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02 Ottobre 2023


Le Sezioni Unite sulla legittimità della contestazione suppletiva della recidiva anche successivamente al decorso della prescrizione del reato originariamente contestato

Sez. un., u.p. 28 settembre 2023, Pres. Cassano, rel. D'Agostini (informazione provvisoria)



*Contributo pubblicato nel fascicolo n. 10/2023.

 

Segnaliamo ai lettori che, all’esito della pubblica udienza del 28 settembre 2023, le Sezioni unite hanno affrontato la seguente questione: «Se, ai fini della determinazione del tempo necessario a prescrivere, l'aumento di pena per la recidiva che integri una circostanza aggravante ad effetto speciale rilevi anche se la stessa sia stata oggetto di contestazione suppletiva dopo la decorrenza del termine di prescrizione previsto per il reato come originariamente contestato». 

Secondo l’informazione provvisoria diffusa dalla Suprema Corte, al quesito è stata data soluzione «negativa». La decisione è stata assunta sulle conclusioni difformi del Procuratore generale. 

In attesa delle motivazioni, pubblichiamo l'ordinanza di rimessione con una nota di  M. Nicolini. Il contributo è destinato alla pubblicazione nel fascicolo 10/2023. 

 

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1. Con l’ordinanza n. 26756/2023, la Quinta Sezione della Corte di cassazione ha rimesso alle Sezioni Unite un’interessante questione che interessa profili di diritto sostanziale e processuale. Si domanda alle S.U. di pronunciarsi sulla legittimità della contestazione suppletiva della recidiva una volta che sia decorso il termine di prescrizione del reato come originariamente contestato: il tema, dietro una questione di carattere prettamente processuale, rimanda allo statuto ontologico della recidiva, da sempre oggetto di attenzione sia in dottrina[1] sia in giurisprudenza[2]. Con udienza dello scorso 28 settembre 2023, le Sezioni Unite si sono espresse con informazione provvisoria n. 13/2023 rispondendo in senso negativo: in attesa della pubblicazione delle motivazioni, è utile ripercorrere i profili del contrasto evidenziati dall’ordinanza di remissione.

 

2. I profili essenziali in punto di fatto possono essere così riassunti.

Oggetto di impugnazione è la sentenza di condanna della Corte d’Appello di Palermo a carico di F.D. per i reati di minaccia aggravata, violazione di domicilio e tentato furto con strappo, commessi tra il dicembre 2011 ed il febbraio 2012. Rispetto a tutti i reati contestati, era già maturata la prescrizione al momento in cui venne contestata la recidiva (specifica, reiterata ed infraquinquennale) in occasione dell’udienza del 17 settembre 2020: l’effetto della contestazione suppletiva, dunque, è quello di far rivivere reati che, in difetto, sarebbero già estinti.

 

3. L’ordinanza rileva un risalente contrasto giurisprudenziale rispetto alla possibilità di contestare la recidiva anche successivamente al decorso del termine di prescrizione, calcolato alla luce dell’originaria imputazione.

Il primo orientamento[3] si fonda sulla ritenuta natura costitutiva della contestazione e ne ritiene preclusa ogni successiva dopo il decorso del termine prescrizionale: l’unico esito processualmente possibile sarebbe, dunque, quello dell’immediata declaratoria della sussistenza di una causa di non punibilità ex art. 129 c.p.p.

Alla base di tale lettura sembra scorgersi una concezione moderna della recidiva come elemento accidentale che aggrava il fatto di reato, non più imperniato sull’autore: se l’istituto non corrisponde ad un mero status soggettivo del reo, allora, per poter produrre effetti, deve essere ritualmente contestato ed accertato nell’ambito del processo di cognizione[4].

Il secondo orientamento[5] giunge a conclusioni diametralmente opposte: si fonda sulla ritenuta natura meramente ricognitiva della contestazione e ritiene che l’aumento per la recidiva sia valutabile ai fini della prescrizione, anche se essa è contestata per la prima volta dopo il decorso del relativo termine previsto per l’imputazione non aggravata, a condizione che tale momento sia precedente alla pronuncia della sentenza.

