Cass., Sez. V, ud. 3 aprile 2023 (dep. 31 agosto 2023), n. 36402, Pres. Catena, Est. Sessa
*Contributo pubblicato nel fascicolo 1/2024.
1. La sentenza della Corte di cassazione che può leggersi in allegato segna un’ulteriore tappa nello sviluppo del contrasto giurisprudenziale[1] ormai conclamato rispetto all’elemento soggettivo nel delitto di omicidio preterintenzionale.
La soluzione, lo si anticipa, è nel senso di aderire all’orientamento tradizionale[2], non dando seguito alle aperture che avevano contrassegnato una pronuncia di poco precedente della stessa Sezione, già commentata su questa Rivista[3].
Prima di addentrarsi nell’analisi della pronuncia, non ci si può esimere da una notazione che vorrebbe valere come rispettoso richiamo alla Corte affinché, nell’esercizio consapevole della propria funzione nomofilattica, faccia buon governo degli strumenti processuali e dell’istituto della camera di consiglio per prevenire l’insorgenza e lo sviluppo di contrasti che, per il loro svolgersi, possono creare un certo sgomento agli interpreti, e, di riflesso, ciò che più conta, ai destinatari del precetto.
Non è, infatti, irrilevante segnalare che il contrasto si manifesta nell’ambito della stessa Sezione, la Quinta, che si esprime in maniera differenziata spesso pronunciandosi in composizioni fra loro analoghe: la sentenza che qui si annota è resa da un Collegio presieduto dalla Consigliera che pochi mesi prima aveva fatto da Relatrice nell’elaborazione della pronuncia che era pervenuta ad esiti interpretativi diametralmente opposti, ed ha avuto come Relatrice una Consigliera che di quello stesso Collegio aveva pure fatto parte.
Quanto sopra, pur, e proprio, nella piena consapevolezza della collegialità che caratterizza le decisioni giudiziarie, pone interrogativi sul grado di riflessione sotteso a certi contrasti, e genera l’auspicio che, per il disorientamento che creano, possano facilmente essere prevenuti, con, forse, un più intenso ricorso alla fisiologica dialettica interna.
L’imputazione, che sarà poi approfondita, concerneva una rissa degenerata in colluttazione da cui derivava la morte di uno dei corissanti per effetto dell’acuirsi di una patologia cerebrale.
La sentenza si distingue per aver affrontato la fattispecie di omicidio preterintenzionale manifestando piena adesione all’orientamento tradizionale[4], che viene ulteriormente sistematizzato ed approfondito con articolate argomentazioni. Ancora una volta[5], in particolare, vengono messe in evidenza le differenze fra l’omicidio preterintenzionale ed il diverso reato di morte o lesioni come conseguenza di altro delitto (art. 586 c.p.), in relazione al quale, come noto, è ormai indiscussa la necessità di accertare in concreto la colpa dell’agente per la morte cagionata[6].
2. I profili essenziali in punto di fatto possono essere così riassunti.
U.C., l’imputato, ha colpito con un pugno al volto J.J., la persona offesa, facendola stramazzare al suolo sbattendo la testa: tale condotta contribuiva a cagionarne la morte per ipertensione endocranica, trattandosi di un soggetto già affetto da neurocitoma centrale.
L’ampiezza delle argomentazioni svolte e l’analiticità con cui sono state prospettate rendono interessante un esame dei motivi di ricorso articolati dal difensore.
In primo luogo, viene sollevata un’eccezione di costituzionalità rispetto all’art. 584 c.p., protestandone l’illegittimità a metro dell’art. 27 co. 1 e co. 3 Cost., in quanto si tratterebbe di un’ipotesi di responsabilità oggettiva ormai incompatibile con il principio di colpevolezza che, per come declinato dalla Corte costituzionale, deve interpretarsi nel senso di prevedere almeno la colpa come titolo soggettivo di ascrizione di tutti gli elementi che fondano il disvalore penale di una condotta[7].
