Scheda  
29 Ottobre 2024


La direttiva UE 2024/1712 sulla tratta di esseri umani. Un lungo percorso di revisione, con risultati controversi


David Mancini

Direttiva UE 2024/1712 del Parlamento europeao e del Consiglio del 13 giugno 2024 che modifica la direttiva 2011/36/UE concernente la prevenzione e la repressione della tratta di esseri umani e la protezione delle vittime


1. Il 23 aprile 2024, durante l’ultima riunione plenaria della precedente legislatura, il Parlamento dell’Unione Europea ha adottato il testo finale all’esito del processo di revisione della vigente direttiva anti-tratta.

Il successivo 13 giugno è stata approvata la direttiva UE 2024/1712[1], poi pubblicata il 24 giugno 2024 sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea, che modifica, ma non sostituisce, la direttiva 2011/36 in tema di prevenzione e contrasto alla tratta di esseri umani e di protezione delle vittime. Il testo di modifica è entrato in vigore il 14 luglio 2024 e a decorrere da tale data gli Stati membri hanno due anni di tempo per la trasposizione di essa all’interno del diritto nazionale.

Dunque, le disposizioni della direttiva 2011/36 vanno integrate con le specificazioni dalla direttiva 2024/1712, che non ha una funzione autonoma, ma servente rispetto alla 2011/36, mira a fornire una lettura più aggiornata dei fenomeni ed introduce misure specifiche, preventive, repressive e più in generale di governance. In sostanza, la direttiva 1712 rappresenta un quadro riepilogativo delle principali emergenze che nel corso degli anni recenti sono state affrontate dagli stakeholders e dalle istituzioni sovranazionali. In essa sono elencati una lunga serie di temi chiave, sui quali gli Stati membri dovranno intervenire per adeguare le proprie legislazioni nazionali.

Sono da accogliere con favore i progressi compiuti nella revisione della direttiva 36, attesa da lungo tempo. Comunque si è in presenza di un tentativo di adeguamento normativo e istituzionale alla realtà dei fenomeni in continua evoluzione, tanto quanto gli eventi geopolitici, economici, sociali e ambientali che ne costituiscono le cause. Vi sono molteplici aspetti positivi che recepiscono in parte le esigenze derivanti da anni di esperienza e di monitoraggio dei fenomeni, sempre più invasivi a fronte di risultati insufficienti in termini di identificazione delle vittime e conseguente assistenza e condanne ai trafficanti. Tuttavia, nel complesso, il testo legislativo finale dimostra una timidezza inadeguata alle necessità, come rilevato da più parti, pur se è vero che le peculiarità nazionali e gli stati di avanzamento delle prassi all’interno dell’Unione Europea sono estremamente diversificate.

L’incipit descrive la tratta di esseri umani come un reato grave, spesso commesso nell'ambito della criminalità organizzata, che contemporaneamente costituisce una seria violazione dei diritti fondamentali. La prevenzione e la repressione della tratta di esseri umani restano una priorità per l’Unione Europea, come pure permane centrale il sostegno alle vittime di tale fenomeno. La tutela delle vittime deve essere assicurata a prescindere dalla loro provenienza geografica, quali che siano i fattori alla base del progetto migratorio o che ne determinano la vulnerabilità (ad esempio, la povertà, i conflitti, le disuguaglianze, la violenza di genere, le disabilità, l’assenza di lavoro o di sostegno sociale, le crisi umanitarie, l’apolidia e le tante forme di discriminazione).

 

2. Forme di sfruttamentoLa tratta non è un fenomeno chiuso, bensì un agglomerato di manifestazioni lesive dei diritti umani che possono essere caratterizzate da discriminazione intersezionale, per motivi di sesso o per ragioni basate sull’origine razziale ed etnica (Considerando 4). Per tale ragione l’art. 1 della direttiva 1712 sostituisce il par. 3 dell’art. 2 della direttiva 36 ribadendo che “lo sfruttamento comprende, come minimo, lo sfruttamento della prostituzione altrui o altre forme di sfruttamento sessuale, il lavoro o i servizi forzati, compreso l'accattonaggio, la schiavitù o pratiche simili alla schiavitù, la servitù, lo sfruttamento di attività illecite o il prelievo di organi… “ ma aggiungendo come elemento di novità rispetto alla versione precedente “lo sfruttamento della maternità surrogata, del matrimonio forzato o dell’adozione illegale.

Il par. 5 dell’art. 2, aggiornato, chiarisce che “la condotta di cui al paragrafo 1, qualora coinvolga minori, è punita come reato di tratta di esseri umani anche in assenza di uno dei mezzi indicati al paragrafo 1. Tuttavia, la nuova versione precisa che ciò non vale nel caso di  sfruttamento della maternità surrogata di cui al paragrafo 3, a meno che la madre surrogata sia minore.” Questa specificazione è opportuna in quanto tesa a sgomberare il campo dalla ricerca probatoria, in caso di minori, dei “mezzi” attraverso cui le azioni vengono compiute, proprio in ragione della loro maggiore vulnerabilità. Questo standard qualitativo inferiore rappresenta ancora un vulnus applicativo nei casi di tratta ai fini di sfruttamento di minorenni, non pienamente compreso dagli operatori nella prassi e dunque, la direttiva richiede un intervento espressamente chiarificatore nelle legislazioni nazionali.