Secondo tale lettura, dunque, la contestazione della recidiva costituirebbe una scelta discrezionale del pubblico ministero, dimostrativa della volontà di attribuire rilevanza ad un attributo ontologico del fatto di reato la cui sussistenza prescinde dalla contestazione, la quale avrebbe, pertanto, natura meramente ricognitiva.

Il concetto sotteso a tale orientamento pare potersi ravvisare in una scissione fra dimensione ontologica e dimensione processuale della recidiva: essa sussiste ed aggrava il reato prima e a prescindere dalla contestazione, la quale, conformemente alle regole processuali, costituisce solo un presupposto di efficacia.

Questa lettura ritiene di trarre una «indiretta conferma» delle conclusioni cui perviene nella giurisprudenza delle Sezioni Unite “Sorge”[6]: da un lato, infatti, tale pronuncia ribadisce la necessità di contestare in modo specifico le circostanze aggravanti, ma, dall’altro, non limita le «sequenze procedimentali e le scansioni processuali» nel contesto delle quali tale contestazione deve prodursi.

La necessità di un intervento delle Sezioni Unite viene argomentata dall’ordinanza anche alla luce delle rilevanti implicazioni sistematiche sottesa alla questione sopra tratteggiata. Accanto all’istituto della recidiva, infatti, sono anche coinvolti i profili concernenti l’obbligo di immediata declaratoria delle cause di non punibilità[7] ed il diritto dell’accusato ad una tempestiva conoscenza dell’accusa mossa a suo carico[8].

***

4. Il presente commento offre lo spunto per approfondire qualche riflessione in ordine alla natura giuridica della recidiva e alle conseguenze sistematiche che, anche sul piano processuale, derivano dalle scelte in punto di qualificazione.

Tralasciando, per ragioni di economia espositiva, di dar conto dell’evoluzione teorica sui fondamenti politico-criminali della recidiva[9], è qui sufficiente richiamare i principali orientamenti emersi in relazione alla qualificazione della recidiva.

Secondo l’impostazione più tradizionale, ma ormai recessiva[10],la recidiva costituirebbe un istituto sui generis che combina elementi propri della circostanza del reato a considerazioni più perspicuamente riconducibili alla personalità del reo sub specie di pericolosità: un argomento a sostegno di tale ricostruzione potrebbe ritrarsi dalla collocazione topografica dell’istituto all’interno del Codice penale nel Titolo dedicato al reo e alla persona offesa, e non già in quello dedicato al reato. Sul piano sistematico, tale qualificazione sottrarrebbe la recidiva dal giudizio di bilanciamento (art. 69 c.p.) e dalle regole relative al concorso di circostanze (artt. 66-68 c.p.).

Dopo la novella del 1974, è prevalso il diverso orientamento[11] che qualifica la recidiva come circostanza aggravante inerente alla persona del colpevole: esso ha ricevuto significativo avallo in giurisprudenza[12], che pare ormai consolidata nel senso di accogliere tale qualificazione, che trova, peraltro, espresso riscontro legislativo in plurime disposizioni (artt. 69 co. 4, 70 co. 2, 99 co. 3 c.p.) in cui alla recidiva ci si riferisce come ad una circostanza.

La ratio attualmente attribuita alla recidiva è, dunque, quella di aggravare il reato sul piano dell’elemento soggettivo, in quanto maggiore sarebbe la colpevolezza normativamente ravvisabile in capo a colui che, già condannato per un delitto non colposo, ne commetta un altro.

Posta la qualifica circostanziale, alla recidiva si applica per intero lo statuto codicistico degli elementi accidentali del reato: essa è qualificata “ad effetto speciale” se comporta aumenti superiori ad un terzo (artt. 99 co. 5 c.p.); soggiace, di norma[13], al giudizio di bilanciamento in caso di concorso eterogeneo con circostanze attenuanti (art. 69 c.p.), e vi si applica il particolare regime di cumulo descritto all’art. 63 co. 3 e 4 c.p.

