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  Scheda  
04 Maggio 2023


La Cassazione riafferma e sviluppa l’orientamento consolidato in tema di imputazione soggettiva dell’omicidio preterintenzionale

Cass., Sez. V, 21 gennaio 2022 (dep. 20 aprile 2022), n. 15269, Pres. Miccoli, est. De Marzo



*Contributo pubblicato nel fascicolo n. 5/2023.

 

1. La sentenza della Corte di cassazione che può leggersi in allegato[1], ribadisce e sistematizza l’orientamento nomofilattico consolidato con riferimento all’imputazione soggettiva del delitto di cui all’art. 584 c.p. e si discosta rispetto alla tesi sostenuta in un precedente di merito già oggetto di commento su questa Rivista[2].

L’imputazione concerneva i tristemente noti fatti di Piazza San Carlo, occorsi a Torino in occasione della proiezione della finale di Champions League tra Juventus e Real Madrid il 3 giugno 2017[3].

La sentenza si distingue per aver affrontato la fattispecie di omicidio preterintenzionale ribadendo e sistematizzando l’orientamento giurisprudenziale consolidato in punto di elemento soggettivo[4] e, in particolare, sottolineando l’alterità della fattispecie di cui al delitto ex art. 584 c.p. rispetto a quello di morte o lesioni come conseguenza di altro delitto (art. 586 c.p.), in relazione al quale, come noto, è ormai ius receptum la necessità di accertare in concreto, la colpa dell’agente per la morte cagionata[5].

2. I profili essenziali in punto di fatto possono essere così riassunti. Poco dopo le ore 22, in un contesto di relativa tranquillità, gli imputati spruzzavano vero il suolo dello spray urticante per agevolarsi nella commissione di delitti predatori contro il patrimonio, approfittando della situazione di panico così generata. Effettivamente, a tali condotte seguivano due spostamenti di folla a breve di stanza di tempo (il primo registrato dalle telecamere alle 22:12, il secondo alle 22:36): nella calca, molte delle circa 30.000 persone presenti in piazza riportavano lesioni di vario genere, che, in tre casi, ne cagionavano il decesso.

3.  Come detto in sede introduttiva, la sentenza in commento si caratterizza per un’articolata motivazione in punto di criterio di imputazione soggettiva dell’evento morte nell’omicidio preterintenzionale, che ribadisce paradigmi ermeneutici consolidati. I giudici si soffermano, dapprima, sulla ricostruzione dell’elemento oggettivo della fattispecie, strutturato sul nesso eziologico fra «atti diretti» e percuotere o ledere e la morte del soggetto passivo del reato. Sul punto, si ritiene l’infondatezza della ricostruzione difensiva volta ad insinuare il ragionevole dubbio rispetto alla sussistenza di decorsi eziologici alternativi che abbiano innescato autonome catene causali poi esitate negli eventi mortali.

In particolare, gli imputati rappresentavano all’attenzione della Corte la possibilità che dai rumori riscontrati dopo la fuga iniziale della folla riunita potesse inferirsi la presenza di inneschi causali diversi rispetto allo spruzzo dello spray urticante, come sarebbe altresì testimoniato dal riscontrato crollo di una ringhiera posta a protezione delle scale d’accesso ad un parcheggio limitrofo. Sul punto, è altresì prospettata dalle difese la possibilità che il panico fosse riconducibile al timore di attentati terroristici ovvero alla presenza di altre bande di rapinatori operanti nello stesso luogo. Sul piano processuale, le suggestioni difensive vengono disattese in quanto ritenute inidonee a fondare un ragionevole dubbio (art. 530 co. 1 c.p.p.), il quale, ribadisce la Corte, deve fondarsi su una ricostruzione plausibile della vicenda alla luce delle risultanze processuali obiettivamente accertate, e non solo su un’astratta plausibilità di tipo congetturale[6].

