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08 Novembre 2023


L’applicazione della pena della detenzione domiciliare sostitutiva in appello in un caso di maltrattamenti in famiglia

Corte d’Appello di Napoli, sent. 6 ottobre 2023 (dep. 20 ottobre 2023), Pres. Grassi, rel. Forte



*Contributo pubblicato nel fascicolo 11/2023.

 

1. La sentenza della Corte di appello di Napoli, che può leggersi in allegato, si segnala per alcuni interessanti profili in merito alla nuova disciplina delle pene sostitutive delle pene detentive brevi (contenuta nella l. 689/1981), introdotta dalla riforma Cartabia (d.lgs. n. 150/2022). In particolare, la pronuncia offre l’occasione per qualche breve riflessione sulla detenzione domiciliare sostitutiva (art. 56 l. 689/81), sulla tipologia di reati che questa nuova pena sostitutiva può interessare e sulle modalità di richiesta di sostituzione in sede di appello.

 

2. Brevemente, il caso di specie riguardava un procedimento per i delitti di maltrattamenti in famiglia (art. 572 co. 2 c.p.) e lesioni (art. 582 c.p.) all’esito del quale, in primo grado, l’imputato era stato condannato alla pena di tre anni e tre mesi di reclusione.

Contro tale sentenza la difesa aveva proposto appello indicando tra i motivi aggiunti – limiteremo qui l’esame ai profili di nostro interesse – la richiesta di sostituzione della pena principale con una delle nuove pene sostitutive nel frattempo introdotte dalla l. 150/2022, indicando in particolare il lavoro di pubblica utilità quale pena più adatta, alla luce delle competenze professionali, delle condizioni personali, del rapporto con la figlia minore e della non particolare gravità dei fatti (sostenuta dalla difesa) o, in subordine, la detenzione domiciliare sostitutiva.

 

3. La Corte d’Appello di Napoli, pur confermando in toto la responsabilità per i fatti contestati e la loro gravità, ha concesso le circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sull’aggravante e rideterminato la pena in due anni e sei mesi di reclusione.

Quanto alla richiesta di applicazione di una pena sostitutiva, la Corte ha applicato la pena della detenzione domiciliare sostitutiva in luogo della originaria reclusione. Per giungere a tale conclusione, però, la Corte d’Appello di Napoli ha seguito un percorso argomentativo scandito essenzialmente da tre passaggi che vale la pena richiamare.

 

3.1. In primo luogo, la Corte ha dovuto vagliare l’applicabilità in astratto di una pena sostitutiva prendendo in considerazione i criteri ora indicati nell’art. 58 co. 1 della l. 689/1981[1] a seguito dell’intervento del d.lgs. 150/2022.

In proposito la Corte ha osservato che: i reati per i quali l’imputato è stato condannato sono tra quelli ai quali possono in astratto applicarsi le pene sostitutive, non rientrando tra quelli elencati nell’art. 4 bis l. 354/1975 che l’art. 59 l. 689/1981 richiama nello stabilire alcune ‘preclusioni soggettive’ alla sostituzione; la sospensione condizionale della pena non era stata concessa, né la stessa appare concedibile, trattandosi di una pena superiore al limite di due anni di reclusione previsto dall’art. 163 c.p.; la pena inflitta – pari a due anni e sei mesi di reclusione – è tale da poter essere sostituita con tutte le pene sostitutive, fatta eccezione per la pena pecuniaria; tenuto conto dei criteri di cui all’art. 133 c.p., può ritenersi che le pene sostitutive risultino più idonee alla rieducazione del condannato e che, anche attraverso opportune prescrizioni, assicurino la prevenzione del pericolo di commissione di altri reati; infine, da quanto in atti, non emergono fondati motivi per ritenere che le prescrizioni non saranno adempiute dal condannato (trattandosi di un soggetto incensurato e per lungo tempo sottoposto a misura cautelare non coercitiva rispetto alla quale non risultavano violazioni).

