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19 Ottobre 2023


Giustizia riparativa con vittima “surrogata” o “aspecifica”: il caso Maltesi-Fontana continua a far discutere

Corte d’Assise di Busto Arsizio, ord. 19 settembre 2023, Pres. Fazio, Est. Ferrazzi



Una prima versione di questo articolo, in forma semplificata, è stata pubblicata in Il Foro italiano - Foronews, 29 settembre 2023, con il titolo Invio giudiziale a percorsi di giustizia riparativa con vittima “aspecifica”, contro la volontà dei familiari della vittima diretta, in una fattispecie di omicidio aggravato: un caso che continua a far discutere. Si ringraziano i curatori per il consenso alla pubblicazione in questa Rivista.

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1. L’ordinanza in rassegna si segnala all’attenzione perché in una vicenda giudiziaria riguardante delitti gravissimi (omicidio aggravato ex art. 577, comma 2, c.p. e art. 61 n. 2 c.p. e distruzione, soppressione o sottrazione di cadavere di cui all’art. 411 c.p., commesso al fine di occultare l’omicidio), dispone l’invio del caso al Centro per la Giustizia Riparativa (CGR) del Comune di Milano al fine di verificare la fattibilità di un «programma di giustizia riparativa», anche con «vittima aspecifica». L’ordinanza accoglie l’istanza di accesso ai programmi di giustizia riparativa avanzata dall’imputato, e interviene in una fase processuale successiva alla sentenza di condanna di primo grado, in pendenza dei termini per presentare l’appello. Spetterà adesso al CGR di Milano valutare dunque se sussistono o meno i presupposti per attuare concretamente un percorso riparativo.

 

2. Si tratta di una delle prime applicazioni[1] della disciplina organica della giustizia riparativa, introdotta con la c.d. riforma Cartabia, e cioè con il decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150 (d’ora in avanti, decreto 150/2022). Per comprendere significato e possibili effetti del provvedimento in rassegna, è dunque opportuno fornire le coordinate normative entro cui esso si colloca.

Ai sensi dell’art. 42, comma 1, lett. a, del decreto 150/2022, la legge definisce programma di giustizia riparativa «ogni programma che consente alla vittima del reato, alla persona indicata come autore dell’offesa e ad altri soggetti appartenenti alla comunità di partecipare liberamente, in modo consensuale, attivo e volontario, alla risoluzione delle questioni derivanti dal reato, con l’aiuto di un terzo imparziale, adeguatamente formato, denominato mediatore».

Rispetto ai «programmi» ammissibili (art. 53, comma 1, lett. a, decreto150/2022), oltre alla riproposizione dei modelli comunemente indicati sul piano internazionale, e cioè «mediazione autore-vittima», «family group conferencing», «circles», il decreto include in tale nozione, attraverso una formula aperta, «ogni altro programma dialogico guidato da mediatori». Il legislatore stabilisce poi, espressamente, che la mediazione possa avvenire anche con «vittima surrogata o aspecifica», ossia con «vittima di reato diverso da quello per cui si procede».

Con riferimento all’acceso ai programmi, la legge prevede che esso è consentito «in ogni stato e grado del procedimento e che non vi sono preclusioni in ragione delle fattispecie di reato o della loro gravità». Quanto ai «criteri» attraverso cui l’autorità giudiziaria può decidere se inviare o meno un caso, l’art. 129 bis c.p.p. stabilisce che si dovrà valutare: in primo luogo, l’«utilità» del percorso di giustizia riparativa per la risoluzione delle questioni specificamente derivanti dal reato; in secondo luogo, «l’assenza di pericoli concreti per gli interessati e per l’accertamento dei fatti».

Infine, quanto all’«esito riparativo» materiale o simbolico, questo è definito come «qualsiasi accordo, risultante dal programma di giustizia riparativa volto alla riparazione dell’offesa e idoneo a rappresentare «l’avvenuto riconoscimento reciproco» e la possibilità di «ricostruire la relazione fra i partecipanti».

