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24 Aprile 2020


Il diritto dell’imputato detenuto a partecipare personalmente all’udienza di riesame: le Sezioni Unite delineano le modalità di esercizio della garanzia dopo la l. n. 47 del 2015

Cass., Sez. Un., 27 febbraio 2020 (dep. 9 aprile 2020), n. 11803, Pres. Carcano, Est. Caputo, ric. Gerardo



1. La riforma intervenuta con la l. 16 aprile 2015, n. 47, in materia di misure cautelari personali, ha riguardato, tra l’altro, il sistema delle impugnazioni de libertate. Le modifiche introdotte non sono state, tuttavia, lineari, tanto da aver già richiesto l’intervento delle Sezioni Unite, al fine di comporre alcuni contrasti giurisprudenziali[1].

La sentenza in commento continua questa linea di tendenza: la Suprema Corte è stata chiamata a pronunciarsi sulla portata da attribuire alle disposizioni di cui ai commi 6 e 8-bis dell’art.  309 c.p.p., così come modificate dalla citata riforma. In particolare, a seguito della novella, l’art. 309, comma 6, c.p.p. sancisce che «con la richiesta di riesame […] l’imputato può chiedere di comparire personalmente», mentre il comma 8-bis del medesimo articolo riconosce il diritto di partecipare all’udienza camerale «all’imputato che ne abbia fatto richiesta ai sensi del comma 6».

A fronte della nuova formulazione legislativa, il fulcro della questione ruota intorno alle modalità e ai tempi di esercizio del diritto dell’indagato o imputato detenuto di partecipare all’udienza camerale davanti al tribunale della libertà.

 

2. In particolare, nella fattispecie concreta alla base della pronuncia, era stata sostituita, nell’ambito del procedimento incidentale de libertate ai sensi dell’art. 309 c.p.p., la misura della custodia cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari unitamente al braccialetto elettronico.

Avverso il provvedimento, il difensore aveva proposto ricorso per cassazione, formulando tre motivi.

Per quanto qui interessa, si lamentava la nullità dell’ordinanza, in quanto il giudice del riesame aveva rigettato la richiesta dell’indagato di partecipazione all’udienza, poiché non proposta contestualmente al gravame. A supporto dell’assunto, la difesa argomentava che, secondo la formulazione dell’art. 309, comma 6, c.p.p., l’imputato “può” e non “deve” manifestare la volontà di partecipare direttamente nell’atto di impugnazione. Oltretutto, la tempestività della richiesta veniva giustificata alla luce di un indirizzo giurisprudenziale, che suffragava una tale conclusione.

Da ultimo, veniva eccepita l’illegittimità costituzionale di un’interpretazione diversa da quella sostenuta, per contrasto con gli artt. 3, 24 e 111 Cost.

Dal canto suo, ravvisate diverse opzioni ermeneutiche sul punto, la quinta Sezione decideva di rimettere la questione alle Sezioni Unite. Più specificamente, il massimo Collegio veniva sollecitato a chiarire se la persona sottoposta a misura privativa o limitativa della libertà personale potesse esercitare il diritto a comparire nel solo caso in cui avesse formulato apposita richiesta nel riesame, personalmente o per il tramite di un difensore[2]. In alternativa, si chiedeva se potesse valere anche un’istanza non contestuale all’impugnazione, ma presentata «comunque in tempo utile per consentire di organizzare la tempestiva traduzione, ai fini del regolare svolgimento del procedimento»[3]

 

3. A ben vedere, la questione si inserisce in un quadro alquanto complesso. Il diritto dell’imputato detenuto a partecipare personalmente al giudizio di riesame è, infatti, da tempo controverso, in quanto la materia è stata oggetto di dibattiti, che hanno visto il susseguirsi di interventi della giurisprudenza, sia di legittimità, sia costituzionale[4].

Pertanto, prima di analizzare nel merito l’arresto della Suprema Corte, pare utile ripercorrere, nei tratti essenziali, il panorama normativo e giurisprudenziale che ne ha fatto da cornice.

