ISSN 2704-8098
logo università degli studi di Milano logo università Bocconi
Con la collaborazione scientifica di

  Scheda  
30 Luglio 2024


Osservazioni sul contraddittorio anticipato in ambito cautelare. Note a margine del d.d.l. S. n. 808 (cd. d.d.l. Nordio)


1. La pubblicazione dell’annuale relazione al Parlamento prevista dalla l. 47/2015[1] è l’occasione per tornare a riflettere sull’uso delle misure cautelari, anche in relazione alla riforma del processo penale di recente approvato in via definitiva dalla Camera dei deputati il 10 luglio scorso (d.d.l. S. n. 808)[2].

Approvata in esito alle scosse di assestamento prodotte dalla nota sentenza Torreggiani della Corte EDU del 2013, la legge 47/2015 si è proposta di riformare organicamente parti qualificanti il procedimento che culmina con l’emissione delle ordinanze cautelari, aspirando a conferire alle stesse l’effettiva residualità imposta dai principi di cui agli artt. 13 e 27, comma 2 Cost. e 5 CEDU[3].

La relazione relativa all’anno 2023 conferma una tendenza in atto già da qualche tempo. Rispetto al 2018, infatti, il numero delle misure cautelari emesse è calato del 15%, assestandosi sulle 81 mila circa. Nello specifico, le misure detentive costituiscono il 55% del totale, distinte tra arresti domiciliari con e senza braccialetto (24,3%) e custodiali ex artt. 285-286 c.p.p. (31,1%). Nel 2017, i dati erano qualitativamente differenti: su un minore numero di misure complessive (74.705), l’incidenza di quelle detentive era però molto superiore, assestandosi al 66,7%. L’aumento quantitativo dal 2017 al 2018 (+ 10% circa) può forse spiegarsi con l’entrata in vigore della l. 103/2017, che ha aumentato le pene edittali di reati a elevata incidenza cautelare (artt. 624-bis, 628, 629 c.p.).

L’ultima relazione, dunque, testimonia come il sistema si sia stabilizzato su grandezze costanti. La curva è, anzi, semmai in lieve diminuzione. Non soltanto come dato complessivo (82 mila misure cautelari nel 2023, a fronte delle oltre 95 mila del 2018), ma anche in termini di incidenza percentuale della misura custodiale rispetto al totale (30,2% attuale rispetto al 33,4% di sei anni prima, pari al -10%). Inoltre, se nel 2018 il 59% circa delle misure cautelari genetiche era di tipo detentivo (artt. 284-286 c.p.p.), attualmente il valore è sceso al 54%.

I dati riportati meriterebbero di essere letti insieme a quelli (di ben più difficile reperimento) afferenti al controllo esercitato dal tribunale del riesame sull’ordinanza genetica. Non è tuttavia agevole rintracciare dati inerenti al tasso di efficacia del controllo demandato al tribunale del riesame, difettando studi statistici – anche aggregati – di pronta consultazione. Ciò che qui si propone è una proiezione nazionale di quelli tratti dal bilancio di responsabilità sociale 2019-2020 del Tribunale di Milano[4]. Nel triennio preso in esame, il tribunale del riesame milanese ha provveduto su 1.984 richieste ex art. 309 c.p.p. Gli esiti sono importanti: nel 19% dei casi si ha una conclusione migliorativa per l’indagato, mentre l’inammissibilità e la conferma incidono per l’81% circa. La tendenza a confermare il giudice della cautela pare, dunque, in leggero rialzo rispetto a un analogo studio condotto qualche anno prima, da cui emergeva che il tasso di incidenza in melius del tribunale del riesame fosse intorno al 30%[5].

A uno sguardo d’insieme, pur tenuto conto della denunciata scarsezza dei dati afferenti al riesame, il sistema normativo che presiede all’applicazione della misura cautelare sembra reggere piuttosto bene al controllo del giudice superiore.

 

2. Consapevole di ciò, un legislatore diligente – che non si pieghi cioè alle raffiche del contingente e sia conscio del fatto che, per quanto il procedimento che culmina nell’esercizio del potere cautelare possa essere oggetto di migliorie, difficilmente si giungerà ad azzerare il rischio di errore e di ingiusta detenzione – prima di intervenire sulla sequenza indicata dovrebbe porsi una serie di domande: il sistema di garanzie approntate è effettivo? i diritti dell’indagato sono sufficientemente tutelati dal pronto intervento di quattro giudici? i giudici chiamati a emettere l’ordinanza e a controllarla sono sufficientemente distaccati dalla conduzione dell’indagine? è adeguato il punto di equilibrio tracciato tra, da un lato, la tutela dei diritti inviolabili della persona indagata e, dall’altro, le esigenze di pronto accertamento dei reati e di difesa sociale? Se a uno o più di questi interrogativi dovesse dare risposta negativa, il dubbio conseguente involgerebbe il come e il dove intervenire.

Nella riforma recentemente approvata, viceversa, è forte il timore che nessuno si sia posto queste domande, né si sia confrontato con l’esperienza del tribunale del riesame. Eppure, è avanzata in modo assertivo la certezza che la presunzione di non colpevolezza non sia, allo stato, sufficientemente tutelata e la libertà personale dell’individuo sia troppo facilmente oggetto di restrizione ante iudicium.

I dati numerici sopra esposti dovrebbero, invece, suggerire se non perplessità almeno cautela di fronte al cd. d.d.l. Nordio. Muovendo dalla ritenuta urgenza di implementare la tutela della presunzione di non colpevolezza dell’indagato attinto da una richiesta di applicazione di misura cautelare, il legislatore ha reputato necessario mettere mano al cuore del Libro IV modificando gli artt. 291 e 292 c.p.p.

