a fini di arricchimento personale, di una particolare condizione di fatto (il possesso di beni altrui per ragioni correlate al servizio) preesistente, realizzata ontologicamente senza uso di violenza o minaccia verso terzi e difficilmente inquadrabile – sul piano della frequenza statistica delle forme di manifestazione – in contesti di criminalità organizzata o evocativi di condizionamenti omertosi». Una mera osservazione obiettiva del tipo legale consente infatti di rilevare come un fatto di peculato possa ben risolversi in una condotta isolata ed episodica, non essendoci dunque ragioni per ritenere che l’autore del fatto sia intenzionato a commettere altri reati.

Analogamente, con riferimento al delitto di induzione indebita a dare o promettere utilità, argomenta la Corte d’Appello di Palermo, che ha affermato che nella scelta di ricomprendere tra i reati ostativi l’art. 319-quater, co. 1 c.p. è rintracciabile unicamente una finalità general-preventiva e di mera deterrenza, con sacrificio dell’istanza rieducativa, non sussistendo alcuna correlazione tra le connotazioni strutturali del reato in rilievo e il regime ostativo.

Collegato alla violazione del parametro costituzionale di uguaglianza-ragionevolezza, vi sarebbe dunque anche un vulnus al principio rieducativo sancito dall’art. 27, comma 3, Cost.

Annullando la discrezionalità dell’autorità giudiziaria, l’automatismo che caratterizza le presunzioni legali di pericolosità sociale – ove non giustificato da dati di esperienza generalizzati – determina infatti un pregiudizio al principio di individualizzazione e proporzionalità della pena.

Come ricostruiscono le ordinanze di rimessione, in effetti, la giurisprudenza della Corte costituzionale sul finalismo rieducativo della pena è andata assumendo via via contorni più incisivi, fino ad arrivare alla recente sentenza n. 149/2018, nella quale si legge che il «principio della non sacrificabilità della funzione rieducativa sull’altare di ogni altra, pur legittima, funzione della pena», prima fra tutte la funzione general-preventiva, posto che quest’ultima non può «nella fase di esecuzione della pena, operare in chiave distonica rispetto all’imperativo costituzionale della funzione rieducativa della pena medesima, da intendersi come fondamentale orientamento di essa all’obiettivo ultimo del reinserimento del condannato nella società».

 

* * *

 

4. Le argomentazioni formulate nelle ordinanze di rimessione sono a nostro avviso  condivisibili e riecheggiano un ampio dibattito che negli ultimi anni ha impegnato la dottrina penalistica[5]. Il regime ostativo previsto dall’art. 4-bis, da eccezionale, è diventato la norma per quei reati che, a seconda delle stagioni, vengano considerati di particolare allarme sociale; ciò senza alcuna considerazione circa la funzione le preclusioni dell’art. 4-bis  dovrebbero a svolgere all’interno del sistema dell’esecuzione penale[6]. In particolare, il ‘furore punitivo’ negli ultimi anni si è indirizzato proprio nei confronti dei delitti contro la p.a., spesso associati per disvalore e allarme sociale, appunto ai reati di mafia[7].

La Legge Spazzacorrotti, tuttavia, costituisce solo l’ultimo tassello di una politica criminale volta sempre di più ad utilizzare strumenti di accertamento e contrasto concepiti in relazione alla criminalità organizzata anche per la lotta ai delitti contro la pubblica amministrazione, sull’onda della percezione di uno “stato di emergenza corruttiva[8].

L’assimilazione è stata realizzata su diversi piani: si va dall’estensione ai delitti contro la p.a. della confisca “allargata” ex art. 12-sexies del d.l. n. 306/1992 (ora art. 240-bis c.p.)[9] e delle misure di prevenzione patrimoniale antimafia[10] agli strumenti a valenza cautelare come commissariamenti, amministrazioni e controlli giudiziari, fino alla possibilità – introdotta dalla l. 3/2019 – di utilizzare strumenti investigativi straordinari (operazioni sotto copertura e captatore informatico) per l’accertamento dei reati lato sensu corruttivi. Lo stesso art. 323-ter, che prevede una causa speciale di non punibilità per il caso di volontaria, tempestiva e fattiva collaborazione di un soggetto che abbia preso parte ad un accordo corruttivo, rappresenta una flessione degli ordinari principi che regolano l’accertamento della responsabilità penale, sulle orme del c.d. “pentitismo” di mafia[11]. In tutti questi casi si pone, a ben vedere, un problema di ragionevolezza e di proporzionalità delle scelte del legislatore.