 

3.2. In secondo luogo, riconosciuta l’astratta applicabilità di una pena sostituiva, la Corte ha concentrato la propria attenzione sulla scelta della pena più idonea, in ossequio a quanto indicato dall’art. 58 co. 2 e 3 l. 689/1981[2]. Benché, come anticipato, la difesa avesse mostrato una certa preferenza per la pena del lavoro di pubblica utilità sostitutivo, ad avviso della Corte la pena più idonea al caso concreto risulta invece essere la detenzione domiciliare sostitutiva ex art. 56 l. 689/1981 (rispetto alla quale, comunque, il consenso poteva dirsi ugualmente prestato avendo la difesa provveduto ad indicare la sostituzione con tale pena ‘in subordine’ rispetto al lavoro di pubblica utilità).

Secondo i giudici, infatti, le prescrizioni della semilibertà sostitutiva (art. 55) sarebbero risultate «eccessivamente afflittive» in relazione ai fatti e alla personalità del condannato; mentre il lavoro di pubblica utilità sostitutivo (art. 56 bis) non sarebbe stato idoneo a «prevenire il rischio di recidiva e a favorire la risocializzazione del condannato, trattandosi» in questo caso «di misura non in grado di far ben comprendere l’effettivo disvalore dei comportamenti tenuti», oltre che incompatibile con le numerose incombenze professionali già presenti nella vita del condannato.

L’unica via percorribile per la sostituzione è dunque risultata quella della detenzione domiciliare che, comportando l’obbligo di permanere in casa per alcune ore del giorno, «si presenta tale da contemperare le esigenze personali del condannato, ivi comprese quelle concernenti le sue attività professionali, con quella di indurre una migliore comprensione delle condotte in questione» determinando concrete possibilità di risocializzazione.

 

3.3. In terzo ed ultimo luogo, la Corte, convinta della adeguatezza della detenzione domiciliare sostitutiva, ha proceduto a specificarne contenuti e prescrizioni con la previsione per il condannato di potersi allontanare dal proprio domicilio – ovviamente individuato in un luogo diverso da quello in cui risiede la della persona offesa, ai sensi dell’art. 56 co. 3 l. 689/1981 – dalle ore 7.30 alle ore 21.30, di non potersi avvicinare alle persone offese e ai luoghi da queste frequentati e di mantenere costantemente i contatti con l’UEPE.

Troveranno poi applicazione anche le cd. prescrizioni comuni che, ai sensi dell’art. 56 ter l. 689/1981, si applicano a tutte le pene sostitutive (ad eccezione della pena pecuniaria sostitutiva) e riguardano regole di condotta generale (divieto di detenere armi e munizioni), limitazioni alle frequentazioni (con pregiudicati e persone sottoposte a misure di sicurezza o prevenzione)  e agli spostamenti (potendo, anche nelle ore fuori dal domicilio, rimanere nel solo ambito territoriale della regione), il ritiro del passaporto e altri oneri generali (come quello di conservare, portare con sé ed esibire il provvedimento che dà esecuzione alla pena sostitutiva).

 

***

 

4. La sentenza della Corte d’Appello di Napoli si segnala per alcuni profili che meritano di essere evidenziati.

4.1. Innanzitutto, è opportuno mettere in luce che trattandosi di una condanna per il reato di cui all’art. 572 co. 2 c.p., sino all’entrata in vigore della nuova disciplina delle pene sostitutive, al condannato si sarebbe presentato come ineludibile l’ingresso in carcere: per espressa previsione dell’art. 656 co. 9 c.p.p., infatti, nei suoi confronti non avrebbe trovato applicazione la sospensione dell’ordine di esecuzione prevista dall’art. 656 co. 5 c.p.p. per le pene inferiori ai quattro anni.