Come noto, precedentemente alla novella legislativa, la materia veniva regolata, sulla scorta del rinvio contenuto nell’art. 309, comma 8, c.p.p., dall’art. 127 c.p.p.; l’assetto legislativo che ne derivava poggiava su una distinzione, a seconda che l’interessato fosse detenuto all’interno o all’esterno del circondario. Nel primo caso, veniva assicurato il diritto a comparire personalmente, con conseguente rinvio dell’udienza in caso di legittimo impedimento, mentre, nella seconda ipotesi, l’imputato poteva chiedere solo di essere sentito prima del giorno dell’udienza da parte del magistrato di sorveglianza del luogo di detenzione.

D’altra parte, già nei primi anni di vigenza del nuovo codice di procedura penale, la Corte costituzionale aveva fornito, con una decisione interpretativa di rigetto, una lettura costituzionalmente orientata della delineata disciplina. In particolare, si era affermato che l’art. 309 c.p.p. non precludesse affatto la partecipazione personale dell’imputato ristretto in luogo diverso dal circondario «se questi ne abbia fatto richiesta oppure se il giudice competente lo ritenga ex officio opportuno»[5].

Eppure, nonostante tale intervento, continuavano a registrarsi oscillazioni giurisprudenziali.

Se, da un lato, un orientamento maggioritario, accolto dalle Sezioni Unite[6], aveva seguito la lettura costituzionalmente orientata della Consulta[7], dall’altro lato, persistevano indirizzi che condizionavano la richiesta di comparizione a diverse valutazioni. A quest’ultimo riguardo, vi erano pronunce che rimettevano al giudice la decisione sull’opportunità di accogliere l’istanza, escludendo «richieste del tutto defatigatorie»[8], tali da ostacolare il rispetto dei termini fissati dal procedimento incidentale de liberate[9]. Altri arresti specificavano la necessità di manifestare nell’apposita istanza «la volontà di rendere dichiarazioni su questioni di fatto concernenti la […] condotta»[10], o, ancora, di contestare le risultanze probatorie e di indicare elementi a sé favorevoli[11].

Da ultimo, quanto alla specifica modalità di esercizio del diritto, la giurisprudenza riconducile al primo orientamento aveva ancorato la richiesta a partecipare a un requisito di “tempestività”. Detto altrimenti, la comunicazione della scelta doveva intervenire «nella ragionevole immediatezza della ricezione della notificazione dell’avviso della data fissata per l'udienza»[12].

Ebbene, è alla luce di tale contesto che vanno lette le modifiche apportate dalla l. n. 47 del 2015 nei citati commi 6 e 8-bis dell’art. 309 c.p.p. Si è detto che «il legislatore ha finalmente consacrato il diritto di partecipazione effettiva del soggetto al giudizio de libertate»[13], e questo senza operare alcuna distinzione a seconda del luogo di detenzione. 

Evidentemente, però, come dimostrato dall’ordinanza di rimessione che ha condotto alla sentenza in commento, la formulazione della novella non aveva affatto sopito i dubbi interpretativi in materia. Il contrasto giurisprudenziale si era, infatti, spostato dall’an del diritto a comparire personalmente all’udienza camerale, limitatamente al detenuto fuori circondario, al quomodo per avvalersi della garanzia.

 

4. In effetti, a seguito della riforma del 2015, si erano formati due indirizzi esegetici nella giurisprudenza di legittimità.

Il primo, maggioritario e più risalente, propendeva per un’interpretazione rigorosa della novella. Si affermava che il diritto di partecipare personalmente all’udienza potesse essere esercitato solo nel caso in cui la relativa istanza fosse stata formulata, anche a mezzo del difensore, nella richiesta di riesame[14].

A tale soluzione si perveniva, anzitutto, sulla scorta di un argomento fondato sulla littera legis, e, in particolare, alla luce del significato inequivoco attribuito al combinato disposto dei commi 6 e 8-bis dell’art. 309 c.p.p.[15].

In aggiunta, le pronunce riconducibili a tale indirizzo avevano avanzato diversi rilievi di carattere sistematico.

In primo luogo, si era osservato che la rigidità della disciplina si sarebbe inserita perfettamente nella cornice normativa di riferimento, caratterizzata dall’osservanza di termini ristretti, propri del giudizio incidentale ex art. 309 c.p.p. Più specificamente, l’esegesi adottata – era stato sostenuto – avrebbe escluso ogni profilo di incertezza, derivante da quel requisito, formulato dalla precedente giurisprudenza e ancorato al concetto di “tempestività” della richiesta, la cui portata era sostanzialmente rimessa alla discrezionalità dei giudici[16].