La Difesa contesta alla giurisprudenza di non essersi adeguata ai principi affermati dalla Consulta, ostinandosi a marcare la pretesa diversità fra l’omicidio preterintenzionale e le morte o lesioni come conseguenza di altro delitto, con ciò perpetuando un’interpretazione illegittima perché fondamentalmente basata sulla responsabilità oggettiva.
In particolare, viene ritenuta inappagante l’interpretazione che fa leva sul dolo unitario, in base alla quale l’elemento soggettivo sarebbe costituito unicamente dal dolo di percosse o lesioni in quanto la disposizione di cui all’art. 43 assorbirebbe la prevedibilità dell’evento più grave nell’intenzione di risultato. Si afferma che questa ricostruzione si risolve, sostanzialmente, in un’ipotesi di responsabilità oggettiva perché finisce per appiattire l’accertamento dell’elemento soggettivo del reato su quello che ha ad oggetto la sussistenza del nesso causale fra la condotta-base aggressiva e la morte.
Viene, inoltre, ritenuta erronea l’applicazione dei principi in materia di nesso di causalità (artt. 40 e 41 c.p.), per come interpretati dal diritto vivente[8], in quanto la morte non sarebbe stata causata dal pugno, poiché ad essa aveva concorso, in maniera determinante, la pregressa neoplasia cerebrale di cui era già affetta la persona offesa.
Da ultimo, in subordine alla questione di legittimità costituzionale, viene articolato un motivo in cui si sostiene la necessità di equiparare l’interpretazione dell’elemento soggettivo del reato ex art. 584 c.p. a quello dell’art. 586 c.p., ponendo l’accertamento della colpa in concreto per l’evento-morte come presupposto indefettibile della condanna.
3. Come detto in sede introduttiva, la sentenza in commento si caratterizza per un’articolata motivazione in punto di criterio di imputazione soggettiva dell’evento morte nell’omicidio preterintenzionale, che si pone in frontale contrasto con l’orientamento del dolo misto a colpa, ribadendo quello tradizionale[9], con un significativo cimento argomentativo.
In primo luogo, viene affrontata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 584 c.p. in riferimento ai parametri di cui all’art. 27 co. 1 e co. 3 Cost.
Si afferma, sul punto, che l’orientamento maggioritario fondato sul dolo unitario rappresenta un’interpretazione costituzionalmente orientata della fattispecie idonea di per sé ad escluderne l’illegittimità: infatti, il rischio dell’evento morte è considerato implicito nell’offesa all’incolumità personale in quanto si tratta di un evento omogeneo rispetto a quello meno grave dei delitti sussidiari di percosse o lesioni.
È la stessa previsione normativa a contemplare tale prevedibilità, in quanto il Legislatore stesso ha formulato, in via definitiva, tale giudizio, reputando assolutamente probabile che da un’azione violenta contro una persona possa derivarne la morte della stessa[10].
La ragionevolezza della previsione normativa è argomentata in base al rilievo della delicatezza degli equilibri biologici, che rende necessaria la predisposizione di una difesa più avanzata del bene giuridico della vita[11].
Posto, dunque, che, secondo i Giudici, l’impostazione del dolo di risultato con previsione ex lege è conforme ai principi costituzionali, la motivazione si sofferma sulle ragioni per cui non può essere accolta la diversa opzione nel senso di equiparare l’interpretazione dell’omicidio preterintenzionale a quella che viene svolta in relazione al delitto ex art. 586 c.p.
Si afferma, in primo luogo, la diversità strutturale fra le due fattispecie: nel caso dell’omicidio preterintenzionale la lesione si riferisce allo stesso genere di interessi giuridici (incolumità della persona), mentre nello speciale reato aberrante descritto all’art. 586 c.p. viene leso un interesse del tutto eterogeneo rispetto a quello dell’incolumità personale.