In punto di diritto sostanziale, viene ribadito il consolidato orientamento giurisprudenziale[7] a mente del quale non possono considerarsi come cause sopravvenute da sole sufficienti a determinare l’evento (art. 41 co. 2 c.p.) quelle che agiscano sinergicamente con la condotta dell’agente: il principio generale di indifferenza delle concause, infatti, impone di ritenere interrotto il nesso eziologico solo a fronte di un percorso causale completamente autonomo o, al più, connotato da assoluta anomalia ed eccezionalità[8]. Tale orientamento è poi declinato con particolare riguardo all’omicidio preterintenzionale, in relazione al quale si conferma altro orientamento consolidato che nega qualsiasi efficacia interruttiva del nesso eziologico tra le condotte-base violente e l’evento morte in caso di eventuali negligenze dei sanitari nelle successive terapie mediche, le quali non vengono ritenute né un fatto imprevedibile né uno sviluppo assolutamente atipico della serie causale[9].

Tali coordinate di ordine generale vengono declinate con specifico riguardo all’omicidio preterintenzionale, che, sul piano oggettivo, prescinde dalla necessità che la serie causale esitata nella morte rappresenti lo sviluppo dello stesso evento di percosse o lesioni voluto dall’agente[10]. Tale affermazione è confortata dalla citazione di due precedenti, che descrivono il quadro teorico accolto dai giudici con riferimento al problema del nesso causale: da un lato, si richiama il principio causa causæ est causa causati temperato dal criterio della regolarità causale, mostrando, perciò, adesione ai paradigmi ermeneutici propri della c.d. “teoria della causalità adeguata (o umana)”[11], dall’altro si integra tale ricostruzione sulla base di argomentazioni più prossime alla teoria della c.d. “imputazione obiettiva dell’evento”, in base alla quale la morte deve ritenersi causalmente collegata alla condotta lesiva allorché si ponga come conseguenza di una specifica situazione di pericolo cagionata intenzionalmente dal reo.

Tanto argomentato in punto di elemento oggettivo, la pronuncia si volge all’analisi di quello soggettivo, diffondendosi, dapprima, sulla sussistenza del dolo eventuale in relazione al delitto-base di lesioni (art. 582 c.p.). Per distinguere efficacemente fra dolo eventuale e colpa con previsione, vengono richiamati gli indicatori da cui desumere non già la semplice accettazione del rischio ma la più pregnante adesione psicologica al rischio medesimo che consente di ritenere provato che l’agente non si sarebbe astenuto dalla condotta neppure se avesse avuto la certezza della sicura verificazione dell’evento, secondo la c.d. “prima formula di Frank[12]. Tale adesione psicologica è ritenuta provata dal contegno degli imputati successivo al reato: essi, si rileva, «nonostante l’effetto panico che attraversò la piazza poterono allontanarsi indisturbati dalla scienza senza alcuna conseguenza negativa per loro ed anzi filmandosi sghignazzando per l’effetto ottenuto»[13].

Esaurita l’argomentazione sulla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato-base, la Corte si muove verso la disamina dell’importante questione concernente l’elemento soggettivo del delitto di cui all’art. 584 c.p., la cui ratio politico-criminale è ricondotta alla scelta di presidiare con una comminatoria particolarmente elevata «la commissione di condotte che, per loro intrinseca natura, esprimono più di ogni altra il pericolo che vengano innescati processi causali in grado di degenerare nell’uccisione di colui che le subisce»[14].

Quanto all’imputazione soggettiva, la sentenza muove da un’analitica ricognizione della evoluzione ermeneutica in materia che si è confrontata con la progressiva espansione del principio di colpevolezza e della sua portata applicativa all’interno dell’ordinamento penale.