Sul piano degli «effetti» che un eventuale esito positivo di un percorso di giustizia riparativa potrà determinare, il decreto 150/2022 ha individuato alcuni strumenti di valutazione giuridica in senso favorevole all’imputato[2]. Nel caso in questione, trattandosi di grave reato procedibile d’ufficio e di condanna a pena assai elevata, quelli ipotizzabili in caso di esito positivo sono, per un verso, l’applicazione della nuova circostanza attenuante di cui all’art. 62, comma 1, n.6, c.p.; per altro verso, una graduazione della pena pro-reo alla luce del generale potere di commisurazione di cui all’art. 133 c.p. (ai sensi dell’art. 58, comma 1, decreto 150/2022). Strumenti normativi che non influiscono quindi sull’an della responsabilità penale, ma che, in considerazione della particolare gravità della pena inflitta, sono suscettibili di condizionare in modo non trascurabile il concreto trattamento sanzionatorio applicabile. Nessun effetto pregiudizievole potrà invece scaturire per l’imputato dalla mancata effettuazione del percorso o da un esito negativo.

 

3. Il provvedimento ha avuto notevole risonanza mediatica e pressocché tutti i giornali hanno dato risalto alla notizia[3]. Già i fatti di cronaca avevano avuto una particolare eco mediatica[4], anche in ragione dell’efferatezza del fatto commesso. Analogamente, la recente sentenza di primo grado[5] non aveva mancato di suscitare scalpore e polemiche, soprattutto per il linguaggio utilizzato dai giudici nel negare il ricorrere di alcune aggravanti (vedi infra, §V). Vale quindi la pena ricordare brevemente gli aspetti essenziali della vicenda.

Secondo quanto accertato dalla sentenza di primo grado, anche in base alla stessa confessione dell’autore di reato, nel gennaio del 2022 Davide Fontana incontra Carol Maltesi nell’appartamento di questa, a Rescaldina (in provincia di Milano). I due hanno avuto nel recente passato una relazione amorosa. La donna ha da poco deciso di allontanarsi e di spostarsi in altre città. Nell’ambito di ciò che sembra essere un gioco erotico da loro concordato, la donna si trova legata, mani e piedi, imbavagliata e incappucciata. In un contesto di questo tipo, l’autore la percuote con un martello, prima con piccoli colpi lungo il corpo, poi con sempre maggiore veemenza alla testa. Decide volontariamente di ucciderla, persistendo con violenti colpi di martello e poi accoltellandola alla gola. L’autore dell’omicidio tenta poi di occultare il corpo della donna, tagliandolo a pezzi, congelandolo, riponendolo in alcuni sacchi che getta da un dirupo. Il corpo viene ritrovato e identificato. Le investigazioni risalgono a Davide Fontana, che ammette le proprie responsabilità. Il movente dell’omicidio sembra consistere nell’incapacità di accettare la decisione della donna di porre sostanzialmente fine al rapporto.

La sentenza di primo grado condanna l’uomo a trent’anni di reclusione per i delitti di omicidio e di distruzione, soppressione o sottrazione di cadavere. I giudici ritengono sussistente la fattispecie omicidiaria aggravata di cui al secondo comma dell’art. 577, comma 2, c.p., nonché l’aggravante di cui all’art 61 n.2 c.p. (avere commesso il reato per occultarne un altro). Escludono invece l’aggravante dei «motivi abietti o futili» (art. 61 n.1 c.p.) e della «crudeltà» (art. 61 n. 4 c.p.) e dunque la condanna all’ergastolo ai sensi dell’art. 577, comma 1, c.p. Come si accennava sopra, la decisione di primo grado ha suscitato reazioni contrastanti. Oltre all’insoddisfazione per l’esclusione dell’ergastolo manifestata da alcuni parenti della vittima, sul piano mediatico è stato censurato soprattutto il linguaggio utilizzato dai giudici per escludere le aggravanti. In alcune parti della sentenza, infatti, sembra emergere, per un verso, un giudizio morale negativo sulla vittima (la quale pubblicava video pornografici sotto lo pseudonimo di Charlotte Angie), per altro verso, una certa indulgenza verso gli impulsi criminali dell’autore. Fra i punti più criticati della decisione di primo grado si evidenziano i seguenti (corsivi nostri): «probabilmente Davide Fontana si è reso conto che la giovane e disinibita Carol Maltesi si era qualche misura servita di lui per meglio perseguire i propri interessi personali e professionali e lo avesse usato e ciò ha scatenato l’azione omicida»; «dal punto di vista del Fontana, l’omicidio era un modo – certo non condivisibile e sproporzionato secondo il comune sentire – per venire fuori dalla condizione di incertezza e sofferenza non più sopportabile, innescata dalla decisione della stimolante donna amata di allontanarsi da lui».