È, inoltre, valorizzata la precisa scelta legislativa di descrivere la preterintenzione come elemento soggettivo autonomo che si affianca al dolo e alla colpa e si incentra proprio sulla derivazione dell’evento più grave dalla condotta lesiva dell’agente. Siccome tale giudizio di prevedibilità è contenuto nella legge penale, si afferma, esso non può essere ignorato dal consociato, il quale è chiamato a rispondere come fatto suo proprio, a titolo preterintenzionale, della morte eziologicamente riconducibile alla propria condotta dolosa di percosse o lesioni.
L’evento morte, dunque, non è imputabile a titolo di colpa: sul piano strutturale è assente il riferimento alla colpa, contenuto all’art. 586 c.p. in base al riferimento all’art. 83 c.p.; sul piano funzionale, la ragionevolezza del giudizio di prevedibilità ex ante formulato dal Legislatore rende superfluo e non dovuto l’accertamento della colpa in concreto.
Nemmeno, tuttavia, si può ravvisare un’ipotesi di responsabilità oggettiva, in quanto l’evento più grave rappresenta una progressione legislativamente prevista, ragionevole, e fondata su scelte di politica criminale non sindacabili, strutturata sull’incorporazione dell’evento nella fattispecie incriminatrice ex art. 584 c.p., che, si afferma, implica «qualcosa di più della colpa», da ravvisarsi proprio nel dolo di risultato.
Ciò argomentato sull’elemento soggettivo dell’omicidio preterintenzionale, la Corte si sofferma anche sul nesso causale, richiamando l’orientamento consolidato[12] per cui esso deve essere accertato con giudizio ex post su base totalmente oggettiva, mediante il noto procedimento di eliminazione mentale. In base al disposto dell’art. 41 co. 1 c.p. non può ritenersi escluso per la sussistenza di concause preesistenti o concomitanti (nel caso di specie la pregressa neoplasia, ricondotta ad un tumore benigno, comunque scoperto solo dopo il ricovero ospedaliero su cui si è innestato il colpo inferto dall’aggressore che ha determinato lo scompenso dello stato di ipertensione endocranica preesistente).
Quanto alle concause idonee ad escludere il nesso di causalità, si richiamano argomentazioni che paiono riconducibili ai paradigmi della causalità adeguata[13], nella misura in cui le si individua in fattori caratterizzati da straordinarietà, che si pongono come del tutto anomali ed assorbenti rispetto alla serie causale in cui sono solo occasionalmente inseriti. Ciò non è ravvisato nel caso di specie, in quanto il colpo inferto dall’aggressione ha comportato lo stravolgimento del fragile equilibrio biologico in cui già versava la persona offesa con conseguente ipertensione endocranica acuta che, in ragione dell’aumento del volume liquorale dei ventricoli laterali, esitava repentinamente in morte.
Quanto all’art. 41 co. 2 c.p., viene fornita un’interpretazione strettamente letterale[14], che ne riferisce l’operatività solo alle cause sopravvenute, e ravvisa nelle doglianze formulate dal ricorrente il tentativo di spostare il baricentro dell’accertamento dall’elemento oggettivo a quello soggettivo del reato, mascherando sotto le specie dell’accertamento causale argomentazioni che, in realtà, si riferiscono alla prevedibilità dell’evento morte, il cui decorso eziologico è incontrovertibilmente innescato dall’aggressione, senza che sul punto possa aver spazio alcun ragionevole dubbio[15].
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4. La sentenza qui segnalata ci offre lo spunto per approfondire riflessioni in punto di omicidio preterintenzionale già svolte in precedenza[16], anche alla luce di successive riflessioni[17] sviluppate a supporto dell’orientamento opposto[18].
Come già evidenziato, la portata innovativa della sentenza si caratterizza da un lato per l’originale argomentazione su cui si fonda l’adesione all’orientamento maggioritario della prevedibilità dell’evento più grave assorbita nell’intenzione di risultato, per la cui giustificazione vengono spesi argomenti, che, pur non privi di criticità, approfondiscono la descrizione dogmatica della preterintenzione.
