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09 Agosto 2024


Messa alla prova nel processo minorile e decreto “Caivano”: il GUP di Genova afferma l’irretroattività delle modifiche normative

Trib. minorenni Genova, GUP, ord. 19 giugno 2024, pres. est. Villa



*Contributo pubblicato nel fascicolo 7-8/2024. 

 

1. Il cosiddetto decreto “Caivano”[1], già sottoposto a due questioni di legittimità costituzionale relative ad alcune delle sue disposizioni di oggetto penalistico, torna a far discutere rispetto al suo ambito di applicazione temporale. La questione, in particolare, riguarda l’operatività retroattiva o meno della modifica alla disciplina della sospensione del procedimento con messa alla prova prevista dall’art. 28 d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448.

Come è noto, infatti, l’art. 6 del d.l. 123/2023, nella sua versione modificata dalla legge di conversione, ha inserito un c. 5-bis in coda all’art. 28 d.P.R. 448/1988, con il quale l’ambito di applicazione dell’istituto della messa alla prova minorile è stato limitato rispetto ad alcuni reati ritenuti particolarmente gravi, tra cui la violenza sessuale, individuale e di gruppo, al ricorrere di alcune aggravanti. Ne deriva il problema del regime intertemporale di tale novella legislativa, ed in particolare la sua operatività nei confronti dei fatti di reato commessi prima del 15 novembre 2023, data di entrata in vigore della norma.

Su tale questione si è recentemente pronunciato il g.u.p. del Tribunale per i Minorenni di Genova, con ordinanza del 19 giugno in commento. Nella sua decisione, il giudice minorile ha sostenuto l’operatività solo pro futuro della modifica normativa: così facendo, il g.u.p. si è discostato dall’unico precedente noto al riguardo, ossia l’ordinanza con cui il g.u.p. del Tribunale per i Minorenni di Bari ha sollevato questione di legittimità costituzionale della norma in questione[2]. Ricostruiamo, dunque, brevemente i termini delle due decisioni prima di provare a fornire qualche spunto di riflessione.

 

2. Procediamo in ordine cronologico col ricostruire dapprima l’argomentazione del giudice barese, già oggetto di commento su questa Rivista[3]. Il caso riguardava un’ipotesi di violenza sessuale di gruppo commessa in danno di minore infraquattordicenne, e concerneva la posizione di un concorrente non autore materiale della violenza. Appaiono dirimenti le scansioni cronologiche della vicenda: il fatto risale a prima del novembre 2019, come si desume dall’ordinanza[4]; all’udienza del 22 maggio 2022, l’imputato ha ammesso l’addebito e, contestualmente, chiesto la sospensione del procedimento con messa alla prova. Su parere favorevole del Pubblico Ministero, il giudice ha quindi disposto un rinvio al dicembre 2023 per acquisire il parere dei servizi minorili. Il 15 novembre, però, è entrata in vigore la legge di conversione del decreto Caivano, che ha escluso l’applicabilità della messa alla prova al reato di violenza sessuale di gruppo aggravata.

Il g.u.p. minorile di Bari, posto di fronte alla richiesta di sollevare questione di legittimità costituzionale della novella legislativa, ha ritenuto la questione rilevante e non manifestamente infondata. Tralasciamo, in questa sede, i profili concernenti la non manifesta infondatezza per concentrare l’attenzione sulla rilevanza della questione[5]: trattandosi di normativa sopravvenuta, il giudice barese si è posto il problema dell’applicabilità al caso oggetto di giudizio, fornendo risposta positiva.

Il ragionamento si articola in due passaggi logici distinti, chiaramente ricavabili dall’ordinanza: in primo luogo, il giudice si interroga sull’applicabilità del principio – proprio del diritto penale sostanziale – dell’irretroattività sfavorevole, sulla base del tempus regit factum o, al contrario, di quello – proprio del diritto processuale – del tempus regit actum. Su questo aspetto, l’ordinanza afferma l’operatività del secondo principio, quello processuale, sulla base dell’argomentazione per cui “l'istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova, pur avendo effetti sostanziali, determinando l'estinzione del reato, è intrinsecamente caratterizzato da una dimensione processuale”.

