Trib. Monza, Sez. pen., ord. 28 aprile 2023 (G.U. n. 23 del 7 giugno 23), Giud. Polastri
*Il presente contributo è pubblicato nel fascicolo n. 7-8/2023.
1. Con l’ordinanza che qui si segnala, il Tribunale di Monza ha sollevato una questione di legittimità costituzionale in ordine all’art. 590-ter c.p. nella parte in cui prevede che per le lesioni colpose gravi con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale previste dall’art. 590-bis, co. 1, c.p. aggravate dalla fuga del conducente, la pena non può essere inferiore a tre anni.
La questione è stata ritenuta dal Tribunale monzese rilevante e non manifestamente infondata in relazione agli articoli 3 e 27, co. 1 e 3, della Costituzione.
Si tratta, invero, della seconda questione di legittimità che investe – a meno di un anno di distanza e per ragioni sostanzialmente sovrapponibili ad analoga questione sollevata dal Tribunale di Milano[1] – il menzionato combinato normativo, al fine di denunciarne la problematica compatibilità con il principio di uguaglianza e di ragionevolezza della pena, in funzione rieducativa.
2. Brevemente, il fatto. L’ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale si innesta su un procedimento penale a carico di un soggetto imputato del reato di lesioni personali stradali gravi ex art. 590-bis c.p., dal momento che, in prossimità di un incrocio e in corrispondenza di un attraversamento pedonale rialzato, questi avrebbe investito un pedone impegnato nell’attraversamento per poi darsi successivamente alla fuga senza prestare il necessario soccorso.
Pertanto, gli è stata contestata, in qualità di conducente, anche l’aggravante di cui all’art. 590-ter c.p., la quale prevede che nel caso di cui all’art. 590-bis c.p. «se il conducente si dà alla fuga, la pena è aumentata da un terzo a due terzi e comunque non può essere inferiore a tre anni».
Il reato di cui all’art. 590-bis, co. 1, c.p., che prevede la pena della reclusione da un minimo di tre mesi a un massimo di un anno, per effetto dell’applicazione della circostanza aggravante prevista dall’art. 590-ter c.p. comporta l’individuazione di una cornice edittale compresa tra quattro mesi di reclusione nel minimo (aumento di un terzo) e un anno e otto mesi di reclusione nel massimo (aumento di due terzi). Ciò nonostante, la pena «comunque non può essere inferiore a tre anni», che rappresenta una soglia ben al di fuori del range edittale.
Pertanto, si comprende agevolmente che la sanzione astrattamente irrogabile all’imputato, in caso di condanna, è predeterminata dal legislatore nella misura fissa di anni tre di reclusione, senza alcuna facoltà di dosimetria giudiziale.
3. Nel motivare in ordine alla non manifesta infondatezza della questione, il giudice rimettente osserva che l’impossibilità di adeguare la pena tra un minimo e un massimo pone in evidenza una prima criticità: il legislatore ha, infatti, inteso punire in modo identico fatti di disvalore diverso.
Ciò si coglie tenendo a mente che il medesimo art. 590-bis c.p. prevede per le lesioni stradali gravissime (necessariamente «più gravi di quelle gravi») la pena della reclusione da un minimo di un anno a un massimo di tre anni. Per effetto dell’aggravante della fuga del conducente, tale pena deve essere aumentata da un terzo a due terzi, originando quindi una cornice tra un minimo di un anno e quattro mesi a un massimo di anni cinque di reclusione. Va da sé che, anche nel caso delle lesioni gravissime, la pena «comunque non può essere inferiore a tre anni». Pertanto, è possibile affermare che per le lesioni stradali aggravate dalla fuga – siano esse gravi o gravissime – il minimo edittale coincide sempre con i tre anni di reclusione. La differenza consiste nella possibilità, per il caso delle lesioni gravissime, di modulare la sanzione, per esempio in base al grado della colpa, non essendo ciò possibile nel caso, di minor disvalore, delle lesioni gravi.
Questa prima criticità «involgente in prima battuta il principio di uguaglianza» si somma all’evidente irrazionalità di un trattamento sanzionatorio, con riferimento alle lesioni stradali gravi aggravate dalla fuga del conducente, che risulta “schiacciato”, sia nel minimo che nel massimo, sui tre anni di reclusione. Ciò impedisce al giudicante di parametrare la sanzione al caso concreto, che potrebbe essere realizzato con le modalità più diverse. Occorre, infatti, ricordare che, sul piano prettamente fenomenico, le lesioni personali rappresentano «una fattispecie dogmaticamente e naturalisticamente di evento»[2]. Esse, infatti, possono essere causate dal reo con le modalità più disparate: si pensi alla quantità e qualità di regole cautelari violate, al grado della colpa o alle condizioni personali del reo.
