ISSN 2704-8098
logo università degli studi di Milano logo università Bocconi
Con la collaborazione scientifica di

  Scheda  
09 Febbraio 2023


Rinuncia all’impugnazione nel giudizio abbreviato e riduzione di un sesto della pena (art. 442 co. 2 bis c.p.p.): il problema della rimessione in termini a giudizio in corso

Tribunale di Perugia, sent. 18 gennaio 2023 (dep. 31 gennaio 2023), n. 130



1. Si segnala la sentenza n. 130/2023 pronunciata dal Tribunale di Perugia all’esito di un giudizio abbreviato celebratosi innanzi al giudice monocratico per reati a citazione diretta.

La peculiarità della pronunzia in esame risiede nell’avere il giudice rimesso in termini l’imputato per la richiesta di rito abbreviato, allo scopo di usufruire del migliore regime sanzionatorio attualmente governato dall’art. 442 co. 2 bis c.p.p., introdotto dalla riforma “Cartabia” (d.lgs. 150/2022)[1].

Occorre preliminarmente osservare, sul tema, che il decreto legislativo menzionato, entrato in vigore il 30/12/2022, ha – tra le tante novità – introdotto una riduzione ulteriore di un sesto della pena irrogata con la sentenza di condanna in abbreviato, quando l’imputato e il suo difensore abbiano rinunciato ad impugnare il provvedimento, riduzione apportabile successivamente dal giudice dell’esecuzione dopo il passaggio in giudicato della sentenza[2].

Si pone in concreto un quesito, ormai destinato a diffondersi a macchia d’olio nelle aule giudiziarie, vale a dire se di questa riduzione possano giovarsi anche gli imputati nei procedimenti in corso, per i quali sia intanto scaduto il termine ultimo, previsto a pena di decadenza, per avanzare istanza di ammissione al rito alternativo.

 

2. Rileva il giudice perugino, con il provvedimento che qui brevemente si annota, che la modifica normativa menzionata, nella parte in cui incide sul trattamento sanzionatorio in concreto irrogabile, assume una natura sostanziale, innescando le garanzie ex art. 2 c.p. e imponendo la retroazione migliorativa, così come è stato affermato anche in merito alla fruibilità, per i fatti pregressi, della maggiore riduzione della pena in caso di abbreviato per reati aventi natura contravvenzionale[3].

Posto dunque che ai fatti commessi prima della novella del 2022 può applicarsi l’art. 442 co. 2 bis c.p.p., il Tribunale ha fornito risposta affermativa al quesito se sia possibile una rimessione in termini della parte nel caso in cui essa sia intanto decaduta dalla facoltà di domandare l’ammissione al rito; fatto ciò, si è interrogato sul connesso tema della disciplina che deve regolare l’istanza specialmente sotto il profilo temporale.

A tal fine, il giudice ha ritenuto applicabile analogicamente, per identità di ratio, l’art. 4 ter co. 2 e 3 del decreto-legge 7 aprile 2000, n. 82, che, a fronte della reintroduzione dei delitti puniti con l’ergastolo tra quelli giudicabili con rito abbreviato, ha disposto che l’istanza di ammissione al rito avrebbe potuto essere formulata prima della chiusura dell’istruzione dibattimentale, nella prima udienza utile dopo l’entrata in vigore della legge di conversione n. 144 del 5 giugno 2000 (che ha introdotto la norma nel testo del decreto-legge).

Alla luce delle esposte premesse, il Tribunale di Perugia ha individuato le condizioni affinché possa essere accolta la richiesta di rimessione in termini al fine di giovarsi dell’ulteriore sconto di pena previsto dall’art. 442 co. 2 bis c.p.p.: 1) alla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 150/2022 la parte deve essere già decaduta dalla facoltà processuale; 2) l’istanza di ammissione al rito alternativo in esame deve essere formulata alla prima udienza utilmente celebrabile dopo l’entrata in vigore della riforma; 3) il procedimento deve trovarsi in fase di istruzione dibattimentale «posto che tale riammissione non può valere dopo il primo grado di giudizio. Il nuovo beneficio premiale consegue infatti proprio alla scelta dell’imputato di non impugnare la sentenza di condanna all’esito del rito»[4].

 

3. Il provvedimento appare condivisibile, nella misura in cui con esso si ribadisce la natura sostanziale delle norme incidenti sul trattamento sanzionatorio, in particolare sotto il profilo della quantità di pena irrogabile, e la retroattività di quelle favorevoli al reo nel caso di procedimento penale ancora in corso.