Dunque, riassuntivamente, a medesima qualificazione giuridica corrisponde medesimezza di statuto normativo (arg. ex art. 3 co. 1 Cost.), e ciò sia sul piano del diritto sostanziale (nei termini sopra sommariamente descritti) che su quello del diritto processuale: la recidiva, dunque, qualificata come circostanza aggravante, segue le regole e le cadenze proprie delle circostanze aggravanti anche nell’ambito del processo nel quale se ne deve accertare la sussistenza.

Come sovente accade, è in materia di prescrizione[14] che si declinano in modo problematico le ricadute processuali delle elaborazioni dogmatiche svolte sul piano del diritto materiale.

Per quanto attiene al tema qui esaminato, si deve aver presente la formulazione dell’art. 157 co. 2 c.p., che, nel disciplinare il «tempo necessario a prescrivere», sancisce la regola dell’irrilevanza degli aumenti previsti per le «circostanze aggravanti, salvo che per le aggravanti per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria e per quelle ad effetto speciale», sancendo che «nel qual caso si tiene conto dell’aumento massimo di pena previsto per l’aggravante».

Orbene, le forme qualificate di recidiva (aggravata ex art. 99 co. c.p.; pluriaggravata ex art. 99 co. 3; reiterata ex art. 99 co. 4; e qualificata dal tipo di illecito ex art. 99 co. 5), comportando un aumento di pena superiore ad un terzo, debbono qualificarsi come altrettante circostanze aggravanti ad effetto speciale, la cui sussistenza, dunque, si riverbera in senso peggiorativo sul termine di prescrizione, allungandolo.

Si tratta di uno dei c.d. “effetti indiretti” che conseguono indefettibilmente all’accertamento (discrezionale) della recidiva operato dal giudice della cognizione.

Tale classe di effetti si pone, per sua natura, in rapporto problematico e dialettico con i principi fondamentali del processo penale, in primis quello di presunzione di non colpevolezza: alcuni effetti indiretti, infatti, sono irrimediabilmente votati ad operare a prescindere dalla condanna in quanto modificano lo statuto procedimentale attraverso cui pervenire all’accertamento del reato, necessariamente ancora sub judice.

Si tratta, insomma, di conseguenze deteriori che aggravano la posizione processuale dell’imputato (ma anche dell’indagato, ex art. 61 c.p.p.) prima che ne venga accertata con sentenza la penale responsabilità: esse, dunque, derivano essenzialmente dalla sola avvenuta contestazione dell’aggravante che li fonda da parte del pubblico ministero.

Tale preminente ruolo delle circostanze nel conformare lo statuto processuale dell’accertamento dei reati è già da tempo stato messo in evidenza in dottrina[15] e può facilmente evincersi da una scorsa delle norme del Codice di rito che attribuiscono effetti alla sussistenza di circostanze aggravanti ad effetto speciale per l’applicazione di rilevanti istituti.

Si pensi alla competenza, in relazione alla quale l’art. 4 c.p.p. dispone che si tenga conto delle circostanze ad effetto speciale nonché alla delicatissima materia della libertà personale, rispetto a cui gli artt. 278 c.p.p. (in tema di misure cautelari) e 379 c.p.p. (in tema di misure precautelari) contemplano analoghe previsioni. Come detto, anche il termine di prescrizione è destinato ad allungarsi in presenza di circostanze ad effetto speciale.

Dunque, posto che l’allungamento della prescrizione costituisce un effetto indiretto della rituale contestazione (e, successiva, ritenuta sussistenza) di una forma qualificata di recidiva, il contrasto che le Sezioni Unite sono chiamate a dirimere attiene propriamente al termine entro il quale possa dirsi ritualmente contestata la recidiva qualificata agli effetti dell’art. 157 co. 2 c.p.

Posti gli argomenti a sostegno dell’uno e dell’altro orientamento, esaustivamente sintetizzati nell’ordinanza di rimessione e sopra sommariamente ripercorsi, è possibile provare a prospettare una soluzione del contrasto, in attesa di verificare, al momento del deposito della motivazione, i termini in cui le Sezioni Unite lo hanno risolto.