Gli scopi della tratta di esseri umani sono variegati; la direttiva supera la dicotomia sfruttamento sessuale o sfruttamento lavorativo e si apre ad un ventaglio più ampio, suscettibile di ulteriori aggiornamenti. Lo sfruttamento della maternità surrogata, del matrimonio forzato o dell’adozione illegale potevano già rientrare nell'ambito di applicazione dei reati relativi alla tratta di esseri umani quali definiti nella direttiva 2011/36/UE. Tuttavia, data la gravità di tali pratiche, e per contrastare il costante aumento dei reati relativi alla tratta di esseri umani commessi a fini diversi dallo sfruttamento sessuale o dallo sfruttamento di manodopera, si è ritenuto opportuno menzionare espressamente tali finalità per limitare l’eccessivo margine interpretativo discrezionale da parte degli operatori nazionali, con la specificazione, per la tratta a fini di sfruttamento della maternità surrogata, che condizione necessaria è la costrizione o l’inganno nei confronti delle donne a prestarsi come madri surrogate. Le modifiche apportate alla direttiva 2011/36/UE non intaccano le definizioni di matrimonio, adozione, matrimonio forzato e adozione illegale, o quelle dei reati connessi diversi dalla tratta, ove previste dal diritto nazionale o internazionale, così come le norme nazionali sulla maternità surrogata, compreso il diritto penale o il diritto di famiglia (Considerando 6). Ciò comporta che l’aggiunta di nuove forme di tratta non implica automaticamente che tutte le adozioni illegali o tutte le maternità surrogate siano automaticamente considerate come tratta di esseri umani.

 

3. Centralità delle vittimeIl tema della centralità delle vittime viene ripreso e ampliato dalla direttiva 1712. La strategia espressa dalla Commissione europea nella comunicazione del 14 aprile 2021 per il periodo 2021-2025 si basava su un approccio multidisciplinare e d’insieme, dalla prevenzione della tratta, alla protezione delle vittime, fino all’azione penale e alla condanna dei trafficanti, con il forte coinvolgimento delle organizzazioni della società civile.

Nella direttiva 1712 si sottolinea che le vittime, sin dai primi contatti, vanno indirizzate verso servizi di protezione, assistenza e sostegno appropriati e per raggiungere tali obiettivi si rende necessario anche “istituire, mediante disposizioni legislative, regolamentari o amministrative, uno o più meccanismi di orientamento (referral) negli Stati membri”, anche nell’ambito del rafforzamento della cooperazione transfrontaliera. In siffatto meccanismo dovrebbero essere protagonisti “le autorità competenti partecipanti, le organizzazioni della società civile e gli altri portatori di interessi”, a condizione che vengano definite “le rispettive responsabilità, comprese le procedure e le linee di comunicazione. Tali meccanismi di orientamento possono assumere la forma di una serie consolidata di procedure, orientamenti, accordi di cooperazione o protocolli” (Considerando 15). Gli Stati membri sono incoraggiati a disporre di punti di contatto quali “riferimento per l'orientamento transfrontaliero delle vittime nei rapporti tra le autorità o le istituzioni responsabili per il sostegno transfrontaliero alle vittime nei diversi Stati membri”, senza sostituire  i meccanismi nazionali di denuncia o le linee di pronto intervento.

L’input è particolarmente interessante e richiama esigenza oggetto di studi ed analisi fenomeniche che già in passato avevano evidenziato l’importanza di creare un meccanismo transnazionale di referral, in considerazione della transnazionalità delle reti criminali e soprattutto della mobilità, libera o forzata, delle vittime, nonché delle esigenze di rimpatrio assistito delle vittime nei Paesi di origine[2]. Sarà una sfida verificare il livello di implementazione nazionale.

Il tema dell’alloggio viene ritenuto rilevante, tanto che si precisa che “al fine di migliorare l'assistenza e il sostegno alle vittime della tratta di esseri umani, gli Stati membri dovrebbero garantire che le vittime abbiano accesso a rifugi e ad alloggi sicuri attrezzati per rispondere alle esigenze specifiche delle vittime della tratta di esseri umani” (Considerando 16). La questione si rende particolarmente pregnante con riferimento al nostro contesto, ove si pensi agli insediamenti abusivi, spesso serbatoio di vulnerabilità da sottoporre a plurime forme di sfruttamento.