 

5. La Corte costituzionale, negli ultimi anni, si è dimostrata molto più incline rispetto al passato a sindacare le scelte del legislatore in materia penale, specie per quanto riguarda la proporzionalità e la ragionevolezza delle pene: è accaduto con la sentenza 236/2016[12], in materia di alterazione dello stato civile di un neonato realizzato mediante false certificazioni (art 567, comma 2, c.p.), con la sentenza n. 222/2018[13] sulle pene accessorie dei delitti di bancarotta fraudolenta e, da ultimo, con la sentenza n. 40/2019[14] in materia di spaccio di stupefacenti. A tal proposito, la Consulta ha affermato, rinunciando al suo tradizionale atteggiamento di self restraint in materia penale[15] e mettendo in discussione la c.d. teoria delle “rime obbligate”, che non sussistono ostacoli al sindacato di legittimità costituzionale «laddove le scelte sanzionatorie adottate dal legislatore si siano rivelate manifestamente arbitrarie o irragionevoli e il sistema legislativo consenta l’individuazione di soluzioni, anche alternative tra loro, che, per la omogeneità che le connota rispetto alla norma censurata, siano tali da ricondurre a coerenza le scelte già delineate a tutela di un determinato bene giuridico, procedendo puntualmente, ove possibile, all’eliminazione di ingiustificabili incongruenze» (v. la sentenza n. 233/2018, che riprende quanto affermato nella n. 236/2016). Inoltre, con le sentenze già citate (vd. par. 2), la Corte costituzionale ha censurato diversi meccanismi di preclusione automatica, laddove non siano giustificati razionalmente da dati empirici.

Ma è il principio dirompente enunciato dalla sentenza n. 149/2018 – in cui per la prima volta il Giudice delle leggi rigetta la teoria polifunzionale eclettica della pena, affermando che l’istanza rieducativa non è mai derogabile e prevale sempre sulle altre finalità della pena[16] – che rappresenta a nostro parere la chiave di volta delle questioni di legittimità costituzionale che saranno affrontate a breve. È lo stesso impianto dell’art. 4-bis ord. penit. che – subordinando la finalità rieducativa della pena a istanze di sicurezza sociale – ne risulta compromesso; a fortiori, le preclusioni automatiche che operano nei confronti di autori di reati a bassa pericolosità sociale non possono che contrastare con l’art. 27, comma 3, Cost.

 

6. Senonché l’esito dell’udienza del 26 febbraio non è affatto scontato. E non lo è forse per motivi di carattere processuale, più che sostanziale. Si tratterà infatti di stabilire, preliminarmente, se la questione sottoposta al vaglio della Corte sia ancora rilevante, posto che, da quanto si apprende dalla stampa[17], il comunicato emesso il 12 febbraio 2020 ha già consentito la scarcerazione di diversi detenuti, che avevano commesso reati contro la p.a. prima dell’entrata in vigore della l. 3/2019. Nonostante sia evidente che un comunicato stampa non abbia efficacia giuridica vincolante, l’immediata scarcerazione, come è stato sostenuto anche in questa Rivista (vd. scheda di G.L. Gatta), sarebbe effettivamente giustificata dalla necessità di non aggravare il vulnus alla libertà personale subito dai detenuti, in ottica di favor rei. Le stesse ordinanze di rimessione riguardavano soggetti che avevano commesso il reato prima dell’entrata in vigore della Legge Spazzacorrotti e che, dunque, secondo l’interpretazione accolta nella prassi, con l’avallo della dottrina, potrebbero beneficiare della scarcerazione, non essendo più applicabile nei loro confronti l’art. 4 bis ord. penit.: verrebbe così a difettare il requisito di attualità della rilevanza, intesa come capacità di incidere sul giudizio principale. Il che non toglie, naturalmente, che la questione potrebbe essere riproposta, in futuro, con riferimento ai fatti commessi dopo l’entrata in vigore della l. n. 3/2019.

 

 

[1] La Corte d’Appello di Palermo ritiene di non poter sollevare una questione di legittimità costituzionale dell’art. 4-bis ord. penit., non essendo competente in materia di applicazione dei benefici penitenziari; l’ordinanza di rimessione riguarda dunque l’art. 656, co. 9 c.p.p., essendo il giudice dell’esecuzione competente a decidere se l’ordine di esecuzione possa essere dichiarato temporaneamente inefficace, onde consentire il deposito dell’istanza di misura alternativa. Tale impostazione è criticata dall’ordinanza della Corte di Cassazione, che ritiene (correttamente, a parere di chi scrive) che la valutazione del catalogo contenuto nell’art. 4-bis sia pregiudiziale e assorbente rispetto alle questioni attinenti alla norma “servente” di cui all’art. 656, comma 9 c.p.p.

[2] In particolare, il testo originario dell’art. 4-bis, co. 1 ord. penit. prevedeva il regime differenziato per le fattispecie associative di stampo mafioso, per i reati aggravati dalla finalità o dal metodo mafioso, per i reati commessi per finalità di terrorismo o eversione dell'ordinamento costituzionale, per il sequestro di persona a scopo di estorsione, per l'associazione finalizzata al traffico di stupefacenti; tra i reati di “seconda fascia” – per i quali vige una presunzione relativa – erano originariamente contemplate  le fattispecie di omicidio, rapina ed estorsione aggravata, nonché la cessione di ingente quantità di stupefacenti.