Cogliendo e sviluppando alcune sollecitazioni provenienti da parte della dottrina, già prospettate in fase di lavori preparatori per il nuovo codice, lì accantonate e riprese un decennio più tardi[6], il legislatore è persuaso che la sequenza che culmina con la stabilizzazione dell’ordinanza cautelare, rispondente alla struttura “richiesta – emissione – interrogatorio – eventuale riesame”, nonostante sia stata avallata dalla Corte costituzionale[7] e non sia contraria alla CEDU[8], sia in realtà scarsamente utile per il destinatario dell’atto. Ciò in ragione, primariamente, dello scarso appeal rivestito dall’interrogatorio di garanzia di cui all’art. 294 c.p.p.

Addirittura, saremmo dinnanzi a una «garanzia apparente», a un «orpello normativo ormai buono solo per ragioni... culturali», che la prassi ha relegato all’«assoluta sterilità di una norma condannata... al limbo dell’inefficacia». Pure ammettendo l’inesistenza di dati statistici sui quali ragionare, secondo parte della dottrina assurgerebbe a convincimento diffuso tra la classe forense che «in trent’anni a stento sia rintracciabile una sola ipotesi di revoca o attenuazione della misura cautelare a seguito di interrogatorio di garanzia», autentica «garanzia canzonatoria» per l’indagato ristretto[9].

Gli argomenti addotti a supporto della ritenuta limitata effettività dell’interrogatorio di cui all’art. 294 c.p.p. sono noti e non tutti esagerati come invece – ci pare – i giudizi che se ne traggono. L’indagato giunge all’interrogatorio davanti al “suo” giudice sulla scorta di un compendio investigativo formato quasi sempre e per lo più da atti raccolti unilateralmente dall’inquirente, magari all’esito di indagini complesse. Questa supposta anomalia, foriera di ingiustificate disparità di trattamento tra le parti (sic), è alla radice di ricadute negative a cascata, tra cui: la partecipazione del p.m. è facoltativa (e la prassi insegna che raramente l’inquirente si presenta); l’inesistenza di un obbligo per il giudice di emettere un motivato provvedimento all’esito dell’interrogatorio, per il solo avere sentito l’indagato; la disciplina dei termini può rivelarsi eccessivamente penalizzante per l’indagato, tale da non permettergli di approntare un’utile strategia difensiva[10].

Soprattutto, è lo stesso contraddittorio instaurando, per sua natura, a connotarsi per fragilità. In dottrina è stato evidenziato come, da un lato, vi sono il p.m. che ha investigato per mesi, se non per anni e il giudice che ha lavorato alla stesura della misura, che dunque conosce in ogni dettaglio il fascicolo processuale; dall’altro, è l’indagato, «sconvolto dalla frattura psicologica dell’entrata» in carcere, in marcata posizione di debolezza tanto psicologica[11] quanto tecnico-giuridica, non avendo quasi mai la concreta possibilità di addurre prove a discarico[12]. Su queste basi, non stupisce che il d.d.l. Nordio sia stato salutato con entusiasmo, più o meno contenuto[13].

 

3. Il cuore della riforma approvata in via definitiva dal Parlamento è, dunque, individuato nell’anticipazione del momento in cui l’indagato è posto a contatto con il giudice investito di una domanda cautelare. La sequenza diverrebbe “richiestainterrogatorio di garanzia eventuale applicazioneeventuale riesame”.

A chi scrive pare che la riforma assuma per scontato un dato che tale non è e cioè che la semplice anticipazione del contraddittorio garantirebbe, a parità di soddisfacimento delle contrapposte esigenze pure di primario rilievo costituzionale, forme di tutela della libertà personale maggiori a quelle che lo schema attuale è in grado di assicurare. Certo non si ignorano le differenze, poiché negli intenti riformatori il contraddittorio anticipato mirerebbe proprio a evitare in radice l’applicazione di una cautela che oggi sopraggiunge a sorpresa. È però da chiedersi se sia sufficiente un’operazione di spostamento dei mobili nella stanza per raggiungere l’obiettivo o, piuttosto, se non ci si trovi di fronte a una norma manifesto, dal sapore propagandistico. Inoltre, come si è evidenziato, attualmente 1 indagato su 2 si presenta all’interrogatorio in stato detentivo (1 su 3 in stato custodiale) e il tasso di risposta del tribunale del riesame non pare mettere in luce forme massive di erroneo utilizzo dello strumento cautelare da parte del p.m. e del g.i.p.

La novella si propone di inserire nel corpo dell’art. 291 c.p.p. un nuovo comma 1-quater che delimita in negativo l’ambito di applicazione del nuovo istituto. Il giudice non procede all’interrogatorio in via anticipata qualora «sussista» una delle esigenze di cui all’art. 274, lett. a) e b) c.p.p., rispetto alle quali l’intento di evitare una loro vanificazione da parte dell’indagato è in re ipsa, giudicando come necessario il mantenimento dell’intervento a sorpresa[14].

Chi scorge il rischio di un aggiramento del contraddittorio anticipato evidenzia come al PM sarebbe sufficiente «la mera prospettazione», financo pretestuosa o stereotipata, di uno dei citati pericoli e auspica una rimodulazione della norma che esplicitasse che è il giudice a dovere ritenere sussistente taluna delle esigenze ostative[15]. Il paventato timore ci pare infondato, dal momento che sono senz’altro il giudice e la sua valutazione il termine di riferimento per attivare o escludere il contraddittorio riformato e ciò tanto nell’ipotesi in cui il p.m., superficialmente o pretestuosamente, alleghi pericoli ostativi in realtà inesistenti, quanto nell’ipotesi opposta il cui il giudice ravvisasse un periculum libertatis diverso da quello prospettato dal p.m.: nel primo caso, il giudicante farà notificare l’invito di cui all’art. 291, comma 1-sexies c.p.p.; nel secondo, provvederà inaudita altera pars[16].