È ben rappresentato, in particolare, che per offrire una piena assistenza alle vittime, queste devono essere identificate precocemente. Questo è un argomento prioritario. In tal senso il par. 4 dell’art. 11 della direttiva 36 è modificato specificando che “gli Stati membri adottano le misure necessarie ad istituire, mediante disposizioni legislative, regolamentari o amministrative, uno o più meccanismi miranti alla rapida individuazione, all'identificazione, all'assistenza e al sostegno delle vittime identificate e presunte, in collaborazione con le organizzazioni di sostegno pertinenti”.

Pare conseguenziale ritenere che la multidisciplinarietà ed il metodo multi-agenzia costituiscono un presupposto indefettibile per l’effettivo perseguimento degli obiettivi.

I meccanismi di orientamento previsti dall’art. 9 della direttiva 1712, che sostituisce il par. 4 dell’art. 11 della dir. 36, comprendono standard minimi che sono:

“a) stabilire norme minime per l'individuazione e la rapida identificazione delle vittime, e adattare le procedure di individuazione e identificazione alle varie forme di sfruttamento contemplate dalla presente direttiva (una sorta di procedure operative standard);

b) orientare la vittima al sostegno e all'assistenza più adeguati;

c) stabilire accordi di cooperazione o protocolli con le autorità competenti in materia di asilo per garantire che siano forniti assistenza, sostegno e protezione alle vittime della tratta che necessitano anche di protezione internazionale o che desiderano chiedere tale protezione, tenendo conto della situazione individuale della vittima”; in tal modo si insiste sulla collaborazione tra i settori del contrasto alla tratta e della protezione internazionale, già ampiamente interconnessi in diversi Paesi.

Inoltre, gli interventi sull’art. 11 della direttiva 36 prevedono che gli “alloggi sicuri” per le presunte vittime di tratta siano in numero sufficiente e facilmente accessibili e che le condizioni di vita loro riservate siano  adeguate e appropriate in vista di un ritorno a una vita indipendente. Restano le criticità legate al fatto che l’accesso incondizionato al sostegno e ai permessi di soggiorno non è stato migliorato nel testo della direttiva, sebbene essa chiarisca che l’assistenza alle vittime non dovrebbe dipendere dalla volontà di collaborare alle indagini penali. In concreto, nelle prassi in ambito nazionale, la mancanza di tassatività di questo principio può continuare a determinare che il percorso giudiziario sia ancora privilegiato a discapito di quello sociale.

Sarebbe stato necessario rendere inequivoco un vero approccio basato sui diritti umani che separi l’identificazione e l’assistenza delle vittime dalla (eventuale) cooperazione con il law enforcement e partecipazione al processo penale.

Tale approccio, in ultima analisi, porterebbe a una riduzione delle vulnerabilità, a un minor numero di casi di nuova vittimizzazione (re-trafficking) a una maggiore credibilità dei sistemi di protezione degli Stati membri. Il percorso sociale per l’accesso ad un permesso di soggiorno e ad un programma di protezione e inclusione avrebbe dovuto ricevere una forte promozione nella direttiva. Con riferimento al sistema italiano (peraltro, preso come modello in ambito europeo) gli ostacoli ad una piena applicazione del percorso sociale di cui all’art. 18 dlgs 286/1998, forse, cesserebbero di esistere. Tuttavia, nulla esclude che un legislatore nazionale determinato intervenga sul punto, introducendo chiarimenti e precisazioni nella legge di recepimento, anche oltre lo stretto necessario richiesto.

Il novero delle vulnerabilità viene espressamente riferito alle persone con disabilità, in particolare le donne e i minori, che sono maggiormente esposte al rischio di diventare vittime della tratta. Si prevede che “gli Stati membri dovrebbero tenere conto delle esigenze specifiche delle vittime della tratta con disabilità allorché offrono loro misure di sostegno” (Considerando 17). Nel medesimo contesto si ribadisce che le vittime devono ricevere assistenza indipendentemente dalla loro cittadinanza o dal fatto di essere apolidi, dal loro luogo di residenza o titolo di soggiorno nonché dalla forma di sfruttamento. L’assistenza dovrebbe puntare alla loro piena reintegrazione nella società, comprendendo l’accesso all'istruzione, alla formazione e al mercato del lavoro, conformemente al diritto nazionale, nella prospettiva della piena autonomia (Cons. 17 e 18).