Ciò posto, il giudice si sofferma in modo più approfondito sul secondo passaggio, ossia l’individuazione di quale sia l’actum rilevante a cui ancorare il tempus della disciplina applicabile: come detto, infatti, la sopravvenienza normativa è intervenuta dopo la richiesta di sospensione del procedimento da parte dell’imputato, su parere favorevole del p.m., ma prima dell’ordinanza che dispone effettivamente tale sospensione. Anche su questo punto, l’ordinanza adotta la soluzione sfavorevole per l’imputato, ritenendo che “la richiesta di messa alla prova […] costituisc[a] una mera dichiarazione di disponibilità al programma”; al contrario, per individuare il momento rispetto a cui analizzare la normativa applicabile, occorre aver riguardo all’ordinanza che dispone la sospensione.

Sulla base di questi due passaggi argomentativi, il g.u.p. di Bari ha ritenuto rilevante la questione di legittimità costituzionale dell’art. 28, comma 5-bis, d.P.R. 448/1988, risultato applicabile al caso di specie[6].

 

3. Il medesimo problema si è posto all’attenzione del g.u.p. del Tribunale per i minorenni di Genova, che ha raggiunto una conclusione di segno opposto. In questo caso, i fatti riguardavano ipotesi di violenza sessuale continuata, aggravata anche dal fatto di essere commessa in danno di minore di età inferiore agli anni dieci. Anche in questo caso, è opportuno segnalare le scansioni temporali: i fatti risalgono al periodo compreso tra il 2011 e il 2013 e l’imputato ha reso dichiarazioni confessorie all’udienza del 22 maggio 2024.

Il g.u.p. di Genova, ritenuta la possibilità di concedere la messa alla prova richiesta dall’imputato, si è quindi soffermato sulla questione di diritto intertemporale relativa alla normativa sopravvenuta nel novembre 2023. Al riguardo, il giudice minorile si discosta dall’ordinanza barese, richiamando la giurisprudenza sui c.d. “fratelli minori di Scoppola”; ne deriva che, pur non negando apertamente la natura processuale dell’istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova, il giudice ritiene che per essa debba operare la garanzia dell’irretroattività sfavorevole da valutarsi con riferimento al momento in cui il reato è stato commesso. Trattandosi, nel caso di specie, di fatti risalenti a non oltre il 2013, il giudice afferma la possibilità di applicare il procedimento in questione.

***

4. Avendo così ricostruito l’iter argomentativo delle due ordinanze, proviamo quindi a proporre qualche spunto di riflessione sulla questione che le accomuna: la disciplina intertemporale della modifica all’art. 28 d.P.R. 448/1988[7]. Come detto, l’ordinanza del g.u.p. di Bari ha sostenuto l’applicabilità retroattiva della modifica, pur peggiorativa, sulla base della natura processuale dell’istituto; l’ordinanza del g.u.p. di Genova, al contrario, ha argomentato la natura sostanziale della stessa e, dunque, l’irretroattività della riforma.

A parere di chi scrive, la soluzione più ragionevole appare quest’ultima, anche se è bene evidenziare come, tanto in dottrina quanto in giurisprudenza, si registrino altresì voci di segno opposto[8]. La natura sostanziale dell’istituto, ai fini della disciplina di diritto intertemporale, può essere variamente argomentata; in particolare, dirimenti appaiono le considerazioni fondate su interpretazioni convenzionalmente e costituzionalmente orientate dell’istituto.

 

4.1. In primo luogo, occorre considerare la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, che è ampiamente consolidata nel senso di allargare l’ambito applicativo del principio di irretroattività della legge penale sfavorevole[9]. Nella concezione convenzionale del principio di irretroattività sfavorevole, infatti, non è tanto centrale la natura formale dell’istituto, quanto la sua incidenza sulla sanzione finale concretamente applicata al reo: la Corte di Strasburgo, infatti, non soltanto ha progressivamente esteso l’ambito di applicazione dei principi penalistici a istituti non appartenenti al diritto penale in senso formale, ma ha anche ampliato i confini “interni” di operatività di tali principi rispetto al diritto processuale[10].