Viene disatteso l’orientamento ormai consolidato della dottrina[19] che equipara la fattispecie preterintenzionale alle altre ipotesi di responsabilità oggettiva e si fonda sull’assunto per cui sarebbe impossibile configurare una forma intermedia di responsabilità tra il dolo e la colpa. Si afferma, infatti, che o l’evento è sorretto da coefficienti volontaristici, e allora è imputabile a titolo di dolo, o esso, pur conseguenza della condotta, non è voluto, e dà luogo a responsabilità per colpa nei casi espressamente previsti dalla legge.
Dall’argomentata insostenibilità costituzionale della responsabilità oggettiva, ambito in cui anche la preterintenzione si iscriverebbe, deriverebbe, perciò, la necessità di una piena valorizzazione del principio di colpevolezza, che imporrebbe la necessità di imputare l’evento ulteriore solo a condizione che sia dato ravvisare i presupposti della colpa generica[20], in termini di prevedibilità ed evitabilità secondo i medesimi criteri di accertamento che guidano l’interprete nel giudizio sulla colpa in attività lecita.
Tutto ciò non è condiviso nella sentenza, che, invece, parte dall’assunto dell’autonomia logico-giuridica della preterintenzione rispetto agli altri coefficienti di ascrizione soggettiva, mantenendosi, sul punto, strettamente aderente al dettato codicistico, che qualifica l’illecito preterintenzionale come una fattispecie delittuosa strutturalmente distinta sia dal delitto doloso che da quello colposo.
La specificità del delitto preterintenzionale consiste nel dato per cui la realizzazione del fatto più grave non voluto è sottesa alla rappresentazione e volizione di uno meno grave: fra i due eventi sussiste una omogeneità strutturale della lesione, in cui l’evento voluto e quello non voluto sono in rapporto di progressione lineare. Se ciò è chiaro, resta il problema di includere l’evento letale nel fuoco della colpevolezza[21]; esso, come è evidente, costituisce un elemento costitutivo del reato che ne fonda il giudizio di disvalore astratto.
Date queste premesse, che sostanzialmente riproducono la tradizionale dialettica fra dottrina e giurisprudenza nell’applicazione dell’omicidio preterintenzionale, la sentenza in commento si profonde in argomentazioni originali e suggestive.
In primo luogo, nella parte in cui si valorizza la fonte legislativa del giudizio di prevedibilità, sembra che il Collegio costruisca la fattispecie ex art. 584 c.p. come un inedito reato di pericolo presunto con dolo di danno.
In sintesi: l’agente si rappresenta e vuole le percosse o lesioni, da esse deriva la morte (evento di danno), ma tali percosse o lesioni dolose generano, in base ad una previsione formulata una volta per tutte dal Legislatore, il pericolo della morte del soggetto aggredito.
La logica pare proprio quella del pericolo astratto (o presunto), in cui il pericolo per il bene giuridico tutelato «non è un elemento del fatto tipico che deve essere accertato dal giudice, ma è insito nella condotta o nell’evento, in base ad una valutazione fatta dal Legislatore sulla base di regole di esperienza»[22].
Così ricostruita la fisionomia strutturale dell’illecito, applicando i criteri interpretativi prevalenti[23], l’offesa all’interesse tutelato sarebbe esclusa dall’oggetto del dolo, essendo immanente alla valutazione legislativa sottesa all’incriminazione.
Come evidenziato in dottrina[24], escludere la conoscenza dell’offesa dall’oggetto del dolo si salda con l’ulteriore corollario argomentativo che, pur implicitamente, viene svolto dalla Cassazione per argomentare l’adesione all’orientamento maggioritario.
Infatti, in base al principio di colpevolezza per come declinato dalla Consulta in rapporto all’interpretazione dell’art. 5 c.p., la scelta del sistema sembra orientata nel senso di ammettere l’imputazione dolosa alla sola condizione che l’illiceità della condotta fosse conoscibile dall’agente. Potrà, quindi, aversi imputazione dolosa se il soggetto, potendo conoscere il divieto legale, abbia comunque agito.
