Scheda  
23 Settembre 2020


La riforma delle frodi europee in materia di spese. Osservazioni a prima lettura sull’attuazione della ‘direttiva pif’ (d.lgs. 14 luglio 2020, n. 75)


Edoardo Mazzanti

Per leggere il testo del d.lgs. 75/2020, clicca qui.

 

1. Con d.lgs. 14 luglio 2020, n. 75, attuativo della l. 4 ottobre 2019, n. 117, l’ordinamento italiano recepisce la dir. (UE) n. 1371/2017, relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione mediante il diritto penale (c.d. direttiva PIF). Come noto, sebbene il legislatore europeo abbia optato per un taglio olistico, allargando il raggio d’azione a tutti gli illeciti «che incid[a]no sulla funzione strumentale che il bilancio esplica rispetto all’attuazione delle politiche comuni»[1], la direttiva è incentrata sul concetto di ‘frode che lede gli interessi finanziari UE’: l’art. 3 dir. PIF, in dettaglio, obbliga gli Stati Membri a sanzionare penalmente, da un lato, le frodi ‘in materia di spese’, ulteriormente articolate in spese non relative (art. 3 § 2 lett. a) e relative ad appalti (art. 3 § 2 lett. b); dall’altro, le frodi ‘in materia di entrate’, a loro volta ripartite tra entrate non derivanti (art. 3 § 2 lett. c) e derivanti dall’IVA (art. 3 § 2 lett. d)[2].

L’interesse dei commentatori, finora, si è comprensibilmente concentrato sulle seconde[3]. In queste poche righe, viceversa, saranno esaminate le novità afferenti al primo àmbito, e segnatamente all’adempimento degli obblighi d’incriminazione delle frodi in materie di spese non relative ad appalti.

 

2. L’art. 3 § 2 lett. a dir. PIF qualifica come frode in materia di spese non relative ad appalti ogni azione od omissione, commessa intenzionalmente, relativa: «(i) all’utilizzo o alla presentazione di dichiarazioni o documenti falsi, inesatti o incompleti, cui consegua l'appro­priazione indebita o la ritenzione illecita di fondi o beni provenienti dal bilancio dell'Unione o dai bilanci gestiti da quest'ultima, o per suo conto; (ii) alla mancata comunicazione di un'informazione in violazione di un obbligo specifico, cui consegua lo stesso effetto; ovvero (iii) alla distrazione di tali fondi o beni per fini diversi da quelli per cui erano stati inizialmente concessi». La portata dell’obbligo d’incriminazione è particolarmente ampia: sul piano delle condotte, la direttiva predilige un approccio trasversale, includendo non solo gli illeciti relativi all’indebita percezione di fondi, ma anche quelli incentrati sul loro uso distorto; sul piano dell’oggetto materiale, poi, le condotte incriminate possono investire sia le spese dirette che le spese indirette gravanti sul bilancio dell’Unione ovvero sui «bilanci di istituzioni, organi e organismi dell'Unione istituiti in virtù dei trattati o dei bilanci da questi direttamente o indirettamente gestiti e controllati» (art. 2 § 1 lett. a (ii) dir. PIF)[4].

I criteri per l’attuazione della direttiva sono contenuti nell’art. 3 co. 1 l. 117/2019 (legge di delegazione europea 2018), rubricato «Principi e criteri direttivi per l'attuazione della direttiva (UE) 2017/1371, relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell'Unione mediante il diritto penale». Per quanto ci occupa, il Parlamento vincola il Governo: a individuare i reati previsti dalle norme vigenti che possano essere ritenuti illeciti penali che ledono gli interessi finanziari dell’UE (lett. a); a integrare il catalogo dei reati-presupposto di cui al d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231 (lett. e), nonché a prevedere, ove necessario, l’ampliamento delle sanzioni in linea con l’art. 9 dir. PIF (lett. h); a prevedere, ove necessario, che i reati che ledono gli interessi finanziari dell'Unione europea e che producano danni o vantaggi considerevoli siano punibili con una pena massima non inferiore ad anni quattro di reclusione (lett. f).