In stretta connessione con quanto appena rilevato, si era inoltre argomentato che l’assenza di una decadenza entro cui manifestare la volontà di partecipare avrebbe fatto dipendere «l’effettiva tutela di un diritto fondamentale dalla capacità di organizzare in modo tempestivo la traduzione»[17] dell’interessato, spesso disomogenea a seconda delle singole realtà territoriali[18]. In aggiunta, l’orientamento aveva rinvenuto nella novella legislativa un equilibrato bilanciamento effettuato ex lege tra, da un lato, la garanzia di partecipare all’udienza camerale e, dall’altro lato, la celerità che connota il procedimento di riesame[19].

Da ultimo, si era precisato che l’opzione ermeneutica non avrebbe comportato una lesione dei diritti di difesa. Invero, era stata messa in risalto la funzione eminentemente difensiva dell’interrogatorio di garanzia ex art. 294 c.p.p., il quale interviene pochi giorni prima dell’udienza di riesame[20]; ciò considerato, la presenza dell’indagato nel procedimento incidentale de libertate avrebbe assunto «un rilievo in chiave difensiva necessariamente di minore pregnanza»[21].

A opposte conclusioni era pervenuto il secondo indirizzo giurisprudenziale.

Secondo tale orientamento, l’esercizio del diritto di partecipare all’udienza non sarebbe stato sottoposto ad alcuna limitazione o decadenza, purché, però, la manifestazione di volontà fosse pervenuta «in tempo utile per organizzare la tempestiva traduzione, dovendo altrimenti essere disattesa con adeguata motivazione»[22]. Emerge, pertanto, che questa diversa esegesi si poneva sulla stessa linea di continuità della giurisprudenza antecedente alla riforma del 2015, quanto all’ancoraggio del requisito di “tempestività” all’istanza di partecipazione.

Le argomentazioni a favore di tale opzione ermeneutica erano molteplici.

Al contrario del primo indirizzo, veniva escluso il carattere perentorio della disciplina in materia. Si sosteneva, infatti, che la disposizione di cui al comma 6 si sarebbe espressa in termini di “facoltà” e non di “dovere” con riferimento all’inserimento della richiesta di comparire nell’atto introduttivo del giudizio[23]; oltretutto, si rilevava l’assenza di una espressa sanzione processuale in caso di inosservanza della previsione[24].

Ancora, veniva realizzato un parallelismo tra l’istanza di comparire e la modalità di presentazione dei motivi di gravame, la quale è parimenti disciplinata dal comma 6 dell’art. 309 c.p.p. Più specificamente, si era osservato che, secondo un’interpretazione consolidata, mai sarebbe stata messa in dubbio la facoltà di formulare i motivi con atto separato e successivo a quello del riesame. Pertanto, lo stesso sarebbe dovuto valere per la richiesta di presenziare[25].

Per di più, accanto a questi argomenti di carattere letterale, la soluzione veniva giustificata nell’ottica della piena salvaguardia del diritto di partecipare personalmente al giudizio, espressione qualificata del diritto di difesa, il quale non avrebbe potuto «essere recessivo rispetto ad esigenze di tipo organizzativo della pubblica amministrazione»[26]. In sostanza, anche alla luce della sentenza della Corte costituzionale sopra richiamata, veniva privilegiata una lettura costituzionalmente orientata della disciplina rispetto agli artt. 24, comma 2 e 111, comma 2, Cost.[27]. Ma non solo: si osservava come la soluzione fosse conforme con il panorama sovranazionale. Al riguardo venivano citati l’art. 6, § 3, lett. c), d), e), C.e.d.u.; l’art. 14, § 3, lett. d), e), f), Patto int. dir. civ. pol.; nonché la direttiva 2016/343/UE sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali[28].

 

5. Ebbene, in tale contesto si inserisce la sentenza delle Sezioni Unite, la quale rappresenta l’ultimo approdo di questo tormentato percorso [29].