Sullo sfondo di tale lettura, peraltro, sembra porsi la tradizionale distinzione fra reati “naturali” e reati “artificiali”: i primi, essendo caratterizzati da tratti immediatamente percepibili di disvalore sociale, sarebbero certamente imputabili all’agente sulla base della corrente lettura del principio di colpevolezza, in quanto egli potrebbe senza margine di dubbio rappresentarsi la contrarietà della propria condotta ai precetti dell’ordinamento.
Questo ragionamento pare porsi sullo sfondo della sentenza in commento nella misura in cui si afferma che, essendo la stessa legge penale a formulare il giudizio di prevedibilità dell’evento più grave, l’agente non potrebbe esimersi dalla propria responsabilità in quanto, seppur in errore, esso sarebbe nondimeno inescusabile poiché concernente la fattispecie incriminatrice (art. 5 c.p.).
Questi profili più originali si affiancano ad ulteriori argomenti tradizionali che si riferiscono all’elemento oggettivo del delitto e si fondano sulla considerazione dell’omogeneità e progressività della lesione, rispetto ai quali si rimanda alle considerazioni già svolte in precedente occasione[25].
Per l’ampiezza dell’apparato concettuale sotteso all’argomentazione svolta dalla Cassazione, sembra ragionevole e, forse, anche auspicabile prevedere una prossima investitura delle Sezioni Unite.
Sono, infatti, ormai maturi i termini per ravvisare la presenza di un conclamato contrasto giurisprudenziale.
Da un lato, un orientamento che si fonda su proposte dottrinali ormai consolidate e descrive la preterintenzione come dolo misto a colpa.
Esso, senza dubbio, ha il pregio di radicarsi su una solida struttura dogmatica, risultante da un’ampia ed approfondita elaborazione del tema, e di non porre criticità sul piano costituzionale, in quanto certamente rispettoso del principio di colpevolezza nella misura in cui richiede l’accertamento della colpa in concreto rispetto all’evento morte non voluto.
Non ci si può, tuttavia, esimere dal rilevare che si tratta, in ogni caso, di un argomento contra, o, quantomeno, præter legem, che fonda sulla necessità di rispettare il parametro costituzionale un’interpretazione non conforme al dettato degli artt. 42 e 43 c.p., dalla lettura dei quali, inequivocabilmente, emerge la costruzione della preterintenzione come elemento soggettivo autonomo non riducibile ad un’ipotesi di responsabilità oggettiva.
Dall’altro, l’orientamento tradizionale del c.d. dolo unitario.
Esso ha l’indiscutibile pregio di essere aderente al dato normativo, in quanto rispettoso della volontà di conferire alla preterintenzione una sua statura ontologica autonoma.
Certamente, il suo affermarsi si è caratterizzato per la ricorsiva emersione di massime tralatizie, forse poco approfondite nei loro presupposti teorici, che si sono prestate ad aspre critiche sul piano del rispetto del principio di colpevolezza.
Dalla sentenza qui commentata, tuttavia, esso trae indiscutibilmente nuova linfa, in quanto, pur sulla base di argomentazioni forse non pienamente consapevoli e sviluppate, pare iscriversi in una lettura, sebbene discutibile, comunque coerente con i principi generali della materia per come interpretati nella lettura corrente.
[1] Il panorama giurisprudenziale è compiutamente esposto, con efficace visione di sintesi, da Guido Piffer, Manuale di diritto penale giurisprudenziale. Parte generale, Pisa, 2023, pp. 454 ss. Sugli stessi temi, cfr., anche, G. Piffer, Proposta di riforma dei reati dolosi e preterintenzionali contro la vita e l’integrità fisica, in questa Rivista, 18 luglio 2022.
[2] Ancora sostenuto, di recente, da Cass. pen., Sez. V, 21 gennaio 2022, n. 15269, con nota di M. Nicolini, La Cassazione riafferma e sviluppa l’orientamento consolidato in tema di imputazione soggettiva dell’omicidio preterintenzionale, in questa Rivista, 4 maggio 2023.