 

4. Dopo la sentenza di condanna di primo grado, e in pendenza dei termini per presentare l’appello, la difesa dell’imputato chiede ai giudici l’accesso a un programma di giustizia riparativa. Più in particolare, emerge che l’imputato abbia espresso, anche personalmente in udienza, «un grande bisogno di riparare in concreto» le conseguenze della propria condotta, sia nei confronti dei parenti della vittima sia nei confronti di altre associazioni.

All’istanza si oppongono sia il pubblico ministero sia le parti civili. Il pubblico ministero giacché ritiene che l’eventuale confronto riparativo non possa essere utile alla risoluzione delle questioni derivanti dal reato, anche in considerazione della fase processuale in cui essa perviene. Le parti civili non solo si associano all’opposizione del pubblico ministero, ma manifestano l’assoluta indisponibilità di tutte le persone offese a incontrare o avere rapporti di qualsiasi tipo, diretti o mediati, con l’autore del reato.

La Corte di Assise di Busto Arsizio accoglie l’istanza e, ai sensi degli artt. 129 bis c.p.p. e art. 42 ss. decreto 150/2022, dispone l’invio del caso al CGR competente per territorio. I giudici riconoscono la sussistenza dei due requisiti stabiliti dalla legge. L’utilità del percorso è affermata, anche contro la volontà delle persone offese, attraverso un’interpretazione che, valorizzando la volontà del legislatore di incentivare il ricorso a detto strumento, enfatizza la natura pubblicistica dei percorsi di giustizia riparativa. E invero, secondo i giudici, l’istituto «si propone di ricomporre la frattura derivante dal reato non soltanto fra le singole parti, ma anche all’interno del contesto sociale di riferimento» e ha lo scopo di far maturare un clima di sicurezza sociale (si cita in proposito la relazione dell’Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione, 297). Non sono poi rintracciate particolari ragioni di concreto pericolo per l’accertamento dei fatti e per i soggetti interessati. L’ordinanza, in particolare, nega che possano esservi potenziali rischi per le persone offese, pur tenendo conto della presenza di un minorenne, figlio della vittima. Ciò in ragione del fatto che il mancato consenso delle parti civili al programma di giustizia riparativa, se confermato davanti al mediatore, determinerà «la necessità di predisporre un programma con vittima aspecifica, con conseguente prevedibili esclusione, in concreto, di un pericolo per le persone offese».

 

5. L’ordinanza sollecita molteplici interrogativi sui punti di intersezione fra procedimento penale e giustizia riparativa. In questa sede ci limitiamo a evidenziare taluni aspetti problematici, con la precisazione preliminare che, nel caso concreto, l’esperibilità del percorso riparativo con vittima aspecifica è tutt’altro che scontata: saranno adesso i mediatori penali a dovere verificare la sussistenza delle condizioni di fattibilità di un incontro fra l’imputato di un così grave reato e le vittime di reati di tipo “analogo”.

