Selezione di pronunce rilevanti per il sistema penale
A cura di Francesco Zacché e Stefano Zirulia
Il monitoraggio delle pronunce è stato curato, questo mese, da Lavinia Parsi (artt. 2 e 8 Cedu) e Violette Sirello (artt. 6 e 1 Prot. Add. Cedu).
In dicembre abbiamo selezionato pronunce relative a: utilizzo della forza letale presso la frontiera Turchia-Iran (art. 2 Cedu); confisca senza condanna a seguito di estinzione del reato per prescrizione (art. 6 Cedu, art. 1 Prot. Add. Cedu); revoca della cittadinanza a seguito di condanna per terrorismo (art. 8 Cedu); perquisizione e sequestro disposti dalla commissione parlamentare d'inchiesta antimafia nei confronti della loggia massonica Grande Oriente d’Italia (art. 8 Cedu).
ART. 2 CEDU
C. eur. dir. uomo, Sez. II, 10 dicembre 2024, Karadeniz et al. c. Turchia
Morte di un uomo e gravi lesioni ad un altro causate da soldati che hanno sparato contro di loro mentre tentavano di entrare illegalmente in Turchia - uso di forza potenzialmente letale non assolutamente necessario né proporzionato - indagine inefficace – violazione
Il ricorso riguarda la morte di un uomo e le gravi ferite inflitte a un altro, causate da colpi di arma da fuoco sparati da soldati turchi mentre le vittime tentavano di entrare illegalmente in Turchia. I fatti avvenivano nella zona di frontiera confinante con l’Iran, soggetta a controllo militare della Turchia asseritamente al fine di prevenire l’intrusione di terroristi e contrabbandieri, frequenti in questa parte del territorio: il governo sosteneva, infatti, che i membri delle forze di sicurezza avevano sparato nella direzione dei due individui dei “colpi di avvertimento”, col solo obiettivo di arrestarli. Le indagini si concludevano con una decisione di non luogo a procedere. I ricorrenti, rappresentati nella fattispecie dall’uomo ferito e dai familiari dell’uomo deceduto, lamentavano una violazione dell’art. 2 Cedu, avendo gli agenti dello Stato fatto uso di forza letale in assenza del requisito di assoluta necessità e non essendo stata condotta alcuna indagine giudiziaria adeguata ed efficace. Per quanto riguarda il volet sostanziale, la Corte europea innanzitutto ricorda che l’art. 2 par. 2 descrive le situazioni in cui, eccezionalmente, è possibile ricorrere alla forza anche letale: esse non giustificano tutti i casi di omicidi involontari da parte delle forze dell’ordine, ma solo quelli avvenuti in presenza dei requisiti previsti. Al fine di essere legittimo, il ricorso alla forza deve infatti essere “assolutamente necessario” e strettamente proporzionale al perseguimento di uno degli scopi menzionati ai paragrafi a), b) o c) dell'articolo (§91). Nel caso di specie, la Corte sottolinea che i proiettili hanno colpito le vittime rispettivamente alla scapola e al ventre: circostanze che rendono “difficile concepire” che si trattasse di colpi di avvertimento o, anche volendo sposare tale tesi, i colpi sarebbero stati mal eseguiti al punto da costituire una grave negligenza (§99). Inoltre, non è stato provato che i due presunti contrabbandieri fossero armati né che rappresentassero una minaccia per la vita o l’integrità fisica di alcuno. Pertanto, in assenza di una necessità assoluta di utilizzare la forza letale, lo scopo legittimo di realizzare un arresto non poteva nel caso di specie giustificare l’azione dei soldati (§100). Rispetto al volet procedurale, la Corte nota che le indagini si concludevano con un non luogo a procedere, nonostante non fosse stata rinvenuta alcun’arma nei pressi dei fatti e che il Procuratore militare, prima di negare la propria competenza, avesse constatato che l’ordine di sparare nelle circostanze del caso era illegale e costituiva un reato, in quanto il ricorso alla forza non aveva rispettato i principi di necessità e proporzionalità (§112). La Corte ravvisa pertanto una violazione dell’art. 2 Cedu anche sotto il profilo procedurale. (Lavinia Parsi)
Riferimenti bibliografici: L. Parsi, Giurisdizione extraterritoriale ed interpretazione del diritto alla vita alla luce del diritto dei conflitti armati, in Riv. it. dir. proc. pen., 2024, p. 858; I. Giugni, Esercizio legittimo della forza e obbligo di formazione degli agenti statali, in Riv. it. dir. proc. pen., 2022, p. 1365; C. Mostardini, Sull’uso letale della forza da parte degli agenti statali: tra obblighi convenzionali e prospettive nazionali, in Riv. it. dir. proc. pen., 2017, p. 1567.