L’arresto ha avallato l’opzione esegetica più rigorosa sostenuta dal primo indirizzo, ma, al contempo, ha valorizzato la nuova disciplina di cui all’art. 309, comma 9-bis, c.p.p. In sostanza, secondo il principio di diritto formulato dalla Suprema Corte, l’imputato ha diritto di comparire personalmente all’udienza «solo se ne ha fatto richiesta, anche per il tramite del difensore, con l’istanza di riesame, ferma restando la facoltà di chiedere di essere sentit[o] su specifici temi con l’istanza di differimento ai sensi dell’art. 309, comma 9-bis, cod. proc. pen.».

L’impostazione seguita è stata il frutto di un complesso e ampio ragionamento, fondato su rilievi di carattere sia letterale, sia sistematico, in parte ripresi e, ulteriormente sviluppati, dal primo indirizzo.

In via preliminare, però, il massimo Collegio ha avuto cura di fugare ogni dubbio interpretativo sull’ambito di operatività dei commi 6 e 8-bis dell’art. 309 c.p.p., fornendo così una puntuale risposta alle preoccupazioni sollevate dalla dottrina[30].

In particolare, si è chiarito che le due previsioni sarebbero applicabili esclusivamente «all’imputato detenuto o internato ovvero sottoposto a misura coercitiva in concreto limitativa della possibilità di partecipare all’udienza». Al di fuori di queste ipotesi, – ha infatti osservato la Suprema Corte – la necessità di apprestare una disciplina sulla modalità di esercizio del diritto di comparire all’udienza sarebbe «del tutto irragionevole».

Circoscritta in questi termini la questione, le Sezioni Unite hanno sviluppato il percorso logico a partire da un’analisi del quadro normativo, successivo alla più volte ricordata pronuncia della Corte costituzionale.

In particolare, è stata ripercorsa e valorizzata l’evoluzione legislativa e giurisprudenziale che ha determinato un crescente rafforzamento della conoscenza degli atti e degli elementi posti alla base dell’applicazione della misura coercitiva. Proprio alla luce del rinnovato assetto, il massimo Collegio ha osservato come, al momento della formulazione dell’istanza di riesame, sarebbe pienamente garantita alla difesa la cognizione degli elementi che possono orientare la scelta sulla comparizione o meno dell’imputato all’udienza camerale.

In aggiunta, si è attribuito rilievo al comma 3-ter dell’art. 299 c.p.p., in materia di revoca, la quale impone al giudice di interrogare l’imputato, qualora ne faccia richiesta e l’istanza sia fondata su elementi nuovi o diversi rispetto a quelli già valutati. Ebbene, tale previsione è stata definita una «”valvola di garanzia”», che, in presenza dei delineati presupposti, consentirebbe al prevenuto, anche dopo lo svolgimento del giudizio di riesame, di far valere le proprie ragioni davanti al giudice.

Una volta fissata la cornice generale di riferimento, la Suprema Corte ha, in primo luogo, valorizzato il tenore letterale delle disposizioni analizzate. In linea con il primo indirizzo, le Sezioni Unite hanno, infatti, attribuito alle previsioni il significato univoco di ancorare il diritto a comparire alla formulazione dell’apposita richiesta nel riesame. Del resto, – ha ulteriormente argomentato la Suprema Corte – una conferma di tale opzione esegetica si trarrebbe, argomentando a contrario, da tutte quelle previsioni – come l’art. 666, comma 4, c.p.p. –, che consentono al detenuto di comparire in udienza a sua richiesta, senza, però, fissare, al contempo, un atto specifico.

Nello sviluppare tali argomentazioni, preme rilevare che il massimo Collegio ha anche fornito un inquadramento dogmatico della fattispecie. Contrariamente a quanto espresso in alcune sentenze, le Sezioni Unite hanno escluso di essere al cospetto di una “decadenza” dalla facoltà di partecipare all’udienza camerale. Ciò in quanto mancherebbe nella disciplina la previsione di termini ex art. 172 c.p.p., presupposto per l’operatività dell’istituto. Piuttosto, – ha concluso la Corte – l’assetto configurato dai commi 6 e 8-bis dell’art. 309 c.p.p. sarebbe riconducibile, a «un modello, che vede l’esercizio di un diritto disciplinato […] in modo da prescriverne la contestualità con una domanda o una richiesta».