Un primo delicatissimo tema riguarda il “peso” che l’autorità giudiziaria, nel decidere se inviare o meno il caso ai CGR, deve attribuire alla volontà contraria dei familiari della vittima. Vi è da chiedersi se lo strumento della mediazione con vittima aspecifica possa in sostanza eludere l’opposizione a forme di giustizia riparativa manifestata da parte di chi ha subito (in quanto familiare) il trauma del reato. Si contendono il campo due approcci opposti. Il primo, contrario a questa possibilità, la ritiene un’opzione foriera di fenomeni di vittimizzazione secondaria, irrispettosa del dolore delle persone offese, le quali dovrebbero essere quantomeno consultate sull’ammissibilità di un programma con vittima aspecifica[6]. Il secondo, invece favorevole, mette in evidenza che la mediazione con vittima aspecifica, da un lato, consente di superare possibili “dittature vittimarie” e fenomeni discriminatori nei confronti degli imputati (le cui opportunità di partecipazione ai programmi finirebbero per dipendere solo ed esclusivamente dalle volontà delle vittime), dall’altro, ha il pregio di offrire soddisfazione alle aspettative riparative della vittima del diverso reato (come precisa la stessa Relazione al decreto 150/2022, 532)[7]. L’ordinanza sposa senza remore questo secondo orientamento, enfatizzando soprattutto la dimensione pubblicistica della risposta riparativa e trovando verosimilmente un appiglio nella citata Relazione del Massimario n. 2/2023[8]. Qui si legge infatti che «l’art. 53 (…) prevede che, nel caso in cui una delle parti non acconsenta al percorso di mediazione, l’incontro possa avvenire tra autore e vittima aspecifica (o surrogata), ossia la vittima di un reato analogo a quello commesso». In realtà, l’automatismo consequenziale che sembrerebbe emergere da una siffatta interpretazione della norma pare eccessivamente semplicistico, rischia di assegnare alla vittima aspecifica il ruolo strumentale di mera supplenza della vittima diretta, e finisce forse per “scaricare” troppo sulla figura del mediatore penale e sull’idea stessa della giustizia riparativa il rancore di chi non ha trovato ascolto. Un’eccessiva responsabilità, specie in casi di eccezionale gravità e di rilevante esposizione mediatica, in cui è verosimile che più emergano pulsioni collettive di tipo retributivo, e in un momento in cui molte incertezze pratiche ancora permangono sull’accreditamento degli attuali CGR, sull’avvio delle Conferenze locali, sul processo di formazione dei mediatori e sul suo supporto pubblico[9].

Peraltro, benché i percorsi di riparazione con vittima surrogata ovvero aspecifica siano ormai uno strumento collaudato sul piano internazionale e in effetti idonei a soddisfare le aspettative riparative di autori e vittime[10], va evidenziato che la sede più comunemente individuata per la loro realizzazione è quella penitenziaria[11]. Specie qualora si tratti di reati gravissimi, qualche dubbio sull’opportunità di “forzarne” l’attuazione già in fase processuale e contro la volontà dei familiari della vittima può in realtà emergere. La giustizia riparativa richiede tempo, il “giusto tempo”, il kairόs, perché le parti possano riconoscersi[12]. Un “freddo” provvedimento giudiziale che si limiti a prendere atto dell’indisponibilità dei familiari a partecipare a un percorso riparativo e contempli de plano, come equivalente funzionale, la rapida sostituzione delle vittime dirette con quelle aspecifiche “brucia” i tempi del dialogo, e probabilmente la disponibilità futura dei familiari della vittima a riporre  fiducia nel sistema di giustizia. Le ragioni che determinano totale sfiducia, o al contrario ritrovata fiducia, in coloro che subiscono traumi di intensa gravità dipendono da fattori non sempre agevolmente spiegabili o preventivabili[13]. Nondimeno vi sarebbe da chiedersi se il linguaggio stigmatizzante utilizzato dai giudici di Assise nella sentenza di primo grado (supra, II) non abbia almeno in parte contribuito a radicalizzare sentimenti di odio e di rivalsa, relegando i familiari della vittima nell’unico riparo retributivo-satisfattorio che gli resta: l’entità della pena inflitta[14]. E non sorprende che proprio l’utilizzo giudiziale di un linguaggio stigmatizzante, carico di stereotipi di genere, in occasione diversa da quella di cui si discute e relativa a un processo per violenza sessuale di gruppo, sia stato di recente posto a fondamento di una sentenza di condanna dell’Italia per violazione dell’art. 8 CEDU[15] (Corte europea dei diritti umani, Prima Sezione, 27 maggio 2021, J.L. c. Italia, n. 5671/16): secondo i giudici di Strasburgo, un «linguaggio colpevolizzante e moraleggiante scoraggia la fiducia delle vittime nel sistema giudiziario» e le espone a vittimizzazione secondaria.