Chiara è, sul punto, l’adesione all’orientamento giurisprudenziale consolidato[15], e anche recentemente ribadito, in base al quale si ritiene «ormai superata […] la teoria per la quale in passato si riteneva che l’omicidio preterintenzionale fosse punibile a titolo di dolo misto a colpa. Si è, infatti, pervenuti all’approdo interpretativo secondo cui l’elemento psicologico del reato in questione è costituito soltanto dalla volontà di infliggere percosse o provocare lesioni; in tal senso si è espressa, invero, del tutto condivisibilmente, questa Corte nell’affermare la tesi secondo cui, in tema di omicidio preterintenzionale, l’elemento soggettivo è costituito, non già da dolo o responsabilità oggettiva né da dolo misto a colpa, ma unicamente dal dolo di percosse o lesioni, in quanto la disposizione di cui all’art. 43 cod. pen. assorbe la prevedibilità dell’evento più grave nell’intenzione di risultato».

Tale massima consolidata viene poi declinata con riferimento alla compatibilità in relazione al principio costituzionale di colpevolezza, mettendo in relazione l’omicidio preterintenzionale alla finitima fattispecie di morte o lesioni come conseguenza di altro delitto (art. 586 c.p.), la cui sussistenza richiede, per giurisprudenza ormai consolidata, il pieno accertamento della c.d. “colpa in concreto” dell’agente[16]. Nell’ambito dell’omicidio preterintenzionale, si evidenzia, sussiste un rapporto di omogeneità fra la situazione di pericolo generata dal reo per mezzo di una condotta finalizzata all’aggressione fisica del soggetto passivo mentre nella fattispecie ex art. 586 c.p. la morte è del tutto estraneo all’area di rischio attivato con la condotta iniziale e deve, perciò, essere imputato a titolo di colpa in quanto effetto di una serie causale diversa[17].

Il passaggio argomentativo è dirimente, dal momento che, per quanto consta a chi scrive, costituisce una peculiarità nel panorama giurisprudenziale: la Corte, infatti, non si accontenta di riprodurre la massima tralatizia dell’assorbimento della prevedibilità dell’evento più grave nell’intenzione di risultato, ma tenta di riempirla di contenuto sostanziale con un ragionamento che, come anticipato, muove da un retroterra teorico centrato sull’implicita adesione agli schemi concettuali dell’imputazione obiettiva dell’evento. Si afferma, infatti, che parametro della misura della prevedibilità dell’evento morte rispetto alle lesioni è la collocazione del medesimo nella stessa area di rischio innescata dalla condotta lesiva, la quale è definita come «normalmente ravvisabile ma astrattamente suscettibile di essere messa in discussione nei casi limite»[18].

Tanto argomentato sulla ricostruzione dogmatica dell’elemento soggettivo della fattispecie, la motivazione si confronta con la ricostruzione operata nei precedenti stadi e gradi del giudizio che avevano qualificato la vicenda in termini di omicidio preterintenzionale aberrante[19], prospettiva disattesa dall’arresto qui in commento.

Il presupposto concettuale del mutamento di qualificazione si fonda sulla ritenuta ed argomentata sussistenza del dolo eventuale di lesioni ravvisato nella condotta di spruzzo dello spray urticante. A partire da esso, si fa leva sulla natura plurioffensiva del delitto di rapina (art. 628 c.p.), del cui elemento oggettivo la violenza costituisce uno dei possibili predicati modali in cui si articola la condotta: tale dato sistematico consente alla Corte di argomentare nel senso che «il fatto che non tutte le persone coinvolte sarebbero state rapinate è un dato irrilevante, dal momento che l’azione violenta nei confronti di coloro che erano stati individuati come bersaglio dell’azione predatoria era sì diretta a propiziare le condizioni per realizzare la rapina, ma, dal punto di vista qualificatorio (ossia quanto al profilo della violenza in sé considerata»), assume, nei confronti della generalità, significato autonomo, irrilevanti restando invece quelli che, rispetto ai c.d. terzi, finiscono per essere i motivi del delinquere»[20]. Pertanto, viene meno «il presupposto (che sosterrebbe la qualificazione in termini di aberratio) della lamentata solo indiretta incidenza, rispetto ai c.d. terzi, della condotta degli agenti che invece dovrebbe essere considerata, secondo il ricorso, diretta esclusivamente nei confronti dei potenziali bersagli dell’azione predatoria»[21]. Disattendendo la qualificazione giuridica operata dai ricorrenti, invece, la Corte supera la ricostruzione in termini di reato aberrante, constatando che «la valorizzazione, sul piano logico-giuridico ai fini della configurabilità dell’omicidio preterintenzionale del segmento dell’azione finalizzato a ledere l’integrità fisica delle potenziali vittime della rapina pone queste ultime, ai medesimi fini, sullo stesso piano di tutti gli altri soggetti destinatari». Pertanto, l’offesa all’incolumità fisica non può ritenersi riconducibile ad un errore nell’uso dei mezzi di esecuzione del reato, essendo ricompresa nell’oggetto del dolo eventuale di lesioni che ha sorretto la condotta-base lesiva.