 

4. Tratta e protezione internazionaleL’intreccio tra tratta e protezione internazionale è ormai una realtà ampiamente assodata da almeno un decennio. Il loro rapporto viene riconosciuto come complementare e non alternativo. Viene introdotto l’art. 11 bis alla direttiva 36 volto a precisare che la vulnerabilità delle vittime di tratta deve essere un fattore ben presente nell’ambito delle procedure di asilo, se del caso prevedendo “speciali garanzie procedurali conformemente al regolamento (UE) 2024/1348 del Parlamento europeo e del Consiglio[3] ( 8 ), e delle esigenze di accoglienza particolari a norma della direttiva (UE) 2024/1346 del Parlamento europeo e del Consiglio”[4] (Cons. 19). La direttiva 1712 spinge gli Stati membri ad evitare che le vittime siano reimmesse nel circuito della tratta all’interno dell'Unione; a tal proposito va impedito che, quando le vittime sono trasferite a norma del regolamento (UE) 2024/1351 del Parlamento europeo e del Consiglio[5], gli Stati membri le trasferiscano verso uno Stato membro in cui vi siano fondati motivi di ritenere che le vittime corrano un rischio effettivo di violazione dei loro diritti fondamentali tale da costituire un trattamento inumano o degradante ai sensi dell’articolo 4 della Carta (Cons. 20).

 

5. Giustizia penaleDiversi sono gli interventi in materia di giustizia penale presenti nella direttiva 1712. Si interviene su diversi piani, in sintesi riconducibili a :

- adeguamento del regime sanzionatorio per il reato di tratta degli esseri umani, con previsione di specifiche aggravanti. Sul punto si dispone che gli Stati introducano circostanze aggravanti nel caso in cui il reato sia stato “commesso da funzionari pubblici nell’esercizio delle loro funzioni”. L’esigenza si manifesta in casi in cui la tratta interseca casi di corruzione o abuso, in cui il pubblico funzionario svolga un ruolo agevolatore o facilitatore nel reclutamento, nel trasferimento o nello sfruttamento delle vittime.

Inoltre, va aggravato “il fatto che l'autore del reato abbia agevolato o si sia reso responsabile, mediante tecnologie dell'informazione e della comunicazione, della diffusione di immagini, video o materiale analogo di natura sessuale relativo alla vittima”, ritenendosi più gravi le condotte che utilizzino il mezzo tecnologico per porre in essere le diverse azioni, dal reclutamento online mediante il web e i social network allo sfruttamento, ad es. mediante la distribuzione online del prodotto dello sfruttamento sessuale.

- regime sanzionatorio nei confronti delle persone giuridiche. La responsabilità delle persone giuridiche era genericamente prevista dalla dir. 36/2011. Con la modifica si chiarisce il meccanismo di responsabilità da introdurre negli Stati, volto a sanzionare “la mancata sorveglianza o il mancato controllo”, da parte di un soggetto che detiene un ruolo dominante all’interno della persona giuridica, che abbiano reso possibile la commissione, a vantaggio della persona giuridica, di uno dei reati di cui all'articolo 2, all'articolo 3 e all'articolo 18 bis, paragrafo 1, da parte di una persona sottoposta all'autorità di tale soggetto.

La responsabilità delle persone giuridiche si aggiunge e non sostituisce quella penale delle persone fisiche. L’apparato sanzionatorio, costituito da sanzioni o misure penali o non penali effettive, proporzionate e dissuasive, si amplia con la previsione, oltre a quanto già previsto, con:

            -“l'esclusione dall’accesso a finanziamenti pubblici, comprese procedure di gara, sovvenzioni, concessioni e licenze;

            -il ritiro dei permessi e delle autorizzazioni all'esercizio delle attività che hanno portato al reato in questione;

            -laddove vi sia un pubblico interesse, la pubblicazione integrale o parziale della decisione giudiziaria relativa al reato commesso e alle sanzioni o misure imposte, fatte salve le norme in materia di tutela della vita privata e di protezione dei dati personali”.

Queste disposizioni vanno poi lette in integrazione a quanto già previsto in altri settori. Si prenda, ad esempio, il fatto che a norma delle direttive 2014/23/UE[6], 2014/24/UE[7] e 2014/25/UE[8] del Parlamento europeo e del Consiglio, una condanna con sentenza definitiva per lavoro minorile o altre forme di tratta di esseri umani costituisce motivo di esclusione dalla partecipazione a una procedura di appalto o a una procedura di aggiudicazione di una concessione; si propongono ulteriori conseguenze negative per le persone giuridiche, anche se in realtà un intervento complessivo avrebbe dovuto anche mirare al coinvolgimento dei lavoratori nei processi condivisi con le parti datoriali per disegnare modelli di prevenzione dello sfruttamento.

Inoltre, con riferimento alle previsioni sanzionatorie verso le persone giuridiche, il novero dei possibili interventi legislativi nazionali è ampio, ma rimesso alla discrezionalità degli Stati, come si evince dall’art. 6 comma 2 della direttiva 36 di nuova formulazione.

Sempre in campo penale, la direttiva prende atto del ruolo di primo piano svolto dalle nuove tecnologie, da considerare come strumento utilizzato dai trafficanti, ma al contempo come risorsa a disposizione delle azioni di contrasto.