Per quanto attiene, invece, agli argomenti di carattere sistematico, le Sezioni Unite, sulla falsariga del primo orientamento, hanno attribuito un peso centrale alla peculiarità del giudizio di riesame, scandito da stringenti termini perentori e da rigorose conseguenze sanzionatorie in caso di loro inosservanza, ancora più acuite a seguito della l. n. 47 del 2015.Ebbene, secondo la Suprema Corte, la contestualità tra richiesta di partecipare e istanza di riesame si armonizzerebbe con questo assetto. In tale modo, verrebbe infatti escluso ogni spazio di discrezionalità in capo al giudice per vagliare il requisito di “tempestività” della domanda di comparire e, inoltre, si eviterebbe di far dipendere l’esercizio del diritto da elementi connessi alle decisioni dell’amministrazione penitenziaria. In definitiva, – hanno concluso le Sezioni Unite – l’interpretazione accolta permetterebbe ab origine «una programmazione tendenzialmente affidabile dei lavori dei giudici del riesame», la quale rappresenterebbe un presupposto essenziale per poter garantire il rispetto dei termini imposti dal procedimento incidentale de libertate.

Né, d’altra parte, – ha precisato la Suprema Corte – tale soluzione determinerebbe una diminuzione dell’apparato di garanzie poste a tutela dell’imputato detenuto. Si è sostenuto che la novella sarebbe frutto di un bilanciamento effettuato dal legislatore tra il diritto di partecipare all’udienza di riesame e la celerità del procedimento incidentale de libertate ex art. 309 c.p.p.

Come anticipato, le Sezioni Unite hanno, inoltre, messo in risalto la novità prevista dal comma 9-bis dell’art. 309 c.p.p., il quale – lo si ricordi – attribuisce all’imputato la facoltà di chiedere personalmente un differimento della data dell’udienza in presenza di «giustificati motivi», con conseguente proroga dei termini per la decisione e per il deposito dell’ordinanza. In particolare, a detta del massimo Collegio, la richiesta dell’imputato di essere ascoltato «su specifici temi» rientrerebbe senza dubbio tra le ipotesi potenziali di differimento dell’udienza. Val la pena, tuttavia, precisare che la Suprema Corte – alla luce della giurisprudenza formatasi in materia[31] – ha, in ogni caso, circoscritto la rilevanza dei motivi a quelli «non meramente pretestuosi» e concernenti «esigenze di difesa sostanziale».

Per concludere, la Suprema Corte, tra le righe del proprio ragionamento, ha avuto cura di chiarire un altro profilo controverso, strettamente correlato alla questione sottopostale. La puntualizzazione si è resa necessaria, considerato che il rinvio effettuato dall’art. 309, comma 8, c.p.p. all’art. 127 c.p.p. è rimasto invariato. Sicché ben si sarebbe potuta ritenere salva la facoltà per l’imputato fuori circondario di essere sentito dal magistrato di sorveglianza, qualora avesse preferito tale opzione alla comparizione personale in udienza[32].

In merito, però, le Sezioni Unite, confermando quanto già sostenuto dal primo indirizzo[33], hanno ritenuto non più applicabile alla specifica materia de qua la disposizione ex art. 127, comma 3, c.p.p. e quella, ad essa strettamente correlata, di cui all’art. 101, comma 2, disp. att. c.p.p. L’assunto è stato poggiato sulla incompatibilità delle previsioni in esame con la novella del 2015, la quale avrebbe inteso superare qualsiasi distinzione tra imputati detenuti al di fuori e all’interno del circondario.

 

6. Certamente l’arresto delle Sezioni Unite si distingue per aver affrontato e risolto con chiarezza gran parte dei dubbi interpretativi sorti a seguito della l. n. 47 del 2015 in ordine al diritto dell’imputato in vinculis di presenziare all’udienza ex art. 309 c.p.p.[34]. Ma, nel complesso, desta perplessità la rigidità della lettura offerta, la quale rischia di svuotare la portata garantista della novella[35].

In primo luogo, sarebbe stato preferibile lasciare, in ogni caso, salva la facoltà di avanzare l’istanza di partecipazione anche con un atto distinto da quello di riesame, pur, eventualmente, formulato nella cornice temporale imposta per la proposizione dell’impugnazione. Si consideri, in particolare, l’ipotesi in cui il difensore presenti istanza di riesame e, non ancora decorsi i termini per proporre il gravame, l’imputato o l’indagato dichiarino, con atto distinto, l’intento di comparire. Propendere per l’inammissibilità di quest’ultima richiesta, sol perché non materialmente inserita nell’atto introduttivo del giudizio, significa abbracciare un approccio immotivatamente formalistico.