Un altro gruppo di nodi problematici attiene ai poteri valutativi dell’autorità giudiziaria in sede di invio. Preliminarmente, vanno dipanati i possibili equivoci circa le eventuali sovrapposizioni fra il vaglio giudiziale di utilità del percorso riparativo da un lato e la valutazione di fattibilità e di scelta del programma rimessa ai mediatori, dall’altro lato. L’ampiezza dei parametri di utilità da un canto, e di fattibilità dall’altro, genera «disorientamenti»[16], rischia di determinare iniziative giudiziarie prevaricatrici delle legittime strategie difensive dell’imputato[17] oppure poco attente alle ragioni della vittima diretta. In realtà, andrebbe acquisita maggiore consapevolezza del fatto che il vaglio prognostico dell’autorità giudiziaria non coincide, né potrebbe, con quello in limine rimesso esclusivamente ai mediatori.

Per ciò che più specificamente riguarda l’estensione del potere valutativo dell’autorità giudiziale, ci sembra che assuma rilevanza significativa il modo di interpretare il criterio dell’utilità del programma di giustizia riparativa di cui all’art. 129 bis c.p.p. Va chiarito in che modo il filtro giudiziale debba operare. I giudici di Busto Arsizio ritengono che nel caso concreto «non sia possibile escludere l’utilità», utilizzando dunque un parametro valutativo “in negativo”. Ciò lascia senz’altro maggiori possibilità di giustificare l’utilità di un percorso riparativo, anche nelle forme di riparazione con vittima aspecifica, rispetto a quanto avverrebbe qualora si ritenesse invece di dovere motivare “in positivo” l’utilità. In questa seconda ipotesi, infatti, andrebbero più specificamente chiarite le ragioni che nel caso concreto consentono l’invio. Se dovesse consolidarsi il criterio dell’utilità “in negativo”, anche attraverso l’enfatizzazione dei fini pubblicistici della giustizia riparativa, finirebbe verosimilmente per affermarsi un’utilità in re ipsa, aprendo canali pressoché incondizionati all’invio.

È in realtà auspicabile addivenire a modalità ragionevolmente condivise di interpretazione. Ciò anche per ragioni di uguaglianza di trattamento: l’istanza di accedere a percorsi di giustizia riparativa, anche con vittima aspecifica, è stata per esempio esclusa in un’altra recente (per certi versi simile) ipotesi di omicidio[18], nonché in un caso (dissimile) di reato in materia di sostanze stupefacenti[19].

Che si possa discutere dell’attuazione di modelli di giustizia riparativa anche nell’ambito di reati gravissimi e già durante la fase di cognizione è un segno del fatto che la riforma Cartabia ha posto le basi per un mutamento di sistema, in primo luogo di tipo culturale[20].

È un cambiamento, a nostro parere, atteso e complessivamente auspicabile. Ciò non significa che l’ingresso degli istituti e delle prassi di giustizia riparativa nel sistema penale non debba avvenire con cautela, tenendo in considerazione la pluralità degli interessi in gioco.