Tale estensione dei principi garantistici propri tradizionalmente del diritto penale sostanziale ad istituti di matrice processuale si giustifica alla luce della peculiare connotazione che il nullum crimen assume nella giurisprudenza della Corte. Esso si configura, infatti, non tanto come un principio formale volto a garantire la separazione dei poteri, quanto come principio sostanziale funzionale ad assicurare le libere scelte d’azione dell’individuo[11]; non a caso, alla base della nota vicenda Scoppola si era posto un problema di successione di leggi che senz’ombra di dubbio si collocano nella sfera processuale[12].

 

4.2. Ma non vi è solo l’argomento convenzionale, a sostegno dell’operatività del principio di irretroattività nel caso di cui ci si sta occupando: anche la giurisprudenza della Corte costituzionale, infatti, ha – quantomeno dal 2020 – sfondato il muro di rigida separazione formale tra diritto penale sostanziale e diritto processuale. Con la sentenza n. 32 del 2020, infatti, la Consulta ha chiarito che anche l’esecuzione penale, a certe condizioni, deve ricadere nell’ambito di applicazione del principio di irretroattività sfavorevole di cui all’art. 25, comma 2, Cost.[13]; nel farlo, peraltro, la Corte ha attinto a piene mani proprio da quella giurisprudenza della Corte di Strasburgo cui si è fatto sopra riferimento[14].

Non appare superfluo soffermarsi ancora brevemente su questa fondamentale pronuncia della Corte costituzionale, che fornisce non pochi spunti anche rispetto al problema di cui ci si sta occupando. La Consulta, infatti, nella sua opera di “complessiva rimeditazione della portata del divieto di retroattività sancito dall’art. 25, secondo comma, Cost.”, individua un duplice fondamento della norma: da un lato, essa “mira a garantire al destinatario della norma una ragionevole prevedibilità delle conseguenze” delle sue azioni, sia nel momento in cui commette l’illecito che nel momento in cui opera le sue scelte difensive; dall’altro, “il divieto in parola erige un bastione a garanzia dell’individuo contro possibili abusi da parte del potere legislativo” [15].

Se si applicano questi principi al caso di specie, appare difficile negare l’operatività dell’art. 25, comma 2, Cost. anche rispetto alla modifica dell’art. 28 d.P.R. 448/1988 operata dalla legge di conversione del decreto “Caivano”. Con riguardo alla tutela della prevedibilità delle conseguenze delle azioni individuali, anche rispetto alle scelte difensive, emblematica è la vicenda oggetto dell’ordinanza del g.u.p. di Bari. Come si è sopra evidenziato la violenza sarebbe stata commessa nel 2019, e la richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova presentata nel maggio 2022, accompagnata dalla confessione da parte dell’imputato; la sospensione, però, è stata negata per effetto dell’entrata in vigore della legge 159 del 2023, successiva tanto al fatto quanto alla richiesta. Non soltanto, quindi, all’imputato risulta preclusa – sulla base di una legge successiva al fatto di reato – la possibilità di accedere ad un rito che gli avrebbe potenzialmente consentito di evitare la condanna ad una pena detentiva; ma addirittura la prova della sua colpevolezza potrebbe essere desunta anche da dichiarazioni rese nell’ambito di una strategia difensiva elaborata avendo come obiettivo proprio tale opzione, poi preclusa.