Sembra, inoltre, di particolare pregnanza l’assunto formulato dal secondo orientamento in ordine all’assenza di una espressa sanzione processuale per l’inosservanza della disciplina. Il che pare far propendere per la non assoluta univocità della formulazione, nel senso di ancorare al solo riesame la richiesta di presenziare.

Né, peraltro, sembra possibile stabilire in modo univoco che la ratio legis della riforma sarebbe stata quella di contemperare la celerità del procedimento di riesame con il diritto di partecipare del prevenuto, vista l’assenza nei lavori parlamentari, che hanno condotto alla novella, di alcuna precisa indicazione sul punto[36]

Inoltre, non pare offrire un’adeguata riposta, nella prospettiva di una salvaguardia effettiva della partecipazione personale dell’imputato sottoposto a restrizione della libertà personale, la valorizzazione del differimento dell’udienza di cui all’art. 309, comma 9-bis, c.p.p. In merito, sembra assumere valenza centrale l’assunto di una più risalente pronuncia delle Sezioni Unite, secondo cui, alla luce della natura del riesame, quale impugnazione interamente devolutiva, «l’area delle prospettazioni difensive può ampliarsi notevolmente anche in relazione allo sviluppo dell’udienza»[37].

Pertanto, l’istituto del differimento dell’udienza, circoscritto ai casi in cui l’interessato manifesti la volontà di essere sentito su specifici temi, non pare far fronte a quelle esigenze difensive, che, come delineato, ben potrebbero palesarsi nel corso dell’udienza camerale e non già, ed esclusivamente, al momento dell’istanza.

Da ultimo, appare criticabile che nell’arresto manchiqualsiasi confronto con il panorama sovranazionale.

Se occorre dare atto che la direttiva 2016/343/UE pare difficilmente invocabile rispetto alla specifica materia in esame[38], ben diverso sembra essere il discorso con particolare riferimento all’art. 5, § 4, C.e.d.u. Al riguardo, non può omettersi di richiamare la recente sentenza Rizzotto c. Italia, con la quale la Corte di Strasburgo ha condannato il nostro ordinamento proprio per violazione della citata previsione[39]. Al di là delle dinamiche della fattispecie concreta, – la quale concerneva l’ipotesi di un soggetto latitante – l’arresto si distingue per aver affermato in termini netti, sia con riferimento all’art. 309 c.p.p., sia rispetto all’art. 299 c.p.p., la necessità di garantire il diritto dell’imputato di essere effettivamente sentito dal giudice[40]. A ben guardare, dalle parole della Corte si coglie come la circostanza che l’interessato sia stato ascoltato personalmente dall’autorità giudiziaria assuma una valenza centrale e assolutamente prioritaria ai fini del rispetto di un rimedio giurisdizionale effettivo ai sensi dell’art. 5, § 4, C.e.d.u. Se così è, pare lecito chiedersi se le rigide limitazioni all’esercizio del diritto di comparire, espresse nell’arresto in commento, possano ritenersi allineate a quanto richiesto in seno alla grande Europa.

In definitiva, sembra potersi concludere che le Sezioni Unite abbiano perso l’occasione per una piena affermazione delle garanzie partecipative dell’imputato detenuto all’udienza di riesame, in cui si decide su un bene fondamentale, quale quello della libertà personale. L’opzione ermeneutica pare eccessivamente sbilanciata verso le esigenze di celerità del procedimento ex art. 309 c.p.p., le quali, sebbene poste a favore dell’imputato, non possono compromettere l’effettività del suo diritto a comparire. Per converso, l’accoglimento della soluzione avanzata dal secondo indirizzo avrebbe riconsegnato un assetto legislativo, che, a fronte dell’infelice formulazione della nuova disciplina, sarebbe stato, di certo, più rispondente ai principi costituzionali e convenzionali.

 

[1] V. Cass., Sez. Un., 20 luglio 2017, n. 47970, in CED. Cass., n. 270953; Cass., Sez. Un., 31 marzo 2016, n. 18954, in CED. Cass., n. 266788.