L’interrogatorio riformato non si terrà neppure qualora ricorra, nei termini di cui sopra, l’esigenza di cui alla lett. c) dell’art. 274 c.p.p., soltanto laddove si proceda in ordine ai delitti di cui agli artt. 407, comma 2, lett. a) e 362, comma 1-ter c.p.p. o in relazione «a gravi delitti commessi con uso di armi o con altri mezzi di violenza personale». Tale ultima locuzione è «del tutto indeterminata»[17] e vanamente se ne è auspicata una migliore e più stringente formulazione; i reati di cui ai citati elenchi suscitano perplessità.

In dottrina è stata criticata tanto la scelta di ricorrere al rinvio (mobile) ai due articoli, nati e alimentati per scopi affatto diversi da quello odierno, anziché all’art. 275 c.p.p.[18], quanto l’effetto finale. Unanime è il giudizio che, per tale via, il nuovo istituto avrebbe uno spazio applicativo molto ristretto, peraltro limitato ai «reati di minore gravità»[19]. In effetti, è evidente che la gravità del reato, intesa quale pena edittale nel massimo, non costituisca criterio guida nella scelta del legislatore. Il rinvio agli artt. 407 e 362 c.p.p. permette invero di escludere dal contraddittorio anticipato una gamma ristretta (e stereotipata) di delitti[20]. Tra questi, i principali – sia per allarme sociale, che per frequenza statistica – sono i delitti consumati o tentati di cui agli artt. 575 e 628 e 629 c.p. (questi ultimi, solo se aggravati), l’associazione mafiosa e i delitti orbitanti nell’alveo di cui all’art. 416-bis c.p., i delitti di cui agli artt. 73, ma limitatamente alle ipotesi aggravate ex art. 80, comma 2, e 74 d.p.r. 309/1990 e i reati di cui agli artt. 609-bis (se aggravato), 609-quater e octies c.p., oltre ai delitti ascrivibili al cd. codice rosso.

Si tratta di ipotesi diversissime tra di loro[21], connotate da profili di così marcata eterogeneità da alimentare il sospetto che l’unico criterio che muove il legislatore sia l’arbitrio, con prevedibili tensioni sotto il profilo della tenuta costituzionale in relazione all’art. 3.

Che la pena edittale non sia il criterio prescelto dal riformatore è evidente se si volge lo sguardo ai reati rispetto ai quali l’interrogatorio anticipato sarebbe, invece, applicabile: furti (aggravati), rapine ed estorsioni (semplici), art. 73 d.p.r. 309/1990, art. 2 e 8 d.lgs. 74/2000, reati di bancarotta, la galassia dei reati contro la pubblica amministrazione (artt. 314, 317, 318, 319, 319-ter, 319-quater), taluni delitti di cui al d.lgs. 286/1998 (tra cui, l’art. 12, comma 3). In breve, una congerie altrettanto eterogenea, afferente a fenomeni criminosi del tutto differenti gli uni dagli altri, puniti con sanzioni diversissime (taluni con pene doppie rispetto a ipotesi contemplate negli elenchi derogatori).

Da questa scelta emerge il timore che il legislatore si sia affidato ai noti elenchi perché in quelli, forse non casualmente, non vi figurano reati rispetto ai quali, per davvero, da taluni è avvertita l’esigenza di evitare l’applicazione della misura cautelare. In ciò, andando a consolidare un’anomalia tutta italiana. La percentuale dei detenuti che sconta una pena per reati economico-finanziari, tra cui quelli contro la pubblica amministrazione, in Italia è pari allo 0,9%, a fronte del 10,8% in Germania, del 3% in Francia e del 5,1% in Spagna, del 3,9% in media in Europa[22]. Sono dati rilevanti, se si riflette sul fatto che a breve saranno dieci anni dagli ultimi inasprimenti sanzionatori che hanno interessato la concussione e l’induzione indebita[23]. Le statistiche sospingono l’interprete a rilevare che, a dispetto delle pene comminate, di fatto – per taluni reati e imputati – vi sia uno scarsissimo rischio detentivo; con la riforma diminuirebbe fino ad azzerarsi anche il connesso rischio cautelare.

Per tale via, inoltre, a fronte di un garantismo di maniera[24], l’esclusione dall’ambito applicativo del rinnovato contraddittorio dei reati (asseritamente) più gravi determinerebbe un andamento affatto singolare dell’apparato di garanzie a presidio della libertà personale: per i delitti più lievi, puniti con pena inferiore alle soglie di cui all’art. 280 c.p.p., vi è la negazione in radice del potere cautelare; per quelli intermedi (puniti con pene superiori ai cinque anni, ma esclusi dagli elenchi speciali), vi è la predisposizione delle massime tutele possibili; per i reati puniti con le pene più alte (o ritenuti di massimo allarme sociale, nonostante le pene non giungano ai più alti livelli), invece, si opta per la sterilizzazione dell’istituto qui in commento[25]. Così trova conferma una stravagante interpretazione a geometrie variabili delle garanzie dell’individuo che, viceversa, dovrebbero irrobustirsi all’aumentare della gravità del reato di cui è la persona è incolpata[26].

 

4. La formulazione tecnica del testo della riforma alimenta anche dubbi di natura più squisitamente procedurale. Secondo parte della dottrina, nel testo uscito dall’esame delle Camere rimarrebbe irrisolto il profilo inerente ai modi mediante i quali ottenere la presenza, davanti al giudice, del soggetto da interrogare. Il tema è così delicato da avere indotto, in passato, ad abbandonare l’istituto in esame per le tensioni che avrebbe senz’altro creato con l’art. 13 Cost. una qualunque forma di limitazione della libertà personale dell’indagato strumentale ad assicurarne la presenza in un’udienza in cui si discuta della sua futura restrizione ante iudicium.