[3] V. Badalamenti, Il criterio di imputazione colpevole dell’omicidio preterintenzionale: la Cassazione segna un ritorno ai binari costituzionali, in questa Rivista, 13 dicembre 2023.
[4] Per tutte, Cass. pen., Sez. V, 21 aprile 2016 (dep. 26 ottobre 2016), n. 44986, imp. P.G. e P.C. in proc. Mulè, «l'elemento soggettivo del delitto di omicidio preterintenzionale non è costituito da dolo e responsabilità oggettiva né dal dolo misto a colpa, ma unicamente dal dolo di percosse o lesioni, in quanto la disposizione di cui all'art. 43 cod. pen. assorbe la prevedibilità di evento più grave nell'intenzione di risultato. (In applicazione del principio la S.C. ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di merito ha affermato la responsabilità dell'imputato a titolo di omicidio colposo aggravato dalla previsione dell'evento e non di omicidio preterintenzionale, con riferimento alla morte di una donna per soffocamento, verificatasi nel corso di un rapporto sessuale con l'imputato, che prevedeva l'adozione di comune accordo di tecniche di "bondage", ossia di costrizione fisica mediante legatura)», Rv. 268299-01
[5] Argomenti analoghi erano stati spesi nella motivazione di Cass., pen., Sez. V, 21 gennaio 2022, n. 15269, cit.
[6] Cass. pen., Sez. Un., 22 gennaio 2009 (dep. 29 maggio 2009), n. 22676, imp. Ronci, «in tema di morte o lesioni come conseguenza di altro delitto, la morte dell'assuntore di sostanza stupefacente è imputabile alla responsabilità del cedente sempre che, oltre al nesso di causalità materiale, sussista la colpa in concreto per violazione di una regola precauzionale (diversa dalla norma che incrimina la condotta di cessione) e con prevedibilità ed evitabilità dell'evento, da valutarsi alla stregua dell'agente modello razionale, tenuto conto delle circostanze del caso concreto conosciute o conoscibili dall'agente reale.», Rv. 243381-01.
A livello teorico, per un’analisi organica della colpa in attività illecita, cfr. F. Basile, La colpa in attività illecita: un’indagine di diritto comprato sul superamento della responsabilità oggettiva, Milano, 2005.
[7] Vengono citate le sentenze della Corte che hanno segnato la progressiva affermazione del principio di colpevolezza.
Corte cost., 23 marzo 1988, n. 364, in cui il principio di personalità della responsabilità penale è stato collegato alla funzione rieducativa della pena ed il nucleo della responsabilità penale nella possibilità di ascrivere ad un soggetto un fatto proprio e colpevole, ritenendosi che l’agente possa rispondere penalmente solo per azioni da lui controllabili ed a lui soggettivamente imputabili.
Corte cost., 30 novembre 1988, n. 1085, in cui si è affermato il principio per cui gli elementi più significativi della fattispecie, che ne contrassegnano il disvalore, devono essere soggettivamente rimproverabili all’agente in termini di dolo o colpa: di riflesso, solo gli elementi che non incidono sul disvalore della condotta sanzionata (ad es., le condizioni obiettive di punibilità estrinseche), possono prescindere dall’accertamento del coefficiente psicologico.
Tali principi sono poi stati ribaditi da Corte cost., 29 aprile 1991, n. 179; Corte cost., 24 febbraio 1995, n. 61; Corte cost. 11 luglio 2007, n. 322
Una ricostruzione recente sul principio di colpevolezza, guardato dal punto di vista dell’imputabilità, è quello di M. Bertolino, Variazioni (non solo) giurisprudenziali sul tema dell’elemento soggettivo del reo imputabile, semimputabile, totalmente inimputabile per infermità di mente e diritto penale europeo della colpevolezza, in questa Rivista, 21 novembre 2023.
[8] Per una ricostruzione attuale dello stato dell’arte, G. Canzio, A vent’anni dalla sentenza “Franzese”, in questa Rivista, 12 settembre 2022.