L’art. 4 prevede ora che l’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione debba essere introdotta nelle legislazioni nazionali come circostanza aggravante, quando ha facilitato o commesso la diffusione di immagini o video o materiale simile di natura sessuale che coinvolge la vittima. Sarebbe stato certamente opportuno  assumere un approccio più ampio, esteso a “tutte le forme di tratta di esseri umani”, non soltanto limitato all’ambito sessuale.

Gli Stati membri dovrebbero garantire, inoltre, che le misure che affrontano il reclutamento e lo sfruttamento online, compresa l’estensione dei poteri di raccolta e monitoraggio dei dati da parte degli organismi preposti all’applicazione della legge, non debbano avere un impatto negativo sui diritti di (determinati gruppi di) persone e debbano basarsi sul rispetto e sulla tutela dei diritti umani. Le misure anti-tratta calibrate sul reclutamento e sfruttamento online non devono influire negativamente e compromettere la sicurezza e la privacy delle persone, con riferimento alle proprie attività individuali.

Talune specificazioni introdotte all’art. 9 della direttiva 36 paiono scontate, ma sono dovute alla perdurante inadeguatezza delle legislazioni nazionali o alla mancanza di specializzazione del personale preposto ad applicarle. In particolare, gli Stati membri adottano le misure necessarie affinché le indagini o l'azione penale relative ai reati previsti nella direttiva non siano subordinate alla cooperazione delle vittime, ma siano portate avanti in modo proattivo, anche ove la vittima dichiarante poi ritratti le proprie dichiarazioni.

Il presupposto perché ciò avvenga è che gli Stati membri garantiscano la formazione “di persone, le unità o i servizi incaricati delle indagini o dell'azione penale per i reati di cui agli articoli 2 e 3”. Forze di polizia e magistrati devono disporre altresì di competenze e capacità tecnologiche adeguate, specialmente quando i reati sono commessi con l’utilizzo delle tecnologie. Per tale ragione gli Stati membri sono incoraggiati a creare unità specializzate in seno alle autorità di polizia e alle autorità inquirenti.

In effetti, i temi della formazione e specializzazione sono cruciali. L’art. 18 ter di nuova introduzione richiede agli Stati membri di promuovere formazione periodica e specializzata agli operatori che possono entrare in contatto con vittime effettive o potenziali della tratta di esseri umani, compresi gli operatori di polizia impegnati in prima linea sul territorio, il personale giudiziario, i servizi di assistenza e sostegno, gli ispettori del lavoro, i servizi sociali e gli operatori sanitari, al fine di consentire loro di prevenire e combattere la tratta di esseri umani ed evitare la vittimizzazione secondaria, nonché di individuare, identificare, assistere, sostenere e proteggere le vittime. La formazione deve essere basata sui diritti umani e sensibile alle specificità di genere, delle persone con disabilità e dei minori.

Anche i giudici e le autorità inquirenti coinvolti nei procedimenti penali devono ricevere tale tipo di formazione. L’indicazione pare vincolante per gli Stati, non già una mera raccomandazione.

Pertanto, in ambito nazionale sarà necessario intraprendere un percorso di confronto con i settori coinvolgenti le forze dell’ordine, con il ministero della giustizia, ma altrettanto con il consiglio superiore della magistratura e la scuola della magistratura, nel rispetto delle specifiche prerogative autonome.

 

6. Contrasto patrimoniale e risarcimentoUn passaggio della direttiva 1712, che costituisce una sorta di assunzione di impegno, riguarda il richiamo alla direttiva (UE) 2024/1260 del Parlamento europeo e del Consiglio[9] che stabilisce norme minime relative al congelamento e alla confisca dei beni strumentali e dei proventi di reato in materia penale ed è applicabile ai reati contemplati dalla direttiva 2011/36; ne consegue che le attuali previsioni della direttiva 36 in materia sono obsolete e da rivedere.

Il tema è rilevante poiché si innesta sulla grande lacuna del risarcimento in favore delle vittime di tratta, principio indiscusso,  ma inapplicato (a tal proposito è intervenuta la CEDU con la decisione Krachunova c/Bulgaria del 28 novembre 2023). L’obiettivo del contrasto patrimoniale richiede una grande sensibilizzazione sulla necessità di indagini finanziarie, nella convinzione che i patrimoni illeciti recuperati dovrebbero e potrebbero servire anche ad alimentare le risorse per garantire adeguati risarcimenti alle vittime. L’art. 17 così come formulato è ancora troppo timido e inefficace.

Di contro, l’accesso al risarcimento di cui all’art. 17 è ancora limitato ai sistemi esistenti che si sono rivelati per lo più inefficienti. Sebbene il testo menzioni la possibilità per gli Stati di istituire un fondo di compensazione, la previsione non è vincolante e, dove sono già esistenti, non funzionano, oppure destinato somme irrisorie. Ed allora, ecco la stretta interconnessione tra indagini finanziarie, misure patrimoniali e risarcimento per le vittime. Tra questi elementi dovrebbe essere previsto un meccanismo a cascata, almeno parziale. Inoltre, gli Stati dovrebbero definire la tipologia di danni risarcibili (morali, materiali) evitando disguidi e controversie (come nel caso Krachunova c/Bulgaria, cit.) e dovrebbero garantire che le vittime abbiano il diritto di richiedere e ricevere un risarcimento durante i procedimenti penali e civili e abbiano accesso all’assistenza o alla rappresentanza legale anche al fine di ottenere  il ristoro economico.