L’iter si conclude col d.lgs. 75/2020, che attua la direttiva PIF a un anno esatto dalla sua entrata in vigore[5].

 

3. Sin da subito, i commentatori pronosticavano, in parte qua, un’incidenza complessivamente limitata della direttiva PIF sul nostro sistema penale[6]: lo stesso Esecutivo, in seno alla Relazione illustrativa dello schema di decreto, rimarcava infatti che «il nostro ordinamento risulta in gran parte già allineato a quello che richiede la direttiva, in virtù di precedenti interventi normativi»[7], a loro volta frutto, peraltro, di passati input di matrice sovranazionale.

Il sostanziale ‘adempimento preventivo’ degli obblighi d’incriminazione non ha, tuttavia, frenato l’impetuoso processo di recepimento del diritto europeo: dal combinato disposto di legge di delegazione e decreto legislativo, difatti, emerge l’intenzione di ‘spremere’ la direttiva PIF, al fine di rendere l’apparato punitivo nazionale pressoché totalmente congruente.

Sul piano della tecnica legislativa, il Governo opta per la novellazione delle disposizioni vigenti, opportunamente rinunciando sia ad abrogarle per forgiarne di nuove[8], sia a fornire una lista di definizioni che avrebbe presumibilmente ingenerato notevoli problemi interpretativi[9].

Predisposto l’adeguamento lessicale di tutte le disposizioni contenenti riferimenti alle ormai superate ‘Comunità europee’ (art. 7 d.lgs. 75/2020)[10], l’intervento segue una duplice traiettoria: da una parte, viene innalzato il massimo edittale di alcune fattispecie; dall’altra, viene esteso il catalogo dei reati-presupposto di cui al d.lgs. 231/2001. Ai nostri fini, in particolare, assumono rilevanza gli artt. 1, 5 e 6 d.lgs. 75/2020, di cui si procede a un sintetico inquadramento.

 

4. L’art. 1 lett. a e b d.lgs. 75/2020 integra gli artt. 316 e 316-ter c.p., aggiungendo - in forma, rispettivamente, di secondo comma e di ultimo periodo del comma primo - la seguente dicitura: «La pena è della reclusione da sei mesi a quattro anni quando il fatto offende gli interessi finanziari dell’Unione europea e il danno o il profitto sono superiori a euro 100.000». La riforma, in linea coi criteri della l. 117/2019, adempie l’obbligo previsto all’art. 7 § 3 dir. PIF, che impone agli Stati Membri di adottare «le misure necessarie affinché i reati di cui agli artt. 3 e 4 siano punibili con una pena massima di almeno quattro anni di reclusione qualora ne derivino danni o vantaggi considerevoli», definiti tali, appunto, laddove di valore superiore ai 100.000 euro.

 

4.1. Si pongono due questioni preliminari. Anzitutto, occorre interrogarsi sulla natura autonoma ovvero circostanziale della nuova fattispecie. La collocazione all’interno della disposizione base e il rinvio integrale al ‘fatto’ ivi disciplinato fanno propendere per la seconda soluzione: la clausola ha un’incidenza, diremmo, settoriale-quantitativa, nel senso che copre una parte del referente di valore già tutelato dalle figure base[11] e intercetta un approfondimento quantitativo della lesione.

Se ciò è corretto, all’atto pratico pare profilarsi il rischio d’inadempimento dell’obbligo d’incriminazione: la mancata predisposizione di qualunque meccanismo di blindatura del bilanciamento, in effetti, lascia impregiudicata la possibilità che, in presenza di attenuanti, il massimo edittale retroceda a quello previsto per il fatto base, inferiore rispetto a quanto richiesto dal legislatore europeo. Ad uno sguardo più attento, tuttavia, la criticità merita probabilmente d’essere sdrammatizzata: pur rimarcando il dovere di prevedere sanzioni penali per le frodi in danno all’Unione, è la stessa direttiva, da un lato, a escludere la sussistenza di «obblighi in relazione all'applicazione a casi specifici di tali sanzioni o di qualsiasi altro sistema di contrasto disponibile» (cons. 31); dall’altro, a fare salve «le norme e i principi generali di diritto penale nazionale relativi all'appli­cazione e all'esecuzione delle pene conformemente alle circostanze concrete di ogni singolo caso» (cons. 34). In questa prospettiva, riteniamo possibile concludere che l’eventuale regressione della pena massima per effetto della soccombenza dell’aggravante rientri negli spazi d’autonomia fisiologicamente lasciati agli Stati Membri nel perseguimento dell’obiettivo comune.