Art. 6 CEDU
C. eur. dir. uomo, sez. I, sent. 19 dicembre 2024, Episcopo e Bassani c. Italia
Presunzione d’innocenza – confisca diretta senza condanna a seguito di estinzione del reato per prescrizione – responsabilità penale imputata oggettivamente al ricorrente – violazione
Il caso riguarda la confisca di beni dei ricorrenti, ritenuti proventi diretti del reato ai sensi dell'articolo 322-ter c.p., disposta nonostante l’estinzione del reato medesimo per intervenuta prescrizione (§ 1). Entrambi i ricorrenti, amministratori di società, imputati di reati commessi negli anni 2001-2004, erano stati condannati in primo grado e dei loro beni era stata disposta la confisca. All’esito del giudizio di secondo grado, la Corte d’appello, nel pronunciare sentenza di proscioglimento per intervenuta prescrizione, aveva tuttavia confermato la confisca. In linea con l’orientamento della Corte di cassazione, il Giudice d’appello aveva ritenuto che, nonostante il reato fosse prescritto, la responsabilità degli imputati e la provenienza illecita dei beni confiscati era stata accertata nel corso del giudizio di primo grado, sicché la condizione prevista dall’art. 240 c.p. doveva ritenersi integrata (§ 9-18). Nel rigettare i relativi ricorsi, la Corte di cassazione, richiamando il proprio precedente a Sezioni unite (sent. 21 luglio 2015, n. 31617, Lucci), aveva parimenti precisato che la confisca diretta dei beni poteva essere disposta anche a seguito di un proscioglimento per intervenuta prescrizione, a condizione che, nei gradi precedenti del giudizio di merito, fosse stata pronunciata una condanna e che l'accertamento della responsabilità nei confronti degli imputati fosse rimasto successivamente «inalterato» (§ 10). Dinanzi alla Corte europea, il primo ricorrente lamenta la violazione degli art. 6 par. 1 e 6 par. 2 Cedu. Quanto al primo profilo, l’oscillante giurisprudenza della Corte di cassazione circa l’applicabilità della confisca a seguito dell’intervenuta prescrizione avrebbe comportato una violazione della certezza del diritto (§ 84). In particolare, richiamando due precedenti resi dalla Corte di cassazione a Sezioni unite nel 1993 e nel 2008, il ricorrente sosteneva che, all'epoca della commissione dei reati e del procedimento di merito, l’orientamento consolidato aveva escluso l'applicabilità della confisca a seguito di una pronuncia di proscioglimento per intervenuta prescrizione (§ 85). Il quadro era mutato solo nel 2015 a seguito della pronuncia a Sezioni unite Lucci (§ 87), con la quale si è definitivamente ritenuta applicabile la confisca, ai sensi dell’art. 322-ter c.p., a prescindere dall’intervenuta prescrizione del reato. La Corte europea riconosce anzitutto l’esistenza di un case-law interno molto ondivago fra il 2009 e il 2015 (§ 95), caratterizzato da «divergenze profonde e di lunga durata» (§ 104). Tuttavia, il diritto interno prevede un meccanismo tale da superare simili contrasti, rappresentato dalla rimessione del ricorso alle Sezioni unite della Corte di cassazione (§105). Simile meccanismo, già impiegato per risolvere la medesima questione in tema di confisca, era già stato impiegato in passato e, all’epoca, aveva consentito di raggiungere alcuni punti fermi. Del resto, «il raggiungimento della coerenza nell'applicazione del diritto pertinente può richiedere tempo, e […] periodi di giurisprudenza contrastante possono essere tollerati senza minare la certezza del diritto, a condizione che l'ordinamento giuridico interno si dimostri (come nel caso di specie) in grado di accoglierli» (§ 109). Ne consegue che, in virtù della previsione di un rimedio interno effettivo, non sussiste la violazione del parametro convenzionale invocato (§ 112). Quanto, invece, al secondo profilo, il ricorrente lamenta la violazione della presunzione d’innocenza in forza dell’accertamento di responsabilità implicito nell’applicazione della confisca, nonostante l’intervenuto proscioglimento per prescrizione (§ 113). Consapevole del crescente impiego di forme di confisca di beni di origine