[9] Solo per citare i precedenti più recenti, Cass. pen., Sez. V, 21 gennaio 2022 (dep. 20 aprile 2022), n. 15269, imp. Bouimadagen e altri, in Sistema penale, 4 maggio 2023; Cass. pen., Sez. I, 18 giugno 2015, n. 36724, imp. Ferrito, Rv. 264534; Cass. pen., Sez. IV, 21 giugno 2013, n. 43168, imp. Frediani; Cass. pen., Sez. V, 26 gennaio 2010, n. 11954, imp. Palazzolo, Rv. 246549. Quanto alla sua origine, la massima del dolo unitario può ritenersi consolidata almeno a partire da Cass pen., Sez. V, 8 marzo 2006, n. 13673, imp. Haile, Rv. 234552
[10] Viene citato il precedente di Cass. pen., Sez. V, 18 ottobre 2012 (dep. 8 gennaio 2013), n. 791, imp. Palazzolo, in RV 254386 che ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di merito ha affermato la responsabilità dell’imputato, per avere nel corso di una colluttazione colpito la vittima, la quale cadeva a terra e decedeva per un accidente cardiovascolare acuto in soggetto cardiopatico. In termini, anche Cass. pen., Sez. V, 4 aprile 2018, n. 23606, in RV 273284; Cass. pen., Sez. V, 21 settembre 2016, n. 44986, imp. P.G. e P.C. in proc. Mulé, in RV 268299; Cass. pen., Sez. V, 20 aprile 2015, n. 21002, in RV 263712; Cass. pen., Sez. V, 27 giugno 2012 (dep. 17 settembre 2012), n. 35582, in RV 253536; Cass. pen., Sez. V, 17 maggio 2012, n. 40389, in RV 253357; Cass. pen., Sez. V, 16 marzo 2010, n. 16285, imp. Baldissin e altri, in RV 247267.
[11] Cass. pen., Sez. V, 22 ottobre 2018, in 53729
[12] Cass. pen., Sez. V, 9 ottobre 2019, n. 51233, in RV 277960.
[13] L’applicazione giurisprudenziale di tale teoria può essere fatta risalire a Cass. pen., Sez. I, 18 aprile 1966, n. 654, imp. Nervetti, Rv. 102177-01, secondo cui «il principio tradizionale causa causæ est causa causati esige una limitazione affinché la causalità non si risolva in un qualsiasi nesso di dipendenza o di condizionalità semplice. Tale limite va posto col criterio della così detta regola causale, con la quale si intende non già ogni nesso di condizionalità ed occasionalità, ma soltanto la relazione normalmente efficiente a cagionare l’evento. Occorre cioè che questo effetto risulti conforme a quello che è l’ordinario svolgersi degli eventi nel momento in cui viene posta in atto la causa prima; valendo, invece, a interrompere il nesso di causalità quel fattore sopravvenuto, che, inserendosi nel processo produttivo dell’evento, per la sua anormalità, atipicità ed eccezionalità, si presenti a guisa di un avvenimento imprevedibile e, quindi, fortuito in relazione all’azione od omissione remota».
[14] Da questo punto di vista, sembra ravvisarsi un inasprimento in senso rigoristico dell’orientamento maggioritario che, come rilevato da G. Piffer, Manuale di diritto penale giurisprudenziale, cit., p. 305, «dà rilevanza non solo alle cause sopravvenute che escludono il nesso causale in quanto innescano un processo causale del tutto autonomo rispetto alla condotta dell’agente e costituiscono quindi una causa esclusiva dell’evento, ma anche alle concause sopravvenute che, per il loro carattere eccezionale, anomali e atipico, costituiscono fattori interruttivi del nesso causale penalmente rilevante. Tale lettura estensiva del disposto dell’art. 41 co. 2 c.p. è ben espressa da Cass. pen., Sez. IV, 26 ottobre 2015, n. 1214/06, imp. Boscherini, in RV 233173, in cui si osserva che «se il secondo comma in esame venisse interpretato nel senso che il rapporto di causalità dovesse ritenersi escluso solo nel caso di un processo causale del tutto autonomo, verosimilmente si tratterebbe di una disposizione inutile, perché, in questi casi, all’esclusione si perverrebbe anche con l’applicazione del principio condizionalistico». Deve trattarsi, quindi, di «un processo non completamente avulso dall’antecedente, ma caratterizzato – a seconda delle varie teorie della causalità, che in realtà su questo tema non divergono significativamente, salvo forse la teoria della causalità adeguata – da un percorso causale completamente atipico, di carattere assolutamente anomalo ed eccezionale; di un evento che non si verifica se non in casi del tutto imprevedibili a seguito della causa presupposta».