La ricostruzione in termini di plurioffensività della rapina fuga, altresì, ogni possibile residuo dubbio ermeneutico in ordine alla sussumibiltà degli episodi in esame dentro la fattispecie ex art. 584 c.p. ovvero ex art. 586 c.p. In disparte le considerazioni, già ripercorse, sull’alterità strutturale tra le due fattispecie, si ritiene che «allorquando viene commessa una rapina, che abbia come sviluppo non voluto la morte di una persona, viene senz’altro integrato il presupposto del delitto di cui all’art. 584 c.p., ponendosi l’evento morte in progressione criminosa con la violenza esercitata per impossessarsi del bene altrui, la quale, se assume la meno grave connotazione delle percosse, è assorbita nel reato complesso di rapina»[22].

***

4. La sentenza qui segnalata ci offre lo spunto per approfondire le riflessioni in punto di omicidio preterintenzionale già svolte in una precedente scheda[23].

Come già evidenziato, la portata innovativa della sentenza si caratterizza da un lato per l’originale argomentazione su cui si fonda l’adesione all’orientamento maggioritario della prevedibilità dell’evento più grave assorbita nell’intenzione di risultato, e, dall’altro, per la valorizzazione del criterio del bene giuridico come canone ermeneutico che sorregge il superamento della qualificazione delle vicende scrutinate in termini di reato aberrante.

Quanto al primo profilo, giova evidenziare come esso presupponga una rigorosa interpretazione dell’assetto codicistico su cui si articola lo statuto normativo della preterintenzione come elemento soggettivo autonomo distinto sia dal dolo che dalla colpa nonché coefficiente di ascrizione diverso rispetto alla responsabilità oggettiva.

Tale posizione trova oggi la propria sintesi nella massima tralatizia secondo cui l’elemento soggettivo del delitto di omicidio preterintenzionale consiste unicamente nel dolo di percosse o lesioni, in quanto la disposizione di cui all’art. 43 c.p. assorbe la prevedibilità dell’evento più grave nell’intenzione di risultato.

Viceversa, come noto, in dottrina[24] è oggi prevalente la tesi che equipara la fattispecie preterintenzionale alle altre ipotesi di responsabilità oggettiva: essa si fonda sull’assunto per cui sarebbe impossibile configurare una forma intermedia di responsabilità tra il dolo e la colpa. Delle due l’una, si sostiene, o l’evento è sorretto da coefficienti volontaristici, ed allora l’ascrizione è a titolo di dolo, o esso, pur conseguenza della condotta, non è voluto e dà luogo a responsabilità per colpa nei casi espressamente previsti dalla legge.

Pertanto, dall’argomentata insostenibilità sul piano costituzionale della responsabilità oggettiva, ambito in cui anche la preterintenzione si iscriverebbe, deriverebbe la necessità di una piena valorizzazione del principio di colpevolezza, che imporrebbe la necessità di imputare l’evento ulteriore solo a condizione che sia dato ravvisare i presupposti della colpa generica[25], in termini di prevedibilità ed evitabilità secondo i medesimi criteri di accertamento che guidano l’interprete nel giudizio sulla colpa in attività lecita.

La sentenza, invece, parte dall’assunto dell’autonomia logico-giuridica della preterintenzione rispetto agli altri coefficienti di ascrizione soggettiva, mantenendosi, sul punto, strettamente aderente al dettato codicistico, che qualifica l’illecito preterintenzionale come una fattispecie delittuosa strutturalmente distinta sia dal delitto doloso che da quello colposo.