Con specifico riferimento all’art. 316-ter c.p., peraltro, emerge un difetto di coordinamento tra la nuova circostanza e la clausola innestata con l. 3/2019, a memoria del quale «La pena è della reclusione da uno a quattro anni se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio con abuso della sua qualità o dei suoi poteri». Occorre valutare, allora, quale regime si applichi al fatto commesso dal p.u./i.p.s lesivo degli interessi finanziari UE e con danno/profitto superiori a 100.000 euro. A prescindere dalla natura che s’intenda attribuire alla novella del 2019, la nuova circostanza non mostra significative capacità d’influire sul quantum sanzionatorio finale: (i) se, in linea con l’impostazione prevalente, si ritiene che la l. 3/2019 abbia introdotto una circostanza a effetto speciale[12], l’applicabilità dell’art. 63 co. 3 c.p.[13] di fatto paralizza l’incidenza della nuova aggravante; (ii) se, d’altronde, si ritiene che la l. 3/2019 abbia introdotto una fattispecie autonoma[14], la nuova circostanza appare destinata a rimanere ‘latente’, presentando, rispetto alla prima, un massimo edittale equivalente e un minimo addirittura inferiore.

 

4.1.1. La seconda questione – verosimilmente più rilevante in rapporto all’art. 316-ter c.p. – attiene al calcolo del superamento della soglia in caso di pagamenti multipli. In linea con la più recente giurisprudenza sub art. 316-ter co. 2 c.p. – che punisce con sanzione amministrativa l’indebita percezione di una cifra pari o inferiore a 3999,96 euro – è possibile ritenere che la soluzione vari al variare delle procedure di erogazione e, corrispondentemente, alle modalità di realizzazione dell’illecito[15]: ne deriva che, in caso di condotta unica cui seguano più erogazioni differite nel tempo, occorrerà tener conto della somma complessivamente percepita; viceversa, in caso di più condotte, sarà indispensabile valutare l’ammontare di ciascuna erogazione.

 

4.2. Il riformato art. 316-ter c.p. rappresenta la cartina di tornasole delle criticità che affliggono il d.lgs. 75/2020 e, a monte, la l. 117/2019: quest’ultima, in particolare, adotta un approccio minimal, recependo in modo asfittico l’input contenuto nell’art. 7 § 3 dir. (UE) 1371/2017 e lasciando al Governo, così, un margine di manovra piuttosto risicato. Preso nel complesso, l’intervento produce un duplice sfasamento: (i) interno, non risultando pienamente giustificabile, nell’economia dell’art. 316-ter c.p., la scelta di circoscrivere l’aggravamento alla lesione degli interessi sovranazionali; (ii) esterno, apparendo discutibile la discrepanza tra il nuovo massimo edittale dell’art. 316-ter c.p. e quello dell’art. 640-bis c.p., figura esplicitamente prevalente, applicabile anche a truffe comportanti danni o vantaggi ‘non considerevoli’. Si potrebbe obiettare che è il maggior disvalore dell’art. 640-bis c.p. a giustificare il mantenimento di tale scarto sanzionatorio[16]; l’obiezione, senz’altro fondata, non sembra colmare del tutto, però, il possibile divario tra la pena massima per una truffa aggravata d’importo nettamente inferiore ai 100.000 euro e la pena massima per una percezione indebita d’importo nettamente superiore alla predetta soglia.