Le ipotesi nel tempo avanzate – il fermo di indiziato di delitto (adoperabile però per alcuni delitti soltanto, al ricorrere di presupposti tipici quale il pericolo di fuga che tuttavia, nel progetto di riforma, permetterebbe di non attivare il contraddittorio anticipato, adottato con decreto motivato del p.m. e oggetto di convalida del g.i.p. entro termini rigidi e perentori) e l’accompagnamento coattivo (per il quale sarebbe auspicabile una riscrittura del laconico art. 132 c.p.p. per meglio specificare i “casi e i modi” di esercizio del relativo potere) – non persuadono. A parere di chi scrive, infatti, si tratta di operazioni di cosmesi che rischiano di fare rientrare dalla finestra ciò che si è voluto fare uscire dalla porta. Essi, infatti, finirebbero per annacquare la garanzia che si introduce: se il legislatore ritiene opportuno che l’indagato si presenti al giudice della cautela da libero, per discutere da libero la permanenza del proprio status libertatis, che tale resti fino all’adozione dell’eventuale ordinanza cautelare. Naturalmente, con i rischi associati a questa condizione ove sussistano esigenze cautelari realmente attuali e concrete: è il legislatore che mostra di reputare adeguata l’allocazione di questo pericolo sulla collettività, anziché sull’individuo incolpato. L’esigenza di invitare l’indagato a rendere interrogatorio libero, ma contestualmente disporne una qualche forma di restrizione precautelare, sia pure con gradazioni variabili, è un controsenso difficile da accettare se non in un’ottica di compromesso al ribasso.

Secondo il testo in commento, il giudice dovrà inviare un invito a presentarsi alla persona sottoposta all’indagine e al suo legale. L’invito deve contenere, tra l’altro, la sommaria descrizione dei fatti, comprensiva della data e luogo di commissione dei reati (comma 1-septies lett. c), l’avviso di deposito della richiesta cautelare e degli atti presentati a supporto, comprensivo della facoltà di prendere visione ed estrarre copia di tutti gli atti depositati, «ivi compresi i verbali delle comunicazioni e delle conversazioni intercettate, con diritto alla trasposizione delle relative registrazioni su supporto idoneo alla riproduzione dei dati» (comma 1-octies). Se non manca l’avviso della facoltà di accedere ai programmi di giustizia riparativa, il legislatore non ha invece introdotto l’avvertimento più qualificante la novella, concernente cioè l’informazione in merito alle conseguenze connesse alla mancata comparizione: se l’indagato non si presenta, senza che ricorra un giustificato motivo e il giudice ritiene le ricerche esaurienti, si procederà ad assumere la decisione inaudita altera pars[27].

L’invito deve essere notificato alla persona sottoposta alle indagini e al suo difensore almeno cinque giorni prima della data stabilita, salvo sussistano ragioni d’urgenza tali per cui il giudice ritenga di abbreviare il termine, ma in misura tale che deve essere comunque garantito il tempo necessario per comparire. Si tratta di una disciplina scarna, che sembra persino contraddire le finalità perseguite dal legislatore: cinque giorni di preavviso minimo può risultare un termine oltremodo modesto, soprattutto nei procedimenti più complessi, quali quelli plurisoggettivi o afferenti a una gran mole di atti da visionare, leggere e assimilare. Il termine, inoltre, può essere anche ridotto se il giudice ritiene esistenti non meglio precisate «ragioni d’urgenza», purché sia garantito uno spatium deliberandi minimo, ma flessibile, per comparire. Ridotto al suo elemento nucleare, allora, il contraddittorio anticipato può assottigliarsi sino a garantire una mera comparizione davanti al giudice, con svuotamento di parte del proprio portato.

Non convince neppure la mancata presenza necessaria del difensore, pure destinatario dell’invito a comparire[28].

Inoltre, il d.d.l. non prevede un termine per l’emissione dell’ordinanza cautelare da parte del giudice. Ciò induce a ritenere che, medio tempore, l’indagato rimanga certamente in stato di libertà.

È poi interpolato anche l’art. 292, comma 2-ter c.p.p., ove viene previsto che di quanto emerso nel corso dell’interrogatorio il giudice debba tenere conto nella motivazione dell’ordinanza applicativa sotto pena di nullità della stessa ove difettasse «una specifica valutazione degli elementi esposti dalla persona sottoposta alle indagini nel corso dell’interrogatorio». Altre cause di nullità sono previste dall’art. 292, comma 3-bis c.p.p., in relazione ai casi in cui l’ordinanza non è preceduta dall’interrogatorio ove doveroso e «per violazione delle disposizioni di cui ai commi 1-septies e 1-octies» o ancora per la violazione delle disposizioni che disciplinano il contenuto dell’invito a comparire. Si reitera il vezzo di credere che il tasso garantistico di una disposizione sia in proporzione diretta con il numero delle nullità previste o con la ridondanza delle prescrizioni formalistiche.

 

5. Eppure, al di là delle smagliature che il testo licenziato dal Parlamento evidenzia, altro è il difetto di proposte di questo tipo. Infatti, a una tecnica legislativa non puntuale sarebbe stato possibile porre rimedio, ma in presenza di vizi intrinseci gli istituti sono condannati a mal funzionare, con il rischio di alimentare una spirale deleteria che non si fatica a intravedere in controluce: tra qualche tempo, si prenderà atto che neppure il contraddittorio anticipato avrà centrato l’obiettivo di tutelare la presunzione di non colpevolezza nei termini attesi, men che meno sarà stato in grado di impedire l’emissione di una misura cautelare che poi, all’esito del giudizio, non abbia trovato conferma in una sentenza di condanna.

Per chi osserva il fenomeno con obbiettività, le ragioni sono intuibili. Costituisce acquisizione consolidata in dottrina quella secondo cui non è possibile desumere dall’art. 111, comma 2 Cost. più di quanto lo stesso offra. Il concetto di parità delle parti, infatti, deve essere filtrato nell’ottica funzionalistica della “parità delle armi”, prendendo le distanze da un egualitarismo formalistico tra le parti processuali[29]. Le posizioni dei protagonisti del processo e, specularmente, i loro poteri, mutano al variare delle fasi procedimentali e pretendere un’autentica eguaglianza formale tra le stesse, a prescindere dal contesto, è operazione priva di senso. Il divario di “armi” è, dunque, del tutto fisiologico nella fase di indagine, è per di più ineliminabile e deriva dall’attribuzione al p.m. di precisi poteri-doveri investigativi che inevitabilmente lo pongono su un piano superiore a quello dell’indagato[30].