La questione, a parere di chi scrive, può essere risolta a favore del primo orientamento, che ritiene illegittima la contestazione della recidiva effettuata dopo lo spirare del termine di prescrizione, calcolato sulla base dell’originaria contestazione, allorché, come è evidente, tale contestazione valga al Pubblico ministero per allungare i termini di prescrizione del reato attraverso l’introduzione nell’imputazione di un’aggravante ad effetto speciale.

In primo luogo, militano a favore di tale lettura considerazioni di ordine processuale che impingono ai principi fondamentali in materia di diritto di difesa (art. 24 Cost.) e giusto processo (art. 111 Cost.).

Come si è detto, nell’ambito del procedimento penale possono derivare conseguenze deteriori in capo all’indagato-imputato per il sol fatto che determinate circostanze del reato vengano contestate dal pubblico ministero[16]: si tratta della constatazione di un dato per certi versi inevitabile che, tuttavia, per le delicate implicazioni dialettiche che comporta rispetto al principio di presunzione di non colpevolezza, deve essere maneggiato con estrema cura. Pertanto, al fine di superare il vaglio di ragionevolezza ex art. 3 Cost., si ritiene che tutte quelle disposizioni che associano regimi processuali deteriori in presenza di fatti solo ritenuti ma non ancora processualmente accertati, dovrebbero necessariamente essere oggetto di interpretazione restrittiva.

Sarebbe, pertanto, doveroso esigere che la contestazione della circostanza da cui dipende l’allungamento della prescrizione avvenga prima che la prescrizione stessa sia maturata. Una soluzione diversa rischierebbe di porsi come iniqua ed irragionevole in quanto foriera di disparità di trattamento rispetto a situazioni analoghe: per “beneficiare” del regime processuale a sé più favorevole, infatti, la pubblica accusa è generalmente, e quantomeno, onerata di provvedere ritualmente ad iscrivere e contestare i fatti-reato in termini rituali e tempestivi, e ciò anche sulla base di un semplice principio di lealtà processuale. Non si vede, pertanto, la ragione per cui in materia di recidiva dovrebbero ammettersi contestazioni tardive, con il grave effetto in malam partem di far rivivere un reato già estinto.

Del pari, corrisponde ad un generale canone del giusto processo il principio per cui la persona accusata di un reato debba essere informata nel più breve tempo possibile della natura e dei motivi dell’addebito mossogli (art. 111 co. 3 Cost.).

Orbene, una nozione di accusa può essere sistematicamente tratta dalla lettura dell’art. 417 lett. b) c.p.p. nella parte in cui scolpisce la definizione di imputazione[17], determinando il contenuto della richiesta di rinvio a giudizio con cui il pubblico ministero esercita l’azione penale. Si legge in tale disposizione che essa consiste nella «enunciazione in forma chiara e precisa, del fatto, delle circostanze aggravanti e di quelle che possono comportare l’applicazione di misure di sicurezza, con l’indicazione dei relativi articoli di legge».

La centralità dell’imputazione, insomma, riposa nell’elementare constatazione in base alla quale «la contestazione serve a porre l’imputato in grado di difendersi, ed ecco perché nel meccanismo procedurale viene a dipenderne non tanto la possibilità di procedere quanto quella di concludere il processo in un dato modo»[18].

La presenza di circostanze aggravanti, come la recidiva, in quanto incidente sul trattamento sanzionatorio deve essere oggetto di necessaria contestazione a garanzia del pieno diritto di difesa: tale contestazione, si crede, dovrebbe essere tempestiva, ossia seguire «nel più breve tempo possibile» il momento in cui emergono profili fattuali che ne rendono verosimile la consistenza.

Difficile, dunque, appare la plausibilità di contestazioni tardive: esse risultano eccentriche dallo scopo sistematico-costituzionale di garantire il diritto di difesa, rispetto al quale è certamente recessivo l’obiettivo del Pubblico ministero di sopperire ad un’inerzia pregressa evitando, con tale espediente, che venga dichiarata la prescrizione di un reato già estinto.