[2] Cfr. Cass., Sez. V, ord. 13 settembre 2019, n. 43406, in questa Rivista, 2020, n. 2, con nota di A. Gatto, Il diritto dell’imputato detenuto di presenziare all’udienza di riesame al vaglio delle Sezioni Unite.

[3] V. Cass., Sez. V, ord. 13 settembre 2019, n. 43406, cit.

[4] Per un quadro generale in materia, si vedano K. La Regina, Partecipazione all’udienza di riesame: scelta del detenuto o del giudice?, in Dir. pen. proc., 2005, p. 1132 e ss.; E.N. La Rocca, Le nuove disposizioni in materia di misure cautelari personali (Ddl 1232b), in Arch. pen. (versione web), 2015, n. 2, pp. 6-7; E. Marzaduri, Diritto di difesa e tempi del procedimento dinanzi al tribunale della libertà, in Aa.Vv., La riforma delle misure cautelari personali, a cura di L. Giuliani, Torino, 2015, pp. 219-222.

[5] Così, Corte cost., 31 gennaio 1991, n. 45, in Giur. cost., 1991, p. 304.

[6] Cfr. Cass., Sez. Un., 25 marzo 1998, n. 9, in CED. Cass., n. 210799; Cass., Sez. Un., 22 novembre 1995, n. 40, in CED. Cass., n. 203771-2.

[7] V., ad esempio, Cass., Sez. II, 15 maggio 2012, n. 22959, in CED. Cass., n. 253190.

[8] Cfr. Cass., Sez. IV, 12 luglio 2007, n. 39834, in CED. Cass., n. 237886.

[9] V. Cass., Sez. IV, 12 luglio 2007, n. 39834, cit.

[10] Cfr. Cass., Sez. II, 5 novembre 2014, n. 6023, in CED. Cass., n. 262312

[11] V. Cass., Sez. VI, 4 febbraio 2003, n. 15717, in Guida dir., 2003, n. 25, p. 83.

[12] Così, Cass., Sez. VI, 4 ottobre 2011, n. 42710, in CED. Cass., n. 251277.

[13] In questi termini, P. Maggio, Le impugnazioni delle misure cautelari personali, Milano, 2018, p. 209.

[14] Cfr., tra le molte, Cass., Sez. V, 26 giugno 2019, n. 34181, in CED. Cass., n. 276904-01; Cass., Sez. I, 10 maggio 2019, n. 30714, in CED. Cass., n. 276607-01; Cass., Sez. II, 11 marzo 2016, n. 13707, in CED. Cass., n. 266519.

[15] V. Cass., Sez. I, 8 gennaio 2019, n. 5673, in Giur. it., 2019, p. 1930. 

[16] Cfr. Cass., Sez. I, 6 ottobre 2015, n. 49882, in CED. Cass., n. 265546.

[17] Cfr. Cass., Sez. II, 15 gennaio 2018, n. 12854, in CED. Cass., n. 272467.

[18] V. Cass., Sez. I, 10 maggio 2019, n. 30714, cit.

[19] Cfr. Cass., Sez. II, 15 gennaio 2018, n. 12854, cit.

[20] V. Cass., Sez. I, 8 gennaio 2019, n. 5673, cit., p. 1930.

[21] Cfr. Cass., Sez. I, 8 gennaio 2019, n. 5673, cit., p. 1930.

[22] Cfr. Cass., Sez. VI, 7 marzo 2019, n. 24894, in Giur. it., 2019, p. 1927. V., inoltre, Cass., Sez. VI, 22 marzo 2019, n. 21779, in CED. Cass., n. 275674-01; Cass., Sez. II, 3 aprile 2017, n. 36160, in CED. Cass., n. 270683.

[23] Cfr. Cass., Sez. VI, 22 marzo 2019, n. 21779, cit.

[24] V. Cass., Sez. VI, 7 marzo 2019, n. 24894, cit., p. 1928.

[25] Cfr. Cass., Sez. VI, 7 marzo 2019, n. 24894, cit., p. 1928.

[26] Cfr. Cass., Sez. VI, 7 marzo 2019, n. 24894, cit., p. 1928.

[27] V. Cass., Sez. VI, 22 marzo 2019, n. 21779, cit.