illecita disposte anche in assenza di una condanna, la Corte europea sottolinea come la protezione offerta dall'articolo 6 par. 2 Cedu non debba essere interpretata in modo tale da precludere ai giudici nazionali l’applicazione di una confisca senza condanna sulla base dei fatti oggetto del procedimento penale, a condizione, però, che ciò «non comporti l’imputazione di una responsabilità penale nei confronti della persona interessata» (§ 129). La Corte europea osserva, quindi, che l’art. 322-ter c.p. impone, quale requisito formale per l’applicazione di una confisca, che sia intervenuta una condanna. Alla luce dell’interpretazione offerta dalla giurisprudenza interna, un simile requisito è soddisfatto anche quando sia intervenuta una causa estintiva del reato, purché la responsabilità dell’imputato sia stata accertata in primo grado e che l’accertamento sia rimasto immutato nel merito (§ 131). Sul punto, il Giudice europeo rammenta come l’accertamento della responsabilità penale in primo grado, in quanto non definitivo, non possa condizionare l’accertamento nei gradi successivi (§ 137). La Corte europea dubita, poi, che l’art. 129 comma 2 c.p.p. richieda «effettivamente un accertamento positivo della responsabilità. In ogni caso, anche supponendo che sia così, la necessità di rispettare una disposizione interna non può giustificare la violazione di un diritto della Convenzione» (§ 138). Ne consegue che la responsabilità penale ascritta al ricorrente perché implicata dall’applicazione della confisca nei suoi confronti, benché il giudizio si sia concluso con il proscioglimento per intervenuta prescrizione, viola il diritto fondamentale protetto dall’art. 6 par. 2 Cedu (§ 140-141). (Violette Sirello)
Riferimenti bibliografici: E. Zuffada, La Corte europea giudica compatibile con la Convenzione la confisca del profitto del reato anche in assenza di condanna, in Riv. it. dir. proc. pen., 2020, p. 380 ss.
ART. 8 CEDU
C. eur. dir. uomo, Sez. I, 5 dicembre 2024, El Aroud e Soughir c. Belgio
Revoca della cittadinanza nei confronti di due cittadini condannati per terrorismo - prevedibilità della legge - garanzie procedurali - assenza di conseguente apolidia - assenza di espulsione automatica dal territorio - non violazione
Il ricorso riguarda la revoca della cittadinanza belga a due doppi cittadini condannati per reati legati al terrorismo. Entrambi i ricorrenti erano giunti in Belgio nei primissimi anni di vita e, rispettivamente 41 e 28 anni dopo, avevano richiesto ed ottenuto la nazionalità belga. Successivamente, all’esito di due distinte vicende, i due venivano condannati per reati di terrorismo: El Aroud per avere costituito e gestito con il marito una cellula il cui scopo era quello di reclutare candidati alla jihad, per consentire loro di unirsi al gruppo Al-Qaeda e partecipare alle operazioni terroristiche da esso condotte; Soughir per avere preso il ruolo di leader di un gruppo terroristico, motivando, supervisionando e sostenendo finanziariamente un gruppo di quattro co-reclusi, recatisi in Iraq per intraprendere la jihad armata. In entrambi i casi, dopo la condanna, il Procuratore generale presentava un’istanza di revoca della cittadinanza belga. La Corte d’appello, dopo avere investito la Corte Costituzionale di diverse questioni pregiudiziali, accoglieva le richieste. I ricorrenti venivano pertanto privati della cittadinanza belga e soggetti ad un ordine di espulsione e divieto di ingresso nel territorio dello Stato per i successivi 15 anni. Presentavano quindi ricorso adducendo una violazione dell’art. 8 Cedu e dell’art. 2, Protocollo 7. La Corte europea richiama innanzitutto il consolidato orientamento giurisprudenziale in base a cui, benché il diritto alla cittadinanza non sia garantito in quanto tale dalla Convenzione o dai suoi Protocolli, il rifiuto e la revoca arbitrari di cittadinanza possono costituire una violazione dell’art. 8 Cedu nel caso in cui interferiscano con la vita privata e familiare della persona interessata (§53). La Corte ritiene a tal proposito