Trattandosi di una modifica migliorativa collegata ad un rito alternativo assoggettato a termini decadenziali, il tribunale di Perugia ha statuito che la parte intanto decaduta dalla facoltà processuale può essere rimessa in termini a sua richiesta. Dunque si è determinato, in via consequenziale, a ricercare un criterio che regoli in maniera precisa le modalità e le tempistiche della nuova istanza di accesso al rito: trovando la retroattività favorevole l’unico sbarramento del giudicato ai sensi dell’art. 2 co. 4 c.p., sarebbe consentito in astratto all’imputato di essere riammesso all’abbreviato sino al passaggio in giudicato della sentenza di condanna.

In effetti, il giudicante ha scelto di valorizzare il complessivo mutamento della prospettazione sanzionatoria, più appetibile rispetto al passato, e il fatto che tanti imputati abbiano plausibilmente scelto di procedere con rito ordinario proprio perché, in precedenza, l’ordinamento non prevedeva quest’ulteriore decurtazione di pena.

È di tutta evidenza la lacuna normativa sul tema della restituzione in termini una volta che sia stato già varcato, per i processi in corso, lo sbarramento temporale per l’accesso al rito, sicché il giudice di Perugia si è determinato a far fronte al vulnus recuperando dall’ordinamento penale un criterio che disciplina(va) casi analoghi e che, per il suo fondamento, appare astrattamente idoneo a regolare anche la fattispecie al vaglio. Si tratta infatti di una norma (art. 4 ter, d.l. 82 del 2000) che, nel confermare la portata sostanziale e la retroattività della modifica normativa concernente la giudicabilità in abbreviato dei reati puniti con l’ergastolo, ne ha disegnato in maniera precisa i confini temporali utili a consentire alla parte di recuperare l’esercizio della facoltà processuale nei procedimenti in corso, allorquando fosse ormai spirato il momento ultimo per fare domanda di accesso.

Giova rilevare un primo aspetto degno di nota. L’art. 4 ter d.l. 82/2000 ha assegnato all’imputato il diritto di essere rimesso in termini, poiché, prima della vigenza di quella normativa, il rito gli era precluso.

L’ipotesi di cui all’art. 442 co. 2 bis c.p.p., invece, non incide sulla possibilità, a monte, di accedere al rito abbreviato, comportando soltanto una modifica migliorativa sul trattamento sanzionatorio irrogabile, e agganciando questo effetto ad un potenziale comportamento omissivo della parte, nel caso in cui essa dovesse decidere di non impugnare la condanna suscitandone il passaggio in giudicato.

Se questo è vero, sorgono i primi dubbi sulla sussistenza del requisito della eadem ratio, atteso che la giustificazione sottesa all’art. 4 ter del decreto-legge n. 82/2000 e alla rimessione in termini che ne costituisce l’oggetto è plausibilmente quella di consentire ex post l’accesso ad un rito prima integralmente precluso; nel caso al presente vaglio, invece, la rimessione in termini sarebbe giustificata soltanto dalla volontà di conquistare un trattamento sanzionatorio più favorevole, non essendo stata a monte incisa la facoltà di domandare l’ammissione al rito alternativo. V’è inoltre da considerare che la rimessione in termini nel caso in esame rischia di assumere una natura potenzialmente speculativa, essendo ancorata ad un comportamento futuro e incerto della parte.

Ancora, se dubbi sussistono sulla idoneità della norma prescelta dal giudice perugino di riempire il vuoto normativo sotto il profilo della ratio legis, altri spunti offre la pronuncia in commento sotto il diverso versante della eventuale “eccezionalità” della norma applicata analogicamente, che costituirebbe fattore ostativo ex art. 14 delle c.d. preleggi. Ci si domanda infatti se l’art. 4 ter d.l. cit. sia una regola o una eccezione a norme generali.

Da una certa prospettiva, esso potrebbe infatti ritenersi espressivo del principio di retroattività della norma sostanziale favorevole, nella misura in cui, affermandolo, si limita a dettarne una disciplina. Da un’altra angolazione, potrebbe invece ritenersi la disposizione in parola regola eccezionale, nella misura in cui essa derogherebbe al generale principio cristallizzato nell’art. 2 co. 4 c.p. (possibilità di beneficiare della modifica in melius sino al giudicato).

 

3.1. Ad ogni modo, a voler ritenere indefettibile la rimessione in termini dell’imputato, residuerebbe l’interrogativo se possa costituire un valido parametro per l’analogia, in luogo dell’art. 4 ter cit., la coeva norma transitoria in tema di messa alla prova c.d. “allargata”, rinvenibile nello stesso decreto legislativo n. 150/2022 che ha innovato anche l’art. 442 c.p.p.

Giova sul punto premettere che l’estensione del numero di fattispecie giudicabili ex art. 550 co. 2 c.p.p. ha comportato, mediante il richiamo che l’art. 168 bis c.p. rivolge a questa norma, l’ampliamento del novero dei reati per i quali è avanzabile – ora anche su proposta del pubblico ministero – la domanda di messa alla prova ex art. 464 bis e ss. c.p.p.