Nello specifico, nella fase in cui statisticamente è più frequente il ricorso alla misura cautelare, cioè le indagini preliminari, «è impossibile qualunque specularità tra i contendenti»[31]. Il proficuo esercizio del diritto di difesa, mediante l’instaurazione di un effettivo contraddittorio davanti al giudice, postula infatti che le parti godano di talune condizioni di contesto e preparatorie e perché la loro posizione sia funzionalmente paritaria (o il più possibile tale) non basta che l’uno conosca «l’oggetto della contesa [...] la posizione e gli argomenti dell’altro»[32]. Una strategia difensiva che volesse andare oltre la negazione dei presupposti riscontrati nell’ordinanza cautelare dovrebbe, infatti, poter allegare elementi di conoscenza reputati utili e previamente ricercati. In breve, dovrebbe potere difendersi ricercando e provando.

Se è innegabile che, in sede di interrogatorio di garanzia, la difesa può dirsi al corrente degli «argomenti» spesi dal p.m., è però incontestabile il rischio che si presenti a quell’appuntamento sfornita di adeguate “armi”. Giocano contro l’indagato cautelato/cautelando troppi fattori: lo sviluppo dell’inchiesta a sua insaputa (il più delle volte); la conduzione della stessa per un lasso temporale che può essere cospicuo; l’effetto sorpresa patito dall’indagato e, anzi, talvolta ricercato dall’inquirente per massimizzare i risultati investigativi (accade nella prassi che l’esecuzione della misura cautelare sia accompagnata dall’attivazione di intercettazioni, anche ambientali, o da attività di perquisizione, sia domiciliare che informatica); la brevità del termine assegnato dall’art. 294 c.p.p. alla difesa, connessa alla possibilità di differimento dell’interrogatorio soltanto in caso di assoluto impedimento.

I citati elementi fanno sì che quel contraddittorio non possa essere equiparato al contraddittorio – inteso quale «elemento nucleare della giurisdizione»[33]che si instaura in sedi a vocazione più propriamente processuale. Attenta dottrina ha lamentato la «permanente carenza di effettività»[34] che affligge i diritti dell’imputato colpito da un’ordinanza restrittiva della libertà personale, ma se da un lato questa ineffettività non pare emergere ictu oculi dalla qualità del controllo operato dal riesame, dall’altro è indimostrato che, in virtù dell’anticipazione del contraddittorio rispetto all’adozione della misura, si possa colmare il lamentato deficit di effettività senza rischiare una singolare eterogenesi dei fini. Approvata la riforma, infatti, permarrebbero intatte alcune caratteristiche dell’atto:

  • l’interrogatorio continuerebbe a collocarsi all’esito della fase di indagine condotta in segretezza dall’inquirente, per un arco temporale potenzialmente molto lungo;
  • l’effetto sorpresa, per quanto attenuato, non sarebbe eliso;
  • la partecipazione del p.m. continuerebbe a essere facoltativa;
  • il rapporto duale che si instaura tra indagato e giudice fa sì che l’atto mantenga un’esclusiva vocazione difensiva, piuttosto che di vera e propria attuazione del contraddittorio[35];
  • il termine di preavviso fissato in cinque giorni e l’assenza di chiedere un differimento dell’atto in presenza di «giustificati motivi» (come nel caso di cui all’art. 309, comma 9-bis c.p.p.).

Inoltre, è altrettanto indimostrato che la pressione psicologica che oggi affligge l’indagato cautelato – dando per scontato, con enfasi, che si tratti di misura di tipo custodiale, anche se nel 70% circa dei casi l’indagato che si presenta all’interrogatorio di garanzia è destinatario di misura non carceraria – verrebbe meno qualora egli sia soltanto invitato a rendere interrogatorio prima della decisione. È stato infatti correttamente rilevato che la sola citazione a comparire in un’udienza dal cui esito dipenderà il permanere o meno della libertà personale dell’indagato «potrebbe condurre all’eliminazione del diritto al silenzio»[36], inducendo l’incolpato – per il solo fatto di trovarsi in quel luogo, per quelle ragioni, davanti a quel giudice – a forme di collaborazione a scopo confessorio tese a evitare una misura, se non predisposta, quantomeno già valutata dal g.i.p.

La difesa tecnica è infatti presidio garantistico che tende a irrobustirsi, acquisendo spessore, solo con il progredire dell’iter, necessitando di tempi e spazi di intervento incompatibili con unità di misura declinabili in ore o giorni e dunque non stupisce che la qualità della stessa, nelle primissime battute del procedimento, sia minore, ove non addirittura marginale.

Tuttavia, occorre guardarsi dalla tentazione di “ingigantire” il contraddittorio precedente alla decisione cautelare, perché è evidente il rischio di ipotecare la sorte del giudizio: più la decisione cautelare viene assimilata alla sentenza, pronunciata cioè all’esito di un momento di contraddittorio tra le parti, entrambe poste in grado di spendere argomenti ed elementi di prova a supporto delle proprie tesi davanti a un giudice terzo, più l’ordinanza cautelare che dovesse, ciononostante, applicare la cautela acquisirebbe il peso – che non le è proprio – di un’autentica anticipazione di condanna.