che, mentre l'allontanamento di un cittadino straniero da un paese in cui si trovano i suoi parenti stretti è suscettibile di violare il suo diritto al rispetto della vita familiare, una sentenza che dichiara la revoca della cittadinanza non ha effetti automatici sulla sua presenza sul territorio (§57). Riconosce, al tempo stesso, che nel caso di specie la possibilità per i ricorrenti di rimanere sul territorio belga è divenuta precaria (§58) e che la perdita della cittadinanza implica la perdita di un elemento dell'identità dei ricorrenti, entrambi giunti nel Paese diversi decenni prima, perciò comportando un’ingerenza nella loro vita privata (§60). Tale ingerenza, tuttavia, viene considerata giustificata in quanto adeguatamente prevista dalla legge (§65), orientata agli scopi legittimi di difesa della sicurezza nazionale e di prevenzione dei reati (§67) e necessaria in una società democratica (§78). La Corte giudica, invece, inapplicabile l’art. 2 del Protocollo 7, in quanto un provvedimento di revoca della cittadinanza non costituisce una “accusa penale” ai sensi dell'articolo 6 § 1 della Convenzione (§85). (Lavinia Parsi)
Riferimenti bibliografici: C. Cataneo, Il diritto al rispetto della vita privata e familiare dello straniero destinatario di un provvedimento di espulsione a seguito della commissione di reati, in Riv. it. dir. proc. pen., 2023, 1234; S. Basilico, Il diritto alla privatezza non è recessivo rispetto alla sicurezza nazionale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2019, p. 1069.
ART. 8 CEDU
C. eur. dir. uomo, Sez. I, 19 dicembre 2024, Grande Oriente d’Italia c. Italia
Perquisizione e sequestro disposti dalla commissione parlamentare d'inchiesta antimafia - mancanza di prove o di un ragionevole sospetto di coinvolgimento nella vicenda oggetto dell'indagine - necessità di una forma di controllo ex ante o ex post - misura impugnata non “conforme alla legge” né “necessaria in una società democratica” - violazione
Il ricorso riguarda una perquisizione effettuata nei locali della loggia massonica Grande Oriente d’Italia, con conseguente sequestro di documenti cartacei e digitali, ed in particolare di un elenco comprensivo di nomi e dati personali di oltre 6.000 membri dell'associazione ricorrente. La misura veniva disposta dalla Commissione parlamentare antimafia, incaricata inter alia di condurre un'indagine sui rapporti tra mafia e massoneria a causa delle informazioni emerse dai procedimenti penali in corso in vari tribunali. A tale scopo, la Commissione ordinava la perquisizione dei locali dell'associazione ricorrente e il sequestro di vari documenti cartacei e digitali. L’associazione presentava quindi un ricorso in autotutela, a cui la Commissione parlamentare non rispondeva, ed un esposto presso la Procura di Roma, nel quale richiedeva al Pubblico Ministero di sollevare un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato ex art. 134 Cost. Il Pm archiviava la richiesta, osservando che il giudice ordinario non era competente per gli atti di una commissione parlamentare d'inchiesta. Soggiungeva che, nel caso di specie, il conflitto di giurisdizione non poteva essere sollevato poiché non vi erano procedimenti penali in corso sulle stesse questioni su cui stava indagando la Commissione parlamentare d'inchiesta e non vi erano quindi funzioni giudiziarie esercitate con cui poter interferire, anche alla luce della diversa natura e finalità di una Commissione parlamentare d'inchiesta. L’associazione lamentava pertanto la violazione degli artt. 8, 11 e 13 Cedu. In via preliminare, la Corte europea riscontra che il ricorrente ha esaurito le vie di ricorso interne, poiché – contrariamente a quanto obiettato dal Governo italiano – intentare un’azione davanti a un tribunale ordinario che non avrebbe avuto alcuna giurisdizione sugli atti di una Commissione parlamentare d'inchiesta, al solo scopo di chiedere a tale tribunale di esercitare il suo potere discrezionale di presentare una domanda di controllo giurisdizionale da parte della Corte