La specificità del delitto preterintenzionale consiste nel dato per cui la realizzazione del fatto più grave non voluto è sottesa alla rappresentazione e volizione di uno meno grave: fra i due eventi sussiste una omogeneità strutturale della lesione, in cui l’evento voluto e quello non voluto sono in rapporto di progressione lineare. Se ciò è chiaro, resta il problema di includere l’evento letale nel fuoco della colpevolezza[26]; esso, come è evidente, costituisce un elemento costitutivo del reato che ne fonda il giudizio di disvalore astratto.

La giurisprudenza di legittimità, nell’affermare la prevedibilità dell’evento più grave assorbita nell’intenzione di risultato, non sfugge al confronto con il principio di colpevolezza, ma pare muovere dall’idea per cui la condotta dolosa-base si connoti per una tendenza alla propagazione verso un evento ulteriore: in questo senso, dunque, si può forse comprendere la celebre definizione di un autorevole interprete del secolo scorso[27] della volontà che «lambisce» il risultato, forse troppo sbrigativamente liquidata come mero espediente retorico.

La sentenza in esame, tuttavia, non si limita a riproporre la massima tralatizia ma cerca di riempirla di contenuto: il notevole sforzo argomentativo merita un tentativo di sistematizzazione che muova dall’enucleazione dei passaggi logico-giuridici su cui si fonda.

Il primo dato da cui inferire l’assorbimento della prevedibilità si fonda su considerazioni che ineriscono all’elemento oggettivo descritto come comprensivo di condotte che «per la loro intrinseca natura» esprimono al massimo grado «il pericolo che vengano innescati processi causali in grado di degenerare nell’uccisione di colui che le subisce»[28]. Come già evidenziato, lo svolgimento di questa premessa sottende l’adesione alla tesi dell’imputazione obiettiva dell’evento, per cui, si afferma che «deve ritenersi realizzato il nesso causale quando la morte sia conseguenza di una specifica situazione di pericolo cagionata dalla condotta intenzionale del reo, volta a percuotere o ledere il soggetto passivo»[29].

Da tale ricostruzione della tipicità, la sentenza trae «le necessarie conseguenze quanto ai risvolti psicologici». Dopo aver riproposto la massima consolidata, essa viene argomentata rilevando che «l’evento morte deve costituire il prodotto della specifica situazione di pericolo generata dal reo con la condotta intenzionale volta a ledere o percuotere una persona». La preterintenzione, dunque, si distinguerebbe dalla colpa in quanto, in quest’ultima ipotesi, la morte è «effetto di una serie causale diversa da quella avente origine dall’evento di percosse o lesioni dolose».

Da ciò si fa derivare la prevedibilità ex lege dell’evento morte, proprio in quanto collocato nell’area di rischio innescata dalla condotta lesiva: pertanto, la preterintenzione costituirebbe un’imputazione soggettiva che descrive una presunzione iuris tantum suscettibile di essere «messa in discussione nei casi limite».

Così inferendo, la Suprema Corte riempie di contenuti sostanziali la preterintenzione svolgendo considerazioni che, tuttavia, si riferiscono all’elemento oggettivo del reato e non già alla colpevolezza: si predica, infatti, l’assorbimento del giudizio di prevedibilità in ragione del modo d’essere di una dinamica fattuale che, sul piano della causalità generale, pare aperta, secondo l’id quod plerumque accidit, allo sviluppo verso un evento lesivo più grave di quello compreso entro l’oggetto del dolo dell’agente. La confusione dei piani fra elemento oggettivo e soggettivo è ampiamente illustrata in dottrina[30] e valorizzata come argomento critico verso l’efficacia dell’imputazione obiettiva dell’evento a fungere da effettivo correttivo alla teoria condizionalistica, che, si afferma, di correttivi non abbisogna.