4. Inoltre, premesso che al centro della questione di legittimità sollevata si pone l’impossibilità derivante dalle forme di automatismo sanzionatorio di parametrare la punizione all’evento concreto e al grado di colpevolezza dell’imputato, occorre aggiungere anche un importante rilievo in ordine alla funzione rieducativa assegnata alla sanzione. Si nota, infatti, che il più ampio genus di individualizzazione della pena ricomprende la species di adeguamento della risposta punitiva ai casi concreti, e «tale trattamento contribuisce a rendere quanto più possibile personale la responsabilità penale nella prospettiva segnata dall’art. 27, co. 1, Cost. e nello stesso tempo si pone quale strumento per una determinazione della pena quanto più possibile finalizzata agli scopi perseguiti dall’art. 27 co. 3 Cost»[3].
Con specifico riferimento a tale aspetto, nell’ordinanza di rimessione si dà opportunamente conto di una non risalente pronuncia della Corte costituzionale in materia di “pena fissa”. La Consulta, infatti, con la sentenza n. 222 del 2018 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 216 L. F. nella parte in cui prevede le pene accessorie dell’inabilitazione all’esercizio dell’impresa commerciale e dell’incapacità a esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa per la durata di dieci anni anziché «fino a dieci anni», proprio in ragione di considerazioni riguardanti la necessità di individualizzare la pena. In particolare, la Corte osservava come l’esigenza che «la pena inflitta al singolo condannato non risulti sproporzionata in relazione alla concreta gravità, oggettiva e soggettiva, del fatto da lui commesso» sia di regola soddisfatta da una cornice sanzionatoria tra un minimo e un massimo «in modo da assicurare altresì che la pena appaia una risposta – oltre che non sproporzionata – il più possibile “individualizzata”, e dunque calibrata sulla situazione del singolo condannato, in attuazione del mandato costituzionale di “personalità” della responsabilità penale di cui all’art. 27, primo comma, Cost.»[4]
Sulla scorta di tali considerazioni, risulta agevole per il giudice a quo ritenere che la discrezionalità giurisdizionale nella dosimetria della pena fissa di tre anni di reclusione prevista per le lesioni stradali gravi aggravate dalla fuga sia irrimediabilmente frustrata, stante l’impossibilità di modulare la sanzione in relazione alla concreta gravità del caso di specie.
5. Infine, la questione di legittimità costituzionale sollevata, oltre a non apparire manifestamente infondata, è ritenuta dal giudice rimettente anche rilevante.
A tal proposito basti osservare che l’art. 590-quater c.p. non consente il giudizio di equivalenza o di prevalenza tra talune aggravanti, tra cui quella prevista dall’art. 590-ter c.p., e le concorrenti circostanze attenuanti, diverse da quelle previste dagli artt. 98 e 114 c.p. Si comprende, quindi, che è comunque impedito al giudice di neutralizzare gli effetti del descritto trattamento sanzionatorio della norma censurata mediante l’eventuale riconoscimento di circostanze attenuanti, non essendo nel procedimento a quo emerse ipotesi rilevanti ai sensi degli artt. 98 e 114 c.p., nominativamente indicati dall’art. 590-quater c.p. quali ipotesi derogatorie.
Il rischio che si preannuncia nel giudizio da cui è originata la presente questione di legittimità, pertanto, è quello di condannare l’imputato sulla base di una norma incriminatrice che, nell’impossibilità di essere modulata al caso di specie con riferimento al trattamento sanzionatorio di tipo fisso, risulta affetta dai plurimi profili di incostituzionalità richiamati.
***
6. Nell’attesa della pronuncia della Corte costituzionale, è possibile svolgere le seguenti brevi considerazioni.
6.1. Anzitutto, come accennato, occorre premettere che il tema problematico della ammissibilità delle pene fisse non può dirsi certamente nuovo nella dottrina penalistica[5]. D’altro canto, esso è altresì presente nella giurisprudenza della Corte costituzionale sin dall’inizio degli anni Sessanta[6]. Va, infatti, ricordato che con la sentenza n. 67 del 1963 la Corte, sia pur negando che dall’art. 27, commi 1 e 3, Cost. derivasse un’esigenza di individualizzazione della pena tale da rendere per ciò solo illegittime le comminatorie fisse, individuava «lo strumento meglio idoneo al conseguimento» delle finalità della sanzione e più rispettoso del principio di uguaglianza «[nel]la mobilità della pena, cioè la predeterminazione della medesima da parte del legislatore in modo da contenerla fra un massimo ed un minimo»[7].