Diversamente, l’art. 572 co. 2 c.p. non compare nell’elenco di reati di cui all’art. 4 bis della l. 354/1975 alla quale ora l’art. 59 co. 1 lett. d) l. 689/1981 rimanda per i casi di preclusione soggettiva per la sostituzione; dunque, nei confronti degli autori di questo tipo di reati, pur continuando a operare il divieto ex art. 656 co. 9 c.p.p., non opera una preclusione soggettiva alla sostituzione della pena detentiva quando la stessa venga comminata entro i limiti previsti per la sostituzione.

Le conseguenze non sono di poco conto: con l’entrata in vigore della riforma, per gli autori del reato di maltrattamenti contro familiari commesso in presenza o in danno di un minore, di una donna in stato di gravidanza o di una persona con disabilità oppure mediante l’uso di armi (art. 572 co. 2 c.p.), nelle ipotesi in cui il giudice di cognizione contenga la pena detentiva entro il termine di quattro anni e sussistano gli altri requisiti di idoneità, si apre la concreta possibilità di un’alternativa al carcere ab initio, nelle forme di una pena sostitutiva.

Non si tratta di una previsione in contrasto con la voluntas legis espressa dall’art. 656 co. 9 c.p.p. laddove la previsione del divieto di disporre la sospensione dell’ordine di carcerazione[3] risponde a un giudizio di speciale pericolosità del condannato, a cui si ricollega la necessità di tutela della collettività e di neutralizzazione immediata del reo mediante la detenzione carceraria[4].

La possibilità, infatti, di applicare una pena sostitutiva non inficia in alcun modo tali esigenze di tutela e neutralizzazione, per due ragioni.

In primo luogo, dal combinato disposto degli artt. 58 e 59 l. 689/1981 si ricava che le pene sostitutive possono trovare applicazione unicamente nei confronti di soggetti per i quali è stata esclusa la pericolosità; in secondo luogo, le pene sostitutive – pur escludendo l’ingresso in carcere – sono immediatamente esecutive e non mancano di contenuti afflittivi e di modalità di controllo. Si tratta infatti di ‘pene-programma’ il cui contenuto, valutato nella sua complessiva idoneità ai fini rieducativi, viene ritagliato dal giudice sulle esigenze del caso concreto attraverso una motivata modulazione della durata e della intensità delle prescrizioni previste ex lege.

Ne è un esempio il fatto che nel caso posto al vaglio della Corte di appello di Napoli il collegio ha valutato l’astratta applicabilità di tutte le pene sospensive ma ha individuato nella sola detenzione domiciliare sostitutiva la pena in grado di contemperare le esigenze personali del condannato con quelle della sua risocializzazione, senza incorrere in limitazioni eccessive (come sarebbe accaduto con la semilibertà sostitutiva) che, impedendo al condannato di proseguire le attività lavorative già in essere e recidendo i legami sociali, avrebbero unicamente prodotto la sua desocializzazione e compromesso la finalità rieducativa.

 

4.2. Sul piano dei contenuti, la detenzione domiciliare sostitutiva condivide con la semilibertà sostitutiva (art. 55) sia la possibilità di sostituire la pena detentiva entro il limite di quattro anni sia la natura di pena privativa della libertà personale. Come è noto, la sua peculiarità risiede nel luogo di esecuzione – il domicilio – che sicuramente contribuisce a mitigare fortemente l’afflittività della pena[5] ma al contempo scongiura i noti effetti deleteri del carcere nei confronti dei condannati a pene brevi affidando a un ‘programma di trattamento’ elaborato dall’UEPE il compito di risocializzare il condannato.