Con riguardo al regime intertemporale, il legislatore, all’art. 90 co. 2 del d.lgs. 150/2022, ha sancito che «se sono già decorsi i termini di cui all'articolo 464-bis, comma 2, del codice di procedura penale, l'imputato, personalmente o a mezzo di procuratore speciale, può formulare la richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova, a pena di decadenza, entro la prima udienza successiva alla data di entrata in vigore del presente decreto. Quando nei quarantacinque giorni successivi alla data di entrata in vigore del presente decreto non è fissata udienza, la richiesta è depositata in cancelleria, a pena di decadenza, entro il predetto termine».

Non sfugge che il rito della messa alla prova sia storicamente considerato un istituto processuale soggetto al principio tempus regit actum; tuttavia esso si connota per innegabili striature di natura schiettamente sostanziale, poiché incide sulla stessa possibilità di somministrare il trattamento sanzionatorio punitivo, sostituito da un programma di trattamento risocializzante e dalla estinzione del reato in caso di esito positivo[5].

Proprio per valorizzare i riverberi sostanziali dell’istituto, il legislatore del 2022, nel dar luogo ad una estensione dei casi suscettibili di probation, ne ha opportunamente previsto la retroazione migliorativa, regolandola mediante la fissazione di precisi limiti temporali per formularne la domanda di accesso[6].

Il momento ultimo fissato dal legislatore nel 2022 per la messa alla prova “allargata” in corso di procedimento, pur apparendo particolarmente rigido sotto il profilo temporale, non appare però manifestamente irragionevole: avuto riguardo alla natura e alla gravità dei reati interessati, essa consegna a chi si difende una parentesi temporale sufficientemente ampia per elaborare la decisione.

Ci si chiede in questa sede se le condizioni fissate dall’art. 90 co. 2, d.lgs. cit. possano essere analogicamente estese al caso affrontato dal tribunale di Perugia, che ha riguardo alla retroazione favorevole di una ulteriore diminuzione della pena nel caso di abbreviato, a fronte della rinuncia all’impugnazione.

Giova infatti osservare che la ratio legis poggia pur sempre sulla suscettibilità di una norma migliorativa concernente un rito alternativo con importanti effetti sostanziali di retroagire nel solco della ragionevolezza, del principio di uguaglianza e delle finalità rieducative della pena; inoltre, tale opzione permetterebbe di ricavare un unico criterio ermeneutico dal medesimo testo normativo, riflettendo la volontà legislativa di questo momento storico; infine, il principio incasellato nell’art. 90 d.lgs. 150/2022 pare consentire un uso delle facoltà processuali proporzionato agli interessi giuridici coinvolti, sia nell’ambito della messa alla prova che nell’ambito dell’abbreviato.

Va soggiunto che i meno stringenti requisiti individuati dall’art. 4 ter d.l. 82/2000 (non è infatti menzionato un limite massimo di giorni utili per avanzare l’istanza) si giustificano plausibilmente alla luce della natura massimamente afflittiva della pena in astratto irrogabile (ergastolo) e del notevole impatto che la rimessione in termini poteva avere sulla eventuale condanna, peculiarità che non è dato riscontrare nell’art. 442 co. 2 bis c.p.p.

 

3.2. Resta allora aperto e rimesso al dibattito il quesito se non risulti più proporzionato e aderente alla fattispecie decisa dal Tribunale di Perugia il principio sancito dall’art. 90 co. 2 del decreto legislativo 150 del 2022, piuttosto che quello ricavato dal menzionato art. 4 ter d.l. 82/2000.

Purtuttavia, anche all’orientamento favorevole all’applicazione dell’art. 90 cit. si potrebbero opporre alcune significative obiezioni.

Intanto, anche in questo caso il legislatore è intervenuto prevedendo una rimessione in termini per consentire all’imputato di accedere ad un rito in precedenza integralmente precluso dal non essere il reato suscettibile di messa alla prova.

In secondo luogo, sarebbe forse ancor più agevole replicare che l’art. 90 cit. sia annoverabile tra le norme eccezionali, come tale non applicabile analogicamente, poiché esso – potrebbe sostenersi – deroga alla operatività del principio generale tempus regit actum nel campo degli istituti di natura (prevalentemente) processuale.  

In terzo luogo, proprio l’essersi pronunciato il legislatore solo con riguardo alla retroattività “attenuata” della nuova messa alla prova, farebbe assumere alla lacuna normativa quel tratto di intenzionalità di per sé idoneo ad escluderne l’interpretazione analogica.