Il tutto verrebbe acuito dalla circostanza che nel d.d.l. Nordio non vi è traccia di modifica alla procedura di riesame. Eppure, che senso avrebbe mantenere lo stesso riesame – pensato quale primo momento di pieno contraddittorio davanti a un giudice terzo e imparziale – se simile condizione viene ora preassicurata? Se il collegio dovesse confermare la decisione del g.i.p., quale sarebbe il peso di questa doppia conforme sul giudice del dibattimento? Attivato non più «al buio» dall’imputato, ma in esito al contraddittorio sui presupposti, il mezzo dovrebbe allora essere strutturato come giudizio critico a devoluzione limitata, più selettivo ed «economico» di un giudizio a devoluzione totale, mentre le scansioni temporali potrebbero essere anche meno stringenti, così come potrebbero essere allentati i limiti all’attività istruttoria del tribunale[37], non risultando più incompatibili con le cadenze «forzate» del controllo[38].

 

6. In un’ottica di sistema occorre avere chiaro il modo in cui le parti si presentano all’interrogatorio davanti al giudice. La riforma in commento muove da una considerazione forse ingenua, quella cioè che basti l’innesto di un confronto dialettico purchessia tra indagato e giudice, per conseguire di per sé un innalzamento del tasso di garanzie per l’individuo. Id est, la diminuzione quantitativa del ricorso allo strumento cautelare.

Vi sono valide ragioni per nutrire scetticismo. L’ottica cui accede il legislatore è esplicitata nella relazione al d.d.l. (pag. 5) laddove si apprende che l’obiettivo perseguito è quello di evitare «un effetto dirompente sulla vita delle persone di un intervento cautelare» adottato inaudita altera pars, senza cioè «possibilità di difesa preventiva».

Il paragone con il giudizio e la sentenza si rafforza sempre di più. La fase classica in cui il contraddittorio precede la decisione giurisdizionale foriera di possibili effetti negativi sulla vita delle persone è il giudizio e il dibattimento in particolare. È quello il principale momento processuale in cui è garantito tra le parti un pieno, autentico contraddittorio davanti a un giudice terzo e imparziale chiamato a decidere il merito della causa. Tuttavia, lì sono garantite anche condizioni psicologiche – circa la figura del giudicante – del tutto irripetibili in fase cautelare: il giudice del dibattimento, infatti, conosce se non nulla, davvero molto poco (artt. 431, 432 c.p.p.) della vicenda prima dell’istruzione, vede e sente personalmente la prova formarsi davanti a sé, assiste alla dialettica processuale tra le parti, libere di controesaminare i testimoni altrui e addurre prove a sostegno dei propri argomenti.

Questo pesante impianto è assente nel contesto di cui all’interrogatorio di garanzia pure riformato. A quell’appuntamento, infatti, si presenta un giudice che ha piena conoscenza del fascicolo del p.m. e, se è innegabile che «il giudice non potrebbe avere l’ordinanza in tasca, non foss’altro che per il fatto che deve tener conto delle risultanze dell’interrogatorio»[39], è altrettanto evidente che questo elemento lo colloca in una dimensione cognitiva distante da quella in cui si trova il suo omologo a giudizio. D’altronde, dal momento che egli ha disposto la notifica all’indagato dell’invito a comparire, significa che ritiene sussista, allo stato, sufficiente materia per applicare la misura cautelare; altrimenti, avrebbe senz’altro provveduto a un rigetto de plano della domanda del p.m., esito di certo ammissibile e forse doveroso senza attivare la complessa procedura in commento.

L’indagato, inoltre, comparirà per un interrogatorio, non in udienza. Può sembrare una differenza di poco conto, ma ciò implica che la conduzione dell’interrogatorio è rimessa al giudice che, necessariamente, deve conoscere la materia di cui tratta. Questo giudice, che dunque arriva all’appuntamento conoscendo già il compendio investigativo d’accusa, inoltre, non ha il potere di acquisire direttamente nessuna prova (orale o tecnica), né può permettere all’indagato di controesaminare le persone informate sui fatti sentite in indagini. Ed è corretto che sia così, pena la trasformazione surrettizia del g.i.p. in un erede del giudice istruttore con il ritorno in scena di sempre nuovi-antichi problemi. Uno su tutti: la prova acquisita davanti a un giudice finirebbe inevitabilmente ad arricchire il fascicolo del dibattimento, con evidenti rischi di indebolimento dei principi che informano il giudizio.

La dottrina che per prima si è occupata della proposta di legge in esame ci pare abbia confermato l’improprio parallelismo con il contraddittorio dibattimentale. È stato infatti auspicato il rispetto del «principio di immediatezza» tra il giudice che conduce l’interrogatorio e colui che, nel parimenti riformato organo collegiale chiamato a decidere sulla richiesta di custodia cautelare in carcere, dovrà assumere la decisione[40]; è stata invocata una profonda riforma delle indagini difensive poiché, se non adeguatamente implementato il «diritto di cercare e addurre prove a discarico», per l’indagato «il nuovo contraddittorio ante cautela è destinato ad una sostanziale irrilevanza»[41]; ci si è doluti del regime troppo angusto dei termini di comparizione, ritenuti incompatibili con l’esigenza di approntare un’adeguata strategia difensiva e di ricercare fonti di prova da presentare al giudice[42].

Immediatezza, diritto di difendersi provando, adeguato termine per preparare la strategia difensiva e contraddittorio precedente la decisione costituiscono però gli elementi del giudizio vero e proprio, al quale l’incidente cautelare tenderebbe sempre più a somigliare. Se ciononostante la misura venisse comunque emessa, quale sarebbe l’utilità residua del dibattimento?

Vi sono ottime ragioni, in conclusione, per augurarsi che le spinte centrifughe di cui il d.d.l. Nordio è pervaso trovino un adeguato freno, perché il rischio è di snaturare definitivamente la vicenda cautelare, facendole assumere (anche nella percezione sociale[43]) il valore di unica fase che conta, alimentando il costante arretramento del baricentro processuale: dalla fase «che non conta e non pesa»[44], a un autentico pre-giudizio.

 

 

 

 

[2] Testi e dossier in Sist. pen., 3 agosto 2023

[3] Cfr. Aa.Vv., La riforma delle misure cautelari personali, a cura di L. Giuliani, Torino, 2016.