[3] Successivamente, tra le pronunce che hanno contribuito a smantellare il sistema degli automatismi in materia di custodia cautelare cfr.  C. Cost. nn. 265/2010, 164/2011, 231/2011, 331/2011, 110/2012.

[5] Vd. V. Manes, I recenti tracciati della giurisprudenza costituzionale in materia di offensività e ragionevolezza, in Dir. pen. cont. – Riv. trim., 1/2012; R. Bartoli, Offensività e ragionevolezza nel sindacato di costituzionalità sulle scelte di criminalizzazione, 3/2018, p. 1540; A. Longo, Il sindacato di ragionevolezza in materia penale. Brevi riflessioni a partire da alcune ordinanze di rimessione alla Corte costituzionale, in Arch. pen. web, 3/2017.

[6] È ancora una volta la Corte Costituzionale, nella sentenza 32/2016, a definire l’elenco di cui al 4-bis «complesso, eterogeneo e stratificato».

[7] Vd. sul tema del c.d. “populismo penale” ex multis E. Amodio, A furor di popolo. La giustizia vendicativa gialloverde, Donzelli editore, 2019; D. Pulitanò, Tempeste sul penale. Spazzacorrotti e altro, in Dir. pen. cont., 26 marzo 2019; V. ManesL’estensione dell’art. 4-bis ord. penit. ai reati contro la p.a.: profili di illegittimità costituzionale, in Dir. pen. cont., 2/2019; G. Fiandaca, Populismo politico e populismo giudiziario, in Criminalia, 2013; A. Gaito – A. Manna, L’estate sta finendo..., in Arch. Pen. web, 2018, n. 3; A. Manna, Il fumo della pipa (il c.d. populismo politico e la reazione dell’Accademia e dell’Avvocatura), in Arch. pen. web, 2018, n. 3.

[8] Così lo definisce G. Cocco, Le recenti riforme in materia di corruzione e la necessità di un deciso mutamento di prospettiva nell’alveo dei principi liberali, in Responsabilità Civile e Previdenza, fasc.c2, 1 febbraio 2018, p. 374, citando l’espressione «estado de cuasi emergencia» utilizzata da F. Teruelo, El fenómeno de la corrupción ed España: respuesta penal y propuestas de reforma, in Dir. pen. cont. – Riv. Trim., 3-4/2014, p. 62.

[9] L’estensione è stata introdotta dalla l. n. 296/2006. Inoltre, si è deciso di sottrarla agli effetti caducanti della prescrizione dopo che sia intervenuta una sentenza di condanna (vd. art. 12-sexies, comma 4-septies, ora art. 578-bis) e della morte del condannato dopo la condanna definitiva, con applicabilità in executivis agli eredi o aventi causa (vd. art. 12-sexies, comma 4-octies, ora art. 183-quater, comma 2, disp. att. c.p.p.).

[10] L’estensione è riservata solo agli indiziati di aver commesso reati contro la p.a. in forma associativa (vd.art. 4, lett. i-bis, d.lgs. n. 159/2011, introdotto con la l. n. 161/2017).

[11] Per approfondire il rapporto tra corruzione e criminalità organizzata vd. V. Mongillo, Crimine organizzato e corruzione: dall’attrazione elettiva alle convergenze repressive, in Dir. pen. cont – Riv. Trim., 1/2019.

[12] Vd. nota di F. Viganò, Un’importante pronuncia della Consulta sulla proporzionalità della pena, in Dir. pen. cont. – Riv. Trim, 2/2017.

[13] Vd. nota di R. Bartoli, Dalle "rime obbligate" alla discrezionalità: consacrata la svolta – Nota a C. Cost. 5 dicembre 2018, n. 222, in Giur. cost., 2018, fasc. 6, pp. 2566-2575; A. Galluccio, La sentenza della consulta su pene fisse e 'rime obbligate': costituzionalmente illegittime le pene accessorie dei delitti di bancarotta fraudolenta, in Dir. pen. cont., 10 dicembre 2018; G. De Marzo, Reati di bancarotta e determinazione delle pene accessorie – Nota a C. Cost. 5 dicembre 2018, n. 222, in Foro it., 2019, fasc. 1, pt. 1, pp. 15-18.

[15] Per una panoramica sul principio si veda I. Pellizzone, Profili costituzionali della riserva di legge in materia penale. Problemi e prospettive, FrancoAngeli Editore, 2015.

[17] Vd. Fuori dal carcere sette imputati del "Mondo di Mezzo", i primi effetti della Consulta sullo Spazzacorrotti, su Huffington Post, 14 febbraio 2020; F. Fiano, Spazzacorrotti non retroattiva, in nove tornano liberi, su Corriere della Sera Online – Roma, 14 febbraio 2020.