 

5. L’art. 1 lett. e d.lgs. 75/2020 allarga la platea dei soggetti passivi del delitto di cui all’art. 640 co. 2 n. 1 c.p. introducendo il riferimento all’Unione europea. Sul piano formale, si tratta di un accorgimento indispensabile: a dispetto di una risalente tendenza giurisprudenziale di segno opposto[17], a ben vedere, una lettura tassativa della disposizione impediva di far rientrare le istituzioni europee nel concetto di ‘ente pubblico’. Sennonché, nell’ottica di tutela del bilancio UE, a un primo sguardo, la riforma sembra destinata ad avere un impatto modesto: in materia di spese, l’amplissimo oggetto materiale dell’art. 640-bis c.p.[18] rende piuttosto angusti gli spazi di operatività del riformato art. 640 co. 2 n. 1 c.p., avvinto alla prima da un rapporto di genere a specie; in materia di entrate, del resto, la configurabilità dell’art. 640 co. 2 n. 1 c.p. in caso di frodi fiscali infracomunitarie era già stata riconosciuta anche in assenza d’un esplicito riferimento all’Unione[19].

 

6. L’art. 5 d.lgs. 75/2020 arricchisce l’elenco dei reati-presupposto di cui al d.lgs. 231/2001. In particolare: (i) nell’art. 24 d.lgs. 231/2001, vengono introdotti il delitto di ‘Frode nelle pubbliche forniture’ (art. 356 c.p.), con conseguente correzione della rubrica, oltreché il riferimento al «danno all’Unione europea» (art. 5 co. 1 d.lgs. 75/2020); (ii) l’operatività dell’art. 25 co. 1 d.lgs. 231/2001 viene estesa ai delitti di cui agli artt. 314 co. 1, 316 e 323 c.p., qualora il fatto offenda gli interessi dell’Unione europea (art. 5 co. 2 d.lgs. 75/2020). Le due modifiche vantano portata differente: più ampia la prima, potendo ora l’ente rispondere della frode in pubbliche forniture in danno dello Stato o di qualunque altro ente pubblico; più ristretta la seconda, considerato che le fattispecie di nuova introduzione innescano la responsabilità dell’ente soltanto laddove lesive degli interessi europei. Tale limitazione suscita dubbi analoghi a quelli inerenti alla modifica dell’art. 316-ter c.p. (§ 4.2): l’adeguamento eccessivamente rigido agli obblighi d’incriminazione, in effetti, apre una frattura ingiustificata tra la tutela delle finanze europee e la tutela delle finanze nazionali.

 

7. Da ultimo, il decreto ritocca il delitto di cui all’art. 2 co. 1 l. 23 dicembre 1986, n. 898, il quale,  ove il fatto non integri truffa aggravata, punisce con la reclusione da sei mesi a tre anni «chiunque, mediante l'esposizione di dati o notizie falsi, consegue indebitamente, per sé o per altri, aiuti, premi, indennità, restituzioni, contributi o altre erogazioni» a carico totale o parziale dei due fondi europei destinati alle attività agricole; analogamente a quanto previsto dall’art. 316-ter c.p., quando la somma indebitamente percepita è pari o inferiore a 5.000 euro, si applica soltanto una sanzione amministrativa, calcolata diversamente a seconda del fondo su cui grava l’erogazione[20]. L’adeguamento segue due direttrici: da una parte, anche qui si prevede l’innalzamento a quattro anni del massimo edittale qualora il danno o il profitto siano superiori a 100.000 euro[21] (art. 6 d.lgs. 75/2020); dall’altra, s’inserisce il delitto nel catalogo previsto all’art. 24 d.lgs. 231/2001 (nuovo co. 2-bis), riservandogli le sanzioni ivi previste (art. 3 co. 1 n. 3 d.lgs. 75/2020).

L’insistito interesse per questa fattispecie desta qualche perplessità: pur dovendole tributare il merito d’aver rappresentato l’archetipo penalistico delle ‘frodi comunitarie’ (peraltro in una forma più ‘agile’ rispetto al paradigma della truffa), la fattispecie risulta oggi perfettamente assorbita dall’art. 316-ter c.p., al punto che, in dottrina, se n’è a più riprese ipotizzata l’abrogazione implicita[22]. In un’ottica di razionalizzazione del sistema, l’opportunità della sua conservazione e, a fortiori, del suo ‘ammodernamento’ appare, allora, francamente discutibile.