Un tema di grande impatto, in ambito penale, che ha impegnato molto durante i lavori preparatori della direttiva 1712, è relativo alla criminalizzazione dell’uso consapevole di servizi qualora la vittima sia sfruttata per prestare tali servizi e qualora l’utente dei servizi sia consapevole del fatto che chi presta il servizio è vittima di un reato relativo alla tratta di esseri umani. La previsione di tali condotte come reato rientrerebbe nella strategia della riduzione della domanda che favorisce le diverse forme di sfruttamento. E’ un ambito di discussione molto controverso, che coinvolge, ad esempio, le diverse anime europee in relazione alla disciplina della prostituzione, libera, regolamentata o vietata, così come le differenti scelte legislative nazionali.

Nella direttiva 36 viene inserito l’art. 18 bis con riferimento “all’uso di servizi forniti da una vittima della tratta di esseri umani”. Si dispone che “gli Stati membri adottano le misure necessarie affinché, nel caso di un atto doloso, l'uso di servizi forniti da una vittima del reato di cui all’articolo 2 costituisca reato, qualora la vittima sia sfruttata per prestare tali servizi e qualora l’utente dei servizi sia consapevole del fatto che chi presta il servizio è vittima del reato di cui all’articolo 2”. Si è molto discusso, durante i lavori preparatori, se questa previsione non indebolisca ulteriormente le vittime di tratta e le renda ancora più invisibili, poiché gli sfruttatori, per preservare i “clienti” dei servizi dal pericolo delle conseguenze penali, le spingerebbero ancora più nell’oscurità. Nel campo dello sfruttamento sessuale accade spesso che siano proprio gli “utilizzatori” dei servizi a rivelare situazioni sommerse[10].

Il Considerando 27 si dilunga sul tema, proprio in ragione delle diverse sensibilità in gioco. La consapevolezza dell’utilizzatore di servizi provenienti da una vittima va valutata secondo il diritto nazionale, fatta salva l'indipendenza della magistratura, valutate le specifiche circostanze del caso. Le circostanze possono riguardare le stesse vittime (mancata conoscenza della lingua, segni di pregiudizio fisico o psichico, scarsa conoscenza delle persone e dei luoghi in cui si trova) le condizioni alle quali le vittime hanno dovuto fornire i servizi (il tenore di vita, le condizioni ambientali in cui si presta il servizio, scarsa libertà di movimento, mancanza di documenti) nonché fatti specifici rivelatori del controllo del trafficante nei confronti delle vittime. E’ evidente che la norma si rivolge allo sfruttamento sessuale, ma ben potrebbe estendersi allo sfruttamento lavorativo, con riguardo, ad esempio, a datori di lavoro che utilizzino i servizi lavorativi da parte di persone sottoposte a controllo e sfruttamento ad opera di intermediari o “caporali”.

La direttiva sostiene che “il reato non dovrebbe applicarsi ai clienti che acquistano prodotti fabbricati in condizioni di sfruttamento della manodopera, in quanto non sono gli utenti di un servizio”. Invero, non pare che questo assunto possa valere in assoluto; se non si può ritenere punibile un semplice acquirente di prodotti lavorati da una vittima di tratta per carenza di consapevolezza (come riportato nella stessa direttiva 1712) sorge qualche dubbio nel caso di acquisti effettuati direttamente in sito (ad esempio, come accade talvolta per prodotti acquistati direttamente dal coltivatore in ambito agricolo).

Non sarà facile trasferire in ambito nazionale norme di tal genere senza che generino contrasti con altre norme vigenti o con i principi generali di diritto penale. Esistono anche altri modi, forse più efficaci della deterrenza penale, per scoraggiare la domanda; in ambito di sfruttamento lavorativo, ad esempio, i temi introdotti dalla legge 199/2016 sulla rete del lavoro agricolo di qualità, i progetti di stretta sinergia con le organizzazioni dei datori di lavoro, forse consentirebbero di raggiungere risultati più consapevoli ed efficaci e meno controversi.

 

7. Principio di non punibilitàAltro tema di grande importanza, rispetto a cui la direttiva 1712 avrebbe potuto raggiungere obiettivi più concreti, è quello dell’applicazione del principio di non punibilità per gli illeciti commessi dalle vittime di tratta in quanto costrette e come conseguenza diretta della loro condizione, in adempimento dell’art. 26 della convenzione sull’azione contro la tratta di esseri umani del Consiglio d’Europa del 16 maggio 2005 e dell’art. 8 della direttiva 36. È un argomento di grande attualità. La sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo V.C.L. e A.N. c/Regno Unito del 16 febbraio 2021 ne ha evidenziato la rilevanza con riferimento alla possibile violazione dell’articolo 4 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo ed alla stretta interconnessione con gli obblighi di protezione delle vittime di tratta.