[28] Cfr. Cass., Sez. VI, 22 marzo 2019, n. 21779, cit.

[29] Per completezza, va rilevato che la Suprema Corte si è pronunciata sulla questione ai sensi dell’art. 618, comma 1-ter, c.p.p., in quanto il ricorso è stato dichiarato inammissibile per causa sopravvenuta.

[30] V. P. Maggio, Le impugnazioni, cit., p. 210-211; E. Marzaduri, Diritto di difesa, cit., p. 222. In senso analogo, cfr., inoltre, V. Pazienza, Le nuove disposizioni in tema di misure cautelari. Relazione dell’Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione, n. III/5/2015, 6 maggio 2015, p. 26.

[31] La sentenza richiama, in particolare, Cass., Sez. VI, 3 marzo 2016, n. 13050, in CED. Cass., n. 267018.

[32] A favore di tale interpretazione, cfr. P. Di Stefano, Le impugnazioni, in Aa.Vv., La cautela nel sistema penale. Misure e mezzi di impugnazione, a cura di A. Bassi, Padova, 2016, p. 436; A. Gatto, Il diritto dell’imputato, cit., p. 38 e ss.; G. Spangher, Brevi riflessioni sistematiche sulle misure cautelari dopo la l. n. 47 del 2015, in Dir. pen. cont. – Riv. trim., 4/2015, p. 6. Contra, v. P. Borelli, Una prima lettura delle novità della legge 47 del 2015 in tema di misure cautelari personali, in Dir. pen. cont., 3 giugno 2015, p. 23; A. Mari, Il diritto del ricorrente a comparire personalmente di fronte al tribunale del riesame, in Il penalista, 25 gennaio 2019.

[33] Cfr., ad esempio, Cass., Sez. II, 11 marzo 2016, n. 13707, cit.

[34] Per una sintetica rassegna degli interrogativi sollevati dalla novella, cfr. G. Spangher, Tempi e modalità della richiesta di partecipazione al riesame: opinioni divergenti, in Giur. it., 2019, p. 1931.

[35] A favore di un’interpretazione della disciplina, tale da escludere una preclusione nel caso di mancata presentazione dell’istanza di comparire nel riesame, si vedano P. Maggio, Le impugnazioni, cit., pp. 211-212; A. Marandola, Partecipazione personale al riesame: una lettura in linea con la Costituzione, in Giur. it., 2019, p. 1932 e ss.; E. Marzaduri, Diritto di difesa, cit., pp. 223-224; F.R. Mittica, La partecipazione all’udienza di riesame dopo la l. n. 47 del 2015, in Proc. pen. giust., 2016, n. 3, p. 100 e ss. Contra, cfr. A. Gatto, Il diritto dell’imputato, cit., p. 22 e ss.; A. Mari, Il diritto del ricorrente, cit.; G. Spangher, Tempi e modalità, cit., p. 1031.

[36] Al riguardo, cfr. l’analisi di E. Marzaduri, Diritto di difesa, cit., pp. 217-219.

[37] Così, Cass., Sez. Un., 22 novembre 1995, n. 40, cit.

[38] Ciò pare dedursi dal limitato campo applicativo della direttiva 2016/343/UE con specifico riferimento al diritto dell’imputato di partecipare al processo; in particolare, vi sono dubbi se la garanzia riguardi anche le decisioni incidentali, quale, anzitutto, quella cautelare: in merito, cfr. S. Ruggeri, Procedimento penale, diritto di difesa e garanzie partecipative nel diritto dell’Unione europea, in Dir. pen. cont. – Riv. trim., 4/2015, pp. 137-138; nonché, più di recente, Id., Garanzie partecipative, giudizio in absentia e procedimenti inaudito reo. Quale avanzamento di tutela nel diritto dell’Unione europea?, in Eurojus.it, 1° febbraio 2017, pp. 9-11.

[39] Cfr. Corte e.d.u., 5 settembre 2019, Rizzotto c. Italia, su cui si veda D. Cardamone, Il sistema dei rimedi de libertate alla luce della giurisprudenza della Cedu nella sentenza Rizzotto c. Italia (5 settembre 2019), in Quest. giust., 1° ottobre 2019.

[40] V. Corte e.d.u., 5 settembre 2019, Rizzotto c. Italia, §§ 50-51 e 59-60.