Nel dettaglio, l’art. 56 co. 1 prevede per il condannato l’obbligo di rimanere nel domicilio per non meno di dodici ore al giorno, avuto riguardo a comprovate esigenze familiari, di studio, di formazione professionale, di lavoro o di salute, e fatta salva in ogni caso la possibilità di lasciare il domicilio per almeno quattro ore al giorno, anche non continuative, per provvedere alle indispensabili esigenze di vita e di salute, secondo quanto stabilito dal giudice. Come abbiamo avuto modo di vedere nella sentenza della Corte di appello, l’onere di valutare il corretto bilanciamento tra il tempo da trascorrere in libertà e quello in detenzione spetta al giudice che «dispone la detenzione domiciliare sostitutiva tenendo conto anche del programma di trattamento elaborato dall’UEPE». Sull’esatta portata del coinvolgimento dell’UEPE in questa fase iniziale, sembrerebbe nella prassi prevalere la lettura che – anche in un’ottica di ottimizzazione delle (poche) risorse – valuta tale coinvolgimento iniziale come facoltativo, lasciando al giudice la possibilità di pronunciarsi immediatamente[6]. In ogni caso, la pena sostitutiva dovrà essere comunque dichiarata efficace ed eseguita dal magistrato di sorveglianza, che potrà chiedere successivamente il programma specifico all’UEPE, a cui il giudice – come nel caso in esame – può dunque limitarsi a rinviare in termini generici.

Quel che rimane certo, invece, è che l’UEPE deve prendere in carico il soggetto nella fase esecutiva, conservando in tale fase un compito di monitoraggio[7].

Benché non sia stato ritenuto necessario nella vicenda in esame, è interessante ricordare che l’art. 56 co. 4, in un’ottica di prevenzione e di tutela della persona offesa, prevede altresì la possibilità di «prescrivere procedure di controllo mediante mezzi elettronici o altri strumenti tecnici, conformi alle caratteristiche funzionali e operative degli apparati di cui le Forze di polizia abbiano l’effettiva disponibilità». Al condannato in detenzione domiciliare sostitutiva, in altri termini, potrebbe essere applicato il cd. braccialetto elettronico, al pari di quanto già avviene per la misura cautelare degli arresti domiciliari e per la detenzione domiciliare-misura alternativa[8]. La previsione, sicuramente, arricchisce gli strumenti di natura preventiva a disposizione del giudice (di conseguenza ampliando il novero di potenziali destinatari della pena sostitutiva) ma rischia nella prassi di scontare le note mancanze di questo strumento[9], come peraltro sembrerebbe confermare l’inciso in chiusura del quarto comma («la temporanea indisponibilità di tali mezzi non può ritardare l’inizio della esecuzione della detenzione domiciliare»).

 

4.3. Un ultimo profilo cui merita fare cenno riguarda le modalità di presentazione della richiesta di sostituzione della pena in appello.

Nel caso in esame, la condanna di primo grado era giunta nel mese di marzo 2022 e dunque in un momento anteriore alla entrata in vigore del d.lgs. 150/2022 (fissata al 30 dicembre 2022). La difesa l’aveva tempestivamente impugnata, presentando poi nei motivi aggiunti, fatti pervenire il 30 gennaio 2023, la richiesta di sostituzione della pena principale con il lavoro di pubblica utilità o con la detenzione domiciliare, alla luce delle novità nel frattempo introdotte dalla riforma Cartabia. Ci soffermiamo sul punto perché tale modus operandi seguito dalla difesa si pone perfettamente in linea con un recente orientamento espresso dalla Corte di cassazione ad avviso del quale «la semplice richiesta di sostituzione formulata nelle conclusioni in sede di gravame non è sufficiente a veicolare, nell’ambito del processo di appello, la questione connessa alla richiesta della sostituzione della pena detentiva in altra pena»[10]. Secondo la Cassazione, infatti, la possibilità di vedersi riconosciuto un trattamento più favorevole secondo quanto previsto dall’art. 545 bis c.p. – poiché afferente a un profilo strettamente sostanziale della disciplina – deve essere contemperata con le norme che disciplinano il rito di appello e, in particolare, con l’art. 597 co. 1 c.p.p. laddove limita l’ambito conoscitivo del Giudice di secondo grado ai punti della decisione strettamente connessi ai motivi proposti[11]. Proprio la lettura congiunta di queste due disposizioni, in uno con l’art. 95, d.lgs. n. 150 del 2022[12] «impone di ritenere che affinché possa essere richiesta in sede di appello la pena sostitutiva di pene detentive brevi […] la stessa debba essere veicolata attraverso i tipici strumenti processuali individuati per il regime delle impugnazioni in genere e dell’appello in particolare attraverso i motivi nuovi, quando ciò, ovviamente, sia in concreto possibile».