Quanto, poi, all’esigenza di evitare abusi da parte del potere legislativo, che essa ricorra appare evidente già solo considerando il nome assunto dalla novella normativa: come già evidenziato in sede di primo commento proprio in questa Rivista[16], infatti, il decreto “Caivano” è stato adottato con la forma del decreto-legge proprio sulla base dell’onda emotiva di alcuni fatti di cronaca relativi a violenze sessuali di gruppo che hanno visto coinvolti autori e vittime di giovane e giovanissima età. La gravità dei fatti e la giovane età degli autori, tuttavia, non può certamente giustificare la deroga ad un principio fondamentale dell’ordinamento quale è quello posto dall’art. 25, comma 2, Cost., attraverso quelle che la Corte costituzionale – richiamando la giurisprudenza della Corte Suprema statunitense – ha definito “sentenze in forma di legge”[17].

 

4.3. A sostegno della natura processuale dell’istituto – e dunque dell’operatività del principio tempus regit actum si invoca, invece, la sentenza 68/2019 della Corte costituzionale[18]. In tale pronuncia, la Corte ha ritenuto conforme a Costituzione la disciplina della messa alla prova minorile nella parte in cui, in caso di esito negativo della prova e di successiva condanna, prevede che il periodo di prova non sia computato come presofferto ai fini della pena detentiva eventualmente applicata. In particolare, si è sostenuto che la Corte, avendo escluso la natura afflittiva della messa alla prova minorile, ne avrebbe escluso la natura sostanziale[19]. Ne deriverebbe il “carattere essenzialmente processuale” di “sospensione ‘impropria’” dell’istituto[20].

A nostro sommesso avviso, però, la sentenza della Corte si presta anche ad una lettura differente. La Corte, infatti, individua una serie di differenze che contraddistinguono la messa alla prova minorile rispetto all’omologo istituto per adulti e all’affidamento in prova ai servizi sociali come misura alternativa alla detenzione; tali differenze giustificano – secondo il ragionamento della Corte – la non totale equiparazione delle misure ai fini del computo del presofferto. La Consulta, in particolare, afferma che “alla messa alla prova per i minorenni […] non può essere ascritta alcuna funzione sanzionatoria”, in quanto essa “è concepita dal legislatore come in larga parte svincolata da un rapporto di proporzionalità rispetto al reato”: è quindi legittimo che il tempo trascorso in messa alla prova non venga computato come pena espiata[21].

Cionondimeno, la Corte evidenzia come “anche tale beneficio possa essere concesso soltanto sulla base di un accertamento – sia pure sommario, incidentale e allo stato degli atti – della responsabilità penale dell’imputato”[22]; se un accertamento di responsabilità è necessario, però, la messa alla prova non può che configurarsi come risposta ordinamentale ad un reato commesso. La misura in esame, perciò, pur configurandosi come forma di diversion processuale, affonda i suoi presupposti ed esplica i suoi effetti sul piano sostanziale: presuppone la commissione di un reato ed impedisce, in caso di esito positivo, l’applicazione della pena. In altre parole, pur con tutte le peculiarità che la caratterizzano, la messa alla prova costituisce una diversa reazione dell’ordinamento alla commissione del reato; rispetto alla stessa, dunque, dovrebbe trovare applicazione il fondamentale principio di irretroattività della legge penale sfavorevole.

Inoltre, è bene evidenziare che – nonostante le innegabili differenze che intercorrono tra la messa alla prova minorile e quella per adulti[23] - entrambi gli istituti producono l’effetto sostanziale di estinguere il reato (art. 29 d.P.R. 448/1988 e art. 168-ter c.p.). Pertanto, sembra ragionevole ritenere che anche tale istituto debba inquadrarsi nell’ambito delle cause di estinzione del reato, al pari della messa alla prova per adulti, di cui condivide la collocazione a cavallo tra il sostanziale e il processuale[24].