Nel suo tredicesimo rapporto generale del 2023 il GRETA ha ribadito la necessità di adottare una specifica previsione normativa in tema di non punibilità delle vittime di tratta nei limiti in cui sono state costrette a commettere illeciti come conseguenza della loro condizione e/o ad adottare specifiche linee guida per le forze di polizia e la magistratura per garantire la applicazione del principio di non punibilità[11].

Nel suo terzo rapporto sull’Italia, pubblicato a febbraio 2024[12], il GRETA è allo stesso modo incisivo, rimarcando che si sollecitano ancora una volta le autorità italiane a:

- garantire il rispetto dell’articolo 26 della Convenzione sul principio di non punibilità delle vittime della tratta, in particolare segnalando, l’adozione di una specifica disposizione di legge che garantisca la non punibilità delle vittime di tratta per il loro coinvolgimento in attività illecite, compresi gli illeciti amministrativi, nella misura in cui sono state costrette alla commissione e a prescindere dalla loro cooperazione con le autorità di polizia”;

- nonché a “fornire indicazioni e formazione ai funzionari delle forze dell’ordine, ai pubblici ministeri e ai giudici in merito alla applicazione della disposizione di non punibilità sancita dalla Convenzione”.

Correttamente il Considerando 14 ricalca l’ampiezza dell’interpretazione resa dal GRETA e afferma che è opportuno estendere l’ambito di applicazione della pertinente disposizione a tutte le attività illecite che le vittime sono state costrette a compiere come conseguenza diretta dell’essere oggetto della tratta, ad esempio gli illeciti amministrativi connessi alla prostituzione, all’accattonaggio, al vagabondaggio o al lavoro sommerso ovvero ad altri atti di natura non criminale, ma comunque soggetti a sanzioni amministrative o pecuniarie, conformemente al diritto nazionale, al fine di incoraggiare ulteriormente le vittime della tratta a denunciare il reato o a richiedere sostegno e assistenza e rassicurarle circa la possibilità di non essere ritenute responsabili. A questo proposito è stato introdotto il nuovo art. 8 della direttiva 36 secondo cui “gli Stati membri adottano le misure necessarie, conformemente ai principi fondamentali dei loro ordinamenti giuridici, per conferire alle autorità nazionali competenti il potere di non perseguire né imporre sanzioni penali alle vittime della tratta di esseri umani coinvolte in attività criminali o altre attività illecite che sono state costrette a compiere come conseguenza diretta di uno degli atti di cui all’articolo 2. L’elemento introdotto nella nuova formulazione consiste unicamente nell’inciso: “o altre attività illecite”, volto ad ampliare il novero delle possibili condotte illecite scriminate e non punibili che non può esaurirsi alla commissione di fatti penalmente rilevanti, ma deve comprendere anche, ad esempio, la commissione di violazioni amministrative La norma potrebbe essere destinata nella pratica a risolvere poco, perché interviene in modo generico, lasciando un’ampia libertà agli Stati su come intervenire, senza indicare se occorra l’introduzione di una norma specifica, una causa di non punibilità, oppure se demandare l’applicazione del principio agli istituti generali delle cause di giustificazione, spesso applicate in modo tardivo, semmai al termine processo nei confronti della vittima per la condotta illecita tenuta.

Tuttavia, va sottolineato che, affinché il principio di non punibilità sia effettivamente applicato, gli Stati membri dovrebbero garantire che la disposizione sia adeguatamente valutata e applicata il prima possibile dalle autorità competenti. Inoltre, si dovrebbe garantire che  qualsiasi procedimento contro la vittima debba essere prontamente chiuso e tutte le sue conseguenze debbano essere cancellate, prima e dopo un’eventuale condanna. Ciò implica che i casellari giudiziari debbano essere emendati del riferimento a qualunque tipo di illecito, comprese multe o altre sanzioni amministrative.

Gli Stati che non lo hanno ancora fatto dovrebbero introdurre disposizioni nazionali e linee guida procedurali sulla non punibilità delle vittime, oltre a garantire la sensibilizzazione e la formazione delle parti interessate, per garantire un’efficace attuazione della clausola di non punibilità[13].

 

8. GovernanceUno dei principali capitoli su cui la direttiva era attesa riguarda la previsione di meccanismi nazionali di governance delle azioni di contrasto alla tratta. L’art. 19 della direttiva 36 viene riformulato con la previsione che:

- si debbano adottare le misure per istituire coordinatori nazionali anti-tratta o meccanismi equivalenti e fornire loro le adeguate risorse necessarie per espletare efficacemente le loro funzioni.