Tale affermazione ha consentito alla Corte costituzionale, a distanza di qualche anno, di precisare meglio con la storica sentenza n. 50 del 1980 che «in linea di principio, previsioni sanzionatorie rigide non appaiono pertanto in armonia con il “volto costituzionale” del sistema penale ed il dubbio d'illegittimità costituzionale potrà essere, caso per caso, superato a condizione che, per la natura dell'illecito sanzionato e per la misura della sanzione prevista, questa ultima appaia ragionevolmente “proporzionata” rispetto all'intera gamma di comportamenti riconducibili allo specifico tipo di reato»[8].
Ed è proprio con riferimento alla proporzionalità della pena che la Consulta ha progressivamente – come ricorda il giudice rimettente – censurato i trattamenti sanzionatori “rigidi”, dichiarandone l’incompatibilità con la Carta fondamentale: «per tutti valga l’esempio del tormentato art. 69 codice penale circa il divieto di prevalenza di una serie di circostanze attenuanti rispetto alla recidiva qualificata ex art. 99, comma 4, c.p. […] (cfr. tra le tante, sentenza n. 251 del 5 novembre 2012, con riferimento all’attenuante di cui all’art. 73, comma, dPR 9 ottobre 1990, n. 309 nella formulazione previgente; sentenza n. 105 del 18 aprile 2014 in relazione all’attenuante di cui all’art. 648, comma 2, c.p.; sentenza n. 106 del 18 aprile 2014, con riferimento all’attenuante di cui all’art. 609 bis, comma 3, c.p.; sentenza n. 205 del 17 luglio 2017, in relazione all’attenuante di cui all’art. 219, comma 3, L.F.)»[9]
Invero, tali coordinate interpretative devono ritenersi valide anche con riferimento alla materia delle sanzioni amministrative, in relazione alle quali – sempre secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale – le previsioni sanzionatorie rigide, «che colpiscono in egual modo, e quindi equiparano, fatti in qualche misura differenti, debb[o]no rispondere al principio di ragionevolezza»[10]. Anche per tali sanzioni, quindi, vi è l’esigenza che non venga meno «un rapporto di congruità tra la sanzione e la gravità dell’illiceità sanzionato»[11]. In ragione di ciò, anche di recente, con la sentenza n. 40 del 2023, la Consulta ha affermato l’illegittimità costituzionale di una sanzione amministrativa fissa, ritenuta manifestamente sproporzionata per eccesso rispetto al disvalore concreto di tutti i fatti ricompresi nella sfera applicativa della norma[12].
Orbene, è evidente che ormai il nodo tematico delle sanzioni fisse, e più in generale degli automatismi sanzionatori, costituisce sempre più frequentemente l’oggetto dello scrutinio di legittimità da parte della Corte costituzionale, che si tratti di una pena principale, accessoria o di una sanzione amministrativa “punitiva”.
6.2. Pertanto, nel solco dei passaggi motivazionali richiamati, i tempi ci sembrano maturi per affermare la problematica compatibilità costituzionale di un automatismo sanzionatorio, quale quello oggetto dell’ordinanza di rimessione qui in commento, che finisce per apprestare in modo indifferenziato un’unica risposta sanzionatoria a fatti, sussumibili sì all’interno della medesima fattispecie delle lesioni stradali gravi e aggravate dalla fuga, ma realizzabili con le modalità più disparate.
Sul punto, peraltro, sembra possibile superare anche una plausibile obiezione. Infatti, diversamente dal caso oggetto della sentenza 222 del 2018[13], in cui le pene accessorie fisse conseguivano a fatti integranti diverse figure di reato di disvalore del tutto eterogeneo, nel caso di cui all’art. 590-ter c.p. i comportamenti puniti con la medesima pena (fissa) sarebbero in realtà tutti riconducibili al medesimo tipo di reato e, di conseguenza, potrebbe venire in rilievo la deroga, enucleata dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 50 del 1980, alla “presunzione” di incostituzionalità delle pene fisse. In realtà, l’argomento non convince. Se è vero che il trattamento sanzionatorio del tutto anelastico in commento riguarda fatti ascrivibili al medesimo titolo di reato di cui all’art. 590-bis c.p., è altresì vero che non può essere certamente l’elemento della fuga del conducente a rendere meritevoli della medesima pena classi di comportamento naturalisticamente eterogenee. A tal proposito, al fine di rendere quanto più evidente la varietà di casi suscettibili di essere puniti con la medesima sanzione fissa di tre anni di reclusione, solo in ragione dell’elemento aggravatore della fuga, è possibile dare rilievo a diversi elementi. Si può pensare, ad esempio, al luogo in cui si è consumato il reato, essendo in astratto connotata da maggior disvalore la fuga di un conducente realizzata in una strada isolata e poco frequentata, rispetto a quella posta in essere da altro soggetto in un viale popolato da diversi astanti, potenzialmente in grado di prestare soccorso alla vittima. Ancora, si può fare riferimento anche alla «gravità del danno», in relazione alla diversità, anche notevole, che può sussistere nel numero di giorni necessari a guarire la lesione personale procurata da un conducente poi fuggito.