[5] M. Ceresa-Gastaldo, Riformare il riesame dei provvedimenti di coercizione cautelare, in Riv. dir. proc., 2011, p. 1179.

[6]  Aa.Vv., G.i.p. e libertà personale. Verso un contraddittorio anticipato, Atti dell’incontro di studio, Firenze, 7 maggio 1996, Napoli, 1997.

[7] Corte cost., sentenza 8 marzo 1996, n. 63, in Il Foro italiano, 1997, parte I, p. 2021.

[8] G. Angiolini, Il diritto alla libertà e alla sicurezza, in Profili di procedura penale europea, a cura di M. Ceresa-Gastaldo e S. Lonati, 2a ed., Milano, 2023, p. 265-267.

[9] Le citazioni sono tratte da C. Valentini, Com’è difficile trovare l’alba dentro l’imbrunire: note sparse sul futuribile interrogatorio ante cautela, in Arch. pen., 2023, 3, p. 2-3.

[10] Si v. quell’orientamento di legittimità che rimanda alla valutazione del giudice il controllo circa la lesione in concreto dei diritti della difesa in esito a una fissazione troppo immediata dell’interrogatorio. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 26343 del 24/07/2020 Cc. (dep. 21/09/2020), in CED Cass., n. 279652; Cass. Sez. 5, Sentenza n. 722 del 26/10/2021 Cc. (dep. 12/01/2022), ivi, n. 282466. Spesso però le sentenze negano la lamentata violazione, anche in casi eclatanti, motivando sulla scorta del fatto che l’avviso di fissazione dell’interrogatorio era stato notificato al difensore ventiquattro ore prima, che l’adempimento si sarebbe svolto in località raggiungibile anche con l’aereo, senza che sia stato richiesto un motivato differimento dello stesso da parte della difesa.

V. tuttavia C. EDU, 6 novembre 1988, Brogan e altri c. Regno Unito. La Corte ha ritenuto violato l’art. 5, par. 3, nella parte in cui prescrive che l’arrestato debba essere condotto davanti a un giudice «al più presto», in un caso in cui l’autorità giudiziaria aveva fissato la comparizione dell’indagato arrestato a quattro giorni e sei ore dall’applicazione della misura cautelare.

[11] A. Marandola, Troppi dubbi sulle garanzie dell’interrogatorio cautelare anticipato, in questa Rivista, 10 maggio 2024, p. 2.

[12] C. Valentini, Com’è difficile trovare l’alba, cit., p. 3 e 6.

[13] C. Valentini, Com’è difficile trovare l’alba, cit., p. 4, parla di autentica «rivoluzione copernicana» e di «vera misura di civiltà» che finalmente «entrerebbe nel nostro ordinamento», sul presupposto che fino a oggi, evidentemente, i giudici abbiano ristretto la libertà personale dell’individuo sulla base di un sistema normativo incivile.

Su posizioni più caute è G. Illuminati, Le modifiche al processo penale nel d.d.l. Nordio: una prima lettura, in Riv. it. dir. proc. pen., 2024, 3, p. 884-885. L’A. riconosce che si tratterebbe di norme di principio di per sé condivisibili, ma innestate a “colpi di maggioranza”, senza alcuno sguardo sistematico e organico, per lo più produttive di «modestissimi aggiustamenti» e, forse, dall’esito «controproducente» avuto riguardo al funzionamento complessivo delle indagini e del processo.

Più di recente, M. Gialuz, Le novità della “manovra Nordio” in materia processuale: quando l’ideologia rischia di provocare un’eterogenesi dei fini, in questa Rivista, 22 luglio 2024, in particolare p. 11 s.

[14] G. Illuminati, Le modifiche al processo penale, cit., p. 893, A. Marandola, Troppi dubbi, cit., p. 4.

[15] G. Colaicovo – G. Della Monica, L’anticipazione dell’interrogatorio di garanzia. Appunti sul d.d.l. Nordio, in Pen. dir. proc., 12 aprile 2024, p. 4 e A. Marandola, Troppi dubbi, cit., p. 4.

[16] Secondo Cass. Sez. 3, Sentenza n. 43731 del 08/09/2016 Cc. (dep. 17/10/2016), in CED Cass., n. 267935 il potere del giudice della cautela di ritenere sussistente un periculum libertatis diverso o ulteriore rispetto a quello indicato dal p.m. richiedente non viola il principio della domanda cautelare. Sul tema, in generale, E. Valentini, La domanda cautelare nel sistema delle cautele personali, Bologna, 2012, p. 190 s.

[17] G. Colaicovo – G. Della Monica, L’anticipazione dell’interrogatorio di garanzia, cit., p. 4.

[18] G. Colaicovo – G. Della Monica, op. ult. cit.

[19] Secondo G. Colaicovo – G. Della Monica, op. ult. cit., le eccezioni finiscono per «sovrastare la regola»; P. Bronzo, Brevi note sul “disegno di legge Nordio”, in quesat Rivista, 12 aprile 2024, p. 4; A. Marandola, Troppi dubbi, cit., p. 5; per G. Illuminati, Le modifiche al processo penale, cit., p. 893 la nuova «complessa procedura» troverà applicazione in «ipotesi tutto sommato marginali».

Non si condivide il giudizio circa un’applicazione a casi “marginali” perché, come si vedrà, l’area di applicazione fisiologica del contraddittorio anticipato è estesa e importante, sia per gravità dei reati (es. delitti contro la pubblica amministrazione) che per ricorrenza statistica (es. art. 73 d.p.r. 309/1990).

[20] Di diverso avviso, ci pare, M. Gialuz, Le novità della “manovra Nordio”, cit., p. 12, secondo cui l’applicazione del nuovo istituto dovrebbe avere «natura di eccezione molto limitata».