A destare maggior perplessità rispetto alla logica della motivazione è, tuttavia, la ritenuta compatibilità fra l’addebito di omicidio preterintenzionale ed una condotta-base di lesioni sorrette da dolo solo eventuale, categoria nell’ambito della quale, per definizione, è esclusa la riconducibilità dell’evento cagionato ad un disegno intenzionale dell’agente, il quale si limita ad accettarne il rischio. Infatti, se l’assunto di partenza è che la prevedibilità dell’evento più grave potrebbe ritenersi assorbita (in quanto presunta) nell’intenzione di risultato, mal si comprende, sul piano logico, come tale assorbimento possa operare in casi nei quali tale intenzione non sussista.

Al di là del problema concernente lo statuto della preterintenzione come elemento soggettivo, il dolo eventuale serve alla Cassazione per superare la qualificazione degli omicidi preterintenzionali sottoposti a giudizio in termini di reato aberrante: infatti, se si ritiene che gli imputati abbiano, con le proprie condotte, accettato il rischio di ledere l’integrità fisica di una pluralità indeterminata di persone ben più estesa rispetto ai soli soggetti che intendevano rapinare, è giocoforza inferire che le lesioni ad essi cagionate rappresentino una conseguenza diretta ed immediata della loro condotta, non riconducibile né ad un errore nell’uso dei mezzi di esecuzione del reato, né ad altra causa.

Come già evidenziato, inoltre, merita adeguata valorizzazione l’interpretazione della fattispecie di rapina svolta alla luce del criterio del bene giuridico: trattandosi di un reato complesso plurioffensivo, esso ingloba nella propria struttura condotte finalizzate ad attingere l’integrità fisica, astrattamente sussumibili entro le fattispecie ex artt. 581 e 582 c.p. e, dunque, idonee ad evolversi, in caso di esito infausto, in un addebito per omicidio preterintenzionale e non per il meno grave reato ex art. 586 c.p. di morte o lesioni come conseguenza di altro delitto.

Volendo trarre considerazioni conclusive che declinino la pronuncia commentata in una prospettiva sistematica de iure condendo non si può che rilevare la perspicuità di quanto già autorevolmente sostenuto su questa Rivista da parte di chi ha individuato[31] la ragione di fondo delle oscillazioni giurisprudenziali sull’elemento soggettivo del delitto preterintenzionale nel problema della descrizione dell’evento. L’affermazione che vuole assorbita la prevedibilità dell’evento più grave nell’intenzione di risultato, infatti, istituendo il già descritto meccanismo presuntivo, dispensa il giudice dal compito, non sempre agevole, di declinare la prevedibilità in concreto attraverso la descrizione del fattore eziologico intermedio che dalla condotta lesiva esita nell’evento letale, con la significativa peculiarità che, nell’omicidio preterintenzionale, la condotta di base presenta connotati di maggior pericolosità intrinseca in quanto di per sé dolosamente preordinata alla lesione dell’altrui integrità fisica.

 

 

 

[1] Per un primo commento cfr. M.L. Mattheudakis, Ancora un’aberrazione applicativa dell’omicidio preterintenzionale, in Giurisprudenza italiana, ottobre 2022, pp. 2226-2233

[3] Cfr. Il commento di S. Zirulia a Cass. pen., Sez. V, 11 dicembre 2018, n. 13192, in Diritto penale contemporaneo, 15 aprile 2019, nonché B. Rossi, Morte per “effetto domino” innescato dall’utilizzo di spray urticante: configurabile l’omicidio preterintenzionale c.d. “aberrante”? La Cassazione sui fatti di Piazza San Carlo a Torino, in Cass. pen., 2020, pp. 215ss., e M. Lanzi, Preterintenzione e reato aberrante tra vecchi paradigmi e nuove esigenze di tutela, in Criminalia, 2018, pp. 611ss.