 

* * *

 

8. Com’è stato efficacemente evidenziato, nell’adempiere gli obblighi eurounitari, il legislatore nazionale adotta tradizionalmente un approccio automatizzato e acritico, «a colpi d’ariete», che mina la gradualità e la razionalità del diritto interno[23]. Nel settore analizzato, la natura meccanica della strategia d’attuazione della direttiva PIF emerge, in particolare, dalla ‘gestione’ dei valori-soglia: (i) i valori-soglia superiori, indicativi dell’entità considerevole del danno o del profitto, vengono recepiti mediante semplici aggiustamenti dei massimi edittali[24], con insufficiente considerazione delle implicazioni sistemiche e pratiche; (ii) per converso, i valori-soglia inferiori, indicativi dell’importo al di sotto del quale il fatto degrada a illecito amministrativo, non vengono toccati. Tale manovra appare ancora una volta impedita dalla scelta restrittiva della l. 117/2019, la quale, in un senso, non dà seguito all’art. 7 § 4 dir. PIF, omettendo qualunque indicazione sull’adeguamento al rialzo delle soglie[25]; nell’altro, rinuncia a imporre un livellamento di quelle attualmente vigenti, inutilmente disomogenee.

Ad un primo sguardo d’insieme, insomma, il legislatore pare essersi lasciato sfuggire l’occasione di razionalizzare il ‘sistema frodi’[26], finendo, anzi, per appesantirlo ulteriormente, con pregiudizio della coerenza interna e, di riflesso, delle medesime istanze armonizzatrici alla base delle prescrizioni europee.

 

 

[2] La frode in materia di entrate derivanti dalle risorse provenienti dall’IVA, tuttavia, rileva ai sensi della direttiva soltanto se connessa al territorio di due o più Stati membri e comportante un danno complessivo pari ad almeno 10 milioni di euro (art. 2 § 2 dir. PIF).

[4] Per un’efficace panoramica sulle voci di bilancio UE ai fini penalistici, A. Venegoni, ll concetto di ‘interessi finanziari dell’Unione europea’ e il diritto penale, in Cass. pen., 2018, 12, p. 4382, part. 4388ss per le spese.

[5] Con lettera inviata il 18 settembre 2019, la Commissione metteva in mora l’Italia ex art. 258 TFUE per mancato recepimento della direttiva PIF (procedura 2019_0279). Il 20 novembre successivo, il Governo replicava alla Commissione segnalando l’inserimento della menzionata direttiva nella legge di delegazione europea 2018.

[6] Ad es., E. Basile, Riflessioni de lege ferenda sul recepimento della direttiva PIF: la repressione delle frodi e lo strano caso dell’art. 316-ter c.p., in Dir. pen. cont., 31 maggio 2019, pp. 16s; in prospettiva comparata, F. Giuffrida, The Protection of the Union’s Financial Interests after Lisbon, in General Principles for a Common Criminal Law Framework in the EU, a cura di R. Sicurella – V. Mitsilegas – R. Parizot – A. Lucifora, Milano 2017, pp. 256 ss.

[7] Si tratta della Relazione illustrativa dello schema del decreto, presentato alle Commissioni II (Giustizia), V (Bilancio) e XIV (Politiche dell’Unione europea) del Senato il 30 gennaio 2020 (p. 2).

[8] In questo senso, cfr. art. 3 co. 1 lett. c l. 117/2019.

[9] Sul punto, cfr. l’Analisi tecnico-normativa dell’Ufficio legislativo del Ministero della Giustizia allegata alla Relazione illustrativa dello schema di decreto (p. 3).

[10] Sul punto, B. Ballini, Le novità introdotte dal d.lgs. 14 luglio 2020, n. 75, in disCrimen 28 luglio 2020, p. 3, la quale giudica tale scelta «discutibile poiché contraria alle sempre più impellenti esigenze di semplificazione normativa».

[11] Il riferimento al bilancio europeo è esplicito nell’art. 316-ter c.p., che incrimina l’indebita percezione di qualsiasi genere di contributo erogato anche dall’Unione europea. Più sfumato, per converso, il collegamento con l’art. 316 c.p.: sul piano astratto, ad ogni modo, pensiamo che l’accezione estensiva del soggetto passivo – comunemente identificato non solo nel privato ma anche nella pubblica amministrazione, qualora l’agente tragga profitto da un errore commesso da altro pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio – consenta di far rientrare nello spettro dell’art. 316 c.p. anche la tutela delle finanze europee.