Non sfugge a chi scrive che è lo stesso Codice di rito a contemplare la possibilità di nuove contestazioni: tuttavia, da una lettura degli artt. 516 e 517 c.p.p., pare potersi inferire che i profili di diversità-novità del fatto possano legittimare una modifica dell’imputazione o la contestazione di un reato concorrente o di una circostanza aggravante solo se emergono «nel corso dell’istruzione dibattimentale». Si tratta, quindi, di istituti che realizzano un ragionevole bilanciamento fra i principi di obbligatorietà dell’azione penale, completezza del giudicato e diritto di difesa, senza certo attribuire all’attore pubblico la possibilità di sopperire a pregresse inerzie o deficienze.

Tali argomenti di matrice processuale fungono da base per sviluppare anche un’elementare considerazione di diritto sostanziale che dovrebbe condurre l’interprete a ritenere illegittima la contestazione tardiva della recidiva.

Il sillogismo, in tal caso, è di evidente semplicità: se la recidiva è circostanza aggravante, e se la circostanza aggravante rientra nell’oggetto dell’imputazione che deve essere ritualmente contestato secondo le scansioni previste dal Codice di rito, allora ad esse dovrebbe assoggettarsi anche la recidiva, la cui omessa contestazione determina, per il principio di correlazione fra accusa e sentenza (art. 521 c.p.p.), l’impossibilità di dichiararla in capo al giudice.

Il diverso orientamento, che ammette la contestazione tardiva, ponendo come unico limite quello dell’intervenuta pronuncia della sentenza, pare tributario di una concezione ormai superata della recidiva come condizione personale del reo disancorata al fatto di reato e, perciò, immanente a prescindere dalle scansioni processuali in cui se ne articola l’emersione.

A sostegno di tale orientamento viene addotto il precedente delle Sezioni Unite “Sorge” del 2019[19] con cui si è affermato il principio in base al quale «non può essere ritenuta in sentenza dal giudice la fattispecie aggravata del falso in atto pubblico, ai sensi dell’art. 476, comma 2, c.p., qualora la natura fidefacente dell’atto considerato falso non sia stata esplicitamente contestata ed esposta nel capo di imputazione con la precisazione di tale natura o con formule alla stessa equivalenti, ovvero con l’indicazione della norma di legge sopra citata».

Orbene, secondo i sostenitori dell’orientamento in base al quale sarebbe legittima la contestazione della recidiva dopo lo spirare del termine prescrizionale, tale sentenza, «pur affermando il principio della necessità di una specifica contestazione della circostanza aggravante, non avrebbe in alcun modo limitato le sequenze procedimentali e le scansioni processuali, come previste dal codice di rito, attraverso le quali l’imputato possa essere messo in condizione di conoscere specificamente la contestazione (e, con essa, la ritenuta circostanza aggravante) e, conseguentemente, esercitare i propri diritti difensivi»[20].

A ben vedere, tuttavia, è proprio dalla lettura di tale arresto nomofilattico che potrebbero, invece, trarsi elementi ulteriori a sostegno dell’orientamento che propugna la necessità di contestare tempestivamente la circostanza aggravante.

Per vagliare la legittimità di contestazioni c.d. “in fatto” delle circostanze aggravanti, il Supremo Collegio pone alla base il principio della «concreta possibilità per l’imputato di difendersi dall’oggetto dell’addebito»[21] che, come si è visto, sottende tutto lo statuto della contestazione processuale.

Si distingue, dunque, tra fattispecie circostanziali che sono costituite esclusivamente da elementi di fatto e altre che si compongono di elementi valutativi: mentre per le prime, è sufficiente che il capo di imputazione contenga l’indicazione dei fatti materiali idonei a ricondurre la contestazione all’ipotesi aggravata, invece per le seconde è necessario che sia resa esplicita la valutazione operata in primo luogo dal pubblico ministero e, poi, dal giudice, in ordine alla loro sussistenza.

Orbene, se, come ormai consolidato, la recidiva non corrisponde alla mera sussistenza di precedenti penali ma è sottesa ad una valutazione di maggior gravità del reato commesso[22], è giocoforza inferirne la natura valutativa: essa dovrà, pertanto, a metro dei principi affermati dalle Sezioni Unite “Sorge”, essere oggetto di precisa, puntuale e tempestiva contestazione da parte della pubblica accusa.