Peraltro, le considerazioni appena svolte ci sembra che possano trovare ulteriore appiglio nella sentenza 139 del 2020 della Corte costituzionale[25]. In quella occasione, infatti, la Corte ha ritenuto infondate le censure rivolte all’istituto della messa alla prova minorile rispetto alla non applicabilità nel corso delle indagini preliminari; a sostegno di tale conclusione la Consulta ha valorizzato in particolare la funzione esclusivamente rieducativa della messa alla prova minorile. Ad essa è “estraneo ogni obiettivo di deflazione giudiziaria” nonché la logica negoziale che connota il parallelo istituti per adulti; il fatto che la messa alla prova minorile sia rimessa all’esclusiva discrezionalità del giudice giustifica la sua applicazione solo a partire dall’udienza preliminare in quanto “presuppone quantomeno una definizione approssimativa dei fatti, sintomatici delle necessità rieducative del minore indagato”[26]. Dalle parole della Consulta emerge – ci sembra – la connotazione della messa alla prova come peculiare risposta non sanzionatoria alla commissione di un reato; non solo un particolare modulo procedimentale, ma una vera e propria reazione non punitiva[27].

 

5. Lo spazio di questi brevi note non consente di approfondire oltre l’argomentazione che si è cercato di abbozzare; la questione, peraltro, appare destinata a trovare una risposta definitiva ad opera della Corte costituzionale, che sarà a breve chiamata a pronunciarsi sulla questione sollevata dal g.u.p. di Bari[28]. Ci sembra, tuttavia, che la questione evidenzi ancora una volta come, quando ci si confronta con le garanzie fondamentali, non è possibile ragionare in ottica rigida qualificando una volta per tutte un istituto come sostanziale o processuale; come ormai evidenziato da tempo dalla dottrina, determinante è l’ambito applicativo della singola garanzia che discende, in ultima analisi, dalla sua ratio[29].

 

[1] Decreto-legge 15 settembre 2023, n. 123, convertito con modificazioni dalla legge 13 novembre 2023, n. 159.

[2] Trib. minorenni Bari, GUP, ord. 25 marzo 2024, giud. Stilla.

[4] L’imputazione non riporta né la data né il luogo del fatto, coerentemente con le esigenze di anonimizzazione dei provvedimenti concernenti minori; tuttavia, si fa riferimento alle s.i.t. della persona offesa assunte il 26 novembre 2019, da cui si desume che il fatto sia stato commesso in un momento anteriore a tale data.

[5] Per approfondimenti sul merito della questione di costituzionalità, si veda L. Camaldo, Condivisibili dubbi di legittimità costituzionale, cit.; argomentazioni di analogo tenore erano state svolte, in dottrina, da A. Massaro, La risposta 'punitiva' a disagio giovanile, povertà educativa e criminalità minorile: profili penalistici del c.d. decreto Caivano, in Dir. pen. proc., 2024, fasc. 2, §5.

[6] Da segnalare che il più volte citato L. Camaldo, Condivisibili dubbi di legittimità costituzionale, cit., ha ritenuto condivisibile l’impostazione sul punto del giudice barese e che, peraltro, un analogo ragionamento era stato svolto anche da C. De Luca – L. Mantovani, Decreto “Caivano” e modifiche al procedimento penale minorile: alcune questioni controverse, in Cass. pen., 2024, fasc. 6, p. 1928-12929.

[7] Sul punto, anche per un’analisi del nuovo art. 27-bis del d.P.R. 448/1988, si vedano nuovamente C. De Luca – L. Mantovani, Decreto “Caivano” e modifiche al procedimento penale minorile, cit.

[8] In particolare, si veda C. Cesari, Sub art. 28, in G. Giostra (a cura di), Il processo penale minorile, V ed., Milano, 2021, p. 465-466. e, più di recente, proprio con riguardo alla questione che qui interessa, C. De Luca – L. Mantovani, Decreto “Caivano” e modifiche al procedimento penale minorile, cit.

[9] Si veda F. Mazzacuva, Art. 7 – Nulla poena sine lege, in G. Ubertis – F. Viganò, Corte di Strasburgo e giustizia penale, II ed., Torino, 2022, p. 305 ss. e p. 314 ss.; nella giurisprudenza della Corte, basti qui citare le fondamentali sentenze Corte edu, g.c., sent. 21 ottobre 2012, Del Rio Prada c. Spagna e Corte edu, g.c., sent. 17 novembre 2009, Scoppola c. Italia (n. 2).