 

 

 

[1] Fra i primi interventi giurisprudenziali concernenti l’applicazione della «disciplina organica della giustizia riparativa», si segnalano i seguenti provvedimenti: Cass. 9 maggio 2023 - 26 luglio 2023, n. 32360, C. B., Foro it., Rep. 2023, voce Pena (applicazione su richiesta), n.°2, secondo cui «in tema di patteggiamento, il mancato avviso, nel decreto di fissazione dell'udienza di cui all'art. 447, comma 1, c.p.p. della facoltà della parte di accedere ai programmi di giustizia riparativa integra una nullità di ordine generale a regime intermedio ex art. 178, lett. c), c.p.p., che deve essere eccepita nei termini di cui all'art. 182, comma 2, c.p.p. e, pertanto, entro l'udienza di comparizione delle parti per la definizione del giudizio (in applicazione del principio, la corte ha rigettato, "in parte qua", il ricorso sul rilievo che il difensore dell'indagato, nel corso dell'udienza per la decisione, aveva riformulato la richiesta di applicazione della pena, così implicitamente rinunciando alla deduzione della nullità, con decadenza dalla possibilità di rilevarla con il ricorso)»; Cass. 9 maggio 2023 - 13 giugno 2023, n. 25367, I.M.A., Foroplus, secondo cui, «in tema di “giustizia riparativa”, è da escludersi che possano costituire causa di nullità la mancata, ancorchè immotivata, attivazione, da parte del giudice, della procedura prevista dall'art. 129 bis c.p.p., come pure la mancata informazione, all'imputato ed alla persona offesa, come previsto dall'art. 419, comma 3 bis, c.p.p., della facoltà di accedere ai relativi programmi»; App. Milano, ord. 12 luglio 2023, X, in www.giurisprudenzapenale.com, con rilievi critici di F. Brunelli, La giustizia riparativa nei reati senza vittima circa l’attuabilità dei programmi di giustizia riparativa con «vittima aspecifica» in fattispecie di reato in materia di sostanze stupefacenti (su questa sentenza, si veda infra, par. V).

[2] In dottrina, fra i numerosi commenti alla riforma, si vedano L. Eusebi, Giustizia riparativa e riforma del sistema sanzionatorio penale, in Dir. pen. proc., 2023, 79-86; C. Perini, Prime note sulla disciplina organica della giustizia riparativa: “infrastrutture” e raccordi di sistema, ivi, 97 ss.; E. Mattevi, La giustizia riparativa: disciplina organica e nuove intersezioni con il sistema penale, in Riforma Cartabia. La nuova giustizia penale, a cura di D. Castronuovo, E.M. Mancuso, G. Varraso, Milano, 2023, 233 ss.; L. Parlato, La giustizia riparativa: i nuovi e molteplici incroci con il rito penale, ivi, 267 ss.; F. Parisi, Giustizia riparativa e sistema penale nel decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150. Parte I. «Disciplina organica» e aspetti di diritto sostanziale, in questa Rivista, 27 febbraio 2023; P. Maggio, Giustizia riparativa e sistema penale nel decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150. Parte I. «Disciplina organica» e aspetti di diritto processuale, ivi; V. Bonini, Una riforma organica della giustizia riparativa tra attese decennali e diffidenze contemporanee. Definizioni, principi e obiettivi (artt. 42-46), in La riforma Cartabia, a cura di G. Spangher, Pisa, 2022, 725 ss.; M. Bouchard, Commento al Titolo IV del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150 sulla disciplina organica della giustizia riparativa, in www.questionegiustizia.it, 7 febbraio 2023; D. Guidi, Profili processuali della giustizia riparativa, in www.discrimen.it, 16 novembre 2022; A. Presutti, Aspettative e ambizioni del paradigma riparativo codificato, in questa Rivista, 14 novembre 2022; M. Gialuz, Per un processo penale più efficiente e giusto. Guida alla lettura della riforma Cartabia (profili processuali), in questa Rivista, 2 novembre 2022, §4; M. Bortolato, in Riv. it. dir. proc. pen., 2022, 1259-1267