Riassuntivamente, e conclusivamente, dunque, pare doversi prestare adesione all’orientamento che ritiene illegittima la contestazione di ipotesi di recidiva qualificata dopo lo spirare del termine di prescrizione: in tale evenienza, infatti, il giudice non potrebbe che prendere atto dell’avvenuta estinzione del reato e provvedere ai sensi dell’art. 129 c.p.p. all’immediata declaratoria di tale causa di non punibilità.

Sarà interessante, una volta depositate le motivazioni, verificare l’iter argomentativo svolto dalle Sezioni Unite nell’articolare una soluzione che, dall’informazione provvisoria, pare consentanea con quanto qui sommariamente prospettato.

 

 

[1] F. Carrara, Stato della dottrina sulla recidiva, in Opuscoli, Prato, 1885; G. Bettiol, Diritto penale. Parte generale, , Padova, 1982; G.L. Gatta, La recidiva nella recente giurisprudenza di legittimità, in Garofoli-Treu (a cura di), Libro dell’anno del diritto, Treccani, 2012; G.B. Impallomeni, Il Codice penale italiano, 1980; E. Ambrosetti, Recidiva e recidivismo, , Padova, 1997.

[2] Cass., Sez. Un., 24 febbraio 2011, n. 20798; Cass., Sez. Un., 29 gennaio 2021, n. 3585.

[3] Cass., Sez. V, 10 settembre 2019, n. 48205; Cass., Sez. VI, 14 settembre 2017, n. 55748; Cass., Sez. VI, 22 settembre 2015, n. 47499; Cass., Sez. III, 30 gennaio 2014, n. 14439; Cass., Sez. II, 3 novembre 1987, n. 5610; Cass., Sez. II, 19 giugno 1981, n. 10448

[4] Vale la precisazione che analoghe conclusioni non si attagliano alla fase dell’udienza preliminare allorché l’imputazione è ancora caratterizzata da una naturale componente di fluidità. 

[5] Cass., Sez. V, 11 dicembre 2019, n. 3712; Cass., Sez. V, 2 luglio 2019, n. 47241; Cass., Sez. V, 23 marzo 2016, n. 26822; Cass., Sez. II, 2 luglio 2010, n. 248131; Cass., Sez. VI, 4 novembre 2008, n. 44591; Cass., Sez. VI, 16 ottobre 2008, n. 40627; Cass., Sez. V, 19 ottobre 2005, n. 9769; Cass., Sez. II, 26 gennaio 1978, n. 373.

[6] Cass., Sez. Un., 18 aprile 2019, n. 24096

[7] Cass., Sez. Un., 25 gennaio 2005, n. 12283; Cass., Sez. Un., 28 maggio 2009, n. 35490

[8] La rilevanza sovranazionale di tale profilo è ben compendiata nella Direttiva 2012/13/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 maggio 2012 sul dirotto all’informazione nei procedimenti penali, con cui l’Unione europea ha inteso fornire una cornice comune per armonizzare l’attuazione dell’art. 5 Convenzione EDU e degli artt. 6, 46 e 48 della Carte dei diritti fondamentali dell’UE. Quanto ai riferimenti giurisprudenziali di matrice sovranazionale, è la stessa ordinanza di rimessione a citare le sentenze Corte EDU, 2 luglio 1996, Sejodovic c. Italia; Corte EDU, 25 marzo 1999, Pellissier e Sassi c. Francia; Corte EDU, 25 luglio 2000, Mattoccia c. Italia; Corte EDU, 7 gennaio 2010, Penev c. Bulgaria; Corte EDU, 5 marzo 2013, Varela Geis c. Spagna.

[9] Cfr. sul punto, l’ampia trattazione di A. Vallini, Nota introduttiva al Capo II del Titolo IV del Codice penale, in G. Forti, S. Seminara, G. Zuccalà, Commentario breve al Codice penale, VI edizione, Milano, 2019

[10] Per averne esemplificazione plastica, è sufficiente constatare che F. Antolisei, in Manuale di diritto penale. Parte generale, Milano, VII edizione, tratta dell’istituto de quo nel capitolo dedicato alla «capacità criminale».