[21] A reati di competenza della corte di assise (artt. 600 s. c.p.) si affiancano ipotesi delittuose per cui procede il giudice monocratico (artt. 572, 612-bis c.p.); a reati puniti con pene ragguardevoli (reclusione superiore nel massimo a 20 anni) si accompagnano reati il cui massimo edittale si arresta tra i 6 e i 7 anni di reclusione.

[22] Dati ricavabili dal rapporto SPACE 2023, elaborato dal Consiglio d’Europa; appena tre anni fa, nel 2020, invece, il 3.5% dei detenuti era condannati per reati economici o finanziari, v. rapporto SPACE 2021 in Sist. pen., 1° luglio 2022.

[23] L. Pepino, Giustizia: nessuna riforma senza una grammatica condivisa, p. 5, il quale evidenzia che sempre più spesso si dà spazio a un’accezione di “garantismo” che implica «il rifiuto del processo», una sorta di «garantismo selettivo, che guarda le regole in base allo status sociale degli imputati proponendo, in sostanza, due codici distinti, quello “dei briganti” e quello “dei galantuomini”.

[24] Secondo M. Gialuz, Le novità della “manovra Nordio”, cit., p. 13 si è al cospetto di un «istituto bandiera al quale non crede sino in fondo neanche il legislatore».

[25] Così, lucidamente, P. Bronzo, Brevi note, cit., p. 5.

[26] Si v. di recente O. Mazza, Tornare al processo accusatorio: anfibolia della controriforma, in Dir. pen. proc., 2024, 4, p. 437.

[27] A. Marandola, Troppi dubbi, cit., p. 7.

[28] A. Marandola, Troppi dubbi, cit., p. 9.

[29] P. Ferrua, Il “giusto processo”, 3a ed., Bologna, 2012, p. 102.

[30] Così E. Lupo, Le garanzie di contesto: la parità tra le parti, in Leg. pen., 19 ottobre 2020, p. 21.

Sulla stessa direttrice, la dottrina e la Corte costituzionale. Si v. G. Giostra, Prima lezione sulla giustizia penale, Bari-Roma 2020, p. 97 e Corte cost., sentenza 30 luglio 2003, n. 286, in Giur. cost., 2003, p. 2333 e sentenza 26 febbraio 2020, n. 34, ivi, 2020, p. 286 ove si parla di ragionevole «dissimmetria tra le parti processuali».

[31] G. Giostra, Contraddittorio (principio del), II) Diritto processuale penale, in Enc. giur., IX, agg., 2001, p. 3.

[32] G. Giostra, Contraddittorio, cit., p. 1.

[33] G. Giostra, Contraddittorio, cit., p. 6.

[34] L. Giuliani, Autodifesa e difesa tecnica nei procedimenti de libertate, Padova, 2012, p. 163.

[35] Notava in merito all’art. 391, co. 3-bis c.p.p. P. Ferrua, La revisione del codice 1988: correzioni e integrazioni nel quadro della legge-delega, in Studi sul processo penale, II, Anamorfosi del processo accusatorio, Torino, 1992, p. 139 che «ogniqualvolta si affievolisce o declina la figura del pubblico ministero, subito giganteggia quella del giudice in veste di accusatore».

Sulla prioritaria vocazione difensiva dell’atto, si v. V. Grevi, agg. M. Ceresa-Gastaldo, Misure cautelari, in Compendio di procedura penale, a cura di M. Bargis, 8a ed., Padova, 2016, p. 404.

[36] A. Marandola, Troppi dubbi, cit., p. 9.

[37] Coltivando il recente principio reso da Cass. Sez. Un., Sentenza n. 15403 del 30/11/2023 Cc. (dep. 12/04/2024), in CED Cass., n. 286155

[38] M. Ceresa-Gastaldo, Riformare il riesame, cit., p. 1178.

[39] P. Bronzo, Brevi note, cit., p. 6.

[40] G. Colaicovo – G. Della Monica, L’anticipazione dell’interrogatorio di garanzia, cit., p. 8.

[41] C. Valentini, Com’è difficile trovare l’alba, cit., p. 6.

[42] C. Valentini, Com’è difficile trovare l’alba, cit., p. 5-6; A. Marandola, Troppi dubbi, cit., p. 8; G. Colaicovo – G. Della Monica, L’anticipazione dell’interrogatorio di garanzia, cit., p. 5.

È curioso evidenziare come si pervenga, per questa via, al completo sovvertimento dell’istituto. Nato e sviluppato, nel 1988, per garantire un immediato contatto tra indagato cautelato e “suo” giudice, l’interrogatorio di garanzia mirava a impedire patologie del tipo di quelle cristallizzate nel celebre film con Alberto Sordi, Detenuto in attesa di giudizio (1971). Di questa radice culturale vi è traccia anche nella CEDU, laddove l’art. 5, par. 3 evidenzia la medesima urgenza («Ogni persona arrestata o detenuta... deve essere tradotta al più presto dinanzi a un giudice... e ha diritto di essere giudicata entro un termine ragionevole o di essere messa in libertà durante la procedura»). A commento della proposta di legge in discussione si auspica, invece, un allungamento dei termini, a richiesta di parte, tale da garantire tutt’altre esigenze (di prova), tipiche del giudizio (artt. 111, comma 3 Cost., 6, par. 3, lett. b) CEDU).

[43] Si tratta infatti di una fase collocata a minore distanza dal fatto reato, più deformalizzata, produttiva di decisioni immediatamente efficaci. Questi elementi concorrono ad alimentare la diffusa percezione sociale che l’accertamento cautelare sia più affidabile, tempestivo ed efficace di quello condotto all’esito del giudizio, che magari interviene ad anni di distanza o quando la memoria del testimone può essere compromessa. Spunti in M. Nobili, L’immoralità necessaria, Bologna, 2009, p. 112

[44] M. Nobili, Diritti per la fase che “non conta e non pesa”, in Scenari e trasformazioni del processo penale, Padova, 1998, p. 34.