[10] F. Mazzacuva, Le pene nascoste, Torino, 2017, p. 277 ss.

[11] F. Mazzacuva, Art. 7 – Nulla poena sine lege, cit., p. 300 ss.

[12] Come è noto, nel caso Scoppola, la Corte ha qualificato come sostanziale la riforma dell’art. 442, comma 2, c.p.p., ritenendo che operassero, di conseguenza, il divieto di irretroattività sfavorevole e il principio di retroattività favorevole; per una estesa ricostruzione della vicenda si veda S Bissaro, Corte costituzionale e “materia penale”. I confini mobili delle garanzie penalistiche, tra Costituzione e Carte internazionali, Milano, 2022, p. 204 ss.

[13] Corte cost., sent. 12 febbraio 2020, n. 32, § 4.3. del Considerato in diritto; si vedano, al riguardo, in particolare V. Manes – F. Mazzacuva, Irretroattività e libertà personale: l’art. 25, secondo comma, Cost. rompe gli argini dell’esecuzione penale, in questa Rivista.

[14] Corte cost., sent. 32/2020, § 4.2. del Considerato in diritto; S Bissaro, Corte costituzionale e “materia penale”, cit., p. 216 ss.

[15] Corte cost., sent. 32/2020, § 4.3.1. del Considerato in diritto.

[17] Corte cost., sent. 32/2020, § 4.3.1. del Considerato in diritto

[18] Corte cost., sent. 20 febbraio 2019, n. 68, richiamata in questo senso da L. Camaldo, Condivisibili dubbi di legittimità costituzionale, cit., nt. 8

[19] La Corte, infatti, afferma che alla messa alla prova per i minorenni “non può essere ascritta alcuna funzione sanzionatoria”; in dottrina, tuttavia, si evidenzia anche come l’istituto sia una “misura di natura non meramente clemenziale , in quanto persegue un risultato responsabilizzante” e come l’istituto persegua anche una finalità di difesa sociale in senso lato, in quanto la rinuncia alla punizione avviene solo previa analisi del percorso di maturazione del minore (A. Ciavola – V. Patané, La specificità delle formule decisorie minorili, in E. Zappalà (a cura di), La giurisdizione specializzata nella giustizia penale minorile, III ed., Torino, 2019., p. 188

[20] Il virgolettato è di C. Cesari, Sub art. 28, cit.

[21] Corte cost., sent. 68/2019, par. 3.2.2. del Considerato in diritto; peraltro, questa conclusione è stata oggetto di critiche in dottrina: si veda M. Miraglia, Indagini preliminari e messa alla prova: ragionevoli divergenze tra probation minorile e rito codicistico, in Giur. cost., 2020, fasc. 4, p. 1620 e dottrina ivi citata.

[22] Corte cost., sent. 68/2019, par. 3.2.2. del Considerato in diritto

[23] Si veda in particolare G.L. Fanuli, L’istituto della messa alla prova ex lege 28 aprile 2014, n. 67. Inquadramento teorico e problematiche applicative, in Arch. nuova proc. pen., 2014, fasc. 5, p. 428.

[24] Sulla “natura ambivalente” della messa alla prova codicistica, si veda L. Bontempi, Sub art. 162-bis, in E. Dolcini – G.L. Gatta, Codice penale commentato, Tomo I, V ed., Milano, 2021, p. 2375.

[25] Corte cost., sent. 10 giugno 2020, n. 139.

[26] Corte cost., sent. 139/2020, par. 4.5.1. del Considerato in diritto.

[27] Ci sembra questo il senso delle considerazioni svolte da A. Ciavola – V. Patané, La specificità delle formule decisorie minorili, cit., p. 187 ss.

[28] La discussione risulta fissata all’udienza del 15 ottobre 2024.

[29] Si veda L. Masera, La nozione costituzionale di materia penale, Torino, 2018, p. 205 ss.