[11] Cfr. G. Marinucci, E. Dolcini, G.L. Gatta, Manuale di diritto penale, XI edizione, Milano, 2022, pp. 710ss.; M. Romano, Commentario sistematico del Codice penale, vol. II, Milano, 2012, p. 95

[12] Cass., Sez. Un., 27 maggio 2010, n. 35378

[13] Appare ormai recessiva l’opzione politico-criminale riconducibile alla L. 251/2005 (c.d. ex-Cirielli) cui si deve ricondurre l’attuale formulazione dell’art. 69 co. 4 c.p. nella parte in cui esclude dal giudizio di bilanciamento la recidiva reiterata di cui all’art. 99 co. 4 c.p. Come noto, infatti, su tale previsione si è consolidata una copiosa giurisprudenza costituzionale che ha sottoposto a stretto scrutinio la ragionevolezza della scelta di blindatura “in astratto” operata dal Legislatore, sancendo il principio di fondo in base al quale ad un’oggettiva dimidiata offensività del fatto materialmente realizzato non può corrispondere un aggravamento obbligatorio del trattamento sanzionatorio fondato solo su considerazioni afferenti alla persona del colpevole: di tale indirizzo, l’ultima e più recente espressione è rinvenibile in Corte cost., 8 luglio 2021, n. 143 con cui è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo per contrasto con gli artt. 3 e 27 co. 3 Cost. l’art. 69 co. 4 c.p. «nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante del fatto di lieve entità – introdotta con sentenza n. 68 del 2012 in relazione al sequestro di persona a scopo di estorsione – sulla circostanza aggravante della recidiva di cui all’art. 99 co. 4 c.p.».

[14] È ben nota la celebre “saga Taricco” che ha ben messo in evidenza come la prescrizione sia un istituto di diritto sostanziale foriero di significative proiezioni processuali.

[15] Cfr. F. Basile, L’enorme potere delle circostanze sul reato; l’enorme potere dei giudici sulle circostanze, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, Milano, 2015, vol. LVIII, fas. 4, pp. 1743-1768

[16] Lo stesso può avvenire anche in conseguenza di determinate qualificazioni giuridiche attribuite a determinati fatti a cui corrisponde un diverso trattamento processuale: si pensi, sul punto, a tutto l’ambito dei «delitti di criminalità» organizzata su cui si è espressa Cass. 30 marzo 2022, n. 34895. L’argomento è di rinnovata attualità a seguito dell’annuncio di una norma di interpretazione autentica in occasione del Consiglio dei ministri del 17 luglio 2023, che, nelle intenzioni del Governo, dovrebbe far fronte ad asserite conseguenze distorsive derivanti dall’applicazioni dei principi espressi nella pronuncia. Sul punto, G. Tessitore, Sulla nozione di ‘criminalità organizzata’ di fini della disciplina in deroga delle intercettazioni, in questa Rivista, 21 luglio 2023, con nota introduttiva di G.L. Gatta.

[17] La stessa definizione può evincersi nella norma che definisce il contenuto del decreto che dispone il giudizio (art. 429, co. 1 lett. c) c.p.p.); in quella relativa alla citazione per il giudizio direttissimo (art. 450 co. 3 c.p.p.); in quella sul decreto di giudizio immediato (art. 456 co. 1 c.p.p.) nonché all’art. 552 co. 1 lett. c) in materia di citazione diretta a giudizio.

[18] Così F. Cordero, Procedura penale, Milano, 1979, p. 268

[20] Così sintetizza l’orientamento l’ordinanza di rimessione a p. 5.

[21] Cass., Sez. Un., 18 aprile 2019, cit., p. 10

[22] Così, anche Cass., Sez. Un., 24 febbraio 2011, n. 20798, con commento di G.L. Gatta, Le Sezioni Unite sul concorso tra recidiva e altre circostanze aggravanti ad effetto speciale, in Diritto penale contemporaneo, 25 maggio 2011