[4] Per tutte, Cass. pen., Sez. V, 21 aprile 2016 (dep. 26 ottobre 2016), n. 44986, imp. P.G. e P.C. in proc. Mulè, «l'elemento soggettivo del delitto di omicidio preterintenzionale non è costituito da dolo e responsabilità oggettiva né dal dolo misto a colpa, ma unicamente dal dolo di percosse o lesioni, in quanto la disposizione di cui all'art. 43 cod. pen. assorbe la prevedibilità di evento più grave nell'intenzione di risultato. (In applicazione del principio la S.C. ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di merito ha affermato la responsabilità dell'imputato a titolo di omicidio colposo aggravato dalla previsione dell'evento e non di omicidio preterintenzionale, con riferimento alla morte di una donna per soffocamento, verificatasi nel corso di un rapporto sessuale con l'imputato, che prevedeva l'adozione di comune accordo di tecniche di "bondage", ossia di costrizione fisica mediante legatura)», Rv. 268299-01

[5] Cass. pen., Sez. Un., 22 gennaio 2009 (dep. 29 maggio 2009), n. 22676, imp. Ronci, «in tema di morte o lesioni come conseguenza di altro delitto, la morte dell'assuntore di sostanza stupefacente è imputabile alla responsabilità del cedente sempre che, oltre al nesso di causalità materiale, sussista la colpa in concreto per violazione di una regola precauzionale (diversa dalla norma che incrimina la condotta di cessione) e con prevedibilità ed evitabilità dell'evento, da valutarsi alla stregua dell'agente modello razionale, tenuto conto delle circostanze del caso concreto conosciute o conoscibili dall'agente reale.», Rv. 243381-01

[6] Cfr. Cass. pen., Sez. Un., 21 dicembre 2017 (dep. 3 aprile 2018), n. 14800, imp. Troise, Rv. 272430 e Cass. pen., Sez. III, 21 gennaio, n. 5602, imp. P., Rv. 281647-04

[7] Cfr. Cass. pen., Sez. I, 18 giugno 2015, n. 36724, imp. Ferrito, Rv. 264534; Cass. pen., Sez. IV, 21 giugno 2013, n. 43168, imp. Frediani; Cass. pen., Sez. V, 26 gennaio 2010, n. 11954, imp. Palazzolo, Rv. 246549.

[8] Per una ricostruzione analitica delle teorie causali, in grado di suggerire opportuna riflessione critica al retroterra argomentativo sotteso alla sentenza in commento, cfr. G. Marinucci, E. Dolcini, G.L. Gatta, Manuale di diritto penale. Parte generale, XI edizione, Milano, 2023, pp. 260-273

[9] Cfr. Cass. pen, Sez. V, 4 aprile 2022 (dep. 9 maggio 2022), n. 18396, con commento di M. Nicolini, N. G. Orsi, La Cassazione su uno dei filoni del caso Cucchi: un’articolata decisione in materia di omicidio preterintenzionale e falso in atto pubblico, in CamminoDiritto, 17 gennaio 2023; Cass. pen., Sez. V, 19 ottobre 2021, n. 45421, imp. D’Onofrio, Rv. 282285; Cass. pen., Sez. V, 3 luglio 2012, n. 39389, imp. Martena, Rv. 254320; Cass. pen., Sez. V, 23 maggio 2012, n. 29075, imp. Barbagallo, Rv. 253316; Cass. pen., Sez. IV, 18 gennaio 2010, n. 9967, imp. Otelli, Rv. 246797; Cass. pen., Sez. IV, 4 ottobre 2007, n. 41293, imp. Taborelli, Rv. 237838; Cass. pen., Sez. IV, 4 ottobre 2006, n. 41943, imp. Lestingi, Rv. 235537