[3] Si veda L. Ferrarella, Cos’è la giustizia riparativa e perché il reinserimento del killer di Carol Maltesi non è uno sconto di pena, in Corriere della Sera, 22 settembre 2023; G. Mannozzi, Cos’è la giustizia riparativa istituita dalla riforma Cartabia, in https://tg24.sky.it/cronaca/2023/10/11/giustizia-riparativa-cartabia-cosa-e, 11 ottobre 2023; con accenti diversi, V. Feltri, La giustizia riparativa rispetti chi soffre, in Il giornale, 25 Settembre2023. Nelle testate più specialistiche, V. Stella, «L’omicida di Carol pronto per il percorso riparativo». Ira dei familiari: «Ingiusto», in Il dubbio, 26 settembre 2023, 2; G. L. Gatta, «Ci sono casi complessi ma la riconciliazione è la svolta del sistema», ivi, 3; M. Gialuz - M. Passione, Imputato e vittima: incontro che può aiutare a ricucire le ferite del processo penale, dentro e fuori dalle aule, ivi, 2

[4] Per la ricostruzione giornalistica della vicenda, v. C. Giuzzi, Il diario dell’orrore: i tre mesi tra l’omicidio di Carol Maltesi e la confessione di Davide Fontana, in Corriere della Sera, 31 marzo 2022.

[5] Corte di Assise di Busto Arsizio, 12 giugno 2023 (dep. 5 luglio 2023), in www.giurisprudenzapenale.it

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[7] Amplius, cfr. E. Mattevi, La giustizia riparativa: disciplina organica e nuove intersezioni con il sistema penale, cit., 250 ss.

[8] La Relazione può essere letta in questa Rivista, 10 gennaio 2023, p. 303 della Relazione.

[9] Più ampi rilievi in G. Fiandaca, Punizione, in corso di pubblicazione con il Mulino.

[10] Sul punto si rinvia all’Handbook on Restorative Justice Programmes. Second Edition, United Nations, Vienna, 2020, 37 ss.

[11] Si veda l’ampia documentazione rinvenibile nel sito internet di riferimento per gli operatori del settore EFRJ in www.euforumrj.org/en.

[12] G. Mannozzi, Sapienza del diritto e saggezza della giustizia: l’attenzione alle emozioni nella normativa sovranazionale in materia di restorative justice, in Criminalia, 2019, 150; Id., voce Giustizia riparativa, in Enc. dir., Annali X, Milano, 2017, 465.

[13] R. Mollica, Le ferite invisibili, trad. it., Milano, 2007.

[14] Per considerazioni generali sul tema, si veda L. Eusebi, Dirsi qualcosa di vero dopo il reato: un obiettivo rilevante per l’ordinamento giuridico? in Criminalia, 2010, 644.

[15] Corte eur. dir.umani, Sez. I, 27 maggio 2021, J.L. c. Italia, n. 5671/16, in questa Rivista, 14 giugno 2021, con nota di N. Cardinale, Troppi stereotipi di genere nella motivazione di una sentenza assolutoria per violenza sessuale di gruppo: la Corte EDU condanna l’Italia per violazione dell’art. 8.

[16] C. Cesari, La giustizia riparativa nel sistema penale italiano: prime riflessioni a margine di una svolta, in Forme, riforme e valori per la giustizia penale futura, a cura di D. Castronuovo – D. Negri, Napoli, 2023, 394.

[17] A. Presutti, La giustizia riparativa alla prova del processo penale, in questa Rivista, 27 giugno 2023, 9.

[18] Si tratta della vicenda di Benno Neumair, per la cui ricostruzione giornalistica si veda C. Currò Dossi, Benno Neumair chiede la giustizia riparativa. La sorella Madè e la zia: «Non così, non si è mai pentito, in Corriere della sera, 16 settembre 2023.

[19] C. App. Milano, Sez. V, 12 luglio 2023, X, cit. In questa vicenda, secondo i giudici, trattandosi di reati “senza vittima” e mancando dunque la parte con cui intrattenere un dialogo, non sarebbe stato ontologicamente ipotizzabile un dialogo di alcun tipo, neanche con vittima aspecifica. Sul punto, in senso critico, si veda F. Brunelli, op.cit., 3 ss.

[20] M. Donini, La visione della giustizia riparativa: non è buonismo ma differenza tra pena e riscatto, in Il riformista, 6 settembre 2022; G. L. Gatta, «Ci sono casi complessi ma la riconciliazione è la svolta del sistema», cit., 3.