[12] Ad es., M. Gambardella, Il grande assente nella nuova ‘legge spazzacorrotti’: il microsistema delle fattispecie di corruzione, in Cass. pen. 2019, 1, p. 60. Come autorevolmente rilevato, infatti, quando si verte su circostanze cc.dd. indipendenti, anche nel caso in cui solo uno degli estremi edittali sia superiore a 1/3 rispetto all’estremo del reato base – in questo caso, il minimo – è ragionevole concludere che la circostanza abbia effetto speciale (T. Padovani, Circostanze del reato, in Dig. disc. pen., Torino 1988, p. 187). Contra, nel senso della circostanza a effetto comune, S. Fiore – G. Amarelli, Appendice di aggiornamento a I delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, Torino 2018, p. 2.

[13] In linea col principio enunciato da Cass. pen. sez. un., 27 aprile 2017, n. 28953, la circostanza introdotta con d.lgs. 75/2020 deve ritenersi a effetto comune.

[14] M. Romano, I delitti contro la pubblica amministrazione. I delitti dei pubblici ufficiali, Milano 2019, p. 100.

[15] Cfr., recentemente, Cass. pen. sez. VI, 26 novembre 2019, n. 7963.

[16] Cass. pen. sez. un., 19 aprile 2007, n. 16568: «vanno ricondotte alla fattispecie di cui all'art. 316-ter – e non a quella di truffa – le condotte alle quali non consegua un'induzione in errore per l'ente erogatore, dovendosi tenere conto, al riguardo, sia delle modalità del procedimento di volta in volta in rilievo ai fini della specifica erogazione, sia delle modalità effettive del suo svolgimento nel singolo caso concreto»; conf. Cass. pen. sez. un., 16 dicembre 2010, n. 7537. Sulle criticità poste da tale ambiguo criterio discretivo, E. Mezzetti, Frodi comunitarie, in Dig. disc. pen., Torino 2010, p. 326; M. Riverditi, Delitti a tutela dell’attività di finanziamento pubblico, in Reati contro la pubblica amministrazione, a cura di C.F. Grosso – M. Pelissero, Giuffrè 2015, pp. 160 ss.; M. Romano, I delitti contro la pubblica amministrazione, cit., pp. 95 ss.

[17] Cass. pen. sez. un., 24 gennaio 1996, n. 2780.

[18] Progressivamente esteso anche alle indennità di natura assistenziale (cfr. Cass. pen. sez. un., 19 aprile 2007, cit.; conf. Cass. pen. sez. VI, 5 ottobre 2010, n. 38457).

[19] Ad es., Cass. pen. sez. II, 9 marzo 2011, n. 12795; contra, Cass. pen. sez. II, 8 maggio 2008, n. 21566.

[20] Sui rapporti tra comparto agricolo e repressione delle frodi in danno alla UE, sia consentito il rinvio a E. Mazzanti, Le frodi agricole nello specchio della tutela penale degli interessi finanziari UE, in Riv. dir. agr. 2020, 1, p. 102, e bibliografia ivi contenuta.

[21] L’incidenza sui fondi agricoli europei rende superfluo il riferimento alla lesione degli interessi finanziari UE.

[22] E. Mezzetti, Frodi comunitarie, cit., p. 326; M. Romano, I delitti contro la pubblica amministrazione, cit., p. 93.

[23] F. Giunta, Europa e diritto penale. Tra linee di sviluppo e nodi problematici, in disCrimen, 26 marzo 2020, p. 5.

[24] Di «supina trasposizione nella normativa interna» parla B. Ballini, Le novità, cit., p. 9.

[25] La disposizione consente agli Stati Membri di prevedere sanzioni extra-penali per frodi fino a 10.000 euro.

[26] Sui cui deficit, per tutti, E. Mezzetti, Frodi comunitarie, cit., p. 325.