[10] Cfr., Cass. pen., Sez. V, 12 luglio 2012, n. 41017, imp. S., Rv. 253744

[11] Cfr. Cass. pen., Sez. I, 18 aprile 1966, n. 654, imp. Nervetti, Rv. 102177-01 la cui massima descrive icasticamente gli asserti tipici di tale ricostruzione teorica affermando che «il principio tradizionale causa causæ est causa causati esige una limitazione affinché la causalità non si risolva in un qualsiasi nesso di dipendenza o di condizionalità semplice. Tale limite va posto col criterio della così detta regola causale, con la quale si intende non già ogni nesso di condizionalità ed occasionalità, ma soltanto la relazione normalmente efficiente a cagionare l’evento. Occorre cioè che questo effetto risulti conforme a quello che è l’ordinario svolgersi degli eventi nel momento in cui viene posta in atto la causa prima; valendo, invece, a interrompere il nesso di causalità quel fattore sopravvenuto, che, inserendosi nel processo produttivo dell’evento, per la sua anormalità, atipicità ed eccezionalità, si presenti a guisa di un avvenimento imprevedibile e, quindi, fortuito in relazione all’azione od omissione remota».

[12] Tali indicatori sono quelli tassonomizzati nella ben nota Cass. pen., Sez. Un., 24 aprile 2014, n. 38343, imp. Espenhahn, Rv. 261105-01. Essi sono «a) la lontananza della condotta tenuta da quella doverosa; b) la personalità e le pregresse esperienze dell’agente; c) la durata e la ripetizione dell’azione; d) il comportamento successivo al fatto; e) il fine della condotta e la compatibilità con esso delle conseguenze collaterali; f) la probabilità di verificazione dell’evento; g) le conseguenze negative anche per l’autore in caso di sua verificazione; h) il contesto lecito o illecito in cui si è svolta l’azione nonché la possibilità di ritenere, alla stregua delle concrete acquisizioni probatorie, che l’agente non si sarebbe trattenuto dalla condotta illecita neppure se avesse avuto contezza della sicura verificazione dell’evento», come riprodotti a p. 10 della sentenza in commento.

[13] Cfr. p. 11 della sentenza in commetto.

[14] Cfr. p. 12 della sentenza in commento, con richiamo al precedente di Cass. pen., Sez. V, 3 maggio 2016, n. 35015, imp. Baciu, Rv. 267549

[15] Almeno a partire da Cass. pen., Sez. V, 8 marzo 2006, n. 13673, imp. Haile, Rv. 234552

[16] Sul punto, cfr. F. Basile, La colpa in attività illecita: un’indagine di diritto comparato sul superamento della responsabilità oggettiva, Milano, 2005 le cui riflessioni paiono pressoché integralmente riprodotte da Cass. pen., Sez. Un., 22 ottobre 2009, n. 22676, imp. Ronci, Rv. 243381-01

[17] Viene citato, sul punto, il precedente di Cass. pen., Sez. V, 18 gennaio 2019, n. 5155, Battimelli

[18] Cfr. p. 13 della sentenza in commento

[19] Cfr. M. Lanzi, Preterintenzione e reato aberrante, in disCrimen, 11 settembre 2019

[20] Cfr. p. 13 della sentenza in commento

[21] Cfr. p. 14 della sentenza in commento

[22] Cfr. p. 14 della sentenza in commento

[23] Cfr. M. Nicolini, La Corte d’Assise di Sassari supera la prevedibilità in astratto e apre alla colpa in concreto nell’omicidio preterintenzionale, in questa Rivista, cit.

[24] Cfr. F. Antolisei, Manuale di diritto penale. Parte generale, XVI edizione, Milano, 2003, p. 392

[25] Cfr. G. Marinucci, E. Dolcini, G.L. Gatta, Manuale di diritto penale. Parte generale, X edizione, Milano, 2021, p. 439

[26] Tanto risulta dalla rigorosa applicazione del dictum fissato dalle sentenze della Corte cost. 364 e 1085/1988 che hanno perimetrato l’oggetto della colpevolezza attorno agli elementi più significativi della fattispecie.

[27] Cfr. A. De Marsico, Diritto penale, Parte generale, Napoli, 1937, p. 180

[28] Cfr. p. 12 della sentenza in commento

[29] Cfr. ibidem

[30] Cfr. G. Marinucci, E. Dolcini, G.L. Gatta, Manuale di diritto penale. Parte generale, XI edizione, Milano, 2022, p. 272