In sintesi, la pena fissa di tre anni – contemporaneamente soglia minima e tetto massimo – non si coniuga in modo coerente con la divergente possibilità di dosare la sanzione “base” delle lesioni stradali gravi, sulla scorta dei criteri previsti dall’art. 133 c.p.
Pare potersi auspicare, pertanto, che la strada per rendere la sanzione di cui all’art. 590-ter c.p. maggiormente conforme ad una pena individualizzata e proporzionata ai sensi dell’art. 27, co. 1 e 3, Cost.[14] sia quella della declaratoria di illegittimità costituzionale, in modo da restituire al giudicante la discrezionalità necessaria per parametrare la punizione all’evento concreto e al grado di colpevolezza.
[1] Trib. Milano, Sez. XI penale, ord. 22 settembre 2022, giud. Trovato, con nota di S. Tarantino, Lesioni personali stradali gravi aggravate dalla fuga del conducente: sollevata questione di legittimità costituzionale dell’art. 590-ter cod. pen. in relazione agli artt. 3 e 27 Cost., in Giurisprudenza Penale Web, 2022, 10.
La questione di legittimità sollevata dal Tribunale di Milano, unitamente a quella oggetto dell’ordinanza di rimessione in commento, sarà discussa innanzi alla Corte costituzionale, come si evince dalla sezione “questioni pendenti” del sito cortecostituzionale.it, nell’udienza pubblica del 10 ottobre 2023.
[2] Così al § 1 dell’ordinanza di rimessione in commento.
[3] Ibidem.
[4] Corte cost., sent. n. 222 del 2018, § 7.1.
[5] Sulla (il)legittimità costituzionale delle pene fisse, cfr. F. Bricola, Pene pecuniarie, pene fisse e finalità rieducativa, in Sul problema della rieducazione del condannato, Padova, 1964, 193 ss.; E. Dolcini, Note sui profili costituzionali della commisurazione della pena, in Riv. it. dir. proc. pen., 1974, p. 338 ss.
[6] Cfr. Corte cost., sent. n. 67 del 1963, con cui la Corte costituzionale ha ritenuto infondata la questione di legittimità dell’allora vigente art. 54 r.d.l. 15 ottobre 1925, n. 2033 (e successive modificazioni), che puniva con ammenda fissa un’ipotesi di frode nella fabbricazione e nel commercio di olii minerali combustibili, con riferimento agli artt. 3 e 17, commi 1 e 3, della Costituzione. Per il commento, s. v. C. Esposito, Le pene fisse e i principi costituzionali di eguaglianza, personalità e rieducatività della pena, in Giur. Cost., 2/1963, p. 661 ss.; in generale, per un breve excursus delle questioni di illegittimità costituzionale su questo tema, nella manualistica s. v. Marinucci-Dolcini-Gatta, Manuale di diritto penale, Milano, 2022, p. 747.
[7] Corte cost., sent. n. 67 del 1963, § 3.
[8] Corte cost., sent. n. 50 del 1980, § 4, con nota di C. E. Paliero, Pene fisse e Costituzione: argomenti vecchi e nuovi, in Riv. it. dir. proc. pen., 1981, p. 725 ss.
[9] § 1 dell’ordinanza di rimessione in commento.
[10] Corte cost., sent. n. 212 del 2019, § 6.2.1.
[11] Corte cost., sent. n. 185 del 2021, § 4.
[12] Corte cost., sent. n. 40 del 2023, la cui questione di legittimità aveva ad oggetto l’art. 4 del decreto legislativo 19 novembre 2004, n. 297, recante «Disposizioni sanzionatorie in applicazione del regolamento (CEE) n. 2081/92, relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni di origine dei prodotti agricoli e alimentari», in riferimento all’art. 3, in combinato disposto con gli artt. 42 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
[13] Corte cost., sent. n. 222 del 2018, con nota di A. Galluccio, La sentenza della Consulta su pene fisse e ‘rime obbligate’: costituzionalmente illegittime le pene accessorie dei delitti di bancarotta fraudolenta, in Dir. pen. cont., 18 dicembre 2018. Per un commento alla relativa ordinanza di rimessione, s. v. A. Galluccio, Pene fisse, pene rigide e Costituzione: le sanzioni accessorie interdittive dei delitti di bancarotta fraudolenta ancora al cospetto del Giudice delle leggi, in Riv. it. dir. proc. pen., 2/2018, p. 876 ss.
[14] Con riferimento alla comparsa dell’idea di “proporzione” della pena nelle sentenze n. 50 del 1980, 103 del 1982 e 409 del 1989, s. v. F. Viganò, La proporzionalità della pena, Torino, 2021, p. 56 ss.