 

 

 

[1] Prevede il novellato art. 58 co.1 che «Il giudice, nei limiti fissati dalla legge e tenuto conto dei criteri indicati nell'articolo 133 del codice penale, se non ordina la sospensione condizionale della pena, può applicare le pene sostitutive della pena detentiva quando risultano più idonee alla rieducazione del condannato e quando, anche attraverso opportune prescrizioni, assicurano la prevenzione del pericolo di commissione di altri reati. La pena detentiva non può essere sostituita quando sussistono fondati motivi per ritenere che le prescrizioni non saranno adempiute dal condannato».

[2] Art. 58 co. 2: «Tra le pene sostitutive il giudice sceglie quella più idonea alla rieducazione e al reinserimento sociale del condannato con il minor sacrificio della libertà personale, indicando i motivi che giustificano l’applicazione della pena sostitutiva e la scelta del tipo». E al comma 3 «Quando applica la semilibertà o la detenzione domiciliare, il giudice deve indicare le specifiche ragioni per cui ritiene inidonei nel caso concreto il lavoro di pubblica utilità o la pena pecuniaria».

[3] La sospensione automatica dell’ordine di esecuzione della pena detentiva si applica allorché la pena inflitta, anche se costituente residuo di maggior pena, non sia superiore a quattro anni, ovvero a sei anni nei casi previsti dagli artt. 90 e 94 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.

[5] Cfr. sul punto: D. Bianchi, Le modifiche in materia di sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi, in Riforma Cartabia. La nuova giustizia penale, a cura di D. Castronuovo, M. Donini, E. M. Mancuso, G. Varraso, Milano, 2023, p. 88 ss.; v. anche A. Costantini, Prospettive di riforma della detenzione domiciliare tra pena principale e sanzione sostitutiva: verso un reale superamento del paradigma carcerocentrico?, in Riv. it. dir. proc. pen., 2022, 1, p. 310.

[6] In questo secondo senso si esprimono le linee guida degli Uffici giudiziari di Milano, di Napoli nord, di Torino e di Pavia

[8] Critico sulla particolare mitezza dello strumento, A. Bernardi, Note sparse sulla disciplina della pena pecuniaria e delle altre sanzioni sostitutive nella riforma Cartabia, in questa Rivista, 18 maggio 2023.

[9] Cfr. G.Marinucci-E. Dolcini-G.L. Gatta, Manuale di diritto penale. Parte generale, XII ed., 2023. p. 835 ss.

[10] Cass. sez. VI, sent. 27 settembre 2023 (dep. 11 ottobre 2023), n. 41313, Pres. Di Stefano, rel. Costantini

[11] Cfr. in tema anche Cass. sez.  VI, n. 6257 del 27/01/2016, Sapiente, Rv. 266500), nonché Sez. U, n. 12872 del 19/01/2017, Punzo, Rv. 269125 - 01).

[12] L’art. 95 d.lgs. n. 150 del 2022, disciplinando il regime transitorio in materia di pene sostitutive delle pene detentive brevi, entrato in vigore il 30 dicembre 2022, dispone che «Le norme previste dal Capo III della legge 24 novembre 1981, n. 689, se più favorevoli, si applicano anche ai procedimenti penali pendenti in primo grado o in grado di appello al momento  dell'entrata in vigore del presente decreto».