Per una ricostruzione analitica delle teorie causali, in grado di fornire cogliere i profili di criticità sottesi alle argomentazioni spese nella sentenza in commento, cfr. G. Marinucci, E. Dolcini, G.L. Gatta, Manuale di diritto penale. Parte generale, XI edizione, Milano, 2023, pp. 260-273.
[15] Come noto, il ragionevole dubbio deve fondarsi su una ricostruzione plausibile della vicenda alla luce delle risultanze processuali obiettivamente accertate, e non solo su un’astratta plausibilità di tipo congetturale, come chiarito da Cass. pen., Sez. Un., 21 dicembre 2017 (dep. 3 aprile 2018), n. 14800, imp. Troise, Rv. 272430 e Cass. pen., Sez. III, 21 gennaio 2021, n. 5602, imp. P., Rv. 281647-04
[16] Cfr. M. Nicolini, La Cassazione riafferma e sviluppa l’orientamento consolidato in tema di imputazione soggettiva dell’omicidio preterintenzionale, in questa RIvista, 4 maggio 2023; M. Nicolini, La Corte d’Assise di Sassari supera la prevedibilità in astratto e apre alla colpa in concreto nell’omicidio preterintenzionale, in questa RIvista, 13 aprile 2022.
[17] V. Badalamenti, Il criterio di imputazione colpevole dell’omicidio preterintenzionale: la Cassazione segna un ritorno ai binari costituzionali, in questa RIvista, 13 dicembre 2023
[18] Cass. pen., Sez. V, 27 settembre 2022 (dep. 7 dicembre 2022), n. 46467, Rv. 283892-02, secondo cui «l’elemento soggettivo del delitto di omicidio preterintenzionale è costituito dal dolo per i reati di percosse o di lesioni volontarie, misto a colpa in relazione all’evento mortale. (In motivazione, la Corte ha chiarito che la prevedibilità deve essere valutata in concreto, tenendo conto delle circostanze della situazione reale, conoscibili e correttamente valutabili da un agente modello, calate nelle condizioni di tempo e di luogo in cui ha operato l’imputato)».
[19] Per tutti, cfr. F. Antolisei, Manuale di diritto penale. Parte generale, XVI edizione, Milano, 2003, p. 392.
[20] Cfr. G. Marinucci, E. Dolcini, G.L. Gatta, Manuale di diritto penale. Parte generale, X edizione, Milano, 2021, p. 439
[21] Tanto risulta dalla rigorosa applicazione del principio scolpito dalle già citate sentenze della Corte cost. 364 e 1085/1988 che hanno sancito la necessità di connotare in termini di colpevolezza quantomeno gli elementi più significativi della fattispecie.
[22] Questa l’efficace definizione di G. Piffer, Manuale di diritto penale giurisprudenziale, cit., p. 720.
[23] Ad esiti differenti approderebbero coloro che aderissero alla c.d. concezione realistica del reato: per una trattazione completa: V. Manes, Il principio di offensività nel diritto penale, Torino, 2005
[24] M. Romano, Commentario sistematico del Codice penale, artt. 1-84, Milano, 1995, p. 407
[25] M. Nicolini, La Cassazione riafferma e sviluppa l’orientamento consolidato in tema di imputazione soggettiva dell’omicidio preterintenzionale, in Sistema Penale, cit.