Occorre comunque rilevare che, nella specifica vicenda giudiziaria, la predilezione per l’una o l’altra opzione ermeneutica non avrebbe mutato la decisione del giudice perugino, tenuto conto che la domanda di rimessione in termini è stata rivolta all’autorità giudiziaria nella prima udienza utile, ricompresa nella menzionata soglia temporale dei quarantacinque giorni dall’entrata in vigore della riforma “Cartabia” (13 febbraio 2023). La scelta del criterio interpretativo apparirà invece essenziale in tutti quei casi in cui la prima udienza utilmente celebrabile dal momento di vigenza del decreto legislativo 150/2022 sia collocata dopo il 13 febbraio 2023.

Epperò, pare andare in senso contrario a quanto sopra sostenuto quella giurisprudenza di legittimità secondo cui «deve ormai ritenersi ius receptum il principio secondo cui il trattamento sanzionatorio, anche laddove collegato alla scelta del rito, finisce sempre con avere ricadute sostanziali ed è, dunque, soggetto alla complessiva disciplina di cui all'art. 2 cod. pen., pur ribadendosi che la natura sostanziale della diminuente premiale per il rito abbreviato predicata dalla CEDU nella sentenza in data 17 settembre 2009 (caso Scoppola c/o Italia cit.), non implica la trasformazione della natura processuale di tutta la restante normativa concernente i presupposti, i termini e le modalità di accesso al rito, aspetti rimessi alla scelta del legislatore nazionale e non immutati dalla giurisprudenza comunitaria»[7].

 

4. Rimanendo fedeli ai principi di legittimità appena richiamati, dovrebbe ritenersi del tutto preclusa la rimessione in termini, in tutti quei casi in cui l’imputato non abbia già scelto, quando ne aveva l’opportunità, la strada dell’abbreviato; ciò a meno che il legislatore non intervenga prossimamente con una normativa speciale in materia.

Ciò posto, allora, l’art. 442 co. 2 bis cit. sarebbe destinato a trovare applicazione soltanto in favore dei soggetti già giudicati in abbreviato con sentenza di condanna, la quale, dopo l’entrata in vigore della riforma “Cartabia”, non sia ancora passata in giudicato. Vale la pena rammentare che la disposizione in commento introduce e disciplina una precisa fattispecie giuridica: l’imputato o il difensore rinunciano ad impugnare una sentenza di condanna in abbreviato, innescando il passaggio in giudicato della decisione; da ciò discende automaticamente il diritto a vedersi decurtato ulteriormente la pena, di un sesto del quantum già irrogato.

È sufficiente allora, per beneficiare della ulteriore diminuzione in punto di pena, che, dopo l’entrata in vigore della riforma Cartabia, la condanna non sia ancora divenuta irrevocabile e l’imputato e il suo difensore, col proprio comportamento inerte, integrino gli elementi strutturali della fattispecie; così l’imputato, giovandosi della normativa sopravvenuta, potrà avanzare al giudice dell’esecuzione la richiesta di diminuzione della pena, una volta che la stessa sarà stata cristallizzata in cosa giudicata.

Occorre infine notare come, attese le peculiarità della disposizione, che annoda effetti sostanziali (minore pena irrogabile) ad un comportamento processuale (rinuncia ad impugnare la condanna), la rilevanza della natura sostanziale o processuale della norma sfuma sino a dissolversi.

A voler valorizzare la componente sostanziale, la retroattività opererebbe comunque nel solco dell’art. 2 co. 4 c.p., siccome l’art. 442 co. 2 bis c.p.p. presuppone il mancato passaggio in giudicato della condanna. Facendo invece predominare la componente processuale, dovrebbe conseguirne l’applicazione del principio tempus regit actum sicché la norma sarebbe applicabile alle sentenze di condanna in abbreviato ancora non definitive, restando sullo sfondo (ed apparendo irrilevante) se il fatto illecito e l’ammissione al rito si siano verificati prima o dopo l’entrata in vigore della riforma Cartabia.

 

 

[2] L’art. 442 co. 2 bis c.p.p. recita: «Quando né l’imputato, né il suo difensore hanno proposto impugnazione contro la sentenza di condanna, la pena inflitta è ulteriormente ridotta di un sesto dal giudice dell’esecuzione».

[3] La legge n. 103/2017 ha in tal senso modificato l’art. 442 co. 2 c.p.p.; v., tra le più recenti in materia, cfr. Cass. sez. IV, 15/01/2019, n. 5034, CED 275218.

[4] V. pagina 5 della sentenza in commento.

[5] In dottrina, M. Pedicini, La sospensione del processo con messa alla prova non si applica retroattivamente, in Cass. pen., 2019, 5-6, p. 2073 ss.; v. anche nella giurisprudenza costituzionale, Corte cost. sent. 240 del 2015.

[6] Cfr. a tale riguardo, Corte di cassazione, Ufficio del Massimario e del ruolo, relazione n. 68/2022, pag. 21.

[7] Cass. sez. IV, 15 gennaio 2019, n. 5034; conf. Cass. sez. I, 4 dicembre 2012, n. 48757, CED 254524.