Costituzionale, avrebbe costituito un ostacolo irragionevole e sproporzionato all'esercizio effettivo del diritto di ricorso individuale ai sensi dell'articolo 34 della Convenzione (§62). La Corte rileva quindi che è pacifica tra le parti l’interferenza con i diritti tutelati dall’art. 8 Cedu (§87), mentre la controversia verte sulla possibilità di giustificare tale interferenza ai sensi dell’art. 8§2 della Convenzione (§95). La Corte ritiene che il requisito di conformità alla legge sia soddisfatto, poiché la Commissione parlamentare gode, ex art. 82 Cost., degli stessi poteri dell’autorità giudiziaria, tra cui quello di effettuare perquisizioni e sequestri nei limiti e con le modalità disposte dagli artt. 247 e 252 c.p.p. (§99). La legittimità dello scopo, identificato dal Governo nell'interesse della sicurezza nazionale, la sicurezza pubblica e la prevenzione del crimine, viene altresì riconosciuta (§105). Rispetto al requisito di necessità, la Corte precisa che anche laddove gli Stati ritenessero necessari una perquisizione o un sequestro, la legge e la prassi devono offrire garanzie adeguate ed efficaci contro gli abusi e l'arbitrio (§107). In particolare, una volta effettuata la perquisizione o una volta che l'interessato è venuto a conoscenza dell'esistenza del provvedimento di perquisizione, deve esistere una procedura che consenta all'interessato di contestare i motivi di fatto e di diritto del provvedimento e di ottenere un risarcimento nel caso in cui la perquisizione sia stata ordinata o eseguita illegalmente (§111). Alla luce di ciò e della mancanza di prove o di un ragionevole sospetto di coinvolgimento nella questione oggetto di indagine in grado di giustificare la misura (§ 124), del suo contenuto ampio e indeterminato (§§126-131) e dell'assenza di sufficienti garanzie di controbilanciamento, in particolare di un riesame indipendente e imparziale della misura contestata (§§134-145), la Corte conclude che la misura contestata non è “conforme alla legge” né “necessaria in una società democratica” (§147). (Lavinia Parsi)
Riferimenti bibliografici: F. Cassibba, Perquisizione domiciliare e ricorso effettivo, in Riv. it. dir. proc. pen., 2019, p. 1749; P. Concolino, Perquisizione e diritto ad un ricorso effettivo: l’inadeguatezza dell’ordinamento interno agli standard di tutela sovranazionali, in Riv. it. dir. proc. pen., 2017, p. 1207.
ART. 1 PROT. ADD. CEDU
C. eur. dir. uomo, sez. I, sent. 19 dicembre 2024, Episcopo e Bassani c. Italia
Protezione della proprietà privata – base legale non sufficientemente prevedibile nel momento in cui era stata applicata la confisca senza condanna (precedentemente alle S.U. Lucci) – violazione
Per la ricostruzione della vicenda, v. supra, sub art. 6 Cedu. Dinanzi alla Corte europea, il secondo ricorrente lamenta la violazione dell’art. 1 prot. add. Cedu poiché la confisca sarebbe stata sproporzionata e priva di una prevedibile base legale. Il Giudice di Strasburgo rammenta, anzitutto, che la base legale a fondamento dell'interferenza in un diritto fondamentale deve essere sufficientemente accessibile, precisa e prevedibile, anche sul versante della relativa operatività. In particolare, «un principio è “prevedibile” quando offre una misura di protezione contro le interferenze arbitrarie delle autorità pubbliche». Ne deriva che ogni ingerenza nel pacifico godimento dei beni dev’essere accompagnata da garanzie procedurali che offrano una ragionevole opportunità di contestare in maniera effettiva, davanti alle autorità competenti, le misure che realizzano una simile ingerenza (§ 150). La prevedibilità può, in ogni caso, derivare anche dall’interpretazione chiara e precisa delle disposizioni da parte della giurisprudenza (§ 151). Nel caso di specie, nel momento in cui era stata disposta la confisca, sussistevano profondi contrasti negli orientamenti giurisprudenziali, tali da rendere effettivamente imprevedibile l’applicazione della misura patrimoniale. Da qui, la violazione del parametro convenzionale invocato (§ 155-158). (Violette Sirello)