- il coordinatore nazionale anti-tratta o il meccanismo equivalente collabori con i pertinenti organi e organismi nazionali, regionali e locali, in particolare con le autorità di contrasto, con i meccanismi di orientamento nazionali e con le pertinenti organizzazioni della società civile attive nel settore.

- che i compiti comprendano la valutazione delle tendenze della tratta di esseri umani, la misurazione dei risultati delle azioni anti-tratta (anche raccogliendo statistiche in stretta collaborazione con le pertinenti organizzazioni della società civile attive nel settore, e la presentazione di relazioni) ma possano essere estesi ad altre attività, di promozione, coordinamento e finanziamento di programmi contro la tratta di esseri umani.

In aggiunta a ciò, si prevede che  gli Stati membri possano anche istituire organismi indipendenti il cui ruolo può comprendere il monitoraggio dell’attuazione e dell’impatto delle azioni di contrasto della tratta, la presentazione di relazioni su questioni che richiedono un’attenzione particolare da parte delle autorità nazionali competenti e la valutazione delle cause profonde e delle tendenze della tratta di esseri umani. Qualora sia istituito un organismo indipendente, gli Stati membri possono assegnargli uno o più compiti tra quelli riferibili ai coordinatori nazionali anti-tratta o meccanismi equivalenti.

L’intervento normativo avrebbe potuto essere più deciso, vincolando gli Stati membri a istituire relatori nazionali indipendenti, separati dagli organi di coordinamento. Essi, in alcuni dei Paesi in cui sono presenti,  si sono dimostrati utili per verificare lo stato delle azioni di contrasto alla tratta e di tutela delle vittime, monitorando lo stato di attuazione dei piani nazionali e la loro concretezza, nonché per fornire raccomandazioni agli Stati.

Ad ogni modo, non esiste una ricetta unica per ogni Stato membro e probabilmente più di una rigida separazione giuridica, può rivelarsi più adeguata una accurata divisione di ruoli e competenze, anche all’interno di un unico organismo centrale. Non è detto, tuttavia, che il proliferare di nuovi soggetti giuridici garantisca l’operatività e l’incisività del coordinamento delle azioni antitratta. Un’efficace organizzazione di strutture già esistenti, secondo nuovi schemi in linea con l’evoluzione dei fenomeni, può rivelarsi una soluzione altrettanto percorribile. Quale che sia la soluzione intrapresa, è cruciale che si tenga bene in conto l’importanza del ruolo del coordinamento e della programmazione nei fenomeni strutturalmente intersezionali, come la tratta e lo sfruttamento, dove le risposte a tutela dei diritti non possono essere fornite da un solo segmento giudiziario o amministrativo.

In conclusione, è la reale volontà politica che contribuisce a rendere efficiente un sistema.

All’interno degli Stati appare, dunque, indispensabile operare una efficace ripartizione di competenze nell’ambito sia delle azioni di tutela delle vittime che di contrasto alla tratta. I soggetti preposti debbono essere dotati di un sufficiente livello di indipendenza - organizzativa, finanziaria, funzionale – e la direttiva lascia agli Stati un ampio margine discrezionale nella costruzione dell’architettura istituzionale.

In ogni caso, sembra logico ritenere che le attività di programmazione economica, finanziamento e rendicontazione non possono al contempo sovrapporsi alla costruzione di relazioni inter-agenzia, promozione di buone prassi, creazione di sinergie, né possono aggiungersi ai compiti di analisi e studio dei fenomeni che richiederebbero cooperazione con centri di ricerca e che sono propedeutiche anche a contribuire alla preparazione di relazioni periodiche verso Governo e Parlamento. Se un unico ramo dell’azione antitratta deve occuparsi di tutto ciò, la conseguenza rischia di essere l’inadeguatezza o peggio, la paralisi.

D’altronde, se le azioni antitratta “restano una priorità per l’Unione e gli Stati membri”, questi devono prima di tutto dotarsi di una struttura organizzativa in grado di garantire azioni integrate e interventi multidimensionali.

Dunque, gli Stati membri hanno due anni per recepire le modifiche alla direttiva; tuttavia, sin da ora sarebbe necessario che la Commissione europea e gli Stati membri dimostrino il proprio impegno favorendo una interpretazione ed un recepimento in ambito nazionale improntati ad una lettura estensiva delle norme e dei principi, al fine di evitare una attuazione ancora più conservativa che si risolverebbe in una efficacia limitata delle misure proposte.

 

 

[2] L’idea nasce da ICMPD, Development of a Transnational Referral Mechanism for Victims of Trafficking Between Countries of Origin and Destination, Vienna, 2010.

[13] Per dettagli, cfr. D. Mancini, Il principio di non punibilità delle vittime di tratta. Sfida per l’effettività dei diritti e logica dell’intervento penale, in Diritto, immigrazione e cittadinanza, n. 2/2022.